Fabrizio
Rosatelli
Intervista. Incontro con l'ultimo gappista romano che compie 99 anni il 7
novembre
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Questi i nomi della foto di gruppo di gappisti romani. Dall'alto e da sinistra: Alfredo Reichlin, Tullio Pietrocola, Giulio Cortini, Laura Garroni, Maria Teresa Regard, Franco Calamandrei, Valentino Gerratana, Duilio Grigioni, Marisa Musu. Sotto, accovacciati: Arminio Savioli, Francesco Curreli, Franco Albanese, Carla Capponi, Rosario Bentivegna, Carlo Salinari, Ernesto Borghesi, Raoul Falcioni. Seduti, davanti al gruppo: Fernando Vitagliano e Franco Ferri. Sdraiato a terra: Pasquale Balsamo. |
Via Rasella, gli attacchi
al cinema Barberini, alla caserma Giulio Cesare e all’hotel Flora, il carcere
di via Tasso, l’incursione a Regina Coeli, via Margutta, le Fosse Ardeatine.
Mario Fiorentini è ancora lì, con la sua memoria, noncurante del tempo e delle
primavere che si susseguono. Lo incontro a casa sua, a pochi metri da quella
via Rasella che ha segnato indelebilmente la storia d’Italia. Non ci vediamo da
un paio d’anni, Mario è seduto su una poltrona, nel suo studio zeppo di libri
introvabili, di foto e di appunti; mi scruta con curiosità con i suoi occhi
azzurri e mi domanda con la sua tipica cordialità: cosa vuoi sapere da me? In
un attimo ho la sensazione di trovarmi al cospetto di un oracolo. “Lo sai che
sono l’ultimo dei gappisti romani ancora in vita? Eravamo 48, ora sono rimasto
solo io”.
Mario Fiorentini, classe 1918, la storia dell’ultimo
secolo non l’ha vista solo scorrere, come quando a 4 anni fu testimone della
marcia su Roma, lui è uno dei pochi che può affermare di averla attraversata, scritta
e di custodirne un vivo ricordo. Sembra tenere sulle spalle il peso dell’intero
‘900. Come il marziano di Flaiano – suo caro amico – sembra un essere al di
fuori del tempo che si aggira tra le strade di Roma. Chi lo conosce sa quanto
sia difficile contenere le conversazioni negli argini di un solo tracciato
narrativo poiché i ricordi, ancora lucidissimi, portano la memoria a compiere
dei salti logici e temporali che solo chi possiede una discreta conoscenza dei
fatti storici può seguire.
Fiorentini ama definirsi “l’uomo dalle tre vite”:
l’intellettuale, il partigiano gappista e il matematico. Prima della resistenza
armata al nazifascismo, di cui è stato un rappresentante di spicco, Fiorentini
frequenta l’ambiente culturale e intellettuale romano degli anni ’30 e ’40. Via
Margutta, Villa Strhol Fern ma anche le serate di cultura cinematografica a
Palazzo Braschi (sede del Partito Fascista) e i littoriali della poesia.
“Frequentavo scrittori e poeti come Pratolini e Penna, pittori del calibro di
Vedova, Turcato e Guttuso, registi come Visconti, Petri e Lizzani, che era un
amico di famiglia. Discutevamo di attualità politica e sociale. Se
culturalmente il franchismo e l’hitlerismo sono state due storie ignobili, la
cultura italiana non è stata negletta dal fascismo”. Riesce, da autodidatta, a
costruirsi una cultura umanistica invidiabile che lo porta a costituire con
Plinio De Martiis “una compagnia di teatro che si proponeva di portare il
teatro d’impegno in ambienti dove non era conosciuto. Solitamente si andava
all’Argentina, al Valle, noi siamo andati in periferia. Una volta abbiamo fatto
irruzione al sindacato fascista professionisti ed artisti che aveva sede in via
Sicilia. Ho letto un proclama ‘a nome del teatro rivoluzionario’ perché
volevamo portare l’innovazione sul palcoscenico, eravamo contrari al fatto che
il teatro fosse il regno dei primi attori come Benassi, Zacconi, Musco o Ricci.
