Premessa
Il
pezzo che segue è dedicato a Ezio Bosso, in una giornata triste come quella in
cui Ezio ci ha lasciato , tutto ciò che parla di musica, che ne descrive la
bellezza e la passione deve essere dedicato a lui.
“Un concerto perfetto se non fosse che il contrabbassista
assomigliava a Peppino Di Capri” Queste erano le valutazioni che, in una
mattinata del 1979, a scuola ,stavo scambiando con Vincenzo, mio compagno di classe e di banco di allora (Vincenzo
oggi è uno dei più autorevoli critici di jazz, scrittore,saggista musicale, nonché docente presso diversi conservatori) Si trattava del concerto del pianista Bill Evans, con Marc Johnson al contrabbasso (quello che
assomigliava a Peppino di Capri) e Joe La Barbera alla batteria. Lo aveva
trasmesso la Rai la notte prima.
La musica di Bill Evans aveva su di me uno strano effetto. Non riusciva a prendermi
subito . Un aspirante batterista, “ormonale” come ero
io in quel periodo, tutto
sbaradam-bam-dish, preferiva bearsi delle evoluzioni di band sfavillanti
dove il drummer rutilava acrobaticamente bacchette e spazzole su
pelli e cimbali. Quelle atmosfere eteree, quei fraseggi raffinati e curati, all’inizio di ogni ascolto mi
lasciavano un po’ interdetto, ma inspiegabilmente mi tenevano inchiodato alla
sedia.
Non era il seguire con la testa o con il piede il ritmo, era consegnarsi
completamente a quelle armonizzazioni a qui colori ritmici soffusi, che solo
grandi musicisti potevano eseguire . Una sensazione strana ma bellissima che ti portava fuori dalla corporeità comunicativa e gestuale tipica della maggior parte dei brani jazz . Anch’io come Vincenzo ero rimasto abbagliato
da quel concerto e ne stavo condividendo le mirabilie attirando gli strali della professoressa di Filosofia.
Un anno dopo, a
settembre, Bill Evans venne a mancare. Una perdita enorme non solo per il jazz
ma per la musica in generale. Su la rivista Musica Jazz di novembre si dava
conto dell’imminente uscita di un cofanetto con 4 dischi . L’opera raccoglieva
tutte le incisioni che Bill Evans, insieme al bassista Paul Motian, e al contrabbassista Scott La
Faro, fra il 1959 e il 1961, aveva
realizzato per la Riverside etichetta guidata da Orrin Keepnews. Era un omaggio
che la Fonit Cetra voleva dedicare alla memoria di Bill attraverso la
pubblicazione dell’intera espressione creativa del grande trio jazzistico, precursore di una
nuova concezione formale del rapporto
armonia –melodia -ritmo. Quell'esperienza fu interrotta dalla morte prematura di Scott La Faro a causa di un incidente stradale occorsogli nel luglio del 1961.
La
particolarità di quel cofanetto era che sarebbe uscito in edizione limitata .
Solo 2000 copie.
Al desiderio
dell’appassionato di musica si aggiunse la fregola del collezionista. Una di
quelle 2000 copie non doveva mancare
nella mia discoteca jazz.
Sulla rivista diretta da Arrigo Polillo, erano
elencati i negozi presso cui era possibile prenotare il cofanetto. Non
accettavano prenotazioni telefoniche, e bisognava presentarsi di persona. Il
punto vendita più vicino, ovviamente era a Roma, più esattamente
Millerecords vicino alla stazione
Termini. In un uggioso pomeriggio di novembre presi il treno con la
preoccupazione che le prenotazioni fossero chiuse. Per i soldi non c’erano problemi. Monetizzai i
regali di compleanno e di natale per disporre della cifra necessaria.
Roberto,
il vero e proprio deus ex machina, di Millerecords, mi consegnò il biglietto di
prenotazione, con la promessa di avvisarmi all'arrivo del cofanetto . Un mese dopo, con
una certa solennità, mi fu consegnata da Roberto la copia n.374.
Sarà stato il fatto di possedere un'opera dall’emissione
limitata, sarà stata la forma austera della confezione, il cofanetto, a
differenza degli altri dischi, rivestì per me un’aurea di straordinaria sacralità . Non che gli altri vinili di cui ero in
possesso non avessero valore, ma quelli
del cofanetto erano speciali. Ad esempio
non li riversai su cassetta, come era mia abitudine fare per gli altri dischi. Non
mi andava di ascoltare quelle incisioni in macchina o sul walkman, oppure provare a seguire Evans, La
Faro e Motian con la batteria attraverso le cuffie, altra consuetudine
consolidata per gli altri vinili.
Ascoltare quei quattro dischi era un rito che cominciava dall’aprire il
cofanetto , estrarre la prima sottocopertina , sfilare il vinile e porlo sul piatto,
apprezzando la consistenza della carta, il luccichio dei solchi. Poi
sorbire l’inebriante effluvio di quelle
note. Così per ogni disco dei quattro, fino all’ultimo Village Vanguard session
2. Mai quel cofanetto è uscito da casa, spesso invitavo i mie amici per
condividere con loro quell’inimitabile esperienza d’ascolto ma erano loro venire da me, giammai una puntina che non
fosse quella del mio piatto avrebbe potuto solcare quelle tracce.
Era un atteggiamenti maniacale, me ne rendo
conto, ma invito chi mi sta leggendo a cercare in rete perle come Blue in Green, Solar, My Romance, o Waltz for
Debbie - solo per citare alcuni brani di
quelle registrazioni -ed ascoltarle. Potrà almeno immaginare come ci si potesse sentire nell'apprezzare quella musica, al
netto della ritualità tipica della fruizione in vinile.
Di seguito pubblico un video
in cui provo a raccontare la storia di quel cofanetto, con la riproposizione
finale del brano My Romance. Spero di riuscire a condividere con chi mi vorrà
ascoltare la magia del cofanetto n.374.
P.S. Vincenzo, l’allora mio compagno di banco, è Vincenzo
Martorella, Ha insegnato ed insegna tutt’ora
Storia del Jazz e
Analisi dei Processi Compositivi e Improvvisativi del Jazz presso numerosi
Conservatori. Da vent’anni tiene conferenze, guide all’ascolto e corsi di
storia del jazz in tutt’Italia.
Ha
pubblicato e tradotti diversi libri sul jazz e sulla musica in generale, oltre
ad aver collaborato con le maggiori riviste e giornali.
Buona Visione.