Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

mercoledì 30 marzo 2022

Proposta di un'azione politica forte all'attuale consiglio comunale e ai candidati sindaci di Frosinone

  Luciano Granieri Collettivo Politico Rigenerare Frosinone 

Nel bailamme di tavoli, controtavoli e primarie farlocche,  agitatori di una tempesta pre-elettorale tesa a definire schieramenti e posizionamenti, secondo una logica che da 50 anni caratterizza il cursus delle elezioni amministrative di Frosinone, non è mai emerso uno straccio di proposta politica. Non mi riferisco all’ enunciazioni di ipotetici programmi basati sempre sulle stesse problematiche che, se ricorrono uguali a se stesse, significa che nessuna consiliatura è stata mai capace di risolvere. A dire il vero la visione programmatica è pure passata di moda  succube del giuramento di fedeltà al candidato sindaco sia quel che sia.  Per proposta politica intendo una visione più ampia che travalichi la contrattazione con il potere forte di turno, ma definisca un perimetro generale  nella quale discutere e determinare orientamenti che, decisi a livelli globale, inevitabilmente condizionano pesantemente la dimensione locale. 

Una tale dinamica ricorre nel disegno di legge in materia di concorrenza e mercato  approvato dal Governo. Nel dispositivo si dispone la definitiva privatizzazione dei servizi indispensabili, nella finalità dichiarata di “rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo e amministrativo, all’apertura dei mercati”.  La privatizzazione dei servizi ha provocato e provoca tremendi disagi alla popolazione frusinate, le vicende della tariffa idrica e quella sui rifiuti, determinate in modo abnorme, per la quale sono in corso procedimenti giudiziari, sta a dimostrare come il profitto privato sui beni indispensabili sia  nemico del benessere della collettività. 

Quindi  proprio l’impegno da parte del Comune a chiedere il ritiro del decreto concorrenza può essere una delle proposte politiche sopra ventilate. Perchè è evidente che tale deliberazione riduce il sindaco a commissario liquidatore dei beni dei cittadini, togliendo ogni prerogativa di un’ipotetica   progettualiltà per la città. 

Giova ricordare che ciò in parte già avviene e qualche sindaco si trova bene nei panni del liquidatore, magari trattenendo qualche aggio per se, ma è possibile, mi chiedo, che ogni primo cittadino si acconci a cedere la città alle lobby private? 

 A tale scopo il collettivo politico Rigenerare Frosinone propone ai consiglieri comunali il seguente ordine del giorno da sottoporre al sindaco per impegnarlo ad attivarsi e chiedere il ritiro  del decreto concorrenza , teso a mettere nelle mani dei grandi interessi privati, il benessere dei cittadini. Il consiglio comunale di Frosinone lo presenterà? 

E i futuri candidati sindaci sceglieranno di fare questa lotta politica non accontentandosi di sedersi al tavolo con i grandi speculatori immobiliari per trattare contropartite in cambio dell’alienazione di quel poco di comune che è rimasto nella città? 



COMUNE di FROSINONE



Proposta di Deliberazione per il Consiglio Comunale

APPRESO:

Che il 4 novembre us il Governo ha approvato il disegno di legge in materia di concorrenza e mercato 2021

Che all’articolo 1 – finalità – si legge, fra l’altro che “La presente legge reca disposizioni per la tutela della concorrenza (…) finalizzate, in particolare,:

a) promuovere lo sviluppo della concorrenza, anche al fine di garantire l’accesso ai mercati di imprese di minori dimensioni, tenendo in adeguata considerazione gli obiettivi di politica sociale connessi alla tutela dell’occupazione, nel quadro dei principi dell’Unione europea, nonché di contribuire al rafforzamento della giustizia sociale, di migliorare la qualità e l’efficienza dei servizi pubblici e di potenziare la tutela dell’ambiente e il diritto alla salute dei cittadini;

b) rimuovere gli ostacoli regolatori, di carattere normativo e amministrativo, all’apertura dei mercati”