Rivendico inoltre di aver messo in orbita come attore professionista Vittorio
Gassman che al cinema
Mazzini, con la nostra compagnia, fu protagonista di una meravigliosa
interpretazione dell’Uomo dal fiore in
bocca di Pirandello”. Il progetto non decolla e viene allestito solo un
altro spettacolo di Cechov al Teatro delle Arti. “Gassman avrebbe dovuto
saltare sopra un tavolo e cantare l’Internazionale in francese”. Della
compagnia facevano parte tra gli altri: Luigi Squarzina, Adolfo Celi, Mario
Landi, Lea Padovani, Vittorio Caprioli e Ave Ninchi. La coscienza antifascista
di Fiorentini cresce progressivamente. “Il mio
impegno antifascista resistenziale è iniziato nel ’38, quando, con la
promulgazione delle leggi razziali, è scattata la macchina infernale delle
persecuzioni anti-ebraiche. Mio padre era ebreo ma non di osservanza, era un
libero pensatore come me. I miei genitori decidono di lasciare a me la scelta
religiosa e non mi circoncidono né mi battezzano. Io, un po’ donchisciottesco,
quando vengo a sapere delle persecuzioni contro gli ebrei mi reco dal rabbino
capo di Roma Sacerdoti e chiedo di diventare ebreo. Il rabbino mi dice che
dovevo essere per prima cosa circonciso e mi fa desistere, salvandomi dalle
deportazioni. In seguito i miei anziani genitori vengono catturati dalle SS ma
riescono a fuggire”. Fiorentini entra in contatto con il circolo di Giustizia e
Libertà, dal quale poi nascerà il Partito d’Azione, grazie all’amico Fernando
Norma. L’Italia entra in guerra e gli eventi precipitano.
Nel 1942, durante un concerto, avviene l’evento che
più di altri sconvolgerà la sua vita: l’incontro con Lucia Ottobrini. Da quel
momento Mario e Lucia non si sono più lasciati “ci siamo tenuti sempre per
mano. Ci chiamavano le volpi argentate perché insieme abbiamo quattro medaglie
d’argento al valor militare”. Lucia è venuta a mancare il 26 settembre 2015.
Nel ’43, prima dell’armistizio, insieme ad altri antifascisti costituisce il
movimento degli Arditi del Popolo, ispirandosi agli Arditi che per primi si
erano opposti in armi alle violenze fasciste negli anni ’20.
8 settembre
L’8 settembre inizia formalmente la seconda vita di
Mario. “Hanno scritto che i tedeschi, quando sono entrati a Roma, sono stati
rumorosi. Non è vero. I carri armati sfilavano ed i tedeschi avanzavano in
silenzio, sembrava uno spettacolo di teatro. Lucia era alsaziana, veniva dalla
Francia e aveva visto l’entrata di Hitler. Eravamo in via Zucchelli, sgomenti,
la prendo per mano e le dico: ‘Nous sommes dans un cul de lampe’. Sinisgalli ha
descritto magnificamente la nostra impotenza. Prendo Lucia e saliamo di corsa
fino ad arrivare a Piazzale Flaminio. Capiamo che il nostro obiettivo è
reperire armi. C’era una catastrofe, l’esercito si era sciolto. All’epoca si
trovavano ancora le caserme con le armi dentro, abbiamo la fortuna di
recuperare una cassa di bombe a serramanico tedesche (ride ndr), erano
perfette, non erano come quelle italiane che facevano un po’ di botto e
potevano ferire una persona, queste erano più potenti. Nascondiamo le armi
nelle case, questo è stato il primo armamento”.
I Gap Centrali
Alla fine di settembre il Partito Comunista
costituisce i Gruppi di Azione Patriottica (GAP) operanti in ognuna delle otto
zone in cui il movimento della Resistenza aveva diviso Roma. “Io ero il vice
comandante dei GAP della IV zona- centro storico, Lucia agiva con me. A metà
ottobre, dopo un incontro con Nicli, Salinari e Cortini, decidiamo di fondare i
GAP centrali: elementi particolarmente arditi, che già si erano distinti in
azione, si dovevano isolare, staccandosi dalle zone per compiere le azioni più
rischiose e difficili. Io assumo la direzione della formazione Antonio Gramsci.
Trombadori, che aveva il comando militare, dopo aver visto in azione me e Lucia
capisce che i gappisti devono agire in coppie uomo-donna e così si
costituiranno altre tre coppie: Calamandrei e Regard, Bentivegna e Capponi,
Borghesi e Musu”.
Da quel momento iniziano a vivere in clandestinità, ad
andare in giro sempre armati e ad assumere nomi di battaglia. Fiorentini
assumerà quattro nomi diversi durante la Resistenza: Giovanni, Fringuello,
Gandi e Dino. “Siamo stati i primi in Italia ad organizzare la guerriglia
urbana, inizialmente attaccavamo dall’alto lanciando bombe, istruiti dal prof.
