Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

domenica 14 settembre 2014

Siria: la rivoluzione continua

Daniel Sugasti Lit-Quarta Internazionale





Dopo essere stato al centro dell’attenzione mondiale tra il 2012 e il 2013, il corso della guerra civile siriana è passato in un certo senso “in secondo piano”. Il prolungamento del conflitto, che in 41 mesi ha visto accrescere la propria complessità politica ed è al momento praticamente in fase di “stallo” sul piano militare, contribuisce certamente al diffondersi di tutta una campagna, promossa sia dalla destra che dalla “sinistra”, di declassamento e isolamento della rivoluzione siriana.
Per non parlare dello scoppio di altri conflitti che ora occupano il dibattito internazionale, come quello ucraino, l’avanzata dello Stato Islamico (IS, denominato  in un primo momento Stato Islamico dell’Iraq e del Levante) e la proclamazione di un “Califfato” nel nord-ovest dell’Iraq, o la recente aggressione militare sionista al popolo palestinese.
Ma l’importanza politica della guerra civile in Siria non è certamente diminuita. La feroce lotta tra rivoluzione e controrivoluzione nel Paese arabo oltrepassa tutti gli altri conflitti della regione e continua ad essere determinante per la dinamica dell’intero processo rivoluzionario che si sviluppa in Medio Oriente.
Sul terreno specificamente militare, i combattimenti continuano con intensità; la devastazione del Paese altrettanto. Secondo l’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani (OSDH), sei milioni di siriani si sono spostati entro i confini del Paese e altri tre milioni sono ormai rifugiati che sopravvivono dispersi in altri Paesi.
La stessa fonte parla di 190 mila morti, di cui un terzo sarebbero civili (tra i quali nove mila bambini). L’ONU, da parte sua, contava a maggio 520 mila vittime tra morti e feriti durante il conflitto. Man mano che la guerra si estende, la politica genocida della dittatura siriana si fa sempre più evidente. L’uso di agenti chimici [1] come l’iprite, le bombe al cloro e i barili carichi di esplosivo contro la popolazione civile è soltanto una delle tante dimostrazioni del fatto che Al Assad è disposto a tutto pur di restare al potere.
Le perdite militari si ripartiscono all’incirca tra 65 mila soldati dell’esercito di Al Assad e 46 mila ribelli siriani. Hezbollah, che combatte al fianco della dittatura, ha perso almeno 500 uomini dall’inizio del suo intervento in Siria [2]. Gli esperti stimano che il costo della guerra potrebbe aggirarsi intorno ai 170 miliardi di dollari.
L’offensiva della dittatura
Nell’ultimo anno il regime di Al Assad ha lanciato un’offensiva sulle zone che in precedenza erano state liberate dalle milizie ribelli, che sono composte fondamentalmente dall’Esercito Libero Siriano (ELS), dal Fronte Islamico, la principale forza insurrezionale sul campo con circa 45 mila soldati, e da un’estesa rete di comitati locali che in alcuni casi amministrano le città sottratte alla dittatura.
Per questa offensiva, com’è noto, il tiranno può contare sulla collaborazione sul campo della milizia libanese Hezbollah.
E’ così che, durante gli ultimi mesi, il regime ha riconquistato l’intero corridoio ovest da Kasab (località siriana situata a nord, vicino alla frontiera con la Turchia) fino alla frontiera sud con il Libano, grazie ad una serie di vittorie parziali iniziata nel giugno del 2013 con la presa di Qusair, cui hanno fatto seguito Yabrud, Malula e Zabadani. Queste conquiste hanno garantito al despota il controllo della rotta terrestre Damasco-Aleppo-costa del Mediterraneo e un passaggio sicuro verso il Libano, assicurando ad Hezbollah la fornitura di armamenti e miliziani.
