Bilancio di sei mesi di mobilitazioni:
come proseguire?
Fabiana Stefanoni
I primi sei mesi del 2018 sono stati caratterizzati da importanti mobilitazioni nella scuola. Le maestre sono scese in sciopero e in piazza a più riprese, dando vita a combattivi comitati di lotta, locali e nazionali, per dire No al licenziamento di massa di quasi 60 mila insegnanti (in gran parte donne). Una lotta che ci ha visti in prima linea, sempre al fianco delle lavoratrici, nel tentativo di connettere la vertenza con altri settori di lavoratori in mobilitazione.
Una lotta non solo sindacale
La mobilitazione delle maestre è andata oltre il terreno meramente sindacale. Fin da subito ha assunto un carattere politico, in quanto sorta contro una sentenza della magistratura borghese (il Consiglio di Stato) che, a dicembre, aveva sancito l’esclusione delle maestre e dei maestri diplomati magistrali dalle graduatorie ad esaurimento (cioè le graduatorie che permettono una relativa stabilità nelle supplenze e che servono ai fini dell’assunzione a tempo indeterminato). La sentenza ha rappresentato un vero e proprio fulmine a ciel sereno: decine di migliaia di donne non più in tenera età (si tratta di maestre diplomate prima del 2002, età media 40-45 anni), spesso con anni di insegnamento alle spalle, si sono trovate da un giorno all’altro senza alcuna certezza per il loro futuro.
Si tratta, è bene ricordarlo, di donne in stragrande maggioranza di origine proletaria (gli istituti magistrali erano, allora, scuole per donne di umili origini: i figli dei ricchi andavano al liceo, mentre i figli dei proletari, soprattutto se donne, erano indirizzati alla “carriera” di maestri), tante di loro immigrate dal sud. Se si ascoltano le storie delle maestre diplomate che rischiano il licenziamento si sente parlare di madri disperate, che temono per il futuro dei loro figli (considerando anche che spesso i padri sono lavoratori licenziati o in cassa integrazione). Giustamente le maestre hanno definito questa vicenda un’emergenza sociale: i diplomati magistrali rischiano di tornare a una vita di estenuante precarietà, senza nessuna certezza per il futuro. Già sono in corso i primi licenziamenti: ad Aosta alcuni colleghi con contratto fino al 30 giugno o al 31 agosto dopo la sentenza di merito negativa hanno visto anticipato il licenziamento al 15 giugno. A ciò va aggiunto che la legge 107 voluta dal governo Renzi (“Buona scuola”) prevede il licenziamento dei precari della scuola allo scadere del 36esimo mese di servizio.
La mobilitazione delle maestre è andata oltre il terreno meramente sindacale. Fin da subito ha assunto un carattere politico, in quanto sorta contro una sentenza della magistratura borghese (il Consiglio di Stato) che, a dicembre, aveva sancito l’esclusione delle maestre e dei maestri diplomati magistrali dalle graduatorie ad esaurimento (cioè le graduatorie che permettono una relativa stabilità nelle supplenze e che servono ai fini dell’assunzione a tempo indeterminato). La sentenza ha rappresentato un vero e proprio fulmine a ciel sereno: decine di migliaia di donne non più in tenera età (si tratta di maestre diplomate prima del 2002, età media 40-45 anni), spesso con anni di insegnamento alle spalle, si sono trovate da un giorno all’altro senza alcuna certezza per il loro futuro.
Si tratta, è bene ricordarlo, di donne in stragrande maggioranza di origine proletaria (gli istituti magistrali erano, allora, scuole per donne di umili origini: i figli dei ricchi andavano al liceo, mentre i figli dei proletari, soprattutto se donne, erano indirizzati alla “carriera” di maestri), tante di loro immigrate dal sud. Se si ascoltano le storie delle maestre diplomate che rischiano il licenziamento si sente parlare di madri disperate, che temono per il futuro dei loro figli (considerando anche che spesso i padri sono lavoratori licenziati o in cassa integrazione). Giustamente le maestre hanno definito questa vicenda un’emergenza sociale: i diplomati magistrali rischiano di tornare a una vita di estenuante precarietà, senza nessuna certezza per il futuro. Già sono in corso i primi licenziamenti: ad Aosta alcuni colleghi con contratto fino al 30 giugno o al 31 agosto dopo la sentenza di merito negativa hanno visto anticipato il licenziamento al 15 giugno. A ciò va aggiunto che la legge 107 voluta dal governo Renzi (“Buona scuola”) prevede il licenziamento dei precari della scuola allo scadere del 36esimo mese di servizio.
