A chi è utile il voto utile?
Francesco Pallante
Dal 1996 al 2001 l’alleanza di centrosinistra aveva aperto alla parificazione tra fascismo e antifascismo (discorso di Violante sui «ragazzi di Salò», 1996), introdotto la precarietà nei contratti di lavoro (“pacchetto” Treu, 1997), ridotto la progressività fiscale (riforma Visco, 1997), approvato una legislazione repressiva dell’immigrazione (legge Turco-Napolitano, 1998), trasformato il rapporto Stato-enti territoriali in senso federalista (riforme Bassanini, 1997-1999), realizzato un vasto programma di privatizzazioni (D’Alema, 1999), mosso guerra a uno Stato sovrano senza l’autorizzazione dell’Onu (attacco alla Yugoslavia, 1999), creato scuole di serie A e di serie B con l’autonomia scolastica (riforma Berlinguer, 2000), revisionato la Costituzione in senso regionalista con un risicato voto di maggioranza (riforma del Titolo V, 2001).
Il governo dell’Ulivo aveva predisposto, sul piano culturale e normativo, il terreno per una radicale svolta a destra della politica italiana. Ciononostante, la comprensibile decisione di Rifondazione comunista di presentarsi da sola alle elezioni del 2001 fu vissuta come un tradimento dall’establishment politico-culturale di centrosinistra, che bersagliò il potenziale elettorato di Rifondazione con l’appello al voto utile contro il pericolo del ritorno di Silvio Berlusconi.
Da allora lo schema ha continuato a ripetersi sempre uguale, provocando ogni volta un ulteriore slittamento a destra del quadro politico generale. Il culmine della stagione renziana del Jobs Act, della Buona scuola, degli accordi anti-immigrazione con i libici, della riforma costituzionale tentata nel 2016 è stato da ultimo superato con l’«agenda» che ha animato il governo Draghi, le cui politiche anti-sociali, anti-ambientali, anti-parlamentari e pro-guerra sembrano essere l’esito della negazione, a miope beneficio dei dominanti, delle più clamorose emergenze che minacciano il nostro futuro: le crescenti disuguaglianze, la devastazione ecologica, la crisi democratica, l’olocausto nucleare.
Peraltro, le politiche di destra realizzate dal (sedicente) centrosinistra sempre hanno preparato il terreno alla successiva vittoria politica della destra; meglio: di una destra ogni volta un po’ più a destra di quella precedente. A Berlusconi è succeduto Salvini; a Salvini Giorgia Meloni. Viene da chiedersi a chi toccherà tra cinque anni…
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Disfarsi del condizionamento, conscio o inconscio, del Pd.
Luciano Granieri.
Prendo spunto da queste note scritte da Francesco Pallante per proporre alcune riflessioni.
Credo che ormai vada preso atto definitivamente che la svolta della Bolognina del 1989 abbia sancito la nascita di una formazione liberal-riformista che non ha nulla in comune con un partito comunista, ma nemmeno socialista (preso nel senso storico del termine). Ciò che è nato dalle ceneri del Pci è una formazione atlantista, d’ispirazione kennediana e successivamente blairiana. Il partito della vocazione maggioritaria, delle primarie, del "chi vince governa". Quindi non c’è da stupirsi se le stagioni del centrosinistra al potere si siano concentrate nell’applicare pedissequamente le rigide regole scritte nel manuale del perfetto liberista. Forse con un’attenzione maggiore ai diritti civili, ma sempre frenata dalla convivenza con una parte cattolica preponderante.
In buona sostanza il Pd è un avversario politico per chi è contro la finanziarizzazione dell’economia, per chi è convinto che il reddito debba derivare dal lavoro e non dalla speculazione finanziaria, per chi non sopporta il continuo ed irrevocabile aumento delle diseguaglianze. L’appiattimento totale alla regole del mercato operato della politica liberal-riformista ha lasciato all’ipernazionalismo di destra la fallace tutela delle classi subalterne.
Prima si prende atto della reale, del tutto legittima peraltro, impalcatura liberale, oggi sfociata nel peggior liberismo, del Partito Democratico e prima si può fare qualche passo avanti.
La questione non è se accettare o meno il voto utile, la questione è fare in modo che esso non venga mai richiesto. E’ tempo che il convitato di pietra “Pd” esca dalle opzioni delle formazioni che si sono costituite , diciamo così, alla sua sinistra.
Da un lato assistiamo a partitini composti da “vedove del Pd” soggetti che ne sono usciti per ripicca personale, o per altri motivi non propriamente politici, ma che non vedrebbero l’ora di rientrarvi, oppure cercano, da fuori ,di accreditarsi al suo interno, ed infatti si acconciano a fare coalizione insieme ai Democratici con la speranza di avere una qualche considerazione pur nella loro condizione di invisibilità politica.
Dall’altro assistiamo ad organizzazioni che misurano la loro purezza comunista in relazione al rapporto più o meno conflittuale con il Pd. Chi, in qualche modo, ha avuto frequentazioni passate con il partito guidato da Letta, anche se oggi ne prende le distanze, è un appestato anticomunista. Si giustificano ed incensano soggetti, alcuni dalla storia politica veramente insignificante ed ondivaga, nel cui curriculum compaiono imbarazzanti rapporti con la destra, ma si condanna chiunque sia passato pure per sbaglio sotto la sede di un Pd locale.
Se non si toglie il Pd dal ragionamento, in un senso o nell’altro, una formazione ampia ed unitaria - che possa occuparsi, sinceramente e convintamente, del dilagante disagio sociale, in cui un quarto degli Italiani vive in povertà assoluta, o relativa, in cui un terzo dei lavoratori guadagna meno di mille euro al mese, che affronti l’emergenza ambientale qui ed ora, collegandola alla giustizia sociale - non potrà mai nascere.
La coalizione di Nupes in Francia, comprendente fra gli altri, il blocco Le France Insumise, i partiti di sinistra coalizzati nel Partì de Gauche, gli ecosocialisti e perfino i comunisti del Pcf, ha ottenuto 131 seggi nel parlamento francese, proprio perché si è scrollata di dosso la variabile riformista, e si è opposta fermamente all’”agenda Macron”. Un tale risultato non sarebbe stato possibile se fosse passata la linea del voto utile, ovvero votare Macron per sconfiggere Marine Le Pen.
Ormai, nell'imminenza del voto, è troppo tardi operare per disfarsi della “scimmia Pd", ma prima che la china sia irreversibile, è possibile impegnarsi per le elezioni successive - prevedendo anche una legge proporzionale con la possibilità di eleggere direttamente i propri candidati - per costituire una formazione che, non dico tanto, ma almeno abbia a cuore l’applicazione della Costituzione?