E’ indubbio che il regime abbia ottenuto la sua principale vittoria fino ad oggi ad Homs, la terza città della Siria, considerata in precedenza la “capitale della rivoluzione”. Il 7 maggio, dopo un accerchiamento terribile durato quasi due anni e una resistenza eroica, circa duemila soldati ribelli si sono ritirati da quella simbolica città dopo aver raggiunto un accordo con il regime [3]. L’accerchiamento e i bombardamenti governativi ad Homs erano cominciati nel marzo del 2011, con il sostegno dei soldati di Hezbollah durante gli attacchi terrestri.
L’accordo che ha permesso ai ribelli di lasciare Homs prevedeva che ogni combattente, durante la ritirata, potesse portare con sé i propri effetti personali e un’arma. In ogni autobus, inoltre, si potevano trasportare un lanciagranate e una mitragliatrice. Si decise anche la liberazione di 70 prigionieri in mano ai ribelli, detenuti nella città di Aleppo.
Parlando chiaro, la riconquista di Homs è stata una vittoria militare molto importante per il regime, soprattutto per via dell’impatto morale che comporta l’occupazione di un simbolico bastione ribelle. Ma bisogna attribuire a questo fatto la sua vera dimensione. Per esempio, i ribelli in ritirata sono stati trasportati in autobus verso altre zone dominate dagli stessi ribelli, 20 chilometri a nord di Homs. Altre fonti affermano che i ribelli hanno riconquistato posizioni fino a 10 chilometri da questa città [4]. Questo fatto dimostra che gli insorti, nonostante abbiano abbandonato una piazza importante, non sono stati “schiacciati” dalla dittatura. Controllano ancora ampi territori nei pressi di questa città strategica, che è un nodo stradale tra Damasco e Aleppo a nord e tra Damasco e Latakia nel Mediterraneo [5].
“In due anni siamo avanzati di 300 metri”
Gli esiti militari dell’offensiva di Al Assad dimostrano forse che la rivoluzione è stata sconfitta, come affermano lo stesso Al Assad, parte della stampa internazionale e diversi settori della stessa “sinistra”? Non pensiamo che sia così.
E’ evidente che la rivoluzione sta attraversando uno dei suoi momenti più difficili. Le forze ribelli, male armate e senza una direzione rivoluzionaria, nell’ultimo anno e mezzo hanno dovuto combattere su due fronti: contro la coalizione Al Assad-Hezbollah-Iran-Russia e contro le orde dello Stato Islamico e del Fronte Al Nusra (ramo di Al Qaeda in Siria).
A peggiorare la situazione vi è l’enorme mancanza di coordinamento sul campo, prodotto di una direzione borghese “democratica” piuttosto frammentata che è andata perdendo autorità tra gli insorti a causa delle sue posizioni vacillanti e, soprattutto, perché il suo programma non prevede, nel caso in cui Al Assad venisse rovesciato, il soddisfacimento delle domande economiche e democratiche delle masse popolari siriane. D’altra parte, la posizione apertamente filo-imperialista di queste direzioni, che ormai da un anno stanno facendo appello agli Stati Uniti affinché bombardino la Siria -minaccia che non si è concretizzata per via dello scandaloso passo indietro dell’ultimo momento di Obama, conseguenza della  mancanza di sostegno politico-, ha certamente contribuito al discredito degli “oppositori dall’esterno”.
In questo quadro, la cosiddetta Coalizione Nazionale delle Forze dell’Opposizione e della Rivoluzione Siriana (CNFORS) e la cupola dell’Esercito Libero Siriano (ELS) si sono dimostrate incapaci di centralizzare le milizie in modo da portare avanti una lotta unificata contro la tirannia: “E’ da più di un anno che non abbiamo contatti con le brigate del nord. Ci siamo stabiliti nella nostra zona e ci relazioniamo con altre brigate del posto” [6], spiega Abu Husein, leader ribelle dell’ovest del Paese.
Tuttavia, nonostante la sua evidente supremazia militare, il regime non è riuscito a strangolare la rivoluzione. La realtà è che, a costo di sacrifici sempre più grandi e di penurie senza fine, le forze antidittatoriali continuano a controllare aree importanti, tra cui certe zone di Aleppo e Idlib e dei “distretti” nella periferia di Damasco e nelle vicinanze di Homs.