Gesmundo. Abbiamo colpito a Colle Oppio e al Muro Torto ad esempio. Il nostro
obiettivo era impedire che i tedeschi si sentissero padroni di Roma, che
spadroneggiassero. Ho avuto più contatti di altri con Bandiera Rossa perché non
avevo una visione ristretta della Resistenza ma la ritenevo un fatto corale. A
livello di gappismo, noi abbiamo rappresentato l’episodio storicamente più
rilevante e anche più illuminante. La mia storia è completamente diversa da
quella di Pesce. Lui vedeva la guerra in ottica rivoluzionaria, come uno
scontro tra comunismo e fascismo, aveva una componente anticapitalista e di
lotta di classe, per noi i nemici erano soprattutto i nazisti”.
I GAP centrali organizzano decine di azioni militari e
Fiorentini rischia la vita più volte, come quando attacca il carcere di Regina
Coeli in bicicletta. “Dovevamo far sentire la nostra voce a Pertini, Saragat e
agli altri antifascisti in carcere. Il piano era lanciare, in corsa, uno
spezzone di esplosivo davanti all’ingresso del carcere, durante il cambio della
guardia. Decido di agire da solo per non far rischiare la vita anche agli
altri. Ho sfidato la morte tante volte e la fortuna mi ha sempre assistito”. È
il 28 dicembre 1943. Subito dopo l’attacco viene emanata un’ordinanza che vieta
la circolazione delle biciclette ma “i romani aggirano il divieto aggiungendo
una terza ruota, trasformando le bici in tricicli”.
Lo sbarco
Con lo sbarco degli Alleati ad Anzio i GAP centrali
vengono sciolti e Mario e Lucia continuano ad operare nei quartieri popolari
del Quadraro e del Quarticciolo. Ottobrini ripeteva spesso che la guerriglia
urbana è stata “fame, freddo, umidità e sudiciume”.
Tra arresti e fucilazioni i GAP centrali si
ricostituiscono nel febbraio ’44 e riprendono le azioni. “I gappisti romani
hanno neutralizzato tre battaglioni. Il battaglione Onore e Combattimento, il
Barbarico e il Bozen. Il primo lo abbiamo attaccato a via Tomacelli, con bombe
da mortaio Brixia modificate per essere lanciate a mano. Su Il Messaggero c’era
un articolo in cui si diceva che chi avesse consegnato gli autori dell’attacco
avrebbe ricevuto una ricompensa di 500mila lire. Nessuno ci ha denunciato”.
Via Rasella. L’episodio e le sue conseguenze sono
state raccontate in modo ineccepibile da Alessandro Portelli nel libro
“L’ordine è già stato eseguito”. Fiorentini è il primo ad avvistare il
battaglione Bozen sfilare per il centro di Roma e su indicazione di Salinari
predispone un attacco in Via delle Quattro Fontane. “Il mio piano era molto
astuto e scaltro. Il comando decide però che l’attacco doveva avvenire in via
Rasella. Ero contrariato perché quella era una zona che frequentavo, lì avevo
avuto addirittura delle riunioni con elementi della sinistra cristiana e di
Bandiera Rossa. C’era una cellula di operai comunisti. E poi non volevo che
altri decidessero le nostre azioni. Non si è mai capito esattamente da dove
fosse venuta la decisione di cambiare il modo di attacco, io sospetto ci fosse una
talpa nel comando cittadino. Preparo un nuovo piano con delle cassette di
esplosivo ma il partito voleva colpire il 23 marzo perché era l’anniversario
della costituzione dei Fasci di combattimento. Gli spezzoni però non erano
ancora pronti, a quel punto si è deciso di utilizzare il carretto con
l’esplosivo”. L’attacco è eseguito con successo senza alcuna perdita tra i
gappisti, il battaglione viene sbaragliato ed i nazisti rispondono
immediatamente con l’eccidio delle Fosse Ardeatine. “Gli Alleati ci avevano
inviato dei segnali, ci avevano detto ‘colpite duro’ perché siamo in gravi
difficoltà sul fronte di Anzio. L’azione con il carretto ha avuto effetti più
devastanti del piano ideato da me. Quando Kappler viene informato dal questore
che l’azione era stata eseguita da ragazzi e ragazze, che avevano attaccato con
delle bombe a mano e non con dei mortai, rimane sconvolto. Non pensava alle
donne, non c’è una donna alle Fosse Ardeatine”. Quella di via Rasella è la più
audace azione di guerriglia partigiana in Europa ed ha effetti sconvolgenti
sull’opinione pubblica e sul comando tedesco. “Da quel momento le truppe
tedesche non sfilano più all’interno della città e per questo potevano essere
attaccate più facilmente sulle strade provinciali”. Chiedo a Mario perché non
ci siano mai state rappresaglie prima di questo attacco. “Non volevano far
sapere che c’era una resistenza armata. I tedeschi hanno spesso compiuto eccidi
sulla gente inerme, non perché i partigiani attaccavano”.
