Ma che davvero credevate che 2 o 3 milioni di piddini ,
quanti sono stati, in una fredda domenica di dicembre, era pure l’immacolata,
se ne andavano ai gazebo per votare un semplice segretario di partito? Come
minimo dovevano incoronare un condottiero. Ma che davvero uno che è stato
acclamato dal suo popolo avrebbe dovuto perdere tempo a stare dietro ai tiramenti delle
correnti e correntine della sua rissosa congrega? E Fassina chi? E Cuperlo s’offende e Civati si stranisce. Ma che vita di melma! Signori,
come direbbe LUI, io sono stato eletto
per portare l’Italia fuori dalla palude del caimano. Quella palude in cui Letta
stava affogando. Sono il vostro condottiero. Quello che ha parlato a Berlusconi
come San Francesco al lupo. Quello che
spezzerà le reni alla Germania, che convincerà Alfano a votare le nozze gay, Vendola a diventare paladino del libero mercato e Landini ad accordarsi con
Marchionne . Come osano i penta stellati mettere in dubbio la forza del
conducador sostenendo che non è stato
eletto dal popolo? Lui è stato osannato dal “SUO” popolo quello degli eletti
del Pd e ciò basta. Il suo esercito esulta
davanti al profeta che condurrà l’Italia
fuori dalla palude con sprezzo del pericolo !
Lo sapete perché Renzi è riuscito a tenere a bada Berlusconi ? Perché c’ha gli anticorpi
co’ i controcojoni. A lui l’aids gli fa un baffo, lui l’aids la sventrerebbe in due ore. Chi senza indugio alla vittoria ci conduce? Renzi
duce!
Le rovine
"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"
Buenaventura Durruti
venerdì 14 febbraio 2014
Democrazia e disuguaglianza
di Giuseppina Bonaviri
In Italia, dagli ultimi dati aggiornati CGIA, una famiglia su quattro versa in condizioni di disagio sociale. Nel 2012 1 famiglia su 4 ha presentato tre tra le difficoltà che si contemplano nell’indice sintetico di deprivazione - deprivation index- e che corrisponde alla misura dello svantaggio socio-economico, espressione dell’impossibilità al possesso di almeno una delle seguenti classi di risorse predittive dello stato di salute e dell’accesso ai beni di servizi: materiali, culturali, di potere, di sostegno sociale. Il 2,4% delle famiglie non si può permettere l’acquisto di una tv, di un telefono o di un’auto; il 50,5% non può permettersi una settima di vacanza fuori da casa; il 17,5% non accede ad un pasto adeguato se non solo ogni due giorni e il 22% non riesce a riscaldare la propria abitazione. Sono in condizioni di povertà assoluta il 6,8% dei nuclei familiari, meglio dire, più di 4,8 milioni di persone. Gli studi sull’origine delle disuguaglianze ci porta a decodificare la salute in termini di mortalità, morbilità e di bisogni sanitari che rientrano nelle misure della qualità di vita. Ciò ci lascia prevedere che se si continuasse con l’abdicazione dal pubblico necessiterebbero con urgenza nuove strategie di welfare del Paese. E paradossalmente, mentre con un decreto di qualche giorno fa la Casa Bianca riduce la diseguaglianza economica aumentando il salario minimo ed introducendo una sorta di scala mobile capace di indicizzare la cifra oraria pattuita all’inflazione, in Italia si intravede il furto persino sull’8% che non sarà destinato più ad azioni sociali ma utilizzato come salvadanaio dal governo.
La rappresentazione della società che, nei giorni scorsi, è emersa poi dai dati resi noti da Bankitalia conferma lo stato della diseguaglianza socio-economica che rallenta il passo all’economia e ai processi di democrazia e di inclusività. Crescita della diseguaglianza, povertà, restringimento della partecipazione elettorale, appaiono le regole del gioco perverso che “viaggia parallelo alla indifferenza verso la politica e alle sue attuali procedure verticistiche” scenario, quest’ultimo, che ben si coniuga con l’immagine di una società sempre più diseguale e divisa. I dati di Bankitalia confermano, anche, il “progressivo peggioramento del reddito familiare medio e di un allargamento della forbice tra chi può e chi non può come i poveri relativi, gli impoveriti e a rischio di povertà”.
Si assiste da un lato alla crescita della concentrazione dei redditi e dall’altro alla aumentata povertà di chi già non ha essendosi raddoppiata, negli ultimi quattro anni, la fascia di coloro che sono caduti in povertà. La ricchezza si è così concentrata nel 64% della popolazione: poco più di due terzi dentro, tutti gli altri fuori. E’ evidente che l’andamento della forbice sociale abbia ricadute, allora, anche sulla politica. Avendo, così, la partecipazione subito un declino progressivo negli ultimi 20 anni alle ultime consultazioni politiche hanno votato circa il 75% alla Camera e 70% al Senato “cifre che rispecchiano quelle relative al numero delle persone nelle mani delle quali sta la ricchezza”. A conferma rimare un dato: la politica è praticata da chi meglio si posiziona nella società perché, non avere la propria voce rappresentata non comporta migliorie in termini di diritti e uguaglianza. “ Il divario che nasce tra classi sociali, elettori, cittadini e politici corrisponde ad una società sempre più divisa, con pesi sociali sempre meno proporzionati e sempre più ineguali”.