Le truppe congiunte di Al Assad e di Hezbollah, non essendo nelle condizioni di riconquistare le postazioni ribelli semplicemente con “assalti” di fanteria, adottano la tattica dell’accerchiamento degli insorti nelle città più importanti, interrompendo le loro linee di comunicazione e di approvvigionamento. Scommettono quindi sul loro “logoramento”.
Attualmente, dopo aver ripreso il controllo di tutta la zona confinante con il Libano, Al Assad sta cercando di rafforzare il proprio controllo sulle metropoli e sulle principali strade di collegamento con Damasco, con l’obiettivo di respingere i ribelli verso le periferie delle grandi città. La controrivoluzione concentra i propri sforzi nella riconquista di Aleppo e negli attacchi, preferibilmente per via aerea, ai distretti controllati dagli insorti nella periferia della capitale e in altre città come Hama e Homs.
Quando truppe regolari siriane si avventurano nelle zone liberate, i ribelli le affrontano con tattiche di guerriglia urbana, nelle quali sono diventati particolarmente abili. Hanno creato un complesso sistema di tunnel che consente loro di sferrare attacchi a sorpresa o mantenere l’approvvigionamento. E’ un modo per “aggirare” l’egemonia aerea del regime. Inoltre, in città come Aleppo, esistono nelle mappe militari “zone grigie” che non sono controllate da nessuno a causa della presenza da ambo le parti di cecchini che, nascosti negli scheletri degli edifici, danno il proprio contributo all’”immobilismo” della guerra nelle grandi città.
Il sistema di tunnel costruito dai ribelli ha portato buoni risultati. Per esempio, lo scorso 8 maggio, un giorno dopo la ritirata da Homs, una brigata del Fronte Islamico di Aleppo, che a prescindere dal suo programma islamico ha come obiettivo la lotta contro la dittatura al fianco dei ribelli laici, è riuscita a far saltare per aria l’hotel Carlton Citadel e altri edifici adiacenti che il governo siriano usava come “base militare”, uccidendo almeno 40 soldati di Al Assad [7]-[8]. Gli insorti hanno fatto esplodere un ordigno collocato in un tunnel di 75 metri [9] scavato nelle fondamenta dell’edificio, realizzando una delle azioni più spettacolari della guerra [10].
Una settimana dopo, a Idlib, il Fronte Islamico ha fatto esplodere 60 tonnellate di esplosivo, distruggendo un intero accampamento dell’Esercito siriano. Ancora una volta era stato utilizzato un tunnel. Secondo quanto dichiarato da un comandante del Fronte Islamico, la sua brigata “ha scavato circa 850 metri in profondità nel tunnel della base di Wadi al-Deif, che è circondata dai ribelli” [11].
Un’altra azione favorevole ai ribelli si è svolta il 18 maggio nella città di Mleiha, nella periferia di Damasco, dove le brigate ribelli hanno ucciso in combattimento il comandante delle forze di difesa antiaerea della Siria, il generale Hussein Ishaq [12].
Considerando questi e altri fatti simili, affermare che la rivoluzione è stata sconfitta e che la dittatura ha trionfato è un errore. La realtà dimostra che, nonostante le condizioni precarie in cui combattono i ribelli, siamo di fronte ad un conflitto di largo respiro, senza possibilità di soluzione immediata, perché all’origine della rivoluzione -che ha acquisito la forma di una guerra civile- vi sono contraddizioni accumulatesi per decenni e che non si sono ancora risolte.
E’ per questo che recentemente lo stesso generale siriano Abu Ahmed, che comanda le truppe dittatoriali ad Aleppo, ha riconosciuto che in due anni sono riuscite ad avanzare di “300 metri”: “ La guerra non terminerà fino a quando non vi sarà una soluzione politica tra potenze internazionali e regionali. Fino ad allora possiamo continuare così per anni” [13].