Dopo una nuova ondata di repressione, dovuta anche al
tradimento di Guglielmo Blasi, i GAP centrali si sciolgono di nuovo. Fiorentini
prima opera in Sabina organizzando attacchi contro le autocolonne tedesche e
poi inizia a collaborare con l’Office of Strategic Services – OSS americano, realizzando
azioni di intelligence. Dopo la liberazione di Roma Fiorentini decide di
continuare la lotta contro i nazifascisti nel Nord Italia, arruolandosi
nell’OSS. Viene paracadutato tra Liguria ed Emilia. “Lucia confezionerà il suo
vestito da sposa con la seta del mio paracadute”.
Le missioni
Fiorentini è un narratore instancabile e con
entusiasmo mi racconta gli episodi più arditi delle sue missioni, l’evasione
rocambolesca dal carcere di San Vittore, le amicizie con i compagni di lotta,
il tentativo di liberare Mussolini dai partigiani per conto degli Alleati.
Il 7 novembre di quest’anno ricorre il centenario
della rivoluzione russa e Mario, nato ad un anno esatto dallo scoppio
dell’insurrezione bolscevica, ricorda i suoi compleanni durante la guerra: “Nel
’43 ci siamo ritrovati in una trattoria a Roma. Abbiamo cantato i cori
partigiani francesi con Bentivegna, festeggiando il 7 novembre sovietico come
nazione in guerra contro i tedeschi. È stata una nottata fantastica. Nel ’44
ero al San Gottardo, al comando della 52 brigata Garibaldi, quella che ha
arrestato e fucilato Mussolini. Abbiamo fatto una grande festa e io ho cantato
una canzone partigiana in russo. C’erano anche Gianna (Giuseppina Tuissi ndr) e
Neri (Luigi Canali ndr), la coppia partigiana più infelice e sfortunata
d’Italia, uccisi dai partigiani comunisti perché coinvolti negli avvenimenti di
Dongo. Nel ’45 invece ho festeggiato a Roma. Il Partito Comunista ha
organizzato una grande festa a via Gaeta dove sono stato invitato insieme a
tutti i politici”.
Dopo la guerra Fiorentini si laurea, “nel ’71 senza
l’appoggio dei baroni ottengo la cattedra di professore ordinario di Geometria
superiore all’Università di Ferrara” e successivamente diventa un matematico di
fama internazionale. Qui inizia la terza vita, ma questa è un’altra storia.
Prima di salutarmi, Mario apre il blocco dei suoi
appunti per leggermi un passo, scritto prima della scomparsa di Lucia, che
credo sintetizzi al meglio la sua umanità. “Mi chiedete se la felicità fa parte
del mio presente. Nel rapporto con la compagna della mia vita posso parlare di
felicità realizzata. 70 anni di matrimonio d’amore con Lucia Ottobrini, ci
siamo tenuti per mano fino all’ultimo giorno. Se mi guardo intorno, se rifletto
sulle guerre provocate dagli uomini, sull’avidità dei reggitori dei Paesi
opulenti, sui disastri provocati da una politica ambientale suicida, su quanto
è avvenuto in Asia e sopratutto in Africa negli ultimi decenni, allora mi sento
pervaso da una grande e sfuggente infelicità. Non sono felice ma sono sereno
perché mi sono realizzato come studioso molto al di sopra delle mie aspettative
e anche perché Lucia ed io abbiamo sempre remato affinché il battello della
nostra vita e degli altri avanzasse. Per quanto abbiamo potuto abbiamo sempre
aiutato il nostro prossimo. Su questo punto Lucia ed io non abbiamo nulla da
rimproverarci, tutto quello che abbiamo avuto lo abbiamo conquistato con
l’atteggiamento di chi ritiene che nulla ci era dovuto. Lucia ed io ci
avviciniamo al capolinea con grande serenità”.
fonte "Alias" del 4 novembre