A
Frosinone sta venendo alla ribalta l’ennesima storia di tangenti. Dopo le
vicende delle telecamere per la
sicurezza, (maggioranza centro sinistra) le bustarelle diventano protagoniste di
una squallida storia di monnezza (maggioranza centro destra). Cambiano le
maggioranze ma la bustarella si conferma
roba da larghe intese. Perché stupirsi?
Da Adro, paese del sindaco leghista Lancini, quello della scuola
elementare griffata con i simboli della lega, a Ceprano a Frosinone, dalle Alpi
alle piramidi, dal Manzanarre al Cosa, la tangente è diventata oggetto di culto per molti amministratori . Solo i soliti bacchettoni
moralisti si indignano per le mazzette volanti. E’ il mondo della politica
bellezza ! Ma secondo voi uno stimato professionista, abile a spuntare parcelle milionarie, si fa tanto di culo per essere eletto, diventare assessore con estenuanti campagne
elettorali solo
per guadagnare quegli spulciosi 300 euro del gettone di presenza? Sono le
pastoie, il complicato mondo simbiotico fra enti e
imprese a procurare la ciccia. Quello è l’eldorado, terra promessa di intrepidi assessori, consulenti e funzionari.
La tangente è un atto d’amore, dalla
monnezza può nascere un fiore, ma anche la coca . E’ inutile
protestare, caro cittadino che mentre paghi la
TARSU ti arriva fra capo e collo una tranvata da due milioni e dispari
di tangente! La mazzetta è illegale solo
nominalmente. Di fatto è stata ormai legalizzata. Occorre modernizzarsi. Bisogna adeguare anche
le richieste. Che senso ha pretendere legalità e trasparenza? Sono cose vecchie, fuori dal tempo. Proponiamo una rivendicazione nuova. La
tangente è ormai parte della remunerazione di un amministratore pubblico? Orbene, chiediamo alla giunta di Frosinone di
integrarla nel progetto “SoliDiamo”. Un sistema
deciso dal Comune per abbattere i
costi della politica. Questo prevede il taglio del 50% degli stipendi dei politici comunali. I soldi così risparmiati vanno ad alimentare
un fondo di solidarietà da destinare ai
cittadini più bisognosi. Ebbene, famo a
mezzo pure con la bustarella! Ad esempio dei due milioni di tangente preventivata
per l’appalto della monnezza, uno va a remunerare le abilità di chi con fatica
e applicazione l’ha ottenuta, l’altro va
al popolo. Con un milione di euro sai
che feste aglie Giardine! I muti potranno parlare,
mentre i sordi già lo fanno, anche i preti potranno sposarsi ma solo a una
certa età……etc etc.
Le rovine
"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"
Buenaventura Durruti
sabato 14 dicembre 2013
Frosinone: chi paga i guai fatti dalle finte maggioranze e dalle finte opposizioni?
Andrea Cristofaro, associazione ControCorrente
I vostri debiti non li dobbiamo pagare noi” diceva uno striscione dei dipendenti della Multiservizi prima di essere licenziati in tronco: parole inascoltate da una politica tesa unicamente a privatizzare tutto ciò che esiste di pubblico. In quell'occasione noi avevamo denunciato che quei lavoratori sarebbero stati solo le prime vittime delle dissennate scelte economiche dei nostri illuminati amministratori: la scelta di dichiarare il predissesto, con la scusa di un debito creato non certo dai cittadini, avrebbe colpito come una mannaia tutti i cittadini, e nello stesso tempo avrebbe assicurato l'impunità all'ex maggioranza responsabile del buco di bilancio e avrebbe permesso alla ex opposizione di facciata, ora maggioranza, di gestire i bilanci comunali senza l'ingombrante presenza di un commissario esterno. Ebbene si ripete ora lo stesso copione: il vicesindaco arrestato potrà anche dimostrare la sua estraneità ai fatti, ma ciò che rimane è che negli appalti sulla raccolta dei rifiuti c’è stato un grosso imbroglio ai danni dei cittadini tramite l’utilizzo fraudolento di soldi pubblici: anche questo devono pagare i cittadini? Un’altra dimostrazione di come nasce il debito del comune di Frosinone: soldi pubblici usati per interessi personali e per favorire ditte private che si lanciano come avvoltoi sui servizi pubblici che politici incapaci e spesso poco onesti mettono all’asta come fossero di loro proprietà. Il centrosinistra e il centrodestra frusinati hanno fatto già troppi danni, giocando a non farsi male fra loro mentre si alternano alla guida del comune. L’avvocato Ottaviani e la sua squadra dovrebbero ora spiegare ai cittadini che si sono visti aumentare notevolmente le tariffe della mensa scolastica, la retta degli asili, lo scuolabus, le tariffe di tutte le tasse comunali portate ai limiti massimi, che hanno subito il taglio di ore di assistenza domiciliare come mai non ci sono i soldi. E la stessa cosa dovrebbe fare l’ex maggioranza di centrosinistra. E non ci vengano a dire che la colpa è dei lavoratori che pretendono di avere uno stipendio dignitoso. Non vengano a dirci che la colpa è della gestione pubblica dei servizi, e che la loro privatizzazione permette un calo dei costi ed un miglioramento dei servizi, visto che negli ultimi anni i magistrati hanno avuto il loro bel da fare per portare alla luce storie di tangenti e di appalti truccati con il coinvolgimento di politici e dirigenti comunali proprio per l'assegnazione di servizi a ditte private.
CONTRO LA CORRUZIONE RIPRISTINARE LEGALITA’ E DIRITTI
Francesco Notarcola –
Presidente della Consulta delle associazioni
Presidente Osservatorio Peppino Impastato
Ancora una volta, la città
Capoluogo assurge agli onori della cronaca nazionale per un fatto di corruzione
nella gestione di un procedimento di appalto per l’affidamento di un servizio
pubblico.
Un fatto che incide notevolmente sui costi di
gestione del servizio di raccolta e di smaltimento dei rifiuti e si ripercuote
negativamente sulle attività produttive e sui bilanci familiari violentati ed
annullati dalla crisi.
Ancora un episodio grave ed
eccezionale che evidenzia un intreccio consolidato tra politica ed affari e
getta una cattiva luce nella gestione della cosa pubblica.
Questo evento è l’ultimo di
una lunga fila di fatti scandalosi ( Cimitero – Casa della cultura – ristrutturazione
dell’ex carcere di Piazza Risorgimento – I Piloni – Strada Monti Lepini – Forum
- Piastra dei Cavoni - Videosorveglianza
del traffico – Multipiano – Ascensore inclinato – Frane E Viadotto Biondi, ecc.
ecc.) che hanno caratterizzato la vita
quotidiana della nostra Comunità ed hanno gettato la Città in un degrado
economico e sociale senza precedenti.
Gli ultimi tre lustri (15
anni) hanno visto decisioni dei Sindaci e
del Consiglio comunale che hanno favorito i palazzinari e la
speculazione edilizia permettendo
l’aggressione, il saccheggio e la devastazione del territorio. Fermare il cemento in una Città che non cresce e s’impoverisce
sempre più, è ormai necessario e vitale.
Sono stati chiusi spazi
importanti per la vita dei cittadini come l’ex Mattatoio, Piazza Risorgimento,
Biblioteca Norberto Turriziani; sono stati seppelliti tesori archeologici
come le Terme Romane e messe
a disposizione del privato speculatore aree pubbliche di grande valore.
E’da sottolineare, inoltre,
che speculatori e lottizzatori non hanno pagato quanto dovevano per gli oneri
di urbanizzazione condannando il Comune
al fallimento. Come conseguenza l’attuale
Amministrazione ha chiesto il pre-dissesto finanziario senza dare un’ampia ed
analitica informazione all’opinione pubblica. Per tutto ciò i cittadini di
Frosinone hanno pagato e pagano prezzi altissimi in posti di lavoro e per
l’alto costo dei servizi.
E’ sconcertante ed inaccettabile che nessun
gruppo consiliare e nessun consigliere avanzi la richiesta al Sindaco ed al Consiglio comunale per fare chiarezza ed
informare la cittadinanza su tutti questi episodi che hanno fatto di Frosinone
una Città sotto inchiesta permanente. I cittadini, hanno il sacrosanto diritto
di sapere quando potranno passeggiare nuovamente in Piazza Risorgimento e
quando potranno ancora usufruire di
tutti gli spazi attualmente inaccessibili.
Chiediamo, perciò, al Sindaco
ed al Consiglio comunale, convocato in seduta straordinaria per il 18 c.m.,di
assumere la decisione di dar vita ad una vasta operazione di
trasparenza, di partecipazione e di informazione.
Chiediamo che sulla gestione dei rifiuti, finalmente, si possa
sapere la quantità dei rifiuti prodotti, i
costi raccolta e smaltimento, il ruolo degli utenti con indirizzo e
numero civico, quartiere per quartiere,indicando per ciascuno la somma pagata,
la composizione del nucleo familiare e i metri quadri dell’abitazione.
Occorre, inoltre conoscere,
quali sono le percentuali relative
all’elusione ed all’ evasione e quali verifiche incrociate il Comune ha fatto o
intende fare per eliminarle.
I costi di gestione del servizio di raccolta e smaltimento
dei rifiuti si potrebbero abbattere del
50% se si agisse per far pagare a tutti il dovuto e se si organizzasse una
seria raccolta differenziata puntando all’obbiettivo di rifiuti zero. Ciò
avviene già in tante città e comuni d’Italia.
Vogliamo ricordare al Sindaco
ed al Consiglio comunale che i Presidenti della Corte suprema di Cassazione,
della Corte dei Conti e della
Commissione parlamentare d’inchiesta hanno sempre sottolineato ed argomentato
che un’incisiva ed efficiente lotta alla corruzione si conduce e si
realizza assumendo
la trasparenza, la partecipazione e
l’informazione come strumenti caratterizzanti della gestione della cosa
pubblica, in un rapporto di proficuo confronto, di elaborazione e di proposta con le associazioni e con i
cittadini.
venerdì 13 dicembre 2013
Lutto nel mondo dal Jazz. Scompare Jim Hall
Luciano Granieri
A Los Angeles la vita è più rilassata, un
musicista ha un po’ di quella sicurezza in più che a New York manca. Questo rende più facile il lavoro
creativo. A New York tutto è
difficile e si muove in fretta. In un certo senso New
York può essere eccitante, ma un musicista è talmente impegnato nella lotta per l’esistenza che ha minori
opportunità di sperimentare. Questo era il clima in cui negli anni ’50 si diffondeva il jazz della costa occidentale.
Uno stile meno frenetico e pirotecnico del
Be Bop dei neri. Era una musica dove le linee melodiche venivano eseguite in
modo più pulito, c’era maggiore attenzione per gli arrangiamenti. Un jazz bianco,
forse più commerciale, ma gravido di sperimentazioni, riletture e partiture
stimolanti. E’ in questo clima che inizia la carriera di uno dei più grandi
chitarristi della storia dal jazz. Jim Hall. In quella Los Angeles dove iniziava ad affermarsi la
musica dei Gerry Mulligan, Chet Baker,
Stan Getz e gli altri mostri sacri della West Coast, Jim iniziò a mettersi in luce nel quintetto del
batterista Chico Hamilton con Buddy
Colette al sassofono e clarinetto.
Influenzato come tanti chitarristi dal
linguaggio di Charlie Christian, l’insuperabile maestro iniziatore di una nuova
era nella chitarra nel jazz, Hall divenne
uno dei più raffinati poeti dello strumento.
Misurato nell’improvvisazione con un
fraseggio cristallino, dalle sonorità pulite,
ma sempre stimolate e originale. Struggente
e lirica è la sua performance nel Concierto
de Aranjuez con Chet Baker alla tromba,
Steve Gadd alla batteria, Paul Desmond al sax alto, Roland Hanna al pianoforte
e Ron Carter al contrabbasso. Ma Jim Hall non è stato solo il profeta della
West Coast. Il suo stile ha attraversato
il Be Bop con Charlie Parker , passando attraverso il cool jazz affianco dl raffinato pianista Bill Evans, fino a
giungere alla straordinaria collaborazione con
l’immenso ed eclettico Pat Metheney.