Abu Hasan, un altro generale siriano che comanda la temibile Guardia Repubblicana, una forza d’élite dell’Esercito, ha ammesso di non disporre della capacità bellica necessaria a liquidare la resistenza ribelle:“La strategia classica della guerra non funziona. Si verificano numerosi sconquassi e perdite di vite civili. Manterremo le posizioni fino a quando non si arriverà ad una soluzione politica " [14].
Il ruolo dello Stato Islamico
Dalla fine del 2012 abbiamo insistito sul ruolo determinante che svolgono le truppe di Hezbollah nel campo militare controrivoluzionario. La milizia libanese è entrata in scena nel momento più critico per la dittatura, quando l’Esercito regolare era in preda alle diserzioni e i ribelli giungevano alle porte di Damasco. Hezbollah si è infatti dimostrata indispensabile durante le ultime conquiste belliche del regime.
A partire dalla seconda metà del 2013 è comparso un nuovo attore controrivoluzionario di uguale o maggiore peso: il cosiddetto Stato Islamico.
Come abbiamo spiegato in precedenza, l’IS è un’organizzazione borghese con un programma teocratico-dittatoriale e ultra-reazionario . E’ un “partito-esercito” controrivoluzionario su tutta la linea, che attualmente controlla importanti territori petroliferi in Siria e in Iraq, nei quali ha instaurato un “Califfato” islamico.
Fino a quando erano parte di Al Qaeda, che in Siria è rappresentato dal Fronte Al Nusra, i “miliziani neri” dell’IS hanno agito come la “quinta colonna” del regime, combattendo contro i ribelli dell’ELS e impossessandosi dei territori che la rivoluzione andava conquistando alla dittatura siriana.
E’ stato questo il caso, per citare gli esempi più conosciuti, di Deir al Zor, Raqqa o Menbij. Dopo che Al Nusra ha usurpato queste città ai ribelli antidittatoriali, è scoppiata la contesa per questi territori ricchi di petrolio tra gli stessi “jihadisti”, con furiosi combattimenti tra l’IS e Al Nusra che, secondo stime parziali, sono costati la vita a più di quattro mila soldati di entrambe le bande.
Alla fine, dopo il doppio parassitismo, l’IS ha consolidato in queste zone una dittatura teocratica che si concretizza nel “Califfato” islamico. Nei territori che occupano hanno cominciato a perseguire ed assassinare i combattenti dell’ELS, del Fronte Islamico e i membri dei comitati locali che la popolazione aveva eletto per amministrare le zone liberate, come è avvenuto nella città di Menbij.
In questo modo sono arrivati ad imporre il terrore più totale alle popolazioni locali (decapitazioni, crocifissioni, lapidazioni, sepoltura di persone vive, ablazione per le donne), basandosi su un’interpretazione estrema e fondamentalista della Sharia (legge islamica). Allo stesso tempo, l’autoproclamato “Califfo Ibrahim” si è messo in affari con la stessa dittatura siriana, alla quale vende il crudo e il combustibile di cui Al Assad necessita per massacrare la rivoluzione.
Tutto ciò senza considerare il fatto che le atrocità commesse dall’IS stanno permettendo il rafforzamento politico di Al Assad, che ha così la possibilità di “giustificare” la sua “importanza come interlocutore” in quella che egli chiama “crociata contro il terrorismo” in Siria, offrendo il proprio sostegno alle potenze imperialiste.
In questo senso, le crudeltà e gli orrendi crimini dell’IS contro minoranze etniche e religiose, in Siria come in Iraq, servono all’imperialismo per giustificare iniziative “umanitarie” che si concretizzano in attacchi aerei sul suolo iracheno. La stessa cosa vale per i suoi lacchè, come il recentemente destituito primo ministro Al Maliki in Iraq e lo stesso Al Assad, i quali, rispettivamente, hanno “sollecitato” o si sono detti favorevoli a “coordinare” gli attacchi aerei degli Stati Uniti nei loro stessi Paesi.
