Roberto Savio
E’ triste vedere come un continente che è stato la culla della civiltà sta correndo ciecamente in una trappola, la trappola di una guerra santa contro l’Islam e che sei terroristi mussulmani sono stati sufficienti a determinare ciò.
E’ ora di uscire dalla comprensibile ondata di “Siamo tutti Charlie Hebdo” per guardare ai fatti e per capire che stiamo facendo il gioco di pochi estremisti e ci stiamo mettendo sullo stesso piano. La radicalizzazione del conflitto tra occidente e Islam porterà con sé conseguenze terribili.
Il primo fatto è che l’Islam è la seconda maggior religione del mondo, con 1,6 miliardi di praticanti; che i mussulmani sono la maggioranza in 49 paesi del mondo e che rappresentano il 24 per cento del genere umano. Di questi 1,6 miliardi solo 317 milioni sono arabi. Quasi due terzi (il 62 per cento) vivono nella regione Asia-Pacifico; in realtà più mussulmani vivono in India e Pakistan (in totale 344 milioni). La sola Indonesia ne conta 209 milioni.
Un rapporto del Pew Research Center sul mondo mussulmano ci informa anche che è nell’Asia meridionale che i mussulmani sono più radicali in termini di idee e osservanza. In tale regione quelli a favore di severe punizioni corporali ai criminali sono l’81 per cento, rispetto al 57 per cento in Medio Oriente e in Africa del Nord, mentre quelli a favore dell’esecuzione di quelli che abbandonano l’Islam sono il 76 per cento nell’Asia meridionale, rispetto al 56 per cento in Medio Oriente.
E’ perciò evidente che è la storia del Medio Oriente che induce la specificità degli arabi al conflitto con l’occidente. Ed ecco i quattro motivi principali.
Primo: tutti i paesi arabi sono creazioni artificiali. Nel maggio del 1916 Monsieur Francois Georges-Picot per la Francia e Sir Mark Sykes per la Gran Bretagna si incontrarono e conclusero un trattato segreto, con il sostegno dell’Impero Russo e del Regno d’Italia, su come dividere l’Impero Ottomano alla fine della prima guerra mondiale.
Dunque i paesi arabi di oggi sono nati in conseguenza di una divisione tra Francia e Gran Bretagna senza alcuna considerazione per le realtà etniche o religiose o per la storia. Alcuni di tali paesi, come l’Egitto, avevano un’identità storica, ma paesi come Iraq, Arabia Saudita, Giordania o anche gli Emirati Arabi non avevano neppure quella. Merita di essere ricordato che il problema curdo di 30 milioni di persone divise tra quattro paesi è stato creato dalle potenze europee.
In conseguenza, il secondo motivo. Le potenze coloniali installarono re e sceicchi nei paesi da loro creati. Per governare questi paesi artificiali ci volevano mani forti. Così, sin dall’inizio, c’è stata una totale assenza di partecipazione del popolo, con un sistema politico che era totalmente fuori passo con il processo di democrazia che stava avendo luogo in Europa. Con la benedizione europea questi paesi furono congelati in tempi feudali.
Quanto al terzo motivo, le potenze occidentali non hanno mai fatto alcun investimento nello sviluppo industriale o in uno sviluppo reale. Lo sfruttamento del petrolio era nelle mani di compagnie straniere e solo dopo la fine della seconda guerra mondiale e con il successivo processo di decolonizzazione le entrate petrolifere sono passate effettivamente in mani locali.
Quando le potenze coloniali se ne sono andate, i paesi arabi non avevano alcun sistema politico moderno, nessuna infrastruttura moderna, nessuna amministrazione locale.
Infine il quarto motivo, che è più vicino ai giorni nostri. In stati che non offrivano istruzione e assistenza sanitaria ai loro cittadini, la compassione mussulmana si assunse il compito di offrire ciò che lo stato non offriva. Furono così create vaste reti di scuole e ospedali religiosi e, con le elezioni alla fine permesse, esse divennero la base della legittimazione e del voto ai partiti mussulmani.