Un altro assoluto innovatore della chitarra jazz e non solo. Jim Hall purtroppo è scomparso il 10 dicembre scorso . E’ stato
trovato morto nel suo letto aveva compiuto 83 anni pochi giorni prima il 4
dicembre. Ad Aut piace ricordarlo con un piccolo frammento che
lo riguarda tratto dal libro “Stasera Jazz” di Arrigo Polillo. “Quando Tornai a New York non avevo che l’imbarazzo
della scelta. La prima sera optai per l’Half Note, in cui si esibiva il quartetto
di Jim Hall e Richie Kamuca. Purtroppo il locale è il più rumoroso fra quanti io
abbia frequentato: tutti parlano ad altissima voce, forse contagiati da un
pestilenziale cameriere tedesco che gira fra i tavoli con la pretesa di far da
animatore, gracchiando a ogni istante : “Is evrybody happy?”. Però Hall suona splendidamente, come se nulla fosse, e anche Kamuca- il valoroso tenorsassofonista che diede lustro al jazz della West Coast
- appare in forma eccellente. ‘ Come fai
a suonare così con tutto questo baccano?’ Chiesi a Jim. Ma il sorridente
chitarrista mi spiega che è da poco tornato al jazz dopo essersi dedicato a
lungo alla musica commerciale (si è sposato e ha avuto bisogno di soldi ) ed è
quindi felice di suonare. Poi mi chiede notizie di Franco Cerri e di altri
amici italiani; infine mi presenta i
proprietari del locale che sono degli italo-americani e si chiamano Canterino. Quando me ne vado mi imbatto in Art Farmer :
suonerà nel locale la settimana successiva, e
intanto è venuto a sentire il suo amico Jim”. Quell’amico, quello straordinario
musicista a cui il mondo del jazz in lutto tributa un ultimo saluto. Ciao Jim
Movimento 5 Stelle Frosinone: Richiesta di dimissioni della giunta Ottaviani
Dopo l'arresto del vicesindaco, con delega all'ambiente, Fulvio De Santis per presunte tangenti atte a manipolare appalti nel settore rifiuti, chiediamo le immediate dimissioni del sindaco Nicola Ottaviani e della sua giunta per evidenti responsabilità politiche, etiche e morali.
Il sindaco Nicola Ottaviani prenda atto del fallimento della sua campagna morale e rassegni le sue dimissioni insieme a quelle della sua variopinta e inconcludente giunta.
La città di Frosinone merita di essere amministrata con onestà, trasparenza e abnegazione in rispetto al compito che si è chiamati a svolgere verso tutta la cittadinanza.
Non è tollerabile essere amministrati da una giunta in odore di mazzette.
giovedì 12 dicembre 2013
Piazza Fontana strage di Stato. Per non dimenticare
a cura di Luciano Granieri
Si si fossero chiusi i conti definitivamente con i fascisti e se si fosse adottato un periodo,dopo la vittoria della resistenza, in cui un qualche governo di salute pubblica alla Robespierre avesse rimosso definitivamente la malata borghesia fascista e controrivoluzionaria, forse oggi non dovremmo piangere i morti di Piazza Fontana. E soprattutto non avremmo dovuto subire l'insulto di insabbiamenti e depistaggi per proteggere i colpevoli.
.La libera repubblica del calcio
Federico
Cartelli fonte: alias del 08 dicembre
Aggiungi didascalia |
La
Federazione Italiana gioco calcio (Figc), si era definitivamente affermata con il campionato 1913-14, il primo vero
campionato che aveva visto la partecipazione di squadre del nord del centro e
del sud Italia. Sotto l’aspetto
organizzativo e regolamentare,
una serie di cavilli, condizionamenti,
burocrazie di ogni sorta imposte dalla Figc, soffocarono sul nascere la
formazione e la partecipazione ai campionati minori, dai livelli locali a
quelli regionali, di squadre che avevano uno spirito prettamente
dilettantistico. In risposta ai rigidi
paletti fissati dalla Figc, nell’estate del 1917 a Milano viene fondata
l’Unione Libera Italiana del Calcio (Uilc), ad opera del medico socialista
Luigi Maranelli, con l’intento di
recepire le istanze avanzate dalle squadre di calcio e semplificare il più
possibile la partecipazione dei calciatori, spesso operai, manovali, meccanici,
che si dilettavano nel tempo libero. Lo scopo della Uilc, come riporta l’Almanacco
dello Sport del 1918, è di “curare la diffusione del calcio tra la gioventù
delle classi meno ambienti” riducendo notevolmente una serie di norme che
imbrigliavano le squadre dilettanti. Il programma dell’associazione dei liberi
calciatori era in netto contrasto con le rigide norme volute dalla Figc,
accusata senza mezzi termini di essere
“il carcere del calcio italiano”. L’Uilc si dotò anche di un organo di stampa ll Corriere dello Sport libero , da cui
discende l’attuale quotidiano sportivo,
dalle cui colonne sferrava feroci
attacchi alla Figc e al suo presidente, l’industriale m milanese Francesco Mauro accusato di
perseguire politiche ambigue , clientelari e di bassa furbizia. Dalle colonne
de Il Corriere dello Sport libero, il medico Luigi Maranelli chiarisce subito gli intenti che sono alla
base della fondazione dell’Uilc: “La nostra organizzazione ha per cardine
politico la libertà, per cardine economico: né tasse né multe” . Non erano
previste sanzioni pecuniari, un scelta
di non poco conto, visto il carattere dilettantistico delle squadre di calcio. In caso di fallo e infortunio momentaneo del giocatore della
squadra avversaria, colui che aveva commesso il falo doveva stare fuori lo
stesso tempo indispensabile al calciatore infortunato per riprendersi. L’Uilc
non prevedeva il tesseramento dei
calciatori per la società con la quale giocavano, ogni domenica era
possibile cambiare squadra : “ Nessuno
può chiedere al nuovo venuto di dove venga, né il motivo per cui vuole
andarsene” perciò, scriveva Il Corriere
dello sport libero, l’Uilc è disposta ad “accogliere tutti quei figli del
popolo respinti o ignorati dalla Figc”. Un vero manifesto politico,
improntato a una concezione umanitaria e
solidaristica del calcio con sprazzi
libertari, non a caso l’Uilc divenne rifugio di calciatori rivoluzionari e
anarchici. Il libero calcio ebbe un consenso notevole in Emilia,
Lombardia,Veneto, Piemonte, Marche e Puglia, che ha la sua roccaforte a Foggia,
qui grazie a Filippo Guglielmi, negli anni successivi alla grande guerra , fu
proprio l’Uilc a organizzare e
promuovere il calcio nella Capitanata. Il consenso ai princìpi dell’Uilc è
trasversale e lo si rileva dai nomi delle squadre, dalle agguerrite Sparviero,
Intrepida, Guerrin, Gavorche, Lampo alle più politiche Avanti, San Paolo,
Balilla. Per le sue caratteristiche l’Uilc
richiamò una gran massa di sportivi proletari, soprattutto nei centri
industriali come Milano, Torino e Genova, che confluiscono nel calcio dei
“liberi”, autorganizzando tornei e
calendari e, soprattutto, dando vita a una gran quantità di fogli sportivi,che
descrivono la loro attività e gli esiti degli incontri calcistici, un fenomeno
seguito con una certa attenzione da L’Ordine
Nuovo di Gramsci, che alle attività dell’Uilc dedicò numerosi articoli. Nel 1920 l’Uilc
ebbe un consenso tale da organizzare un vero e proprio campionato su scala
nazionale , e nel 1922 aderirono ben 190 squadre, che si affrontarono nei
tornei locali e regionali. Una presenza
capillare sul territorio, quella dell’Uilc, che insinua la solidità della Figc,
all’interno della quale si
determina una spaccatura sulla politica
da seguire nei confronti dell’organizzazione dei liberi calciatori, tra coloro
che sostengono di ignorare il fenomeno e
coloro che si dichiarano per un’aperta contrapposizione. La Figc aveva
sottovalutato a lungo l’ideologia
calcistica che era alla base dell’Uilc,
e soprattutto quelle spinte innovative che venivano dai giovani dopo la prima guerra
mondiale, e che l’Uilc aveva saputo
interpretare a pieno. Le difficoltà economiche di un’organizzazione che
aveva favorito la libera partecipazione de giocatori di tornei di calcio, ma non godeva di finanziamenti
degli industriali e neppure delle quote delle squadre iscritte ai tornei, misero
in seria difficoltà la sopravvivenza dell’Uilc, cui si aggiunse il tentativo d
alcuni dirigenti di avviare trattative di fusione con la Figc. Luigi Maranelli
e pochi altri, fedeli al principio costitutivo dell’organizzazione rimasero
isolati, al resto pensò il fascismo, che nel 1926 impose all’Uilc di rientrare
a tutti gli effetti nella Figc. Nel 1927
fu dichiarata sezione propaganda della
Figc, un atto d’imperio che pose fine al
sogno, durato dieci anni, di migliaia di calciatori, che ogni domenica
costituirono la libera repubblica italiana del calcio, fondata sul principio
dell’autogoverno.
Affaire De Santis: precisazioni e considerazionI
Luciano Granieri
Su quanto SCRITTO IERI in
relazione alle vicenda del vice sindaco
di Frosinone Fulvio De Santis, si devono alcune precisazioni. Ciò per dovere di giusta informazione. In particolare Fulvio De Santis, oltre che
vice sindaco, ricopriva il ruolo di
assessore all’ambiente e ai trasporti nell’attuale giunta Ottaviani. Le indagini che lo riguardano sono relative a
questa funzione. L’accusa , origine del
provvedimento restrittivo che lo riguarda, è di
corruzione per l’aggiudicazione dell’appalto rifiuti da 26 milioni in
favore della ditta Sangalli di Monza. Contrariamente a quanto scritto
precedentemente De Santis non è agli
arresti domiciliari ma è recluso presso il carcere di Monza. In breve la
dinamica fraudolenta secondo l’accusa dovrebbe essere la seguente: L’assessore
all’ambiente si sarebbe impegnato con la Sangalli a scegliere come
consulente per la redazione del bando di gara un tecnico di fiducia dell’impresa
lombarda in maniera da preparare un capitolato su misura, per l’azienda brianzola. Attraverso l’intermediazione dell’architetto Giovanni
Battista Ricciotti di Frosinone, l’operazione avrebbe dovuto fruttare una
tangente pari al 2% del valore dell’appalto, ossia più di 2milioni di
euro. Sempre secondo l’accusa la
Sangalli avrebbe versato tangenti ad amministratori e funzionari di altri comuni lombardi e pugliesi. I capitali necessari a pagare le bustarelle
sarebbero stati ottenuti attraverso la creazione di fondi neri. In particolare
la Sangalli pagava fatture gonfiate a fornitori compiacenti , i quali restituivano in nero le quote
eccedenti il prezzo della prestazione realmente pattuita. Complice di questo
sistema, che avrebbe consentito alla Sangalli di accantonare
700mila euro di fondi neri, sarebbero
stati gli altri gli i imprenditori ciociari
Giancarlo Tullio già arrestato, Enzo, Silvio e Stefano Stella , tuttora ai
domiciliari. Questo a grandi linee il funzionamento del meccanismo. Tanto si
doveva precisare per la cronaca. Ma
quello che interessa sottolineare in
questo contesto, non è la cruda sequenza dei fatti. Sugli organi di stampa mainstream la vicenda è descritta con dovizia di
particolari, ma i suoi risvolti politici e sociali .
E’ di tutta evidenza che a un cittadino
frusinate non fa piacere venire a conoscenza di un’inchiesta volta ad accertare una truffa per 2milioni di euro di
denari pubblici dopo che è stato condannato a farsi carico di un debito di
50milioi di euro di cui non ha nessuna responsabilità . La cittadinanza frusinate non fa salti di gioia nell’apprendere che vi è la possibilità di una truffa ai loro danni
di 2milioni di euro, dopo avere subito i tagli di molti servizi , l’aumento del costo di altri,la
privatizzazione onerosa di altri ancora,
con una politica fiscale lacrime e sangue imposta per i prossimi dieci anni dalla
scelta della giunta, di cui De Santis
era parte, di dichiarare lo stato di predissesto . La rabbia dei disoccupati di questa città è
destinata inevitabilmente ad aumentare a seguito della vicenda di De Santis,
per non parlare del servizio di
smaltimento rifiuti, per il quale la
cittadinanza è chiamata a pagare la
seconda parte della tassa entro metà dicembre, che a
seguito di questi episodi subirà un
inevitabile deterioramento dell’erogazione. La vessata cittadinanza frusinate non può
contare neanche sull’azione decisa di un’opposizione che dovrebbe chiedere le
dimissioni in massa della giunta e invece
si accontenta di chiedere spiegazioni . Si tratterebbe di dimissioni
ineccepibili dovute da un’
istituzione che solo dopo poco più di una anno di governo è già travolta, nella persona del vice sindaco nonché
assessore all’ambiente e ai trasporti,
da un episodio poco edificante anche se ancora tutto da verificare. A questa anomalia democratica dell’esistenza
di un’opposizione silente deve contrapporsi il singolo cittadino. E’ il cittadino che deve costituirsi come opposizione per difendere i
propri diritti. E’ il cittadino che deve pretendere di avere accesso agli atti,
di controllare le procedure di assegnazione degli appalti, di verificare l’entità
e l’utilità di consulenze esterne e privatizzazione dei servizi. Per esercitare un azione partecipata propositiva e di controllo è necessario
che il cittadino sia consapevole di determinati processi. Forse è questa consapevolezza che manca o non
è sufficiente.