Fino a questo momento, com’è noto, gli Stati Uniti hanno realizzato bombardamenti “limitati e puntuali” contro le postazioni dell’IS in Iraq e, all’indomani dell’uccisione del reporter statunitense James Foley, hanno deciso di autorizzare “voli di ricognizione” di droni [velivoli senza equipaggio] in Siria, un possibile primo passo per futuri bombardamenti. Tuttavia Obama si è mostrato molto cauto riguardo all’estensione degli attacchi  aerei in Siria, ammettendo che “non abbiamo ancora una strategia” [15].
Di fatto Al Assad, il presunto “antimperialista” di cui parlano le correnti castro-chaviste, sta già collaborando con gli Stati Uniti. I “voli di ricognizione” statunitensi per localizzare le postazioni dell’IS sono cominciati e, secondo l’OSDH, “la cooperazione ha permesso che gli Stati Uniti offrissero informazioni a Damasco attraverso Baghdad e Mosca” [16].
L’entrata in scena dell’IS ha obbligato i ribelli antidittatoriali, laici e non, ad aprire un secondo fronte, debilitando ancora di più le loro risorse. Il prezzo di dover lottare contro il regime e contro l’IS è molto alto. Alcuni gruppi ribelli che lottano contro l’IS calcolano che la metà delle loro forze sono state deviate verso questo secondo nemico [17].
E’ per questo che diverse brigate ribelli hanno dichiarato che l’IS è l’”obiettivo militare della rivoluzione”, affermando che “la rivoluzione siriana si fonda su valori che hanno come obiettivo la conquista della libertà, della giustizia e della sicurezza di tutta la società siriana e del suo tessuto multietnico, multireligioso e sociale” [18].
In questo quadro, lo scorso maggio si è svolto uno sciopero generale contro il potere dell’IS a Menbij (Aleppo), che, secondo il Comitato di Coordinamento Locale di Menbij, ha visto l’80% di partecipazione [19].
Da gennaio, nonostante tutte le difficoltà, secondo l’Economist i miliziani dell’IS hanno sofferto alcune sconfitte militari per mano dei ribelli antidittatoriali a Idlib e Aleppo, che gli hanno costretti a ritirarsi verso est, nel loro bastione a Raqqa [20]. 
Secondo l’OSDH, i ribelli siriani sono anche riusciti ad espellere quasi del tutto l’IS dalla periferia di Damasco, in particolare dai quartieri di Mesraba e Maydaa, situati nella regione del Ghuta orientale, e da Yalda e Beit Sahem [21].
Di certo sarà difficile scacciare l’IS dalla Siria poiché si è rafforzato finanziariamente e militarmente grazie ai territori che ha occupato in Iraq. Domenica 24 agosto, per esempio, ha preso il controllo della base aerea di Tabqa, a 45 chilometri dalla città di Raqqa, impossessandosi di aerei da combattimento, elicotteri, carri armati e artiglieria, con i quali cercheranno di ampliare e consolidare i territori del cosiddetto “Califfato”.
Aleppo, una battaglia cruciale
Aleppo è in questo momento l’epicentro della guerra civile. I ribelli siriani, congiuntamente alle milizie curde, controllano il nord-est e paste del sud-est della città. La Guardia Repubblicana, grazie soprattutto al suo reparto d’élite, le cosiddette “tigri”, e i miliziani di Hezbollah controllano l’ovest dell’antico cuore economico della Siria. “Gli amici di Hezbollah ci assicurano alcune postazioni una volta che le abbiamo guadagnate”, conferma Nesser, un comandante “Tigre” [22].
I combattimenti più intensi si svolgono nella periferia nord ed est. L’artiglieria siriana bombarda incessantemente le postazioni ribelli, ricorrendo al lancio dagli elicotteri di barili carichi di esplosivo, armi rudimentali ma altamente mortifere. Questi “barili della morte”, che esplodono in aree molto popolate (persino nei pressi di panifici e ospedali), hanno ucciso circa dodici mila civili [23].
In questo modo interi quartieri sono stati cancellati dalla mappa. Nel mezzo di questo panorama dantesco, circa due milioni di civili, intrappolati in questo terribile accerchiamento, senza acqua potabile e con elettricità intermittente, cercano di sopravvivere come possono.