Che nella parte III° e in particolare all’articolo 6 si parla della delega introdotta dal suddetto disegno di legge in materia di servizi pubblici locali, con l’indicazione di una revisione completa della normativa in questione entro sei mesi

SOTTOLINEATO IN PARTICOLARE:

Che il disegno di legge, per la prima volta nella storia repubblicana, pone come finalità lo  sviluppo della concorrenza e quindi l'apertura totale al mercato di tutti i servizi pubblici locali senza alcuna distinzione, sia per quanto riguarda quelli a rilevanza economica (e all’interno di essi tutti i servizi) che non

Che si dispone un rafforzato ruolo delle autorità di regolazione, in particolare di Arera, che certo non ha avuto un ruolo positivo nella definizione delle modalità – e relativa determinazione – di individuazione di tasse e tariffe relative ai servizi pubblici di competenza, in particolare nel rapporto con gli enti locali e nel peso sostenuto dai cittadini

Che per giustificare l’esclusiva competenza statale nel normare in questa dizione si richiama nelle finalità la lettera E dell’articolo 117 Cost., in sostanza la tutela della concorrenza, mentre all’articolo 6 lettera A viene richiamato l’art 117 lettera E, cioè le funzioni fondamentali degli enti locali.

Che alla lettera B del medesimo articolo 6 si procede ad una netta distinzione fra attività regolatoria e gestionale a livello locale

Che alla lettera C si rafforza l’indirizzo di privatizzazione e apertura al mercato di tutti i servizi pubblici locali con l’indicazione del “superamento dei regimi di esclusiva non conformi con tali principi” (cioè le presunte normative europee) “e, comunque, non indispensabili per assicurare la qualità e l’efficienza del servizio”

Che alla lettera D si va oltre alla semplice apertura al mercato ma anzi si indica un obbligo (de facto) alla creazione di dimensionamenti larghi tramite aggregazione per quanto riguarda soggetti relativi ai servizi pubblici locali, cioè si indica la necessità di creare le cosiddette multi utility

Che alla lettere E scrivendo “razionalizzazione della disciplina concernente le modalità di affidamento e di gestione dei servizi pubblici, nonché la durata dei relativi rapporti contrattuali, nel rispetto dei principi dell’ordinamento europeo e dei principi di proporzionalità e ragionevolezza;” si spinge ad una revisione che – eludendo invece completamente il principio di sussidiarietà – porti a mega gestori e preferibilmente di natura privatistica

Che nelle successive lettere si precisa meglio la sproporzione fra gli obblighi del privato affidatario del servizio pubblico e il malaugurato ente locale che non si pieghi alla privatizzazione del servizio pubblico di qualunque genere. Il privato affidatario dovrà stilare semplicemente una relazione annuale sui dati di qualità del servizio e sugli investimenti effettuati, l’ente locale dovrà addurre “una motivazione anticipata e qualificata che dia conto delle ragioni che giustificano il mancato ricorso al mercato” (lettera. F); dovrà tempestivamente trasmetterla all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (lettera.G); dovrà prevedere sistemi di monitoraggio dei costi (lettera. I); dovrà procedere alla revisione periodica delle ragioni per le quali ha scelto l’autoproduzione, con l indicazione che questi obblighi sono a tutela innanzitutto della “concorrenza”. Alla lettera M e N si precisa l’estensione di tali indirizzi anche al trasporto pubblico locale e – con la formula della necessità di un adeguato coordinamento – a quello dei rifiuti e del servizio idrico, così da ribadire meglio l’apertura privatrizzatrice e alla concorrenza di tutti i servizi pubblici locali,

Che non ultima per importanza la lettera Q, con la quale si indica la volontà di “ revisione della disciplina dei regimi di proprietà e di gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni, nonché di cessione dei beni in caso di subentro, anche al fine di assicurare un’adeguata valorizzazione della proprietà pubblica, nonché un’adeguata tutela del gestore uscente” cioè si procede ad una delega sostanzialmente in bianco per la revisione dei regimi non solo di gestione ma anche di proprietà delle reti, con una indicazione di massima ma molto eloquente nella direzione di una dismissione del pubblico ove si richiama l’”adeguata valorizzazione della proprietà pubblica”

