Luciano Granieri.
Nove maggio 1978, nove maggio 2022. Sono 44 anni che Peppino Impastato è stato trucidato dalla mafia. Diciamolo pure, fino al 2000, anno di uscita del film i Cento passi di Marco Tullio Giordana, la storia del militante comunista di Cinisi non era così conosciuta. La strage di Aldo Moro, avvenuta nella stessa data, aveva contribuito ad oscurare quella vicenda. Essa era sicuramente nota negli ambienti sociali, politici legati alla militanza comunista e sicuramente in Sicilia. Quella pellicola, ed il successivo brano dei Modena City Ramblers inciso nel 2004, intitolato proprio come il film, hanno di fatto imposto Peppino Impastato all’attenzione popolare, e la commemorazione della sua morte è dovuta entrare nelle celebrazioni ufficiali insieme a quelle di Placido Rizzotto, Danilo Dolci, Mauro Rostagno protagonisti dell’antimafia sociale.
Tutto ciò ha fatto emergere, però, oltre alla figura dell’eroe antimafia, anche tutto il contesto in cui si è sviluppata la sua lotta alla criminalità organizzata. Un contesto che parla di militanza comunista, di emancipazione culturale collettiva contro l’ignoranza imposta dai mafiosi e dal potere, di lotta all’antifascismo, di acute indagini nelle strette connessioni fra politica, mafia, neofascismo e servizi deviati dello Stato. Forse questa è una delle ragioni, se non la principale, dell’omicidio.
Prima di quel 2000 Peppino Impastato, nonostante la sentenza Caponnetto del 1984 che accertava la responsabilità mafiosa del suo assassinio, senza però ancora indicare il mandante in Tano Badalamenti, era ancora associato ai brigatisti rossi. Quella stessa banda armata che aveva ucciso Aldo Moro, ritrovato cadavere, vedi le terribili coincidenze, lo stesso giorno in cui gli amici di Peppino andavano alla ricerca delle membra del suo corpo dilaniato, dal supposto maldestro tentativo di compiere un attentato brigatista alla ferrovia. Questa è stata la divulgazione granitica ed inappellabile diffusa dalla prima fallace ricostruzione basata su depistaggi e falsificazioni. Depistaggi accertati dalla Commissione Parlamentare d’Inchiesta guidata dal Senatore Russo Spena nel dicembre del 2000.
Ma nelle celebrazioni politicamente corrette il Peppino Impastato comunista, poeta, scrittore, giornalista scomodo fondatore di Radio Aut, quello delle lotte per la giustizia sociale, per la diffusione culturale e il dileggio contro la mafia , il fascismo ad essa collegato, non doveva apparire. Ed allora ogni commemorazione esaltava, ed esalta, la figura di un eroe antimafia. Un’icona che, secondo me, non appartiene a Peppino.
Il suo nome è sempre associato a Falcone e Borsellino e a tutti i magistrati, membri delle forze dell’ordine, uccisi dalla criminalità organizzata. Sicuramente figure decisive per la lotta alla mafia, ma che hanno sacrificato la propria vita nell’assolvimento encomiabile, questo si eroico, della loro professione. Peppino Impastato è stato ucciso per la passione che ha profuso nel promuovere l’emancipazione delle classi subalterne, quel proletariato che ancora esiste anche se non è più nei pensieri delle forze cosiddette progressiste. Il primo e più grande ostacolo a questa emancipazione era il fenomeno mafioso con la sua imposizione di stereotipi culturali falsi ed atavici, le sue connessioni con fascisti golpisti, politici corrotti, novelli attori di un protoliberismo in costruzione.
Mi dispiace constatare che, nonostante tutto, Peppino Impastato sia ancora una vittima costante del politicamente corretto. Un politicamente corretto, basato sull’abiura del comunismo, che oggi arriva ad associarlo ad Aldo Moro, protagonista di una storia tragica e drammatica, ma che non ha niente a che vedere con Peppino Impastato. Anzi Moro era il capo di quel partito che il militante di Lotta Continua siciliano identificava come complice dei mafiosi e che intendeva combattere con metodi dai quali, evidentemente era fortemente esclusa la lotta armata.
Associare Peppino ad Aldo Moro non rende giustizia neanche al grande statista democristiano, depotenziandone la storia di politico acuto e straordinariamente colto che, ad un certo punto, aveva capito gli sporchi giochi di corrente che attanagliavano il suo partito il quale, proprio per questo, ha colto l’occasione per lasciarlo al suo tragico destino.
Vorrei quindi rivolgere un invito a chiunque volesse organizzare i prossimi 9 maggio. Per favore parliamo solo di Peppino, della sua forza di militante politico comunista, di poeta e scrittore, di animatore culturale, per cui la cultura era il primo elemento di emancipazione popolare dalla mafia e dai dispotismi politico sociali con cui viveva in simbiosi.
Per favore ricordiamo solo Peppino Impastato e sua madre Felicia Bartolotta, che ha continuato sulla strada del figlio, fino alla sua morte nel 2005, diffondendo, da un lato, la memoria, e combattendo, strenuamente, dall’altro, per la verità e la giustizia sulla vicenda del figlio. Lasciamo stare, almeno in questa occasione, Moro, Falcone, Borsellino e tutti gli altri che avranno modo di essere commemorati adeguatamente in altri frangenti. Grazie.
Di seguito un momento della Commemorazione organizzata dall'Osservatorio Peppino impastato di Frosinone nel 2014, in cui il professor Alfonso Cardamone legge le poesie di Peppino Impastato