Tentativi di strumentalizzazione e manovre burocratiche
La lotta delle maestre ha visto una partecipazione combattiva di tantissime maestre, pronte a scendere in piazza e in sciopero, autofinanziando viaggi e trasferte anche in città lontane. Ma è una lotta che ha anche dovuto, fin da subito, scontrarsi con tentativi di strumentalizzazione politica e con squallide manovre delle burocrazie sindacali.
Hanno svolto un ruolo nefasto i tentativi di settori della destra politica (dalla Lega a Fratelli d’Italia) di strumentalizzare la mobilitazione delle maestre a fini meramente elettorali. Contando anche sull’appoggio dei dirigenti di un sindacato corporativo della scuola (Anief, il cui apparato si è arricchito organizzando migliaia di ricorsi spesso utili solo a spillare denari a una massa di disperati precari), i partiti di destra hanno cercato di cavalcare la rabbia delle maestre per raccattare qualche voto, promettendo alle lavoratrici il posto di lavoro nel caso fossero andati al governo. Fatto sta che ora che la Lega è al governo questa fantomatica soluzione non si vede, nemmeno all’orizzonte: così come i rappresentanti del precedente governo (ministra Fedeli in primis) si erano inventati la scusa che non era possibile fare nulla per le maestre in una fase di passaggio di governo, oggi i rappresentanti del nuovo governo Lega-M5S si inventano la scusa che ormai “è troppo tardi”.
Tutte scuse, appunto. I rappresentanti del precedente governo Gentiloni, mentre affermavano di non poter fare nulla per le maestre, non perdevano occasione per emanare decreti d’urgenza utili a difendere gli interessi dell’Eni in Africa (come il decreto per l’invio delle truppe in Niger, emanato a gennaio a Camere sciolte!) o per venire incontro alle richieste di Confindustria e dei banchieri (si pensi ai tanti decreti per rifinanziare la cassa integrazione – forma di finanziamento indiretto alle grandi aziende – o per salvare gli interessi delle banche). Similmente, il nuovo governo Conte inventa dei pretesti per non assumersi la responsabilità di un decreto che salvi il posto di lavoro a queste maestre: al massimo si parla di una soluzione di ripiego, che prevede precarietà e incertezza.
Se la destra fin da subito ha cercato di ostacolare la mobilitazione e l’unità delle lotte, non meno nefasto è stato il ruolo delle grandi burocrazie sindacali. Le burocrazie di Cgil, Cisl e Uil (ma anche di altri sindacati “rappresentativi” nella categoria: Snals, Gilda e altri) non hanno proclamato nemmeno un’ora di sciopero per le maestre. Anzi, le hanno invitate a non mobilitarsi, spesso attaccando frontalmente le loro iniziative. Un atteggiamento vergognoso, che dimostra come questi grandi apparati si siano ormai trasformati in collaboratori dello Stato e delle aziende, sempre più distanti dalle esigenze della classe lavoratrice (come dimostra del resto nella scuola la recente firma a un vergognoso rinnovo contrattuale, senza proclamare nemmeno un’ora di sciopero).
Gravi errori poi non sono mancati nemmeno da parte delle direzioni dei più piccoli sindacati conflittuali. E’ un dato di fatto che le richieste delle maestre, discusse democraticamente in partecipate assemblee, sono state spesso disattese dalle direzioni anche di alcuni sindacati “di base”: da ultimo la richiesta delle maestre di proclamare uno sciopero a fine maggio, prima della chiusura delle scuole, è stata sostenuta solo pochi sindacati di base (solo la Cub ha proclamato lo sciopero, con il sostegno di Usi, Sgb e alcune federazioni dei Cobas scuola). E’ evidente che solo un’azione incisiva di sciopero, con manifestazione di massa, avrebbe consentito di mettere in campo l’azione di forza necessaria per respingere i licenziamenti. Le maestre non si sono arrese e hanno comunque organizzato il 29 maggio un combattivo presidio a Montecitorio, col sostegno attivo del Fronte di Lotta No Austerity: ma le responsabilità di quei dirigenti sindacali che hanno girato la testa dall’altra parte davanti alle richieste delle maestre non verranno dimenticate.
La lotta delle maestre ha visto una partecipazione combattiva di tantissime maestre, pronte a scendere in piazza e in sciopero, autofinanziando viaggi e trasferte anche in città lontane. Ma è una lotta che ha anche dovuto, fin da subito, scontrarsi con tentativi di strumentalizzazione politica e con squallide manovre delle burocrazie sindacali.