Per quanto ci riguarda, poi, il nostro entroterra sta anche facendo i conti con un alto tasso di dispersione scolastica –epifenomeno che stiamo studiando- mentre appare sempre più chiaro che non si può continuare a ragionare solo in termini di emergenza compromettendo servizi essenziali come scuola, sanità, lavoro. Restituire trama e protagonismo alla nostra Provincia ci pare l’atto più alto e generoso che si possa fare. Le nostre istituzioni locali possono lavorare meglio di quanto possa fare lo Stato centrale.
E, in questa direzione, va il Patto di Solidarietà Sociale istituito dalla Provincia di Frosinone. Si sta lavorando ad interrompere le accresciute disuguaglianze e l’indebolimento del tessuto sociale. Il nostro percorso intende favorire la valorizzazione dei talenti di ognuno, rilevarne le competenze mettendo a frutto progetti equi a garanzia di giovani, donne, aree svantaggiate, rilanciando in condizioni di pari opportunità coesione sociale, competenze aggiornate, capitale umano. Il lavoro provinciale che abbiamo avviato è a garanzia di quel benessere che, passando dall’istruzione, rappresenta il vero investimento per le giovani generazioni. Stiamo rimettendo in moto speranze individuali e collettive a vocazione territoriale.
Sel e Pd: rapporto di coppia...
di Claudio Mastrogiulio e Michele Rizzi
Nelle ultime settimane ha tenuto banco il congresso tenuto dal partito di Vendola, Sel e, in particolar modo, il rapporto che sarebbe scaturito con la nuova direzione del Pd, guidato da Renzi.
Inizialmente, infatti, quando ancora Vendola puntava sull' establishment consolidato del Pd, Renzi appariva, a detta dello stesso governatore pugliese, una sorta di parvenu della politica, figlio illegittimo di una politica berlusconizzata.
Ovviamente le critiche di cui si faceva portatore Vendola rappresentavano puramente e semplicemente un velo dietro al quale tentare goffamente di mascherare la necessità, rispetto ai propri militanti di base, di palesarsi come un'organizzazione alternativa e distante dalle logiche di potere e asservimento ai poteri forti che permeano il Pd.
Ecco, subito dopo l'incontrastata affermazione di Renzi alle primarie tenutesi l'8 dicembre dello scorso anno, l'indirizzo impartito dai Vendola ai suoi, è apparentemente mutato. Si badi bene, solo apparentemente, poiché se il governatore pugliese aveva necessità di smarcarsi dalla figura in ascesa di Renzi, ciò era dovuto soltanto alle continue punzecchiature con cui il sindaco fiorentino bersagliava Vendola e Sel. I continui riferimenti all'autosufficienza del Pd, e la marginalità di un progetto politico che mettessero all'ordine del giorno un flirt politico con Sel, hanno creato certamente allarme in Vendola.
Dal canto suo, Vendola, da interprete magistrale del bertinottismo, ripropone per Sel l'ennesimo schema di partito di “lotta e di governo”. Di lotta in realtà nei palcoscenici televisivi, dove dichiara ad ogni pié sospinto di voler sconfiggere il liberismo capitalista, di osteggiare la politica di austeritydella troika europea, di voler impostare una battaglia contro la precarietà sul lavoro, di difendere gli interessi dei lavoratori a scapito di quelli delle grandi imprese. Di governo, facendo poi esattamente l'opposto di quello che dichiara davanti alle telecamere nel suo quasi decennale governatorato pugliese.
La presunta “svolta” del congresso
Poco prima, ma anche durante il congresso, la posizione di Vendola nei riguardi del neo-segretario Pd è, almeno nei modi, mutata. Infatti, se il progetto politico dei vendoliani non ha mai subito alcuna variazione, orientandosi costantemente verso la prospettiva di governo, sia locale che nazionale, col Pd; le valutazione ed i toni nei riguardi di Renzi hanno avuto una modulazione certamente diversa.
Questo apparente cambio di rotta è dovuto all'estremo tentativo di strappare al segretario Pd uno strapuntino in un prossimo governo a guida centrosinistra.
Quindi, come solitamente accade ai dirigenti carrieristi e opportunisti, chi fino a qualche tempo prima veniva considerato come un nemico da affrontare con fermezza, una volta ricevuta la legittimazione del potere, diventa, come d'incanto, un interlocutore serio ed attendibile.