Ecco allora che il ruolo
delle associazioni presenti sul territorio potrebbe diventare determinante.
Sono proprio quegli attori che hanno acquisito una maggiore consapevolezza, non
perché dotati di intelligenze particolari, ma perché più attivi nello scenario politico e sociale
della città, a doversi fare carico della
responsabilità di rendere in po’ più consapevoli anche il resto della
cittadinanza, in modo da condividerne la partecipazione dal basso al governo della
città. Diventa indispensabile quindi che
i membri di movimenti e organizzazioni, che pure in città abbondano, comincino a
collaborare in modo più stretto e allo stesso tempo ad uscire fuori da
carbonari luoghi di autocompiacimento ed aprirsi alla cittadinanza. Bisogna incontrare quella gente che non sa o fa finta di non sapere che o governi una
giunta di centro destra e una di centro sinistra il potere a Frosinone è sempre nelle mani delle solite famiglie di
grandi imprenditori edili. Bisogna aprirsi
ai cittadini per condividere con loro la necessità di capire dove sta il vero
nemico. E’ una responsabilità che dobbiamo prenderci al più presto, altrimenti
il gioco delle pastoie clientelari, della melma amministrativa diventerà sempre
più soffocante e il degrado della nostra
città sempre più inesorabile.
mercoledì 11 dicembre 2013
Il vice sindaco di Frosinone Fulvio De Santis è agli arresti domiciliari
Luciano Graneri
Il vice sindaco di Frosinone Fulvio De Santis, esponente di “Fratelli
d’Italia”, è agli arresti domiciliari.
Il provvedimento restrittivo ne suoi confronti è stato emesso dalla Guardia di
Finanza di Monza, nell’ambito di un’inchiesta condotta nel settore della raccolta, smaltimento rifiuti e
sevizi ambientali. Corruzione, turbativa
d’asta, truffa aggravata ai danni di ente pubblico ed emissione di fatture
false queste le accuse rivolte al vice sindaco, il quale ha immediatamente
presentato le sue dimissioni. L’indagine riguarda l’appalto per la raccolta differenziata (ancora non
assegnato) a cui
aveva riposto la ditta Sangalli di Monza.
Questa avrebbe , secondo l’accusa, corrisposto tangenti per aggiudicarsi la gara . La vicenda relativa a Fulvio De Santis è
parte di un’inchiesta estesa in tutta Italia relativa ad appalti sullo smaltimento rifiuti per un valore di 260milioni di euro ,che ha
condotto all’arresto di 26 persone, fra cui 12 ai domiciliari. Coinvolti diversi amministratori locali il
titolare della ditta Sangalli e i due figli. Agli arresti domiciliari sono
finiti Giancarlo Sangalli, i due figli invece sono in
carcere, un sindaco del milanese e tre assessori e anche un’imprenditore di
Vallecorsa titolare
della ditta Scau Ecologica. Al momento non ci sono altri politici o
amministratori del comune di Frosinone indagati. Il sindaco Nicola Ottaviani ha
bloccato la procedura di assegnazione. Tutti
sono innocenti fino a prova contraria, ma
questa triste vicenda non può non
alimentare sospetti sulle insidie che si
annidano dietro ogni procedura di privatizzazione dei servizi pubblici. Le politiche di cessione a privati di servizi di pubblica utilità storicamente non hanno mai arrecato beneficio alla comunità. I maggiori costi che le privatizzazioni richiedono rispetto alla gestione pubblica spesso sono stati certificati anche da pronunciamenti della corte dei conti. Inoltre sconfinata è la casistica di procedure poco trasparenti che hanno accompagnato i processi di affidamento a privati di beni e servizi pubblici . Un altro elemento di gravità riguarda l’oggetto
dell’indagine. Il settore della raccolta differenziata è vitale per la qualità
della vita in una città. E occupando Frosinone gli ultimi posti in tema di
vivibilità, l’inadeguatezza e la poca trasparenza in
materia di smaltimento dei rifiuti non giova certo al recupero di posizioni.
martedì 10 dicembre 2013
La rivolta degli Ascari
Luciano Granieri
Il neoliberismo non fa prigionieri. Le vittime più
recenti in ordine di tempo sono gli
eredi dei lavoratori autonomi che
prosperarono a seguito della crisi del fordismo, fra la fine degli anni ’70 e per
tutto il decennio successivo. In quel periodo le grandi fabbriche, che all’epoca
del boom economico avevano invaso il
territorio, distruggendo e sottraendo terreno all’agricoltura grazie anche a
imponenti contributi statali, cominciarono in nome della domanda
just in time a terzializzare le produzioni
presso altre strutture autonome molto
più snelle . Realtà formate da piccoli
imprenditori , spesso di carattere familiare, le cosiddette imprese famiglia , che
assicuravano alle grandi fabbriche una
produzione maggiore con costi inferiori rispetto a quanto prodotto dagli operai assunti direttamente.
Tutto ciò grazie al fatto che questi piccoli
imprenditori, sulla spinta delle teorie neoliberiste alla considerazione del soggetto homo aeconomicus
come ente autonomo capace di produrre
autonomamente e individualmente plusvalore,
avevano creduto che ogni persona, solo sulla base delle proprie capacità,
potesse ambire a ricchezze illimitate . E non vi è dubbio che queste entità, usate come
baluardo contro le antagoniste teorie solidaristiche socialiste emerse dai
profondi conflitti della fine anni ’60, prosperarono.
Le piccole imprese satelliti delle grandi
fabbriche contribuirono ad alleggerire i
loro committenti di mano d’opera socialmente
tutelata. Gli operai che dovevano svolgere
il lavoro commissionato all’esterno
furono inesorabilmente licenziati, e alcuni di loro riassunti a nero da
quelle stesse piccole imprese causa del loro licenziamento dalla fabbrica. Un
processo devastante per il mondo del
lavoro. Fra l’altro questo nuovo modo di
produrre consentì, la progressiva disgregazione della classe lavoratrice.
Si sgretolavano i granitici legami
solidaristici fra lavoratore e lavoratore. Ognuno si abituava a pensare se
stesso come impresa in se e a rinunciare attraverso l’apertura di una partita
Iva a tutele sociali
indispensabili. Al conflitto di classe
si sostituiva l’idea di concorrenza individuale fra “persona impresa” e “persona
impresa”. Un narrazione fallace ma efficace per disgregare le ultime dighe di
contenimento dell’inondazione
neoliberista.
La prima
generazione di procacciatori individuali di plusvalore ebbe successo, grazie anche al foraggiamento delle èlite
neoliberiste veicolato attraverso la tolleranza dello Stato sull’enorme
evasione tributaria, neppure tanto
nascosta, prodotta da questi soggetti e
le notevoli agevolazioni fiscali di cui godevano. Era consentito scaricare
anche lo yacht dalla dichiarazione dei redditi.
Questa nuova classe parcellizzata di uomini impresa, senza alcuna
prospettiva o ideale che non fosse l’ottenimento del proprio successo, assicurò
la diffusione sociale di pulsioni individualistiche necessarie all’imposizione
dei precetti neoliberisti.
Ma durante il
passaggio dalla prima alla seconda generazione di homo aeconomicus, la globalizzazione a la mondializzazione del
neoliberismo modificò notevolmente gli scenari.
La libera circolazione dei capitali e delle merci, la generazione del profitto basata
esclusivamente sulle speculazione finanziaria, concorsero alla rapida
deindustrializzazione dei siti produttivi. Con le grandi aziende pronte a de
localizzare in paesi con una manodopera a basso costo schiavizzata, anche la piccola impresa, motore
dell’economia, emblema del successo del’uomo impresa di se stesso, perse
competitività , scivolò fuori dal mercato e
dalla possibilità di ottenere credito dalle banche in altre faccende
affaccendate.
La crisi travolse
anche ciò che era rimasto del comparto agroalimentare vessato dalla libera
circolazione di prodotti agricoli a basso costo. Il neoliberismo non fa prigionieri e
sull’altare di una crisi autoprodotta si sono sacrificati coloro ai quali era stato promesso l’eldorado di un
mondo in cui bastasse essere imprenditori di e stessi per arricchirsi.
Oggi
questi ascari del neoliberismo, sono rimasti drammaticamente sedotti e
abbandonati. Sono soli di fronte alla loro drammatico fallimento
economico. Senza un progetto di società, di ideale, non rimane altro che
prendere atto del fallimento di se come
uomo impresa. E’ questo il corpo sociale che anima le feroci proteste di piazza
che sono in corso lungo tutta la penisola.
I camionisti riuniti sotto le insegne dei Forconi, i piccoli
imprenditori della LIFE, gli agricoltori del C.R.A. e molti altri soggetti della rampante borghesia delle partite IVA ,ormai
ridotta alla fame della spietatezza neoliberista , manifestano la loro rabbia
contro il governo, la casta dei
politici, le istituzioni europee, l’euro.
Sono una massa urlante schierata
contro tutto e tutti, ma senza un
obbiettivo preciso da raggiungere.
Ed è inevitabile che manchino finalità precise nella rivolta di un
popolo orfano di un’ideale collettivo di società. Si invoca lo stato di Polizia, l’esercito al potere per sostituire l’attuale inetta classe dirigente. Si innesca una pericolosa deriva fascista che
i movimenti di estrema destra immediatamente cercano di cavalcare per ritrovare legittimazione politica.
Si
aggiungono schegge impazzite di popolo che non ce la fa più straziato dalla
povertà pronto ad agganciare qualsiasi movimento
di rivolta. Ci stanno dentro gli ultras da stadio e perfino alcuni
centri sociali. Il pericolo sta nel nichilismo ideologico di queste persone. Il
neoliberismo non fa prigionieri, ma se gli zombie vittime della povertà
che il sistema neoliberista produce, si risvegliano. Se si sollevano anche le truppe degli ascari morti
viventi, il pericolo di derive
autoritarie , fasciste sta dietro
l’angolo.
Forse una riposta di classe da parte di movimenti anticapitalisti ai disastri combinati dal neoliberismo avrebbe
potuto cambiare il corso degli eventi, ma purtroppo le organizzazioni politiche e sindacali
deputate alla rappresentanza delle classi subalterne hanno abdicato al loro
compito sedotte
dalla chimera di un liberismo governabile dalla politica. E allora l’ultima
speranza è riposta in piccole aggregazione di persone che hanno ben presente
qual sia il nemico da battere: Il capitalismo finanziario.
Le ambiguità della mobilitazione dei "forconi"
Mauro Buccheri
Senza un'egemonia proletaria sulla piccola-borghesia
guadagnano terreno i fascisti
guadagnano terreno i fascisti
E' ripresa in Sicilia e in altre regioni italiane la mobilitazione dei forconi. Una mobilitazione che, in combinazione con quella degli autotrasportatori, due anni fa aveva letteralmente paralizzato la Sicilia per diversi giorni, diffondendosi poi anche in altre regioni. Nella serata di domenica i forconi hanno ripreso a mobilitarsi, avviando un percorso di iniziative di protesta che, a giudicare da quanto da loro stessi preannunciato, dovrebbe concludersi il 13 dicembre. I riscontri delle prime ore suggeriscono che la mobilitazione dei forconi, almeno per quanto riguarda la Sicilia, risulta depotenziata rispetto a due anni fa. Difatti, la protesta si è per lo più limitata a presidi e volantinaggi e i blocchi sono stati pochi. In altre città della penisola le mobilitazioni hanno assunto delle forme più ampie e radicali, come ad esempio a Torino, dove si sono registrati blocchi in centro e nelle stazioni ferroviarie, e scontri fra i manifestanti e polizia nei pressi della sede di Equitalia e del palazzo della Regione. Nelle diverse regioni si sono visti episodi anche di segno diverso: in Puglia e in Sicilia si segnalano azioni di squadracce (sottoproletari, ultras, fascisti) che hanno dato vita ad azioni teppistiche ma anche ad aggressioni agli immigrati e cori omofobi. Più o meno in tutte le piazze ha sventolato soprattutto la bandiera italiana.