Attualmente le milizie ribelli che resistono all’avanzata della dittatura ad Aleppo si scontrano anche con le forze dell’IS, molto meglio armate dopo la loro offensiva in Iraq, che avanzano da nord-est verso il centro della città [24]. Si trovano a 25 chilometri di distanza, dopo aver sottratto le località di Ajtarin e Mare al Fronte Islamico, il che complica ancora di più la situazione degli insorti. Ma i ribelli si preparano a riceverli: “I vari leader delle brigate ribelli si sono riuniti per creare una coalizione capace di fare fronte comune. Sono migliaia coloro che si dirigono fino a qui per fermare l’avanzata”, afferma l’oppositore Abu Ramzi dalla periferia di Aleppo [25].
La resistenza siriana a Damasco
Nonostante l’arretramento delle forze ribelli rispetto al periodo 2011-2012, quando gli insorti avevano quasi conquistato Damasco, esiste ancora una rete di milizie ribelli che mantengono le loro posizioni nella periferia della capitale.
Dopo aver sostenuto intensi combattimenti contro le truppe d’élite di Al Assad e quelle dell’IS, i ribelli sconquassano la vita quotidiana del centro politico del Paese con colpi di mortaio e anche con attentati dinamitardi, molti dei quali realizzati per mezzo dei tunnel.
La difesa della capitale è diventata la priorità del regime. Come ad Aleppo, la tattica consiste nello stringere al massimo l’accerchiamento dei ribelli bombardandoli dall’alto.
Recentemente il comando dell’Esercito siriano ha annunciato di aver ripreso il controllo della città di Mleha, a soli due chilometri a sud-est di Damasco, dopo 18 mesi di combattimenti. Di conseguenza i ribelli sarebbero arretrati a est della capitale.
Ciò nonostante, la situazione è lontana dall’essere una “pulizia di terroristi”, come ha promesso Al Assad nel momento in cui ha assunto il suo nuovo mandato dopo delle elezioni farsa. Lo steso ufficiale dell’Esercito siriano ha “declassato” la conquista: “In guerra, quando si conquista un’area non significa che sia stata totalmente ripulita. In dieci giorni tutto può cambiare” [26]. Il fronte militare al di fuori di Damasco ha dimostrato una volatilità simile a quella di Aleppo, con avanzate e indietreggiamenti di pochi metri. In modo tale che ciò che si sottrae al nemico, può essere perduto nel contrattacco successivo.
Nonostante tutto gli insorti continuano a controllare, sulla base di una resistenza eroica, tutta la cosiddetta Ghuta orientale (la periferia est di Damasco).
Raddoppiare la solidarietà con la rivoluzione siriana!
La rivoluzione siriana non è stata sconfitta. La guerra civile non è persa ma è in corso e senza possibilità di risoluzione rapida.
La resistenza dei ribelli è eroica; la loro lotta, un esempio di abnegazione per tutti i lottatori democratici e rivoluzionari del mondo. Tra avanzate e indietreggiamenti, si battono su due fronti: contro la dittatura di Al Assad e contro la “quinta colonna” dell’IS.
Perciò sarebbe un grande errore “cantare sconfitta” in questo momento. A parte il fatto che non è così, riprodurre questo tipo di “propaganda” nel mezzo di una guerra in corso può solo favorire i progetti dittatoriali e controrivoluzionari di Al Assad e dell’IS.
L’attitudine dei rivoluzionari deve essere totalmente contraria al disfattismo, così come la loro politica. La difficile situazione militare deve essere motivo per intensificare la campagna di solidarietà incondizionata, di totale sostegno alla vittoria militare delle masse popolari siriane e delle milizie ribelli dell’ELS, del Fronte Islamico, dei comitati locali, dei consigli locali e di un ampio ventaglio di settori, laici e non, che impugnano le armi per rovesciare la dittatura genocida del clan Assad e affrontare il progetto barbaro del “Califfato” islamico perpetrato dall’IS.