Che alla lettera V del succitato art 6 viene indicata come possibile l’applicazione dell’articolo 120 Cost,cioè il potere sostitutivo dello Stato, ove non si addivenisse alla privatizzazione dei servizi pubblici come indicato nel DDL, ben evidenziando “a tutela della Concorrenza”

Che nell’articolato del ddl non si escludono dall’apertura assai rilevante anche i comparti sanitari e socio sanitari, in quanto si favorisce l’accesso all’accreditamento delle strutture sanitarie private e si introduce criteri dinamici per la verifica delle strutture private in convenzione.

SOTTOLINEATO:

Come l’Associazione nazionale dei Comuni Italiani non abbia ancora espresso nessuna valutazione su un provvedimento come questo che cambia in maniera radicale il ruolo degli enti locali prevedendo di fatto una totale dismissione del ruolo dei medesimi sulla regolazione, gestione e anche in parte proprietà pubblica

Come questo provvedimento sia in palese contrasto con i risultati del referendum del 2011 quando il popolo italiano si espresse nettamente per la proprietà e gestione pubblica dei servizi e beni pubblici essenziali

Come il provvedimento in questione risulti essere la più radicale indicazione di privatizzazione dei servizi pubblici essenziali e primari che sia mai stata messa nero su bianco da un esecutivo nazionale, sia per quanto riguarda l’ampiezza dell’ambito di competenza sia per quanto riguarda la spinta normativa all’affidamento al mercato dei medesimi

Come emergano forti dubbi di costituzionalità in merito al disegno di legge in questione, in quanto : il richiamo alla tutela della concorrenza come giustificazione della esclusiva competenza legislativa statale sulle materie in questione è stato sì oggetto di sentenze della Corte costituzionale, ma da una parte essa ha anche colpito provvedimenti governativi che nel tempo tendevano ad eludere il responso del sopra richiamato referendum 2011, dall’altra non ha stabilito – limitandosi ad interventi cassativi – che ogni aspetto relativo ai servizi pubblici locali sia di esclusiva competenza del legislatore nazionale, o peggio ancora che esso possa con la propria legislazione definire ogni aspetto de facto della proprietà, affidamento e gestione dei medesimi

Come il richiamo alla lettera non solo E ma anche P dell’articolo 117 Costituzione in materia di competenza esclusiva statale, cioè “organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”, evidentemente richiamato nell’articolato del disegno di legge per giustificare una normativa di questa ampiezza e portata, sia in evidente contrasto con la definizione giurisprudenziale e legislativa delle funzioni fondamentali medesime, a tal punto da mettere in discussione l’autonomia stessa dell’ente locale non solo dal Parlamento ma addirittura dall’organo esecutivo nazionale. Contrasto per altro evidenziato dal successivo art 118 Costituzione – non a caso non citato nel disegno di legge sulla concorrenza – che recita “Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.” Esercizio unitario che per definizione non può riguardare nel dettaglio ogni aspetto dei servizi pubblici locali presenti sul territorio nazionale, e che comunque deve essere ispirato al quel principio di sussidiarietà – cd inversione – che vede nell’ente locale di norma l’organo di prossimità a cui affidare le pubbliche funzioni, salvo specificità che impongano la di delegare allo Stato o alle Regioni.

SOTTOLINEATO ALTRESI’:

Che non vi sia ad oggi una normativa europea che imponga una cessione in toto al mercato di tutta la partita dei servizi pubblici locali, anche per quanto riguarda la gestione, come invece vorrebbe indicare il disegno di legge in questione fra le motivazioni della sua adozione e successiva approvazione, ma che anzi è principio cardine della legislazione europea, anche primaria, quello della sussidiarietà così come sopra spiegato, palesemente violato dal disegno di legge in questione.