E’ per questo, per prendere esempio solo da due importanti paesi, che i partiti islamisti hanno vinto in Egitto e in Algeria ed è così che, con l’acquiescenza dell’occidente, colpi di stato militari sono stati la sola risorsa per fermarli.
Questa condensazione di tanti decenni in poche righe è ovviamente superficiale e tralascia molti altri problemi. Ma questo processo storico, brutalmente riassunto, è utile per capire come in tutto il Medio Oriente ci siano oggi rabbia e frustrazione e come ciò determini l’attrattiva dello Stato Islamico (IS) per i segmenti poveri.
Non dovremmo dimenticare che questo contesto storico, anche se remoto per i giovani, è mantenuto vivo dal dominio israeliano del popolo palestinese. Il cieco sostegno dell’occidente, specialmente degli Stati Uniti, a Israele è vissuto dagli arabi come un’umiliazione permanente e la continua espansione degli insediamenti chiaramente elimina la possibilità di uno stato palestinese vitale.
Il bombardamento di Gaza a luglio-agosto, con sole qualche rumorio di protesta dell’occidente, ma senza alcuna azione reale, per il mondo arabo costituisce una chiara prova dell’intenzione di tenere soggetti gli arabi e di cercare alleanze solo con governanti corrotti e delegittimati che dovrebbero essere spazzati via. E i continui interventi occidentali in Libano, Siria, Iraq e i bombardamenti dei droni dovunque, sono diffusamente percepiti dagli 1,6 miliardi come un impegno storico dell’occidente e tenere soggetto l’Islam, come ha segnalato il rapporto Pew.
Dovremmo ricordare anche che l’Islam ha numerose divisioni interne, di cui quella sunnita-sciita è solo la più vasta. Ma mentre nella regione araba almeno il 40 dei sunniti non riconosce uno sciita come un fratello mussulmano, fuori dalla regione ciò tende a svanire. In Indonesia solo il 26 per cento si identifica come sunnita, con il 56 per cento che si identifica come “semplicemente mussulmano”.
Nel mondo arabo solo in Iraq e in Libano, dove le due comunità vivevano fianco a fianco, una vasta maggioranza di sunniti riconosce gli sciiti come correligionari mussulmani. Il fatto che gli sciiti, che rappresentano il 13 per cento dei mussulmani, siano la grande maggioranza in Iran e i sunniti la grande maggioranza in Arabia Saudita spiega il continuo conflitto interno nella regione, che è alimentato dai due rispettivi leader.
Al-Qaeda in Mesopotamia, allora gestito da Abu Musab al-Zarqawi (1966-2006), impiegò con successo una politica di polarizzazione in Iraq, continuando attacchi contro gli sciiti e provocando una pulizia etnica di un milione di sunniti da Baghdad. Oggi l’IS, il califfato radicale che sta sfidando l’intero mondo arabo oltre all’occidente, è in grado di attirare molti sunniti dall’Iraq che avevano sofferto tante rappresaglie sciite e che hanno cercato protezione dallo stesso gruppo che aveva deliberatamente provocato gli sciiti.
Il fatto è che centinaia di arabi muoiono ogni giorno a causa del conflitto interno, un destino che con colpisce la comunità mussulmana più vasta.
Ora, tutti gli attacchi terroristici in occidente che hanno avuto luogo a Ottawa, Londra e oggi a Parigi, hanno lo stesso profilo: un giovane del paese in questione, non qualcuno proveniente dalla regione araba, che non è stato per nulla religioso nell’adolescenza, uno che in qualche modo è andato alla deriva, non ha trovato un lavoro e che era un solitario. In quasi tutti i casi, qualcuno che aveva già avuto qualcosa a che fare con il sistema giudiziario.
Solo negli ultimi pochi anni egli si era convertito all’Islam e aveva accolto gli appelli dell’IS a uccidere gli infedeli. Ha sentito che così avrebbe trovato un senso alla propria vita, sarebbe diventato un martire, qualcuno in un altro mondo, rimosso da una vita in cui non c’era alcuno vero futuro luminoso.