E’ urgente lottare per rompere l’isolamento della rivoluzione siriana, imposto non solo dalla campagna di discredito della stampa internazionale ma anche dall’appoggio esplicito alla dittatura di Al Assad e dalla propaganda menzognera contro i lottatori ribelli orchestrata da un’ampia gamma di organizzazioni staliniste e castro-chaviste.
Perciò, per pensare seriamente ad una controffensiva ribelle che possa aprire il passo ad una vittoria militare, è fondamentale esigere da tutti i governi l’invio di armi ai combattenti siriani. La difesa del diritto che la rivoluzione ha a difendersi e ad avanzare si concretizza in questa posizione.
In questo senso, per avere un’idea della precarietà con cui i ribelli affrontano la dittatura e gli “jihadisti” dell’IS, Salim Idris, ex comandante dell’ELS, ha riferito: “La maggior parte dei combattenti sono siriani, militari disertori o civili che hanno lasciato il proprio lavoro per unirsi alla rivoluzione. Al momento abbiamo nell’ELS circa centomila combattenti. Il 50% è armato e l’altro no. Condividono le armi (…)Abbiamo trattato con i comandanti al fronte e con i Paesi che ci sostengono per unificare tutti i gruppi sul campo e garantire un salario di circa cento dollari al mese ad ogni combattente. Abbiamo chiesto delle munizioni e un’assistenza più consistente da ripartire tra i battaglioni. Ma abbiamo ricevuto molto poco, non è stato sufficiente: né salari né sostegno finanziario; c’è una grande carenza di aiuto sanitario e umanitario, e questo continua ad essere ancora oggi uno dei problemi maggiori (..) Finora non abbiamo ricevuto armi o munizioni di qualità. Ci hanno mandato alcuni missili anticarro, ma abbiamo bisogno di MANPADS (lanciamissili terra-aria) perché i caccia del regime continuano a bombardare ogni giorno le città, le popolazioni, le scuole, gli ospedali…” [27].
Allo stesso tempo, per cambiare il corso della guerra, bisogna avanzare nella centralizzazione di tutte le milizie ribelli in un unico comando, sulla base di un programma che parta dalla necessità di rovesciare la dittatura ma che risponda anche ai pressanti problemi sociali, aggravati al massimo dalla distruzione causata dalla guerra. E’ fondamentale unificare la lotta democratica, il che significa centralizzare tutti gli sforzi possibili di tutte le organizzazioni e i settori sociali disposti a continuare a combattere contro la dittatura siriana e contro l’IS.
Nel quadro di questa ampia unità d’azione antidittatoriale, i rivoluzionari devono proporre come soluzione di fondo l’applicazione del programma della rivoluzione socialista. Ciò si traduce nel fatto che, pur essendo incondizionatamente parte della lotta democratica e stando nella trincea che combatte contro la dittatura siriana, è necessario aver chiara la strategia di una rivoluzione d’Ottobre trionfante, sulla base di un programma che cominci rispondendo alle aspirazioni democratiche delle masse popolari siriane e culmini nella presa del potere da parte della classe lavoratrice. Il “punto di partenza” del programma rivoluzionario deve essere categorico: vincere la guerra per rovesciare Bashar Al Assad!
In questo senso, la parola d’ordine “per vincere la guerra e fare la rivoluzione socialista” potrà essere difesa in modo conseguente soltanto da una direzione rivoluzionaria e internazionalista, la cui assenza si rivela sempre più drammatica nella misura in cui il regime e l’IS portano avanti la loro offensiva contro il processo rivoluzionario siriano.
Come abbiamo scritto nella risoluzione dell’ultimo Congresso della Lit sui pericoli e i compiti della rivoluzione siriana: “esistono profonde limitazioni che minacciano la vittoria militare e l’avanzata della rivoluzione: la mancanza di centralizzazione militare e politica attorno ad un programma rivoluzionario (che cominci dal compito di distruggere il regime dittatoriale), l’assenza di intervento della classe operaia organizzata nel processo rivoluzionario e, soprattutto, la mancanza di una direzione marxista rivoluzionaria nel processo” [28]. Non esiste compito strategico più importante in Siria e in tutto il Medio Oriente.