Che invece si indichi questa come una delle cosiddette “condizionalità” imposte dalla UE - segnatamente però gli organi esecutivi della medesima e non certo quelli parlamentari e rappresentativi - per l’accesso effettivo ai fondi Next Generation Eu tradotti nel PNRR, i cui contenuti nel dettaglio non sono conosciuti e la cui contrattazione e accettazione non sono stati oggetto di un coinvolgimento effettivo del Parlamento né tanto meno del sistema istituzionale del paese nel suo complesso, a cominciare dagli enti locali.

Che questo provvedimento metterà – oltre a colpire radicalmente la funzione di perequazione sociale che servizi effettivamente pubblici e indirizzati e gestiti effettivamente dall’ente di prossimità permetterebbero - ancora più in crisi gli equilibri di bilancio dell’ente locale, spingendolo comunque ad ulteriori privatizzazioni e ricorso al mercato, senza dimenticare che dichiarazioni di esponenti del Governo italiano e della UE indicano come certa la reintroduzione del patto di stabilità fin dal 2022 o al massimo 2023

EVIDENZIATO ALTRESI’:

Che la crisi economica gravissima che stiamo vivendo richiederebbe un rafforzamento del ruolo del pubblico sia nella proprietà e gestione dei servizi pubblici locali, adottando quindi un corpus normativo che inverta la rotta rispetto alla privatizzazione dei medesimi, attraverso forme di gestione che ri diano centralità in primis agli enti locali, a forme di controllo effettivo dei cittadini, e quindi indirizzandosi verso forme di gestione diretta o comunque di diritto pubblico per quanto riguarda le forme giuridiche dei soggetti gestori dei servizi stessi

Che la pandemia avrebbe dovuto insegnare quanto il ruolo del pubblico e servizi sanitari (e in generale servizi pubblici) adeguati dal punto di vista delle risorse e della pieno controllo e proprietà è l’unica strada da seguire, invertendo la rotta di privatizzazioni e affidamento al mercato seguita negli ultimi decenni.

Che la necessità – in primis – di un servizio sanitario nazionale forte capillare e universalistico, emersa con chiarezza dalla vicenda della pandemia, e le inefficienze legate alla disarmonicità di azione programmazione regionale in tale ambito non hanno mai fatto optare il governo nazionale per l’applicazione dell’articolo 120 Cost. cioè il potere sostitutivo dello Stato, mentre oggi esso viene evocato in caso di inadempienza degli enti locali a procedere alla privatizzazione dei servizi pubblici locali come da DDL in questione

Che è ormai acclarato quanto la privatizzazione ove già effettuata di servizi pubbici locali ( o comunque di forme privatistiche di gestione) abbia aumentato considerevolmente le tariffe (in ossequio anche alla remunerazione del capitale investito, dal privato, mai definitivamente cancellata nonostante la pronuncia referendaria del 2011), ridotto gli investimenti, la qualità e la capillarità del servizio pubblico locale nei suoi varii ambiti, si pensi al TPL o al servizio idrico.

Che con questo disegno di legge – per altro molto ampio nella delega al Governo, riducendo quindi il parlamento a un mero esecutore della delega affidata all’esecutivo -  si drenano risorse da investire nel welfare, che ha invece una funzione di perequazione sociale e di salario indiretto per dirottarle nei profitti delle imprese private, che potranno continuare a competere su un mercato protetto dalla garanzia dello Stato.

SOTTOLINEATO INFINE:

Che un provvedimento del genere renda lampanti i referenti politici e sociali di questo esecutivo, che non possono certo dirsi i ceti popolari più colpiti dalla crisi, coloro che hanno a cuore la tutela e l’effettiva fruizione dei servizi pubblici essenziali per la generalità dei cittadini, il ruolo delle aule parlamentari e degli enti locali

Che questo provvedimento si va ad incardinare in una visione ultra liberista e di totale concessione al mercato di ogni attività anche regolatoria della società, nonché in forme di “darwinismo sociale e istituzionale” come il generale sblocco dei licenziamenti a fronte di una mancata riforma e rafforzamento degli ammortizzatori sociali, l’accelerazione del cosiddetto regionalismo differenziato con l’introduzione del medesimo fra i collegati al DEF e quindi – quanto è dato di capire – alla legge di bilancio, nessun intervento strutturale degno di rilievo nel campo energetico che coniughi ambiente e giustizia sociale, non ultima la vicenda del parzialissimo e temporaneo intervento sul costo delle bollette energetiche, la quasi totale mancanza di solo per citare alcuni esempi

