Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

venerdì 10 marzo 2017

Maxi emendamento Delrio, la terza legge dell'arroganza.

Luciano Granieri




Esistono leggi delega, decreti legge, leggi d’iniziativa popolare. Il governo Renzi, patrocinato  da Re Giorgio Napolitano, ha inventato le leggi dell’arroganza. Sono quelle norme licenziate basandosi sull’arrogante certezza che la riforma costituzionale sarebbe stata approvata. Ciò  non considerando che al popolo italiano è rimasto un minimo di coscienza democratica, per cui quella riforma è stata sonoramente bocciata nelle urne referendarie. 

La prima legge dell'arroganza è la più  nota, l'Italicum. Norma elettorale approvata per l’elezione della sola Camera, visto che il Senato elettivo si dava per morto con sprezzante sicumera. Dopo il 4 dicembre, però  la legge  che tutti avrebbero dovuto invidiarci,  è andata al macero perchè il Senato vive e lotta insieme a noi.  

La seconda norma, la più arrogante di tutti,   è il decreto Madia sulla pubblica amministrazione.  Questa è stato formulata come se la riforma Renzi-Boschi fosse già in vigore. Ed infatti la corte  costituzionale l’ha  bocciato senza appello. E’ stata dichiarata incostituzionale la parte riguardante l’intervento dell’esecutivo sulle pubbliche amministrazioni locali. In base alla normativa era sufficiente, e non vincolante,  il parere della conferenza Stato-Regioni su  eventuali provvedimenti riguardanti gli enti locali. La corte, in conformità con la Costituzione vigente,  ha decretato che, per il principio della leale collaborazione tra istituzioni dello Stato, ogni intervento sulle amministrazioni territoriali doveva essere concordato direttamente con la Conferenza Stato Regioni. Altro che semplice  parere! 

Infine   la terza legge dell’arroganza è il maxi emendamento  7 aprile 2014 n.56 sul riordino  delle province, la famigerata legge Delrio. L’arroganza con cui è stata redatto il dispositivo, si evince al comma  51 nella quale è scritto: “In attesa della riforma del titolo V della parte seconda della Costituzione e delle relative norme di attuazione, le province sono disciplinate dalla presente legge”  Hai voglia ad aspettare! La riforma del titolo V è stata clamorosamente bocciata dai cittadini con il referendum. Rimane  una legge pasticciata in perenne attesa di un futuro che mai arriverà, e in balia di possibili ricorsi alla Corte Costituzionale atti a denunciarne l'incostituzionalità.

La logica che sta dietro alla  "Delrio" è la stessa che ha animato   la riforma costituzionale Renzi-Boschi-Napoltiano. Cioè espropriare i cittadini del proprio diritto al voto, celando  questo scippo democratico dietro la scusa del risparmio economico.  Della bufala sui conti del Senato, abbiamo abbondantemente riferito nel corso della campagna referendaria. Ma come è andata per la legge Delrio?  Detto che non c’è da risparmiare sui diritti democratici, la derubricazione delle province    ad enti  di secondo livello,  i cui consigli ,  assemblee e presidenti  , vengono eletti non dai cittadini, ma da consiglieri  comunali e sindaci,  non ha portato alcun risparmio. Il fatto che gli amministratori provinciali  non percepiscano compensi per i loro servigi, avrebbe dovuto produrre economie straordinarie. Ma.... 

Secondo uno studio dell’UPI, Unione delle Province italiane, a fronte del dei due miliardi spesi per completare  il riordino, il risparmio ottenuto  sarebbe  solo di 32 milioni per le indennità agli amministratori e 78 milioni necessari  all'organizzazione dell'ente. Ma il grosso delle risorse, circa 10 miliardi, secondo l’UPI, resterà  a carico della collettività perché sono i soldi necessari ad  assicurare   i servizi essenziali. Infatti non è affatto vero che i consiglieri, eletti secondo il principio “ce la cantamo e ce la sonamo”, devono occuparsi  di quisquilie. In capo alle province , non elettive, rimangono  funzioni importantissime per il territorio  come: l’edilizia scolastica, i trasporti,  la manutenzione delle strade provinciali, la tutela e valorizzazione dell’ambiente, la promozione delle pari opportunità. Tutte le altre competenze devono essere trasferite a Comuni e Regioni. 

Qui si rileva un altro impiccio. La legge Delrio rimanda a successive leggi regionali la definizione delle funzioni provinciali da assegnare alla regione e ai comuni. (art 89. Lo stato e le regioni secondo le rispettive competenze,  attribuiscono le funzioni provinciali diverse dall’art.85 in attuazione dell’art. 118 della Costituzione) Il problema è che ogni ente regionale  acquisisce   competenze che possono variare da regione a regione. Quindi per ogni territorio  si trovano  differenti attribuzioni di funzioni fra regione, provincia e comuni. I cittadini, non spendo  più chi fa che cosa, non riescono ad individuare quale fra gli enti (regionali provinciali comunali), possa dare loro  una risposta esauriente. Ricordate  la confusione che sarebbe venuta a crearsi, se l’art.70 proposto dalla riforma costituzionale  sul nuovo Senato non fosse stato  affossato?  La  legge Delrio,  propone  tutti i vizi che la riforma costituzionale racchiudeva in se : Esproprio del diritto di voto da parte dei cittadini, risparmi quasi contenuti se non nulli, confusione applicativa. 

Il 4 dicembre si è  evitato che tale obbrobrio    guastasse   in modo devastante anche la  Carta del ’48. Resta il fatto che con la terza  legge dell’arroganza, le province hanno meno mezzi economici  e  quasi le stesse funzioni di prima.   Ma, soprattutto, gli enti provinciali,  in virtù del fatto che gli organi dirigenti ed esecutivi vengono eletti dai consiglieri, dai   sindaci, e non dai cittadini, diventano  il campo per le più sordide trattative,  e la stipula di patti inconfessabili  fra un schieramento e l’altro.  Il  tutto sulla testa della collettività. Urge quindi cestinare questa legge al più presto,  così come è stata cestinata la riforma Renzi-Boschi. I vizi sono gli stessi.

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