Causa principale dello smorzamento della protesta in Sicilia è da ricercare principalmente nel dietrofront con cui, all'immediata vigilia della protesta, le associazioni degli autotrasportatori siciliani A.i.a.s. e Forza d'Urto hanno ritirato l'adesione alla protesta (1) in seguito a un accordo ai tavoli istituzionali, rinunciando alla tanto sbandierata “rivoluzione”. Una “rivoluzione” che da mesi veniva propagandata sul web, e che – come tutte le sedicenti “rivoluzioni” piccolo borghesi - si è arenata sui tavoli della concertazione (2). A questa pesante defezione degli autotrasportatori, si è aggiunta la minaccia di pugno duro da parte delle istituzioni. Su ordine dall'alto, le prefetture di diverse città siciliane hanno firmato un paio di giorni fa delle ordinanze che vietano presidi e blocchi nelle zone nevralgiche delle città e delle reti stradali urbane ed extraurbane. Anche questo elemento, nonostante l'ostentata sicurezza di Mariano Ferro (“non ci faremo intimidire”), uno dei leder dei forconi, ha contribuito probabilmente a trasformare la prevista ondata di blocchi selvaggi, salvo poche eccezioni, in una serie di iniziative “pacifiche”. Un po' diverso, come detto, il quadro in altre regioni.
Causa principale dello smorzamento della protesta in Sicilia è da ricercare principalmente nel dietrofront con cui, all'immediata vigilia della protesta, le associazioni degli autotrasportatori siciliani A.i.a.s. e Forza d'Urto hanno ritirato l'adesione alla protesta (1) in seguito a un accordo ai tavoli istituzionali, rinunciando alla tanto sbandierata “rivoluzione”. Una “rivoluzione” che da mesi veniva propagandata sul web, e che – come tutte le sedicenti “rivoluzioni” piccolo borghesi - si è arenata sui tavoli della concertazione (2). A questa pesante defezione degli autotrasportatori, si è aggiunta la minaccia di pugno duro da parte delle istituzioni. Su ordine dall'alto, le prefetture di diverse città siciliane hanno firmato un paio di giorni fa delle ordinanze che vietano presidi e blocchi nelle zone nevralgiche delle città e delle reti stradali urbane ed extraurbane. Anche questo elemento, nonostante l'ostentata sicurezza di Mariano Ferro (“non ci faremo intimidire”), uno dei leder dei forconi, ha contribuito probabilmente a trasformare la prevista ondata di blocchi selvaggi, salvo poche eccezioni, in una serie di iniziative “pacifiche”. Un po' diverso, come detto, il quadro in altre regioni.
Le ragioni delle proteste
La mobilitazione dei forconi (cui si uniscono, formando composizioni diverse a seconda delle aree geografiche, anche autotrasportatori, ambulanti, tassisti, pastori, negozianti) esprime principalmente il malessere della piccola borghesia impoverita dalla crisi del sistema capitalista, una crisi che il padronato scarica sulle spalle delle classi subalterne e che ogni giorno che passa fa sentire sempre più forte il proprio peso.
La mobilitazione dei forconi (cui si uniscono, formando composizioni diverse a seconda delle aree geografiche, anche autotrasportatori, ambulanti, tassisti, pastori, negozianti) esprime principalmente il malessere della piccola borghesia impoverita dalla crisi del sistema capitalista, una crisi che il padronato scarica sulle spalle delle classi subalterne e che ogni giorno che passa fa sentire sempre più forte il proprio peso.
Tanto più in Sicilia, regione economicamente depressa e ulteriormente stritolata in queste anni dalle politiche di rapina sociale portate avanti dai governi nazionali di tutti i colori, con la complicità delle classi dirigenti locali, sempre più strette in un abbraccio mortale con ambienti del malaffare e di mafia (eclatanti le vicende che hanno riguardato gli ultimi presidenti della regione), nel quadro di dinamiche sociali dove il clientelismo e il familismo costituiscono la norma. Ogni settore dell'economia siciliana, dall'agricoltura alla pesca e alla piccola impresa, è stato colpito pesantemente sull'altare dei grandi interessi padronali, mentre si allarga la fascia dei disoccupati e delle persone che vivono oltre la soglia della povertà, e si estende il malessere dei commercianti, dei precari del settore privato come del pubblico (si pensi ad esempio agli effetti devastanti delle controriforme della scuola sul precariato siciliano), degli operai (la Fiat e i Cantieri navali di Palermo sono solo due fra le situazioni più note), e degli studenti, che negli ultimi mesi si sono dimostrati il settore più combattivo nelle piazze siciliane, dove non sono mancati gli scontri, anche pesanti, con le forze dell'ordine. Senza trascurare la situazione di grave sofferenza vissuta dai migranti, spesso additati come capri espiatori dalle forze populiste e xenofobe (sostenute più o meno direttamente dalla stampa di sistema), che in diverse parti della regione, a partire da Caltanissetta e Mineo, hanno fatto esplodere ripetutamente la loro legittima protesta contro l'ipocrisia istituzionale. Non è un caso insomma se la mobilitazione dei Forconi ha nella Sicilia la sua culla.
Le mobilitazioni – di due anni fa come di oggi - di settori popolari proletarizzati e di fasce sottoproletarie a rimorchio dei padroncini dell'autotrasporto e dei forconi sono il risultato della diffusa esasperazione rispetto alle politiche neoliberiste. Questa esasperazione si traduce in una reazione confusa nei confronti di quelli che vengono percepiti come i responsabili dell'impoverimento delle masse popolari, in primis la “casta” politica.
Le mobilitazioni – di due anni fa come di oggi - di settori popolari proletarizzati e di fasce sottoproletarie a rimorchio dei padroncini dell'autotrasporto e dei forconi sono il risultato della diffusa esasperazione rispetto alle politiche neoliberiste. Questa esasperazione si traduce in una reazione confusa nei confronti di quelli che vengono percepiti come i responsabili dell'impoverimento delle masse popolari, in primis la “casta” politica.
Le rivendicazioni e le forze in campo
Le rivendicazioni delle forze mobilitate sono evidentemente rivendicazioni di natura piccolo borghese. Non si mette in discussione il sistema, anzi, a scanso di equivoci Ferro dichiara alla stampa di essere “rispettoso delle istituzioni”, ma ci si limita a lamentarsi dei – naturali – effetti perversi del sistema stesso (carovita, aumento dei prezzi della benzina e della pressione fiscale, crollo dei commerci, restringimento dell'erogazione del credito da parte delle banche), chiedendo a coloro che lo gestiscono, cioè i politicanti dei vari schieramenti, di trovare una "soluzione" oppure di “dimettersi” (per poi fare cosa?)! Il tutto a partire da logiche chiaramente corporative, prive di una dimensione di classe, che spiegano come mai i forconi e le altre forze in agitazione non abbiano mai supportato gli altri settori popolari (dagli studenti agli operai) che negli ultimi anni si sono mobilitati in difesa del lavoro e dei diritti, o nell'ottica di una critica radicale al sistema.
Si chiede “la difesa della Costituzione democratica”, che legalizza lo sfruttamento capitalista e il lavoro salariato, si riconoscono le ragioni del Viminale, e si fa affidamento sulle forze dell'ordine per reprimere eventuali “infiltrati” (3).
La vaghezza delle rivendicazioni, e il fatto che queste non mettono realmente in discussione il sistema (si rivendica ad esempio un più facile accesso al credito, non certo la nazionalizzazione delle banche senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori), ha reso l'appello dei forconi appetibile ad altre forze qualunquiste e anche a gruppi neofascisti, come ad esempio Forza nuova e Casa pound, che sui loro siti web si sono premurati a dichiarare la propria adesione alle mobilitazioni invitando la gente che si definisce orgogliosamente "italiana" a scendere in piazza coi forconi e a "sventolare la bandiera della Rivoluzione" lasciando a casa "i simboli di partito" (4).
I fascisti alla testa dei forconi?
Ovviamente non si può sostenere che piccoli gruppi di estrema destra possano essere oggi alla testa di mobilitazioni di simili proporzioni, e in tal senso risultano strumentali i proclami sdegnati di alcuni settori della borghesia pseudoprogressista che – preoccupati da ogni mobilitazione popolare che in un modo o in un altro metta in discussione, anche solo nel loro immaginario, il loro progetto di “pacificazione” sociale – hanno applicato semplicisticamente ai forconi l'etichetta di “fascisti”, demonizzando conseguentemente tutti i soggetti che aderiscono alle mobilitazioni in atto. Accusa tanto più ridicola se si considera che la borghesia apparentemente “antifascista” è la stessa che, come storia insegna, quotidianamente chiude un occhio o addirittura cerca sponda sul fascismo stesso, arrivando persino a sostenersi su di esso nei momenti di maggiore difficoltà.
E' vero tuttavia che, come detto in precedenza, le forze che dirigono al momento questa mobilitazione sono forze conservatrici e reazionarie, e che i gruppi dell'estrema destra neofascista – attraverso parole d'ordine populiste, contro l'Ue, contro le banche, contro i migranti – provano a capitalizzare a proprio vantaggio le manifestazioni di malcontento popolare, tanto più all'interno di grandi mobilitazioni come può essere quella dei forconi, tentando – anche se nell'immediato sembrano non averne la forza – di guadagnarne la direzione.
Così come ci ricorda del resto l'esperienza storica degli anni Venti in Italia quando, sullo sfondo di una grave crisi del sistema capitalista e, conseguentemente, del sistema politico democratico-borghese, i fascisti riuscirono a egemonizzare la piccola borghesia impoverita e persino vasti settori del movimento operaio, dopo averne smantellato le organizzazioni politiche e sindacali di riferimento, operazione che fu resa possibile dall'assenza di un partito rivoluzionario in Italia e dalle politiche fallimentari della socialdemocrazia e dello stalinismo. In un periodo di grave crisi economica e di diffuso malcontento popolare, le forze neofasciste oggi guadagnano coraggio e provano ad alzare la testa, confortati e stimolati dai risultati che in altri Paesi stanno ottenendo i loro gemelli (ad esempio i neonazisti di Alba dorata in Grecia) .
L'incancrenirsi della crisi di sistema e l'inevitabile acuirsi della sfiducia verso la “politica” (borghese) implica ovviamente il rischio, anche alle nostre latitudini, di uno sviluppo delle forze neofasciste e di un allargamento della loro egemonia sulla masse impoverite e disorientate, sia nell'ambito della piccola borghesia che del sottoproletariato, e persino della classe operaia. E questo rischio è acuito dall'assenza di una direzione rivoluzionaria e dal ruolo nefasto che le burocrazie sindacali (Cgil in primis) e politiche (dal Prc a Sel) continuano a svolgere, contribuendo in maniera determinante al soffocamento del conflitto antisistema e all'ottenebramento delle coscienze.
Ovviamente non si può sostenere che piccoli gruppi di estrema destra possano essere oggi alla testa di mobilitazioni di simili proporzioni, e in tal senso risultano strumentali i proclami sdegnati di alcuni settori della borghesia pseudoprogressista che – preoccupati da ogni mobilitazione popolare che in un modo o in un altro metta in discussione, anche solo nel loro immaginario, il loro progetto di “pacificazione” sociale – hanno applicato semplicisticamente ai forconi l'etichetta di “fascisti”, demonizzando conseguentemente tutti i soggetti che aderiscono alle mobilitazioni in atto. Accusa tanto più ridicola se si considera che la borghesia apparentemente “antifascista” è la stessa che, come storia insegna, quotidianamente chiude un occhio o addirittura cerca sponda sul fascismo stesso, arrivando persino a sostenersi su di esso nei momenti di maggiore difficoltà.
E' vero tuttavia che, come detto in precedenza, le forze che dirigono al momento questa mobilitazione sono forze conservatrici e reazionarie, e che i gruppi dell'estrema destra neofascista – attraverso parole d'ordine populiste, contro l'Ue, contro le banche, contro i migranti – provano a capitalizzare a proprio vantaggio le manifestazioni di malcontento popolare, tanto più all'interno di grandi mobilitazioni come può essere quella dei forconi, tentando – anche se nell'immediato sembrano non averne la forza – di guadagnarne la direzione.
Così come ci ricorda del resto l'esperienza storica degli anni Venti in Italia quando, sullo sfondo di una grave crisi del sistema capitalista e, conseguentemente, del sistema politico democratico-borghese, i fascisti riuscirono a egemonizzare la piccola borghesia impoverita e persino vasti settori del movimento operaio, dopo averne smantellato le organizzazioni politiche e sindacali di riferimento, operazione che fu resa possibile dall'assenza di un partito rivoluzionario in Italia e dalle politiche fallimentari della socialdemocrazia e dello stalinismo. In un periodo di grave crisi economica e di diffuso malcontento popolare, le forze neofasciste oggi guadagnano coraggio e provano ad alzare la testa, confortati e stimolati dai risultati che in altri Paesi stanno ottenendo i loro gemelli (ad esempio i neonazisti di Alba dorata in Grecia) .