La reazione a tutto questo è stata una campagna contro l’Islam in occidente. Il numero più recente del New Yorker ha pubblicato un articolo forte che ha definito l’Islam non una religione, bensì un’ideologia. In Italia, Matteo Salvini, leader della Lega Nord, di destra e contraria agli immigrati, ha pubblicamente condannato il Papa per aver coinvolto l’Islam in un dialogo, è il guru conservatore italiano Giuliano Ferrara ha dichiarato in televisione che “siamo in una Guerra Santa”.
La reazione generale europea (e statunitense) è consistita nel denunciare le uccisioni di Parigi come la conseguenza di una “ideologia mortale”, come l’ha chiamata il presidente Francois Hollande.
E’ certamente un segno dell’onda anti-mussulmana che la Cancelliera tedesca Angela Merkel sia stata costretta a prendere posizione contro le recenti marce a Dresda (popolazione mussulmana: 2 per cento), organizzate dal movimento populista Pegida (l’acronimo tedesco di “Europei Patriottici Contro l’Islamizzazione dell’Occidente”). Le marce erano fondamentalmente dirette contro i 200.000 richiedenti asilo, prevalentemente dall’Iraq e dalla Siria, la cui principale intenzione, secondo Pegida, non era di sfuggire alla guerra.
Studi da tutta Europa mostrano che l’immensa maggioranza degli immigrati si è integrata con successo nelle economie ospiti. Studi delle Nazioni Uniti mostrano anche che l’Europa, con il suo declino demografico, ha necessità di almeno 50 milioni di immigrati entro il 2050 se vuole restare vitale nelle pratiche di stato sociale e competitiva nel mondo. E tuttavia, a cosa assistiamo dappertutto?
Partiti xenofobi di destra in ogni paese d’Europa, in grado di far dimettere il governo svedese, che condizionano i governi di Gran Bretagna, Danimarca e Olanda e che appaiono suscettibili di vincere le prossime elezioni in Francia.
Andrebbe aggiunto che, anche se ciò che è avvenuto a Parigi è stato naturalmente un crimine odioso, e anche se l’espressione di ogni opinione è essenziale per la democrazia, pochissimo hanno mai visto Charlie Hebdo e il suo livello di provocazione. Specialmente perché nel 2008, come ha segnalato Tariq Ramadan sul The Guardian del 10 gennaio, Charlie Hebdo aveva licenziato un giornalista che aveva fatto una battuta su un collegamento ebraico con il figlio del presidente francese Nicolas Sarkozy.
Charlie Hebdo è stato una voce a difesa della superiorità della Francia e della sua supremazia culturale nel mondo, e aveva un piccolo numero di lettori, ottenuto vendendo provocazioni, esattamente il contrario della visione di un mondo basato sul rispetto e la collaborazione tra culture e religioni diverse.
Così oggi siamo tutti Charlie, come tutti dicono. Ma radicalizzare lo scontro tra le due maggiori religioni del mondo non è cosa di poco conto. Dovremmo combattere il terrorismo, sia mussulmano o no (non dimentichiamo che un norvegese, Anders Behring Breivik, che voleva tenere il suo paese libero dalla penetrazione mussulmana, ha ucciso 91 suoi concittadini).
Ma stiamo cadendo in una trappola mortale e stiamo facendo esattamente quello che vogliono i mussulmani radicali: ingaggiare una guerra santa contro l’Islam, in modo che l’immensa maggioranza dei mussulmani moderati sia spinta a prendere le armi.
Il fatto che i partiti europei di destra raccoglieranno il frutto di questa radicalizzazione va benissimo per i mussulmani radicali. Essi sognano una lotta mondiale in cui faranno dell’Islam – e non di un Islam qualsiasi, bensì della loro interpretazione del sunnismo – la sola religione. Invece di una strategia di isolamento ci stiamo impegnando in una politica di scontro.
E, ad eccezione dell’11 settembre a New York, le perdite di vite sono state ridottissime in confronto con ciò che accade nel mondo arabo, dove in un solo paese – la Siria – 50.000 persone hanno perso la vita l’anno scorso.
Come possiamo essere così ciechi da cadere nella trappola senza renderci conto che stiamo creando uno scontro terribile in tutto il mondo?
Roberto Savio è fondatore e presidente emerito dell’agenzia di stampa Inter Press Service (IPS) e editore di Other News.