Hanno svolto un ruolo nefasto i tentativi di settori della destra politica (dalla Lega a Fratelli d’Italia) di strumentalizzare la mobilitazione delle maestre a fini meramente elettorali. Contando anche sull’appoggio dei dirigenti di un sindacato corporativo della scuola (Anief, il cui apparato si è arricchito organizzando migliaia di ricorsi spesso utili solo a spillare denari a una massa di disperati precari), i partiti di destra hanno cercato di cavalcare la rabbia delle maestre per raccattare qualche voto, promettendo alle lavoratrici il posto di lavoro nel caso fossero andati al governo. Fatto sta che ora che la Lega è al governo questa fantomatica soluzione non si vede, nemmeno all’orizzonte: così come i rappresentanti del precedente governo (ministra Fedeli in primis) si erano inventati la scusa che non era possibile fare nulla per le maestre in una fase di passaggio di governo, oggi i rappresentanti del nuovo governo Lega-M5S si inventano la scusa che ormai “è troppo tardi”.
Tutte scuse, appunto. I rappresentanti del precedente governo Gentiloni, mentre affermavano di non poter fare nulla per le maestre, non perdevano occasione per emanare decreti d’urgenza utili a difendere gli interessi dell’Eni in Africa (come il decreto per l’invio delle truppe in Niger, emanato a gennaio a Camere sciolte!) o per venire incontro alle richieste di Confindustria e dei banchieri (si pensi ai tanti decreti per rifinanziare la cassa integrazione – forma di finanziamento indiretto alle grandi aziende – o per salvare gli interessi delle banche). Similmente, il nuovo governo Conte inventa dei pretesti per non assumersi la responsabilità di un decreto che salvi il posto di lavoro a queste maestre: al massimo si parla di una soluzione di ripiego, che prevede precarietà e incertezza.
Se la destra fin da subito ha cercato di ostacolare la mobilitazione e l’unità delle lotte, non meno nefasto è stato il ruolo delle grandi burocrazie sindacali. Le burocrazie di Cgil, Cisl e Uil (ma anche di altri sindacati “rappresentativi” nella categoria: Snals, Gilda e altri) non hanno proclamato nemmeno un’ora di sciopero per le maestre. Anzi, le hanno invitate a non mobilitarsi, spesso attaccando frontalmente le loro iniziative. Un atteggiamento vergognoso, che dimostra come questi grandi apparati si siano ormai trasformati in collaboratori dello Stato e delle aziende, sempre più distanti dalle esigenze della classe lavoratrice (come dimostra del resto nella scuola la recente firma a un vergognoso rinnovo contrattuale, senza proclamare nemmeno un’ora di sciopero).
Gravi errori poi non sono mancati nemmeno da parte delle direzioni dei più piccoli sindacati conflittuali. E’ un dato di fatto che le richieste delle maestre, discusse democraticamente in partecipate assemblee, sono state spesso disattese dalle direzioni anche di alcuni sindacati “di base”: da ultimo la richiesta delle maestre di proclamare uno sciopero a fine maggio, prima della chiusura delle scuole, è stata sostenuta solo pochi sindacati di base (solo la Cub ha proclamato lo sciopero, con il sostegno di Usi, Sgb e alcune federazioni dei Cobas scuola). E’ evidente che solo un’azione incisiva di sciopero, con manifestazione di massa, avrebbe consentito di mettere in campo l’azione di forza necessaria per respingere i licenziamenti. Le maestre non si sono arrese e hanno comunque organizzato il 29 maggio un combattivo presidio a Montecitorio, col sostegno attivo del Fronte di Lotta No Austerity: ma le responsabilità di quei dirigenti sindacali che hanno girato la testa dall’altra parte davanti alle richieste delle maestre non verranno dimenticate.
Continuare ed estendere la lotta L’estate non è certo il periodo migliore per rilanciare la mobilitazione: gli istituti scolastici sono chiusi o ci sono gli esami, durante i quali, a causa delle leggi antisciopero, non è possibile scioperare. Più in generale, la vergognosa legge 146 che impedisce lo sciopero a oltranza nel pubblico impiego e nei servizi cosiddetti essenziali ha inferto un duro colpo alla mobilitazione delle maestre: è una legge liberticida che subiscono sulla loro pelle anche i lavoratori e le lavoratrici dei trasporti, dei servizi, di tante cooperative. Una legge che è necessario abolire o, comunque, in prospettiva rompere con la lotta di massa per poter ridare ai lavoratori il diritto di sciopero che è stato loro scippato.