L'incancrenirsi della crisi di sistema e l'inevitabile acuirsi della sfiducia verso la “politica” (borghese) implica ovviamente il rischio, anche alle nostre latitudini, di uno sviluppo delle forze neofasciste e di un allargamento della loro egemonia sulla masse impoverite e disorientate, sia nell'ambito della piccola borghesia che del sottoproletariato, e persino della classe operaia. E questo rischio è acuito dall'assenza di una direzione rivoluzionaria e dal ruolo nefasto che le burocrazie sindacali (Cgil in primis) e politiche (dal Prc a Sel) continuano a svolgere, contribuendo in maniera determinante al soffocamento del conflitto antisistema e all'ottenebramento delle coscienze.
A ciò si aggiunge la tendenza settaria e autoreferenziale di alcune delle direzioni della sinistra di classe, sindacale e politica: una tendenza che ostacola l'unificazione delle lotte (e che il coordinamento No Austerity, a cui anche il Pdac aderisce, cerca di contrastare, cercando di far convergere in un fronte unico di lotta le varie esperienze di lotta). Quanto più è assente una risposta a sinistra, tanto è più facile che a capitalizzare il malessere sociale siano le destre.
L'ipocrisia istituzionale e delle forze riformiste
Il movimento dei forconi risulta insomma caratterizzato da profonde contraddizioni, e siamo noi i primi a sottolinearne la natura sostanzialmente conservatrice-reazionaria e la presenza all'interno di esso di componenti neofasciste come di caporioni gravitanti attorno ad ambienti mafiosi (mafiosità che tuttavia la brava borghesia “antimafia” attacca solo quando le fa comodo). Ciò non toglie che la mobilitazione dei forconi, coi suoi enormi limiti, esprime oltre a tutto questo anche l'esasperazione di tanti giovani, precari, disoccupati, e che a questa esasperazione non si può rispondere in maniera semplicistica.
Ci dissociamo pertanto dall'ipocrisia istituzionale, e dal coro dei benpensanti che hanno lamentato, in passato come oggi, il metodo dei blocchi e, in generale, l'uso della forza da parte dei forconi, coi disagi che inevitabilmente ciò ha creato. Laddove noi pensiamo al contrario che l'errore non consista nell'utilizzo della forza come strumento di lotta, quanto negli obiettivi che si intende perseguire attraverso quel mezzo, che nel caso dei forconi sono la subordinazione degli interessi delle masse oppresse a quelle di corporazioni, padroncini, leader trasformisti in cerca di visibilità, obiettivi rispetto ai quali si è pronti al compromesso con governi locali e nazionali.
Ci dissociamo anche dalla critica semplicistica operata dalle forze riformiste e centriste, funzionale unicamente alla loro volontà di continuare nell'inerzia e a ingraziarsi il favore della borghesia. Preoccupate unicamente dal fatto di non essere alla testa delle mobilitazioni, queste forze politiche rimuovono le loro responsabilità in questa situazione di diffuso disorientamento, che rischia di alimentare rigurgiti neofascisti.
Il movimento dei forconi risulta insomma caratterizzato da profonde contraddizioni, e siamo noi i primi a sottolinearne la natura sostanzialmente conservatrice-reazionaria e la presenza all'interno di esso di componenti neofasciste come di caporioni gravitanti attorno ad ambienti mafiosi (mafiosità che tuttavia la brava borghesia “antimafia” attacca solo quando le fa comodo). Ciò non toglie che la mobilitazione dei forconi, coi suoi enormi limiti, esprime oltre a tutto questo anche l'esasperazione di tanti giovani, precari, disoccupati, e che a questa esasperazione non si può rispondere in maniera semplicistica.
Ci dissociamo pertanto dall'ipocrisia istituzionale, e dal coro dei benpensanti che hanno lamentato, in passato come oggi, il metodo dei blocchi e, in generale, l'uso della forza da parte dei forconi, coi disagi che inevitabilmente ciò ha creato. Laddove noi pensiamo al contrario che l'errore non consista nell'utilizzo della forza come strumento di lotta, quanto negli obiettivi che si intende perseguire attraverso quel mezzo, che nel caso dei forconi sono la subordinazione degli interessi delle masse oppresse a quelle di corporazioni, padroncini, leader trasformisti in cerca di visibilità, obiettivi rispetto ai quali si è pronti al compromesso con governi locali e nazionali.
Ci dissociamo anche dalla critica semplicistica operata dalle forze riformiste e centriste, funzionale unicamente alla loro volontà di continuare nell'inerzia e a ingraziarsi il favore della borghesia. Preoccupate unicamente dal fatto di non essere alla testa delle mobilitazioni, queste forze politiche rimuovono le loro responsabilità in questa situazione di diffuso disorientamento, che rischia di alimentare rigurgiti neofascisti.
La proposta rivoluzionaria
Il compito di una forza rivoluzionaria è di smascherare le direzioni populiste del movimento, così come i tentativi dei fascisti di inserirsi all'interno di quelle contraddizioni, e di avanzare nel contempo la necessità dell'unione delle lotte, a qualsiasi latitudine e longitudine e in contrasto a ogni ipotesi autonomista, contro i governi borghesi di ogni colore. Sulla base di un programma di classe che, attraverso rivendicazioni transitorie, riesca ad avanzare il livello di coscienza dei settori popolari mobilitati per condurli alla consapevolezza della necessità dell'abbattimento del sistema capitalista. Nazionalizzare le autostrade, le banche, le industrie, difendere il lavoro attraverso l'occupazione e la gestione operaia delle fabbriche, per impedire i licenziamenti. Queste sono le parole d'ordine che vanno avanzate, per guadagnare alla lotta di classe anche i settori impoveriti delle “classi medie”, indicando loro in tal modo l'unica via d'uscita dalla crisi. Una via che passa attraverso la realizzazione di un fronte unico di lotta anticapitalista e la costruzione di comitati che promuovano la gestione democratica delle lotte, strappandole alle direzioni opportuniste, attorno a un programma che colleghi le rivendicazioni immediate dei lavoratori e della popolazione povera al progetto di costruzione di un'alternativa di sistema.
Per potere realizzare tutto questo è sempre più urgente la costruzione di un'organizzazione rivoluzionaria internazionale che colleghi le lotte del proletariato di tutti i Paesi intorno all'obiettivo della presa del potere politico e dell'abbattimento del capitalismo. E' il lavoro che la Lit e il Pdac (che della Lit è sezione italiana) stanno svolgendo con grande impegno in ogni parte del mondo e che, nonostante lo sviluppo ancora embrionale e insufficiente rispetto alla portata della guerra sociale in corso, sta conoscendo importanti sviluppi.
Note
(1) http://www.gds.it/gds/sezioni/cronache/dettaglio/articolo/gdsid/306848/
(2) Ancora più risibile il dietrofront di Forza d'Urto, associazione autodefinitasi “apartitica” e “apolitica”, se si considera il comportamento ambiguo da essa tenuto in questi mesi. Sul suo sito si può leggere una lettera dello scorso luglio in cui il presidente del comitato Forza d'Urto Carmelo Lampuri comunica ai ministri dell'interno e dei trasporti l'adesione al fermo dei trasporti proclamato dall'Aias per l'8 dicembre, così come una lettera del 29 novembre in cui attacca le persone che si svendono “per un pugno di dollari”, in evidente polemica con alcune associazioni che in seguito a un incontro istituzionale avvenuto il giorno prima avevano deciso di revocare il fermo in cambio di “poltrone e soldini”. Stessa cosa poi fatta da Forza d'Urto nei giorni scorsi (!), senza che si dia analoga pubblicizzazione sul sito della revoca dell'adesione al fermo dei trasporti! http://www.forzadurto.org/fn/index.php?mod=01_News
(3) http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12/09/sciopero-forconi-presidi-in-tutta-italia-fermiamo-il-paese/806612/
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12/07/forconi-blocchi-stradali-in-tutta-italia-siamo-disposti-a-farci-arrestare/804392/
(4) http://www.forzanuova.org/comunicati/fn-aderiremo-alla-rivolta-dell-immacolata ;http://www.casapounditalia.org/2013/12/casapound-italia-su-sciopero-e.html .
(2) Ancora più risibile il dietrofront di Forza d'Urto, associazione autodefinitasi “apartitica” e “apolitica”, se si considera il comportamento ambiguo da essa tenuto in questi mesi. Sul suo sito si può leggere una lettera dello scorso luglio in cui il presidente del comitato Forza d'Urto Carmelo Lampuri comunica ai ministri dell'interno e dei trasporti l'adesione al fermo dei trasporti proclamato dall'Aias per l'8 dicembre, così come una lettera del 29 novembre in cui attacca le persone che si svendono “per un pugno di dollari”, in evidente polemica con alcune associazioni che in seguito a un incontro istituzionale avvenuto il giorno prima avevano deciso di revocare il fermo in cambio di “poltrone e soldini”. Stessa cosa poi fatta da Forza d'Urto nei giorni scorsi (!), senza che si dia analoga pubblicizzazione sul sito della revoca dell'adesione al fermo dei trasporti! http://www.forzadurto.org/fn/index.php?mod=01_News
(3) http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12/09/sciopero-forconi-presidi-in-tutta-italia-fermiamo-il-paese/806612/
http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/12/07/forconi-blocchi-stradali-in-tutta-italia-siamo-disposti-a-farci-arrestare/804392/
(4) http://www.forzanuova.org/comunicati/fn-aderiremo-alla-rivolta-dell-immacolata ;http://www.casapounditalia.org/2013/12/casapound-italia-su-sciopero-e.html .
lunedì 9 dicembre 2013
Anagni. Assemblea pubblica sull'ospedale
IL COMITATO SALVIAMO L’OSPEDALE DI ANAGNI
E’ convocata l’assemblea dei cittadini per discutere della situazione dell’Ospedale Civile di Anagni ad
un anno dalla chiusura, provvisoria, dei reparti di degenza. L’assemblea si
terrà nella sala parrocchiale della Cattedrale di Anagni in piazza Innocenzo
III dalle ore 17.30 di venerdì p.v. 13
dicembre 2013.
Ancora una volta i cittadini sono chiamati a mobilitarsi per difendere
una struttura, come l’ospedale, servizio primario per Anagni e il nord della
Ciociaria, in un momento in cui la città dei papi non ha alcuna rilevanza né
rappresentanza politica. Tutti dobbiamo essere consapevoli che siamo alla
vigilia di un momento determinante per la difesa dell’Ospedale di Anagni. Il prossimo mese, a
gennaio del nuovo anno, è prevista infatti l’udienza di merito al TAR del Lazio
per il ricorso presentato dal Comitato contro
i decreti di chiusura di Anagni Polverini-Fiorito e attuato dai loro inetti e
rissosi manutengoli dell’azienda ASL di Frosinone.
E’ bastato meno di un anno per verificare il danno causato ai cittadini
ciociari dal provvedimento Polverini-Fiorito che non ha portato neanche un centesimo di risparmio alle casse ASL, ha
peggiorato drammaticamente la situazione dei servizi sanitari provinciali e
causato la grande fuga dei pazienti, con un aumento esponenziale della
mobilità passiva a tutto vantaggio della
sanità romana, a cui i cittadini ciociari tributano ogni anno milioni di euro
per curarsi decentemente.
Lo ripetiamo ancora: dopo la chiusura di sette ospedali e ad un anno di
distanza dalla chiusura, provvisoria, dell’Ospedale di Anagni, si dimostra in maniera tragica
l’inadeguatezza dell’Ospedale nuovo di Frosinone che, oltre al caos
organizzativo aziendale, sconta l’insufficiente dimensionamento degli spazi che
dovrebbero ospitare un’utenza moltiplicata per sette, proveniente dall’intera
provincia, ma in maniera preponderante dalla zona nord di Anagni e del
comprensorio dei monti Ernici, con tutto quello che ne consegue in termini di
perdita di vite umane per la mancanza di tempestività nei soccorsi. Non possono
essere i tribunali amministrativi a decidere sulla salute dei cittadini. E’
invece necessario e urgente riaprire l’Ospedale di Anagni, puntando sul
potenziamento del Pronto soccorso e la disponibilità di posti letto a servizio
del reparto di medicina e dei reparti chirurgici.