INVITA

L’Anci a prendere finalmente una posizione nettamente contraria alle modalità e contenuti del disegno di legge in questione, così come gli enti locali in sede di Conferenza Unificata

Il Governo a ritirare il provvedimento medesimo e a chiedere che su partite essenziali alla perequazione sociale e lotta alla crisi pandemica e economico sociale come queste non si pongano condizionalità dalla UE per l’accesso ai fondi europei del Next Generation Eu tradotti nel PNRR e affini

Il Parlamento a ritirare il provvedimento medesimo e a pretendere un ruolo effettivo nella definizione normativa sulle materie dei servizi pubblici locali, evitando quindi deleghe in bianco all’esecutivo

Il parlamento a legiferare – e per quanto di competenza le Regioni – al fine di dare piena attuazione al referendum 2011 e comunque a favorire una effettiva ripubblicizzazione dei servizi pubblici, a cominciare dall’affidamento – ove non sussista la gestione in economia – a forme gestionali espressione del diritto pubblico, nonché dell’effettiva proprietà di reti e gestioni in mano pubblica

IMPEGNA L’AMMINISTRAZIONE COMUNALE DI FROSINONE

A sostenere i contenuti del presente ordine del giorno, e quindi il ritiro del disegno di legge in questione, in ogni sede.

A dare adeguata pubblicità ai contenuti del presente ordine del giorno nei confronti della cittadinanza.

lunedì 28 marzo 2022

L’art. 6 del disegno di legge sulla concorrenza, i servizi pubblici locali e la Costituzione

 di Alessandra Algostino (professoressa ordinaria di diritto costituzionale, Università degli Studi di Torino)



L’articolo 6 del disegno di legge sulla concorrenza (A.S. 2469, Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021), recante “Delega in materia di servizi pubblici locali”, si propone, come si legge nella Relazione che accompagna il disegno, di «armonizzare la normativa nazionale con i principi dell’ordinamento UE, di un’abrogazione referendaria, nonché di una consistente attività ermeneutica da parte della giurisprudenza, anche costituzionale», riordinando un quadro normativo definito «disaggregato e complesso».

Sempre nella Relazione si afferma che il disegno di legge «intende ribadire, in primo luogo, il doppio fine della tutela e della promozione della concorrenza menzionato nel PNRR: quello dell’efficienza economica e quello della giustizia sociale».

Scorrendo i principi e i criteri direttivi del futuro decreto legislativo, nel comma 2 dell’art. 6, tuttavia, a dominare è la concorrenza, come obiettivo autoreferenziale. La prospettiva, in coerenza con quella del Piano nazionale di ripresa e resilienza, di cui il disegno di legge sulla concorrenza costituisce una riforma “abilitante”, è ordoliberale: innanzitutto viene il privato, l’impresa, gli investimenti. È dall’economia di mercato che possono discendere eventuali benefici sociali: il soggetto e l’oggetto sono l’impresa. “Impresa” al plurale ricorre 177 volte nel Piano, mentre il termine Costituzione non c’è. Non c’è in senso formale, così come non c’è in senso sostanziale: il Piano, che si propone di configurare il futuro dei prossimi anni, pone al centro l’impresa e ad essa affida l’eventuale rimozione di diseguaglianze (di genere, territorio e generazione… non di classe).

L’art. 6 (c. 2, lett. a) si premura in primo luogo di precisare che l’individuazione delle «attività di interesse generale», necessarie per «assicurare la soddisfazione delle esigenze delle comunità locali», è «da esercitare nel rispetto della tutela della concorrenza».