Note[1] Nonostante Al Assad abbia negato di possedere un “arsenale chimico”, solo nell’ultimo anno sono state distrutte 581 tonnellate di “precursori chimici” per la fabbricazione di gas sarin e 19,8 tonnellate di agenti chimici per la fabbricazione dell’iprite.
[2] 
http://internacional.elpais.com/internacional/2014/07/22/actualidad/1406020389_624691.html
[3] http://www.lanacion.com.ar/1688524-una-victoria-para-al-assad-cayo-homs-capital-de-la-revolucion
[4] 
http://internacional.elpais.com/internacional/2014/05/07/actualidad/1399465568_665771.html
[5] http://www.publico.es/internacional/519282/victoria-militar-y-moral-de-al-assad-en-homs
[6] http://internacional.elpais.com/internacional/2014/08/16/actualidad/1408216125_187272.html
[7]http://www.aljazeera.com/news/middleeast/2014/05/rebels-bomb-syria-army-hotel-base-aleppo-2014588229832559.html
[8]http://www.aljazeera.com/news/middleeast/2014/05/syrian-troops-hit-aleppo-tunnel-bombing-2014531132635764102.html
[9]http://www.aljazeera.com/news/middleeast/2014/05/rebels-bomb-syria-army-hotel-base-aleppo-2014588229832559.html
[10] Vedere: video: 
http://internacional.elpais.com/internacional/2014/05/08/actualidad/1399538322_394792.html
[11]http://www.noticias24.com/fotos/noticia/16353/siria-rebeldes-hacen-volar-campamento-del-ejercito-aplicando-60-toneladas-de-explosivos/
[12]http://noticias.terra.com.br/mundo/oriente-medio/siria-comandante-do-exercito-morre-em-combate-em-mleiha,d5fb67ad03b06410VgnCLD2000000dc6eb0aRCRD.html
[13] 
http://internacional.elpais.com/internacional/2014/08/16/actualidad/1408216125_187272.html
[14] http://internacional.elpais.com/internacional/2014/08/18/actualidad/1408389503_997390.html
[15] http://internacional.elpais.com/internacional/2014/08/29/actualidad/1409266155_646999.html
[16] http://www.clarin.com/mundo/Obama-autoriza-Siria-combatir-ISIS_0_1201079928.html
[17]http://www.economist.com/news/middle-east-and-africa/21603470-rivalry-between-insurgents-helping-him-nowbut-may-eventually-undermine-him#
[18]http://noticias.terra.com/internacional/asia/rebeldes-islamistas-sirios-declaran-a-grupo-yihadista-como-objetivo-militar,8c37d96a02106410VgnCLD2000000dc6eb0aRCRD.html
[19]http://www.dailystar.com.lb/News/Middle-East/2014/May-19/256939-general-strike-challenges-isis-in-aleppo-town.ashx#ixzz32COGn43G
[20]http://www.economist.com/news/middle-east-and-africa/21603470-rivalry-between-insurgents-helping-him-nowbut-may-eventually-undermine-him#
[21] 
http://www.prensalibre.com/internacional/Rebeldes-sirios-ganan-terreno-frente-yihadistas-Damasco_0_1178882116.html
[22] http://internacional.elpais.com/internacional/2014/08/18/actualidad/1408390868_838265.html
[23] http://internacional.elpais.com/internacional/2014/04/26/actualidad/1398535185_110175.html
[24] http://internacional.elpais.com/internacional/2014/08/18/actualidad/1408389503_997390.html
[25] http://internacional.elpais.com/internacional/2014/08/18/actualidad/1408390868_838265.html
[26] http://internacional.elpais.com/internacional/2014/08/14/actualidad/1408043583_949810.html
[27] http://internacional.elpais.com/internacional/2014/04/09/actualidad/1396994480_883770.html
[28] Risoluzione sulla Siria dell’XI Congresso della LIT.


(traduzione dallo spagnolo di Simone Tornese)

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