Facciamo appello a tutti i cittadini, soprattutto ai sindaci della zona
nord della nostra provincia e ai rappresentanti politici del territorio,
affinché partecipino all’assemblea di venerdì per organizzare insieme tutte le
forme di protesta necessarie a richiamare l’attenzione degli attuali governanti
della Regione Lazio, concentrati soprattutto sui problemi della metropoli di
Roma, su un territorio, il nostro, martoriato dalla crisi economica,
dall’emergenza ambientale e da servizi sanitari da quarto mondo.
domenica 8 dicembre 2013
Agricoltura, nazionalismo e nuova destra. Una lettura anticipatoria del 9 dicembre
Marco Letizia fonte :http://www.contropiano.org/
Leggere la realtà è un dovere per ogni militante politico. Soprattutto per chi si pone il problema del rivoluzionamento sociale come compito pratico, non solo utopia vagheggiata.
Ogni lettura presupponebuona vista, o almeno occhiali efficienti. Il che riapre una questione che sembrava sommersa: con quali strumenti si analizza la realtà. C'è chi si accontenta dell'"analisi dei comportamenti", frettolosamente elevati a "pratiche". C'è chi si interroga pensosamente sull'"analisi di classe", ripercorrendo senza accorgersene i sentieri della sociologia, col rischio di perdere di vista le "strutture profonde" che sollecitano in superficie i comportamenti, le reazioni sociali, i malesseri, i bisogni (che naturalmente fanno "muovere" molta gente, rispondendo a input o voci molto diverse).
Rivoluzionare il mondo impone guardare ai processi di trasformazione, tenendo nel dovuto conto le autopercezioni e le autorappresentazioni (il farsi a tentoni della "soggettività") come dati problematici e ondivaghi, non come "punti fermi" in qualche modo rappresentativi dell'essenza di "nuovi soggetti". Su questo fronte, quanto ad errori enormi, come movimento di questo paese, "abbiamo già dato" e non crediamo che sia utile per nessuno tornare a battere certi viottoli.
I numerosi interrogativi, e i meno frequenti ed interessanti "equivoci", sull'annunciata "rivoluzione del 9 dicembre" (ora improvvisamente sgonfiatasi dopo la defezione dei "sindacati" degli autotrasportatori), hanno sollecitato diverse riflessioni. In alcuni casi interessanti. Qui proponiamo intanto quella di Marco Letizia, del Teatro Pinelli Occupato di Messina (e prima ancora nella Rete "No Ponte"). Scritto prima che gli autotrasportatori annunciassero la propria defezione dalla "mobilitazione".
*****
No destra, no sinistra, no centro , no altro...
no sindacati, SOLO CITTADINI ITALIANI...
No violenza , no provocazioni ..
rispetto dell'ordine costituito e difesa della NOSTRA COSTITUZIONE..
W L'ITALIA E CHE DIO CI BENEDICA!!
(Danilo Calvani, C.R.A. e Dignità Sociale)
E' fatto divieto assoluto a tutti i partecipanti
di fare qualsiasi riferimento a fatti,
personaggi ed epoche appartenenti al passato.
La nostra è una Rivoluzione unica nella Storia
e ciò che costruiremo non è mai stato realizzato
da alcun Popolo nella Storia della nostra Civiltà.
Siamo qui, oggi, in questo momento, qui ed ora,
SIAMO IL POPOLO ITALIANO E VOGLIAMO
LA LIBERTA', VERA E DEFINITIVA!!!
(dalle “Istruzioni ai partecipanti alla protesta”)
La manifestazione del 9 dicembre, annunciata da tutta una serie di sigle di associazioni autonome del mondo dell’imprenditoria agricola come I Forconi, impone una riflessione a tutti coloro i quali sono impegnati giornalmente nello smascheramento del populismo nazionalista, palude politica nella quale sguazzano da sempre tutte le neo-destre che non riescono, sul piano semplice della riproposizione del ventennio fascista, a ottenere consensi.
I piani d’analisi, a mio avviso, sono due: il primo è quello economico-strutturale, l’altro quello ideologico e rivendicativo. La tesi, che sostengo qui soltanto apoditticamente, è che attraverso la manifestazione del 9, promossa da un coordinamento nazionale di soggetti della corporazione padronale abbandonata dal capitalismo finanziario (agricoltura e trasporti soprattutto), si stia preparando, volontariamente o meno, uno spazio politico che può benissimo favorire una narrazione di destra e “dal basso” della crisi economica attuale, non solo per mezzo dell’azione di un apparato ideologicamente organico come quello dei partiti neo-fascisti, ma attraverso la congiunzione caotica di più pulsioni revansciste che radicano le proprie rivendicazioni sia nel terreno delle piccole patrie, sia sul piano della sovranità nazionale tradita dalla casta e sottrattaci dall’Europa delle banche.
Esperimento già in corso in numerosi paesi, quello del trattamento populista destrofilo della crisi economica è uno degli spettri più inquietanti che aleggia sullo spazio Europeo. La Grecia con Alba Dorata è l’esempio più evidente del rischio che oggi corre l’intera Europa. Anche la Francia in questo momento esprime una vocazione maggioritaria del partito di Marine Le Pen mentre la Svezia e l’Ungheria sono governate da due formazioni già ideologicamente prossime alla destra estrema. In Italia, il rischio di una recrudescenza ideologica è molto forte. Già decisamente connotato dal qualunquismo, lo spazio politico italiano rischia una deriva neonazionalista che, facendo leva sulle pulsioni anti-europee e anti-Euro, già fomentate populisticamente da Grillo, potrebbe creare le condizioni affinché vengano riesumate e portate all’estremo, più di quanto è già stato fatto in questi vent’anni, una serie di formazioni discorsive che esprimono una caratterizzazione identitario-biologica dell’appartenenza alla nazione con ovvie conseguenze xenofobiche e razziste.
Le ragioni economico-strutturali.
Nel primo livello, il tutto sembra abbastanza chiaro: la mobilitazione del mondo imprenditoriale agricolo e del settore dei trasporti gommati, dimostra quanto la rappresentanza politica, quasi a tutti i livelli, sia solo un lontano ricordo. Questa analisi venne fuori anche durante la mobilitazione de I Forconi ed è perfettamente espressa in un intervento di Gino Sturniolo, che in quel gennaio 2012 scrisse: “I forconi sono la manifestazione visibile della crisi della rappresentanza. Si collocano su un terreno che è, allo stesso tempo, politico, sindacale, sociale e non riconoscono le espressioni rappresentative pre-esistenti. Mescolano dinamiche di movimento territoriale e corporativismo sindacale. Sono utilitaristici. Aprono uno spazio. Nella loro contraddittorietà, nella loro ambiguità, esprimono un “que se vayan todos” primitivo, requisito indispensabile per potere sperare in un futuro migliore dal deserto cui sembra essere destinato il meridione”.
(La Sicilia come Oackland, http://www.democraziakmzero.org/2012/01/25/la-sicilia-come-oakland/)
Le associazioni come i Forconi, il C.R.A, Dignità Sociale, tutte sigle promotrici del 9 dicembre, se ne escludiamo la vocazione burocratico-gerarchica tipica proprio delle organizzazioni che contestano (partiti-sindacati in primis), nascono formalmente con uno spirito “anti-istituzionale” (ma non anti-statuale), in quanto sono l’espressione del totale distacco tra il piano dell’accumulazione capitalistica (quello finanziario-speculativo), e quello della cosiddetta “economia reale”, della quale questi soggetti fanno sicuramente parte. La rabbia degli imprenditori in difficoltà è salita alla ribalta soprattutto con la narrazione dei suicidi di proprietari di aziende in crisi, non più in grado di portare avanti l’attività economica ormai oberata dai debiti.
Questo proprio a causa dell’attività speculativa e spietata del mondo finanziario che, non producendo più profitti di breve periodo negli investimenti alle imprese, e trovandosi in un periodo in cui la produzione complessiva si abbassa e la liquidità scarseggia, applicano il cosiddetto credit crunch, cioè chiudono i rubinetti a favore delle imprese già in evidente stato di difficoltà economica, aprendo nei loro confronti anche procedimenti di pignoramento dei beni nel caso di insolvenza, e orientano la propria attività solo sul versante finanziario e specie sull’acquisto dei titoli di stato sostenuto economicamente dalla BCE.
Secondo la lettura della maggior parte di questi movimenti (compreso Grillo) il conflitto politico-economico sta all’interno dello spazio dialettico tra finanza ed economia reale: o almeno sta all’interno di una percezione condivisa da molti secondo cui questi due siano mondi separati, dei quali uno è buono (quello “reale”) e uno e cattivo (la finanza). E’ la teoria più volte sentita di un “capitalismo etico”, o dal “volto umano”. Una riproposizione della società solida già condannata alla rovina da Bauman. Secondo questo approccio, basterebbe sottrarre il potere alla finanza riconsegnando al popolo la propria sovranità nazionale e monetaria grazie ad un governo non corrotto e composto da gente onesta.
Il capitalismo, insomma, non fa vittime solo a “sinistra” (cioè tra i soggetti sempre inclusi nell’orizzonte politico della sinistra, come ad esempio “gli operai”, “i precari” ecc..) ma anche tra coloro i quali sono, tradizionalmente, la base sicura delle forze di destra estrema, liberale, centrista o “leghista” che in questi anni hanno fatto del sostegno alle partite iva uno degli assi centrali delle loro politiche. Un altro contributo simile a questo, di Dante Barontini, scrive più precisamente che la crisi, “colpisce anche settori clientelari, piccole rendite di posizione un tempo utilissime in chiave “anticomunista”, piccolissima imprenditoria (“padroncini”, ecc), imprese di subappalto, “uscieri della politica” locale, ecc. Strati sociali diversi, con interessi anche opposti, che reagiscono “ribellandosi” - similitudine nelle forme - per obiettivi radicalmente diversi”.
Il popolo delle partite Iva non è altro, infatti, che la forma concreta della nuova cittadinanza neoliberale che trova – come diceva Foucault in “La nascita della biopolitica” (Feltrinelli) – una sua compiuta definizione attraverso la trasformazione di qualsiasi agente sociale in un produttore di profitti, per cui anche il lavoratore salariato viene concepito come una sorta di impresa in sé: “L’homo œconomicus è piuttosto un imprenditore,un imprenditore di sé stesso” (M. Foucault, cit. p.186). Foucault è dell’idea che il gesto dei neoliberali sia stato quello secondo cui l’analisi economica ha ritrovato – rispetto all’individualismo borghese classico – “come elemento di base per le sue decifrazioni, non tanto l’individuo, non tanto dei processi o dei meccanismi, ma delle imprese” (cit.).
Oggi accade che pezzi sempre più consistenti di questa impresa in frantumi subiscano le recrudescenze della crisi economica, laddove, data l’ideologia dominante che fa delle imprese il motore della società, sarebbe dovuta essere l’asse portante dello sviluppo economico.
I soggetti che scenderanno in piazza il 9 dicembre, in questo senso, sono l’espressione più evidente del distacco avvenuto tra base e vertice della destra italiana: Mariano Ferro, leader del movimento dei Forconi, già candidato anche alle scorse elezioni regionali, era a suo tempo un sodale di Raffaele Lombardo, ex presidente della regione siciliana indagato oggi per mafia, e leader dell’MPA, partito che sosteneva l’idea dell’autonomia della regione siciliana.
Proprio sul tradimento di questo mandato, cioè sull’utilizzo solo retorico -strumentale dell’autonomia regionale da parte di Lombardo, si è consumato il primo strappo: Mariano Ferro e i suoi decidono di rendersi autonomi dalla politica istituzionale, seguendo l’esempio dei compagni sardi. Dunque dopo il Movimento dei Pastori Sardi”, arriva sulla scena politica quello de “I Forconi”. Dopo aver prodotto questo soggetto politico, è iniziata una battaglia che ha espresso subito una narrazione dichiaratamente “No Global”, ma già guidata dall’ideologia delle piccole patrie contro il far-west della globalizzazione: l’agricoltura siciliana, massacrata dalla concorrenza al ribasso, priva di finanziamenti, con le aziende al collasso economico e sotto procedure di fallimento e sfratto, con immobili ipotecati, colpita dai prodotti che vengono dall’Africa, dalla Cina, con un costo del lavoro troppo alto diventa il pretesto per riaffermare con più forza la necessità di una vera autonomia regionale che tuteli i produttori autoctoni contro l’invasione dei prodotti stranieri, contro le banche, contro il signoraggio, contro i tecnocrati della finanza, contro gli ascari ecc...L’innovazione di questa lotta non fu tanto sul piano delle rivendicazioni, ma su quello della populizzazione (cioè una estensione a tutto il popolo): queste rivendicazioni, insomma, venivano inserite in una narrazione che invitava l’intero popolo siciliano a ribellarsi. E diciamo che nelle “5 giornate di gennaio” il tentativo è riuscito. I Forconi, volontariamente o meno, hanno usato una strategia tipica della narrazione populista: hanno dovuto creare un popolo, al quale ascrivere i “propri” interessi, dando al tutto una forma astratta e generale che permettesse di utilizzare uno schema binario e dialettico di interpretazione: da un lato il popolo
sovrano espropriato, dall’altro la “casta degli ascari”.