Ora, il Testo unico delle leggi sugli ordinamenti locali (D. lgs. n. 267 del 2000), dopo aver proclamato che «il comune è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo» (art. 1, c. 1), stabilisce che «spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale», in particolare nei «servizi alla persona e alla comunità», nell’«assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico» (art. 13 TU).

L’autonomia locale è inserita tra i principi fondamentali della Costituzione (art. 5), a sottolineare la connessione che esiste tra essa e principi quali democrazia, sovranità popolare, uguaglianza, solidarietà. È un’autonomia che esprime un’idea di territorio come luogo vissuto, spazio di riconoscimento della pari dignità sociale, di esercizio dei diritti, di soddisfazione dei bisogni. Attraverso l’autonomia passano il pluralismo, la sovranità come appartenente al popolo e intrinsecamente plurale, la valorizzazione della partecipazione. La prossimità è vista come garanzia, attraverso la vicinanza e l’effettività, di concretizzazione dei diritti, in armonia e al servizio del progetto costituzionale di uguaglianza sostanziale (art. 3, c. 2, Cost.). I servizi pubblici locali sono strumento per la tutela della persona, della sua dignità, della sua emancipazione, dei suoi diritti: a questo sono finalizzati e a questo devono tendere, non al profitto, all’efficienza economica “what ever it takes” (fermo restando, peraltro, il rigetto della vulgata del “pubblico inefficiente”).

È un quadro in linea anche con quanto si legge nella Carta europea dell’autonomia locale (Strasburgo, 15 ottobre 1985, ratificata ed eseguita con legge n. 439 del 1989): «per autonomia locale, s’intende il diritto e la capacità effettiva, per le collettività locali, di regolamentare ed amministrare… a favore delle popolazioni, una parte importante di affari pubblici» (art. 3). «A favore delle popolazioni», ovvero in stretta connessione con la centralità della persona, l’uguaglianza, la solidarietà, nella prospettiva dei diritti; e, per inciso, lontano da pulsioni territoriali egoistiche (il pensiero è all’autonomia differenziata).

L’articolo 6 del disegno di legge sulla concorrenza si inserisce in opposizione, in distonia, rispetto a questo quadro. In esso emerge come centrale, non l’idea di servizio a tutela dei diritti (per tutti, il «diritto umano all’acqua», come è definito nella Risoluzione GA/19067 delle Nazioni Unite), ma il rispetto della tutela della concorrenza. La concorrenza è presentata come elemento prioritario, come se solo da essa potessero derivare coesione sociale e territoriale, scordando come essa rappresenti strutturalmente una modalità competitiva che tende a creare disuguaglianza. La Costituzione, che ha il cuore in un progetto di eguaglianza, ne è consapevole e all’art. 41, dopo aver riconosciuto la libertà di iniziativa economica e privata, prevede limitazioni, controlli e programmazione per «fini sociali» (e ambientali).

Dal complesso delle varie disposizioni dell’articolo 6, si evince molto chiaramente un processo di privatizzazione che ha la sua apoteosi nella lettera f) del comma 2, dove si prevede l’obbligo per l’ente locale di una «motivazione anticipata e qualificata per la scelta o la conferma del modello dell’autoproduzione». È palese come il pubblico venga configurato come recessivo: per esistere deve giustificarsi. La norma è il mercato, è il privato, è la concorrenza. Il testo è chiaro: «oltre la motivazione anticipata e qualificata», in caso di opzione per l’autoproduzione, si richiede che la relativa decisione sia trasmessa «tempestivamente» all’Autorità garante della concorrenza e del mercato e si prevede che sia soggetta a «sistemi di monitoraggio dei costi» (art, 6, c. 2, lett. g) e h).

Attraverso la privatizzazione dei servizi pubblici locali, si svuota l’autonomia territoriale e si indebolisce il compito della Repubblica di rimuovere gli ostacoli, il cuore stesso del progetto costituzionale.

