Esistono leggi delega, decreti legge, leggi d’iniziativa
popolare. Il governo Renzi, patrocinato da Re Giorgio Napolitano, ha inventato le
leggi dell’arroganza. Sono quelle norme licenziate basandosi sull’arrogante
certezza che la riforma costituzionale sarebbe stata approvata. Ciò non considerando che al popolo italiano è
rimasto un minimo di coscienza democratica, per cui quella riforma è stata
sonoramente bocciata nelle urne referendarie.
La prima legge dell'arroganza è la più nota, l'Italicum. Norma elettorale approvata per l’elezione della
sola Camera, visto che il Senato elettivo si dava per morto con sprezzante
sicumera. Dopo il 4 dicembre, però la legge che tutti avrebbero dovuto invidiarci, è andata al macero perchè il Senato vive e
lotta insieme a noi.
La seconda norma, la più arrogante di tutti, è il decreto Madia sulla pubblica amministrazione. Questa è stato formulata come se la riforma Renzi-Boschi fosse già in vigore. Ed infatti la corte costituzionale l’ha bocciato senza appello. E’ stata dichiarata incostituzionale la parte riguardante l’intervento dell’esecutivo sulle pubbliche amministrazioni locali. In base alla normativa era sufficiente, e non vincolante, il parere della conferenza Stato-Regioni su eventuali provvedimenti riguardanti gli enti locali. La corte, in conformità con la Costituzione vigente, ha decretato che, per il principio della leale collaborazione tra istituzioni dello Stato, ogni intervento sulle amministrazioni territoriali doveva essere concordato direttamente con la Conferenza Stato Regioni. Altro che semplice parere!
La seconda norma, la più arrogante di tutti, è il decreto Madia sulla pubblica amministrazione. Questa è stato formulata come se la riforma Renzi-Boschi fosse già in vigore. Ed infatti la corte costituzionale l’ha bocciato senza appello. E’ stata dichiarata incostituzionale la parte riguardante l’intervento dell’esecutivo sulle pubbliche amministrazioni locali. In base alla normativa era sufficiente, e non vincolante, il parere della conferenza Stato-Regioni su eventuali provvedimenti riguardanti gli enti locali. La corte, in conformità con la Costituzione vigente, ha decretato che, per il principio della leale collaborazione tra istituzioni dello Stato, ogni intervento sulle amministrazioni territoriali doveva essere concordato direttamente con la Conferenza Stato Regioni. Altro che semplice parere!
Infine la terza legge dell’arroganza è il maxi emendamento 7 aprile 2014 n.56 sul riordino delle province, la famigerata legge Delrio.
L’arroganza con cui è stata redatto il dispositivo, si evince al comma 51
nella quale è scritto: “In attesa della riforma del titolo V della parte seconda
della Costituzione e delle relative norme di attuazione, le province sono
disciplinate dalla presente legge” Hai voglia ad aspettare! La riforma del titolo V è stata
clamorosamente bocciata dai cittadini con il referendum. Rimane una legge pasticciata in perenne attesa di un
futuro che mai arriverà, e in balia di possibili ricorsi alla Corte Costituzionale atti a denunciarne l'incostituzionalità.
La logica che
sta dietro alla "Delrio" è la stessa che
ha animato la riforma costituzionale
Renzi-Boschi-Napoltiano. Cioè espropriare i cittadini del proprio diritto al voto,
celando questo scippo democratico dietro la scusa del risparmio
economico. Della bufala sui conti del
Senato, abbiamo abbondantemente riferito nel corso della campagna referendaria.
Ma come è andata per la legge Delrio? Detto che non c’è da risparmiare sui
diritti democratici, la derubricazione delle province ad
enti di secondo livello, i cui consigli , assemblee e presidenti , vengono eletti non dai cittadini, ma da
consiglieri comunali e sindaci, non ha portato alcun risparmio. Il fatto che gli
amministratori provinciali non percepiscano
compensi per i loro servigi, avrebbe dovuto produrre economie straordinarie. Ma....
Secondo
uno studio dell’UPI, Unione delle Province italiane, a fronte del dei due
miliardi spesi per completare il
riordino, il risparmio ottenuto sarebbe solo di 32 milioni per le indennità agli
amministratori e 78 milioni necessari all'organizzazione dell'ente. Ma il grosso delle risorse, circa
10 miliardi, secondo l’UPI, resterà a carico della collettività perché sono
i soldi necessari ad assicurare i
servizi essenziali. Infatti non è affatto vero che i consiglieri, eletti
secondo il principio “ce la cantamo e ce la sonamo”, devono occuparsi di quisquilie. In capo alle province , non
elettive, rimangono funzioni
importantissime per il territorio come:
l’edilizia scolastica, i trasporti, la
manutenzione delle strade provinciali, la tutela e valorizzazione
dell’ambiente, la promozione delle pari opportunità. Tutte le altre competenze
devono essere trasferite a Comuni e Regioni.
Qui si rileva un altro impiccio.
La legge Delrio rimanda a successive leggi regionali la definizione delle
funzioni provinciali da assegnare alla regione e ai comuni. (art 89. Lo stato e le regioni secondo le rispettive
competenze, attribuiscono le funzioni
provinciali diverse dall’art.85 in attuazione dell’art. 118 della Costituzione) Il problema è che ogni ente
regionale acquisisce competenze che possono variare da regione a
regione. Quindi per ogni territorio si
trovano differenti attribuzioni di
funzioni fra regione, provincia e comuni. I cittadini, non spendo più chi fa che cosa, non riescono ad
individuare quale fra gli enti (regionali provinciali comunali), possa dare
loro una risposta esauriente. Ricordate la confusione che sarebbe venuta a crearsi, se
l’art.70 proposto dalla riforma costituzionale sul nuovo Senato non fosse stato affossato? La legge Delrio, propone tutti i vizi che la riforma
costituzionale racchiudeva in se : Esproprio del diritto di voto da parte dei
cittadini, risparmi quasi contenuti se non nulli, confusione applicativa.
Il 4 dicembre
si è evitato che tale obbrobrio guastasse in modo
devastante anche la Carta del ’48. Resta
il fatto che con la terza legge dell’arroganza, le province hanno meno mezzi economici e quasi le stesse funzioni di
prima. Ma, soprattutto, gli enti provinciali, in virtù del fatto che gli organi dirigenti ed
esecutivi vengono eletti dai consiglieri, dai sindaci, e non dai cittadini, diventano il campo per le più sordide trattative, e la stipula di patti
inconfessabili fra un schieramento e
l’altro. Il tutto sulla testa della collettività. Urge
quindi cestinare questa legge al più presto, così come è stata cestinata la riforma
Renzi-Boschi. I vizi sono gli stessi.