Al di là della polemica sulla presenza presenza di mafiosi nelle file dei Forconi, è facile immaginare quante aziende, che hanno divorato risorse pubbliche finalizzate alla produzione agricola, abbiano potuto usare questa contingenza politica per rigenerare la propria immagine sociale. In passato, ad esempio, è stata una pratica nota presso i proprietari terrieri siciliani quella di contabilizzare giornate di lavoro agricolo a degli operai che mai lavorano, ma che hanno il vantaggio di poter chiedere la disoccupazione alla fine della “calata” (in siciliano si dice “mi calau i iurnati”). Questa pratica, però, crea a favore dell’impresa un vantaggio maggiore: maggiori uscite che si traducono in enormi vantaggi fiscali. Lungi dal dare un giudizio morale a questa pratica, della quale ne comprendo le ragioni storico-politiche, e non avendo prove tali da poter dire con sicurezza che anche aziende che fanno parte del movimento dei Forconi abbiano effettivamente utilizzato questa “finzione fiscale”, resta un dato strutturale: il mondo
dell’agricoltura siciliana, e non solo, è stato, in molti casi, luogo di una forte corruzione, sostenuta dall’alleanza tra partiti clientelari e proprietari terrieri.
Allora è facile capire che, una volta venuta meno quell’alleanza, o meglio una volta che le condizioni economiche imposte dall’austerità non hanno più permesso questa “finzione” decade anche l’immagine ideologica dell’impresa che regge la società. E decade ovviamente anche il consenso verso la politica.
Oggi scopriamo che l’impresa, lungi da essere quell’ente sovrano e autosufficiente che da stabilità e forza ad un sistema è una struttura vorace, debole che succhia continuamente risorse al sistema per autoriprodursi restituendo ai territori solo una parte di ciò che assorbe. Con questa affermazione non voglio occultare le difficoltà concrete che ogni giorno milioni di famiglie italiane, che traggono il proprio reddito da una piccola attività commerciale o imprenditoriale, si trovano ad affrontare. La tassazione elevata, l’impossibilità di accesso al credito, i consumi ridotti, il costo delle materie prime: per molte di queste piccole attività (al di là del fatto se siano oneste o meno) tirare avanti risulta sempre più difficile. Con questo ragionamento, però, semplicemente si sfata, laddove ce ne fosse ancora bisogno, un mito: un sistema a concorrenza perfetta mai è esistito e mai esisterà. E come diceva Rosa Luxembourg, il capitalismo può riprodursi con i propri mezzi solo finché vi sono terre da conquistare, perché con le sue briciole può costantemente placare i bisogni sociali che si esprimono con il conflitto. Quando si esaurisce il ciclo espansionistico, vi è il bisogno di sussidi provenienti da politiche non capitalistiche (cioè che tradiscono l’idea stessa del mercato che si autoregola attraverso la concorrenza) affinché il circuito economico possa essere riattivato. Oppure è necessaria una selezione: solo un’elite può praticare l’accumulazione monetaria, scaricando i costi di questa attività speculativa sull’intera società. Comprese le imprese.
Questa cosa la si vede meglio nelle grandi aziende, come la Fiat, che per anni ha usufruito di aiuti di stato.
Lo si vede nelle grandi opere, dove si annidano una manciata di grandi società speculative che, spesso, non eseguono nemmeno un lavoro a terra, subappaltando, ma che gestiscono intere fette di Pil nazionale.
Queste grandi corporation, sono i vincitori della lotta consumatasi anche all’interno del mondo capitalista. I piccoli padroni, sono stati eliminati dalla partita. Diciamo, in un senso ancora molto lato, che si sono “proletarizzati”. Oggi non servono più, in ragione di una serie di fattori per cui non risulta efficace investire su di loro. Oppure perché semplicemente il denaro si è spostato altrove e oggi, volenti o nolenti, i politici che avevano promesso i soliti sussidi alle imprese non possono far altro che alzare le braccia.
Infine, un’ultima annotazione: non è la prima volta che il mondo imprenditoriale italiano alza la voce nei confronti del potere politico. Ma perché, in questo caso, questa mobilitazione suscita un interesse maggiore?
Perché, nei fatti, questa componente sociale è in grado di attuare delle forme di lotta che incidono su uno dei punti nevralgici dello sfruttamento capitalistico: la circolazione delle merci. Come scriveva Sturniolo sulla protesta dei Forconi dei 2012, “Il movimento siciliano manifesta contropotere. Occupa le strade, gli snodi più importanti, e stabilisce un sistema regolamentare sulla circolazione. Intelligentemente impedisce il flusso delle merci e meno quello delle persone,
riducendo l’inconveniente storico dei blocchi stradali che risiede nell’inimicarsi i cittadini”.
Per questo potenziale intrinseco che questo movimento possiede di incrinare l’ordinario flusso del mercato, essendo spalleggiato da molti settori autonomi dell’autotrasporto, è necessario ancora di più addentrarsi dentro la narrazione che essi stanno proponendo al paese.
Il piano ideologico e rivendicativo. Le alleanze e il rischio di fascistizzazione del corpo sociale.
Quest’analisi economica, oltre ad essere antistorica, è l’impalcatura teorica minima di qualsiasi movimento di destra presente oggi nel grande spazio europeo. E’ vero che ogni formazione discorsiva radicale costruita da destra oggi non può presentarsi pura, ma deve tentar una ibridazione formale con alcuni temi evocati dalla parte avversa (quella dei movimenti sociali) e con tutta una serie di segni di riconoscimento collettivi, ma astratti dal loro significato storico, in grado da renderla compatibile con il potere costituito preso in quanto tale. Il riferimento alla Costituzione, ad esempio, è un paravento che serve ad un movimento che esprime contenuti di destra, e assai legati ad una concezione corporativa, per evitare di cadere nella contraddizione tra politiche dell’ordine e conflitto con l’ordine stesso stabilito dalla legge, presa anch’essa nella sua purezza, cioè come “fondamento mistico dell’autorità” (Montaigne, cit.)
A questo punto, è possibile iniziare a parlare del 9 dicembre, per mettere in luce come si sia evoluta questa narrazione neo-nazionalistica con suggestioni rurali e l’evocazione del tema sangue-terra. E soprattutto adesso potremo mettere in luce il rischio che questa congiuntura economico politica porta con sé.Partiamo dalla fine, o meglio da quella posizione che anticipa il compimento di un movimento strutturato su basi cosi esplicitamente populiste e patriottiche, molto pericolose perché presentate come neutrali, giuste e assolutamente normali:
“COSA VOGLIAMO Che l'attuale classe politica, presidente della repubblica compreso, istituzioni infiltrate dai partiti ladroni, si dimettano ed abbandonino le posizioni. Da quel momento vi sarà un periodo transitorio in cui lo stato sarà guidato da una commissione retta dalle forze
dell'ordine trascorso il quale si procederà a nuove votazioni.
Durante questo periodo di transizione verranno prese le seguenti misure di urgenza:
-ristampare la lira per finanziare senza creare debito la spesa produttiva statale
-rescissione di tutti i trattati che ci vincolano con l'europa delle banche
INSOMMA PER UNO STATO AL SERVIZIO DI TUTTI I CITTADINI E NON PER NOI MA PER TUTTI GLI ALTRI”
Queste appena citate sono le parole di Danilo Calvani, presidente del C.R.A. e di Dignità Sociale, uno dei tre leader della protesta insieme a Mariano Ferro, leader dei forconi e Lucio Cavegato, storico indipendentista veneto, e presidente dell’associazione LIFE - liberi imprenditori federalisti europei. Anche Mariano Ferro, pur se in un modo meno esplicito, riferisce lo stesso pensiero: “E' necessario mandare a casa un governo asservito ai potenti ed un parlamento di nominati, porre fine al far-west della globalizzazione, riprenderci la sovranità popolare e monetaria".In questo condensato di topos nazionalisti, c’è racchiuso il senso del pericolo che con questo scritto sto provando a sottolineare. Lo scollamento della tradizionale base sociale del capitalismo italiano (quella della piccola-media impresa) dalle strutture della rappresentanza politica, in un periodo di austerità e rabbia può diventare un mix letale per la democrazia di questo paese. Il revanscismo destroide di queste dichiarazioni, che invocano la dittatura dei colonnelli (commissione retta dalle forze dell’ordine) e la proclamazione dello stato d’eccezione dall’alto, fa eco alla sospensione dei diritti costituzionali della repubblica di Weimar messa in atto da Hitler all’atto della sua presa del potere.
Lungi dal voler dare giudizi complessivi sull’intero corpo sociale che parteciperà alla “rivoluzione” (per gli idioti: non sto dicendo che sono tutti nazisti), mi limito a constatare l’analogia tra la rivendicazione citata e l’atto giuridico-formale di istituzione del nazismo in Germania.
In aggiunta a tutto ciò possiamo dire che il tentativo di sedurre il corpo militare del paese non si arresta a questa dichiarazione. Il comitato di Cisterna ha organizzato il 6 dicembre un incontro con alcuni sindacati di polizia per dir loro “che l’obiettivo sarà quello di manifestare pacificamente per la Sicurezza della Repubblica Italiana, minacciata, secondo noi cittadini, dall'attuale sistema politico. Chiederemo loro, tutta la collaborazione per difendere la nostra Nazione, insieme rinnoveremo un giuramento di fedeltà alla Repubblica. Chiederemo l'applicazione della Costituzione Italiana per difendere i cittadini, ricordando l'Art. 4, nello specifico per la Sovranità Popolare”
Ma l’approccio sbirresco alla rivolta non si esaurisce qui. In ogni comunicato o intervento pubblico nessuno degli scriventi o dei parlanti dimentica di precisare che il movimento non tollererà atti di violenza, specialmente se compiuti ai danni delle forze dell’ordine o a qualsiasi bene pubblico e privato. Anzi per i colpevoli, vi sarà una denuncia direttamente dagli organizzatori del blocco, dopo averli “immobilizzati ed identificati”. Ora, nessun movimento può riuscire a bloccare un paese senza subire la repressione delle forze dell’ordine, laddove “l’ordine e la sicurezza pubblica vengano meno”.
Ad esempio nel caso di una reale assenza di derrate alimentari sui banchi dei supermercati, o dei carburanti alle stazioni di servizio. Se davvero la circolazione delle merci verrà bloccata per 5 giorni in tutto il paese, questo avrà ripercussioni molto dure in termini di approvvigionamenti alimentari, come accaduto in Sicilia con la protesta dei Forconi. E procurerà forti turbolenze anche a livello internazionale, bloccando di fatto anche il movimento merci provenienti dall’estero. A quel punto, potrebbe verificarsi una frizione tra il potere e il movimento. Cosa starebbe dietro alla tolleranza totale di questo fenomeno sarà il grande interrogativo alquale dovremo rispondere nel caso in cui gli esiti della mobilitazione fossero quelli sperati dal movimento.Soprattutto per capire fino a dove le forze dell’ordine, che in larghi settori sembrano attratte da questa mobilitazione contro-rivoluzionaria, si potranno spingere nel fiancheggiare i loro seduttori. Non sempre per manifestazioni di questo genere è andata allo stesso modo: i pastori sardi hanno subito più volte la repressione poliziesca, mentre i Forconi hanno bloccato senza nessuna tensione significativa con il corpo di polizia.