La lotta per lo stralcio dell’art. 6 del disegno di legge sulla concorrenza si manifesta come parte dello scontro tra due visioni del mondo: da un lato, la cultura egemonica che mira alla massimizzazione del profitto e che assume a proprio fondamento la competitività, ovvero, l’immagine dell’uomo imprenditore di se stesso, l’orizzonte autoreferenziale del neoliberismo che cerca sempre nuovi spazi da mercificare; dall’altro lato, la prospettiva, che ha la sua trascrizione giuridica nella Costituzione, che pone al centro la persona inserita in una rete di relazioni, la dignità, i diritti, la partecipazione, la solidarietà.

L’articolo 6 del ddl concorrenza esprime l’arroganza di chi nega perfino l’esistenza del conflitto e pretende di “stracciare” l’esito del referendum del 2011 (sul punto si veda anche la sentenza della Corte costituzionale, n. 199 del 2012), ed insieme ad esso la prospettiva costituzionale.

L’articolo 6 interviene “come se la Costituzione non esistesse” ed assume, invece, come paradigma la nota lettera della BCE, a firma di Draghi e Trichet, inviata al “Primo ministro” il 5 agosto del 2011, in cui si afferma testualmente: «è necessaria una complessiva, radicale e credibile strategia di riforme, inclusa la piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali».

Il conflitto fra le due visioni oggi si configura come una «lotta condotta dall’alto per recuperare i privilegi, i profitti e soprattutto il potere» (Luciano Gallino); dal basso, occorre far sentire la voce di chi è dalla parte degli oppressi, dei diritti, della dignità della persona, la voce, non ultima, della Costituzione.

Articolo tratto dal Granello di Sabbia n. 49 di Marzo-Aprile 2022: “Si scrive concorrenza, si legge privatizzazione

Elezioni a Frosinone resoconto del Collettivo Politico Rigenerare Frosinone


 

Domenica scorsa, 20 marzo, con l’assemblea generale convocata dal nostro collettivo Rigenerare Frosinone, tenutasi presso Spazio Arte, riteniamo di aver concluso il giro di consultazioni con partiti, movimenti, e associazioni, allo scopo di verificare l’opportunità di aggregare ed aggregarci in vista delle prossime elezioni amministrative di Frosinone. Ciò per sondare la praticabilità di un percorso decisionale, quanto più condiviso e paritario, antitetico a dinamiche predeterminate da imposizioni verticistiche da qualsivoglia segreteria, gruppo dirigente o gruppo d’interessi.

Un percorso volto a promuovere l’etica politica intesa come agibilità partecipata, costituente di un nuovo sistema teso a selezionare i candidati all’agone elettorale, compresa l’investitura del sindaco. Giova precisare che proprio il rilancio della partecipazione cittadina alla sorti decisionali della città è stata sempre alla base del collettivo politico Rigenerare Frosinone, sin dalla sua nascita nell’autunno 2019, secondo un percorso che inserisse lo stesso momento elettorale, all’interno di una più vasta azione politica consapevole e condivisa. Già allora la nostra proposta fu scarsamente accolta da partiti e movimenti.

Nell’assemblea tutti gli schieramenti da noi convocati, già dalla metà di febbraio -un periodo in cui le coalizioni non erano ancora ben definite -ci hanno rimandato la conferma che la possibilità di una conduzione politico elettorale alternativa al decisionismo imposto dai gruppi di potere e segreterie varie - colpevole del disgregamento dei processi democratici e del fallimento della città, da 50 anni a questa parte - non è capita, anzi non è proprio contemplata, come se stessimo parlando un’altra lingua .

In risposta ci è stato proposto di aderire a liste già predeterminate al seguito di un candidato sindaco già deciso da altri, o ci è stato promesso di recepire le nostre istanze di associazione in un futuro programma per il governo della città, quando associazione non siamo, ma ci riteniamo attore politico a tutti gli effetti.

In conclusione non abbiamo intenzione di condividere alcuna forma di partecipazione con attori già protagonisti del vecchio sistema, e impegnati a perpetuarlo. Continueremo nel nostro impegno convinti della necessità di una nuova azione politica per la definizione di una nuova idea di città, ma lo faremo secondo le nostre modalità.

Collettivo Rigenerare Frosinone