Nonostante tutte queste difficoltà, le iniziative di lotta delle maestre continuano: da Roma a Milano, da Bologna a Torino, sono tanti i presidi e le proteste delle maestre in programma in questi giorni. E’ fondamentale che la mobilitazione continui (indipendentemente dai provvedimenti del governo) e che si estenda, anzitutto a tutta la categoria: sono molte le ragioni per lottare contro questa cattiva scuola, a partire dalla vergogna dell’alternanza scuola-lavoro, che trasforma gli istituti scolastici in succursali delle aziende private (è notizia recente quella di uno studente di Firenze che ha perso la falange di una mano durante uno stage di alternanza!).
Sono molte altre le contraddizioni che stanno diventando esplosive nella scuola pubblica, non da ultimo l’inasprimento del sistema disciplinare (previsto dalla legge Madia, rivendicato dal nuovo governo e vergognosamente confermato nel rinnovo contrattuale) che prevede licenziamenti facili e sanzioni a danno del personale scolastico, spesso a discrezione dei dirigenti. Basta pensare al vergognoso attacco a Lavinia Cassaro, la maestra di Torino licenziata in tronco per aver urlato la sua rabbia contro dei poliziotti durante una manifestazione antifascista: una sanzione vergognosa e arbitraria che ha anche lo scopo di intimorire le lavoratrici e i lavoratori della scuola in lotta. Per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana un’insegnante viene licenziata per aver “offeso” dei poliziotti durante una manifestazione: una decisione degna di un regime di polizia, a dimostrazione di come le cosiddette libertà individuali difese dalla Costituzione della repubblica borghese, tanto rivendicata anche da settori di movimento, siano solo vuote parole a servizio degli interessi del sistema capitalista.
Affinché le lotte contro la privatizzazione e aziendalizzazione dell’istruzione pubblica possano vincere è fondamentale che si uniscano a quelle delle altre categorie di lavoratori: dai trasporti alle fabbriche, dalla logistica alla sanità e a tutto il pubblico impiego. Fondamentale sarà anche la ripresa, in autunno, delle mobilitazioni studentesche. Solo a partire dalla costruzione di un ampio fronte di lotta e di classe sarà possibile creare i rapporti di forza necessari per cacciare il nuovo governo padronale di Lega e M5S, che ostenta ogni giorno di più il proprio volto razzista e autoritario.
Nonostante tutte queste difficoltà, le iniziative di lotta delle maestre continuano: da Roma a Milano, da Bologna a Torino, sono tanti i presidi e le proteste delle maestre in programma in questi giorni. E’ fondamentale che la mobilitazione continui (indipendentemente dai provvedimenti del governo) e che si estenda, anzitutto a tutta la categoria: sono molte le ragioni per lottare contro questa cattiva scuola, a partire dalla vergogna dell’alternanza scuola-lavoro, che trasforma gli istituti scolastici in succursali delle aziende private (è notizia recente quella di uno studente di Firenze che ha perso la falange di una mano durante uno stage di alternanza!).
Sono molte altre le contraddizioni che stanno diventando esplosive nella scuola pubblica, non da ultimo l’inasprimento del sistema disciplinare (previsto dalla legge Madia, rivendicato dal nuovo governo e vergognosamente confermato nel rinnovo contrattuale) che prevede licenziamenti facili e sanzioni a danno del personale scolastico, spesso a discrezione dei dirigenti. Basta pensare al vergognoso attacco a Lavinia Cassaro, la maestra di Torino licenziata in tronco per aver urlato la sua rabbia contro dei poliziotti durante una manifestazione antifascista: una sanzione vergognosa e arbitraria che ha anche lo scopo di intimorire le lavoratrici e i lavoratori della scuola in lotta. Per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana un’insegnante viene licenziata per aver “offeso” dei poliziotti durante una manifestazione: una decisione degna di un regime di polizia, a dimostrazione di come le cosiddette libertà individuali difese dalla Costituzione della repubblica borghese, tanto rivendicata anche da settori di movimento, siano solo vuote parole a servizio degli interessi del sistema capitalista.
Affinché le lotte contro la privatizzazione e aziendalizzazione dell’istruzione pubblica possano vincere è fondamentale che si uniscano a quelle delle altre categorie di lavoratori: dai trasporti alle fabbriche, dalla logistica alla sanità e a tutto il pubblico impiego. Fondamentale sarà anche la ripresa, in autunno, delle mobilitazioni studentesche. Solo a partire dalla costruzione di un ampio fronte di lotta e di classe sarà possibile creare i rapporti di forza necessari per cacciare il nuovo governo padronale di Lega e M5S, che ostenta ogni giorno di più il proprio volto razzista e autoritario.