Se a queste ambiguità aggiungiamo il fatto che serpeggia, a dire il vero neanche in maniera tanto velata, un odio nazionalista contro gli immigrati, possiamo davvero chiudere il cerchio. Lucio Chiavegato, in un suo celebre post su facebook intitolato “Dopo aver visto...”, elenca tutta una serie di scandali del paese (politici corrotti, comunisti con gli yatch, violentatori di donne lasciati liberi, sindacati venduti al potere, ecc...), tra cui anche “zingari ladri difesi dalle alte cariche di stato, extracomunitari clandestini mantenuti nostre spese”, invitando tutti,
proprio perché tutto ciò l’abbiamo visto, a ribellarsi. (http://bastacasta.altervista.org/p7284/)
Dunque, tirando le somme: sovranità monetaria con il ritorno alla Lira, sovranità nazionale con il rifiuto di tutti i trattati europei, stato d’eccezione e dittatura delle forze dell’ordine per cacciare via i politici, e difesa dell’identità nazionale contro immigrati e zingari. Ci manca solo l’avvio del campo di concentramento per i dissidenti e abbiamo fatto quadrare il cerchio! Chiaramente è altamente improbabile che le cinque giornate di dicembre riescano in una tale impresa. Ma non è detto che la manifestazione possa attecchire in uno spazio più largo di quello che in questo momento è possibile aspettarsi. La populizzazione di interessi corporativi, facendo ricorso al facile discorso contro la casta, ben preparato da anni di qualunquismo militante, potrebbe incistare in un corpo sociale spoliticizzato e neutralizzato contenuti di facile prensilità cognitiva, già in larga parte diffusi da alcune narrazioni destroidi proposteci in questo ventennio di regressione culturale (Lega in primis). Il “ritorno alla terra” potrebbe essere in questo senso uno schianto delle forze della democrazia reale contro un nuovo nemico interno: una base sociale che regredisce su un terreno esplicitamente reazionario, che apre un varco enorme alle ideologizzazione neo-fascista della società, mascherata da forme di costruzione del discorso politico che si reggono sull’affermazione del popolo sovrano, preso nella sua astrattezza e neutralità.
Non a caso Forza Nuova ha immediatamente emesso un comunicato della propria direzione nazionale, aderendo formalmente alla “Rivolta dell’Immacolata” (come aveva tentato di fare anche nel caso dei soli Forconi): "Forza Nuova aderirà alla protesta dei lavoratori italiani che inizierà la notte dell' 8 dicembre e si protrarrà attraverso una serie di manifestazioni e di blocchi in tutta Italia. Sulla scia, infatti, di ciò che avvenne due anni fa in Sicilia e in tutto il centro-sud, agricoltori, autotrasportatori, commercianti, imprenditori e disoccupati scenderanno di nuovo in
piazza, a partire dall' 8 dicembre, con le loro specifiche rivendicazioni, e con alcune richieste fondamentali che saranno il comune denominatore di questa lotta: la sovranità monetaria, l' eliminazione delle accise sulla benzina e il blocco dei provvedimenti esecutivi di Equitalia [...] Sarà una protesta che esploderà con la sua veemenza interclassista, sociale, per la difesa della ricchezza, delle libertà e della dignità del popolo italiano, nello stesso momento in cui con incredibile noncuranza e cinismo, il Governo programma aumenti di tasse, benzina ed Imu, in attesa dell' ulteriore mazzata dei 50 miliardi previsti per il Fiscal Compact, approvato in modo univoco da tutto il Parlamento [...]. Forza Nuova chiede dunque a tutti i suoi dirigenti e militanti di partecipare attivamente allo sciopero generale che inizierà nella notte dell' 8 dicembre, dando supporto senza simboli di partito, ma da Italiani orgogliosi di sventolare la bandiera della Rivoluzione." Questa prateria sociale, già più volte inquinata con i semi cattivi del razzismo e della xenofobia e del patriottismo retrogrado, può diventare un terreno fertile per questo tipo di ideologie rabbiose e violente, cheattraverso schemi facili e l’individuazione dei nemici più deboli, può innescare un revanscismo su scala nazionale ancora più dannoso di quello prodotto dal populismo di Grillo.
L’idea di un blocco sociale interclassista e identitario è un’idea tipicamente populista, se non fascista. Come lo è l’idea dello stato d’eccezione e del governo dei militari. Questo contributo cattivo, che riprende lo schema narrativo della destra xenofoba e autoritaria, può germogliare nei mille rivoli di una società incancrenita e già fastiscizzata da numerosi punti di vista.
Ironia della sorte, la legittimazione di questo percorso politico arriva, nella sua forma più ideologicamente odiosa, proprio da un movimento che si dichiara di sinistra e che da tempo bazzica intorno a questo genere di mobilitazioni, ovvero il “Movimento Popolare di Liberazione”, organizzazione guidata dall’ “intellettuale” Moreno Pasquinelli, ex Campo Antimperialista.
Insieme all’associazione Socialismo Nazionale e al coordinamento Resistenza Italiana, Mpl è il volto sinistro della mobilitazione. In tutti e due i sensi: sinistro in quanto formalmente si adagia sulle ceneri del movimento operaio, cercandolo forzatamente in ogni dove, e sinistro nel senso dell’ambiguità della sua collocazione storico-politica. Non comprendiamo, infatti, come un’organizzazione di sinistra possa ignorare che la formazione di un simile discorso contribuisce enormemente all’acuirsi di ciò che la lotta di classe deve sforzarsi di rimuovere: la guerra tra poveri, quella tra gli italiani poveri e gli immigrati poveri su tutte. Una forza di sinistra non può sostenere con tale abnegazione le ragioni di una lotta che nasce corporativa e che si proclama non solo popolare ma interclassista, proponendo una visione grillina dello spazio politico, nel quale si muoverebbe un corpo sociale omogeneo che, in maniera differente nella forma, viene
sostanzialmente privato dei propri diritti dalla casta politico-finanziaria, ignorando totalmente numerose analisi anche molto discusse sul fenomeno del populismo trattato da sinistra (vedi ad esempio il lavoro dei Wu Ming, Ma con una serie di acrobazie retoriche, l’ideologo Pasquinelli è riuscito a inventarsi una giustificazione per la presenza delle forze di sinistra in questa piattaforma politica da un punto di vista “marxista” e “di classe”.
L’Mpl spiega di aver sostenuto il M5S alle elezioni politiche perché, in primo luogo, avrebbe dato “forza e coraggio al popolo lavoratore” facendolo “uscire dall’apatia e dallo stato d’impotenza”, e in secondo luogo perché dopo la “spallata elettorale” dei 5 Stelle sarebbe venuta quella “sociale” che, con leninistica preveggenza, viene chiaramente individuata nella mobilitazione del 9 dicembre. Secondo l’Mpl a sostegno della propria analisi ci starebbe proprio un passo decisivo di Lenin sul ruolo della piccola borghesia nel processo rivoluzionario: “il compito dei rivoluzionari è di stare accanto a questi settori sociali che si ribellano, di innervare questo movimento di
idee a proposte adeguate. Solo da dentro, eventualmente sulle barricate, dando l'esempio di determinazione e intelligenza tattica, portando la nostra esperienza, si conquista la fiducia di chi lotta, si possono far viaggiare le idee giuste, così contrastando gli avventurieri e i demagoghi reazionari che fanno capolino”.Insomma, ancora non siamo arrivati alla rivoluzione del 1917, siamo ancora a quella del 1905, ovvero nel momento in cui dobbiamo sostenere la rivoluzione democratico-borghese che si esprime con “una serie di lotte di tutte le classi, i gruppi e gli elementi scontenti della popolazione”. E proseguendo con l’interpretazione antistorica e ideologica di Lenin citano anche questo passo: “v'erano tra di essi masse con i pregiudizi più strani, con i più oscuri e fantastici scopi di lotta, v'erano gruppi che prendevano denaro dai giapponesi, speculatori e avventurieri, ecc. Obiettivamente, il movimento delle masse colpiva lo zarismo e apriva la strada alla democrazia, e per questo gli operai coscienti lo hanno diretto” [V. I. Lenin, Luglio 1916]Oggi dunque, analogamente al 1905, quella del 9 dicembre “sarà oggettivamente una rivoluzione popolare e democratica contro il regime dell'euro-dittatura, per rovesciare il sistema oligarchico e plutocratico”.
Ma l’Mpl va oltre. E non solo riesce a includere nella storia del movimento operaio una manifestazione che parte socialmente – per loro stessa ammissione – come una costruzione di “strati della piccola borghesia”, ma cercano di ricondurre la loro presenza ad un chiaro intento antifascista. Nella parte successiva del comunicato di adesione, dopo aver ammesso che i gruppi neofascisti come Forza Nuova parteciperanno alla “rivoluzione nazionale”, con un tono di indignazione i membri di Mpl scrivono: “4 dicembre. C’era da aspettarselo.
I fascisti di Forza Nuova hanno diffuso ieri un comunicato col quale dicono di aderire alla mobilitazione popolare del 9 dicembre. Siamo davanti ad una provocazione politica, al tentativo disperato di una setta che annaspa nell’isolamento per ottenere visibilità e fare proselitismo”.E certo che c’era da aspettarselo. Dopo aver giustificato le contraddizioni del movimento, ci si sorprende che in una piattaforma di rivendicazioni di carattere corporativo e con uno spirito nazional-populista facciano capolino i gruppi neofascisti, che non predicano altro che sovranità nazionale, sovranità monetaria e sovranità alimentare, i tre capi saldi della mobilitazione del 9 dicembre! Bisognerebbe chiedersi, semmai, chi sia il corpo estraneo, la new entry del momento!
Sorprende con quanta facilità alcune organizzazioni politiche della sinistra di questo paese, incapaci di interpretare i processi storici in atto, cerchino di fare esattamente le stesse cose che fanno i fascisti: una “provocazione politica”, simbolo di un “tentativo disperato di una setta che annaspa nell’isolamento per ottenere visibilità e fare proselitismo”.
A queste condizioni non c’è d’aspettarsi altro che il Nazional – Socialismo.
Alla fine appare altrettanto disperato il tentativo di ricoprire di eroismo un percorso politico che mette a tacere le obiezioni ideologiche e storiche distorcendone il senso profondo, in nome di un opportunismo politico degno di questo nome: “Prendere la distanze dalla mobilitazione, giungere alla follia di denunciarla come “fascista” (come alcuni sciagurati hanno fatto) è esattamente ciò che Forza Nuova si augura per avere campo libero. Significa in poche parole fare il gioco dei fascisti e delle forze occulte che li manovrano”.
Insomma, l’Mpl invita tutti noi a fare questo salto nel buio della tormenta sociale, perché solo attraverso questa frattura temporale, nel divenire politico che questa lotta può inaugurare, sarà possibile condurre le masse sociali verso la retta via del socialismo nazionale, contro l’austerità. Insomma, lo stalinismo versione digitale 2.0, che contraddice, fino al punto di rendersi ridicolo,il senso autentico della recente esperienza sociale dei movimenti territoriali e metropolitani di tutta Europa, che va verso l’alleanza euro-mediterranea, per proclamare il diritto all’autogoverno dal basso dei territori senza rispolverare i fasti del patriottismo nazionale, né in chiave ideologica, né in chiave strategica.
Le forze sociali che hanno costruito fino ad oggi l’opposizione dal basso al neoliberismo partono tutti dalla consapevolezza che un ritorno allo Stato è quanto di più rischioso oggi, vista la necessità di un contropotere dal basso che faccia della democrazia reale e partecipativa i propri capisaldi. Lo Stato è una struttura esausta, che va rimodellata dai conflitti sociali e dalla riappropriazione concreta e immediata di un welfare sottrattoci attraverso la legge dell’austerità. Cosa uscirà fuori solo le lotte potranno deciderlo. Un passaggio della lotta
è sicuramente quello di smascherare i falsi percorsi di liberazioni, i populismi e i mascheramenti di forze politiche autoritarie che, in nome del “popolo unito”, vogliono stringere un nuovo cappio al collo di una società già brutalizzata da tanto nazionalismo, razzismo e populismo. In questo passaggio rientra anche lo sforzo di pensare un’alternativa anche in nome della parte avversa, non concependo attualmente tutto il blocco imprenditoriale in lotta come rappresentanti di una classe omogenea, riferibile tout court al “mondo padronale”. Chiaramente anch’io ritengo che finanziare l’impresa oggi sia un errore. Non perché non bisogna trovare delle forme per salvare le migliaia di persone che oggi stanno chiudendo i battenti (magari bloccando sfratti e pignoramenti, rinegoziando i debiti, ecc..), ma perché non
credo che l’impresa possa più rispondere ai bisogni sociali che le lotte dal basso stanno esprimendo: più che finanziare il privato affinché tenga in vita artificialmente qualcosa che da sé non sta più in piedi, è meglio universalizzare le forme di protezione sociale (Reddito di Cittadinanza e Diritto alla Casa su tutti) in modo tale che siano direttamente i cittadini a scegliere quali attività economiche sostenere, non rinunciando alla funzione di orientamento tipica di ogni proposta politica (ad esempio è meglio sostenere l’agricoltura locale biologica che i prodotti industriali). L’impresa può salvarsi solo se si salvano le unità minime di ogni società:
le persone in carne ed ossa. Se la gente ha una dotazione di reddito a propria disposizione a prescindere dal lavoro anche i produttori potranno usufruirne.
Un’alternativa alla riaffermazione anacronistica dell’impresa esiste. E’ nostro compito ricercarla in ogni dove.
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