D'altronde Vendola, in Puglia, dove si esprime in qualità di crocevia di tutte le vergognose politiche di accomodamento verso il grande capitale, ha sperimentato, direttamente dal governo, cosa sia applicare le ricette imposte dal capitalismo a ambiente e lavoratori.
A una chiusura massiccia di siti produttivi specie nel barese, il vendolismo pugliese ha risposto con la continua elargizione di soldi pubblici alle multinazionali arrivate in Puglia ad arricchirsi per poi delocalizzare dall'altra parte dell'Adriatico dove poter sfruttare ancor meglio. Il suo assessore al lavoro, l'ex segretario della Camera del lavoro di Brindisi, Leo Caroli (di Sel anche lui), nell'ottica della concertazione con padronato e sindacati, ha chiuso accordi istituzionali, da quello per Bridgestone a Natuzzi, che hanno favorito unicamente il padronato a scapito dei lavoratori, mentre all'Om carrelli ha proferito solo dichiarazioni sulla stampa, lasciando il campo alla multinazionale tedesca per chiudere il sito di Bari e cercare nuovi profitti in altre zone. Accordi conditi sempre da lauti e ricchissimi finanziamenti pubblici regionali (quasi la metà dei 101 milioni di euro dell'accordo di Programma del 2013 con Natuzzi sono di derivazione regionale), per non parlare di Ryanair che incassa ogni anno 10 milioni di euro per mantenere lo scalo barese.
Questo apparente cambio di rotta è dovuto all'estremo tentativo di strappare al segretario Pd uno strapuntino in un prossimo governo a guida centrosinistra.
Quindi, come solitamente accade ai dirigenti carrieristi e opportunisti, chi fino a qualche tempo prima veniva considerato come un nemico da affrontare con fermezza, una volta ricevuta la legittimazione del potere, diventa, come d'incanto, un interlocutore serio ed attendibile.
D'altronde Vendola, in Puglia, dove si esprime in qualità di crocevia di tutte le vergognose politiche di accomodamento verso il grande capitale, ha sperimentato, direttamente dal governo, cosa sia applicare le ricette imposte dal capitalismo a ambiente e lavoratori.
A una chiusura massiccia di siti produttivi specie nel barese, il vendolismo pugliese ha risposto con la continua elargizione di soldi pubblici alle multinazionali arrivate in Puglia ad arricchirsi per poi delocalizzare dall'altra parte dell'Adriatico dove poter sfruttare ancor meglio. Il suo assessore al lavoro, l'ex segretario della Camera del lavoro di Brindisi, Leo Caroli (di Sel anche lui), nell'ottica della concertazione con padronato e sindacati, ha chiuso accordi istituzionali, da quello per Bridgestone a Natuzzi, che hanno favorito unicamente il padronato a scapito dei lavoratori, mentre all'Om carrelli ha proferito solo dichiarazioni sulla stampa, lasciando il campo alla multinazionale tedesca per chiudere il sito di Bari e cercare nuovi profitti in altre zone. Accordi conditi sempre da lauti e ricchissimi finanziamenti pubblici regionali (quasi la metà dei 101 milioni di euro dell'accordo di Programma del 2013 con Natuzzi sono di derivazione regionale), per non parlare di Ryanair che incassa ogni anno 10 milioni di euro per mantenere lo scalo barese.
La possibilità di una prospettiva che vada oltre l'accordo
Una delle voci che più insistentemente circolava nel corso delle ultime settimane, era quella secondo cui Sel, visto definitivamente svanire ogni tipo di approccio tattico che potesse garantirgli di proporsi come punto di riferimento della sinistra di movimento, in un'ottica di compromesso col Pd, si determinasse a scegliere di federarsi con il Pd stesso.
Non appare essere, quest'ultima, un'ipotesi del tutto peregrina, tenuto conto del fatto che da diversi mesi a questa parte la credibilità di Vendola, indubbiamente l'uomo di punta di Sel, è venuta definitivamente a volatilizzarsi.
Da ultimo, appare doveroso ricordare la vicenda delle intercettazioni telefoniche del governatore pugliese col responsabile Relazioni Istituzionali dell'Ilva (di Taranto), Girolamo Archinà; nelle quali, oltre alle invereconde risate di Vendola, sedicente ambientalista, nei riguardi della sceneggiata architettata dallo stesso Archinà contro un giornalista che voleva porgli delle domande scomode, evidenziava un tono ed un approccio dettate da un servilismo degno del peggior servo sciocco di giullaresca portata...
Nello stivale d'Italia, infatti, tutto si può che dire tranne che Vendola combatta il c.d. “neoliberismo capitalista” visti i ricchi affari che fanno le grandi famiglie del capitalismo italiano ed estero, da Riva a Natuzzi, passando per le multinazionali tedesche e non solo.
Affari fatti anche in ambito ambientale, grazie alle discariche della Marcegaglia e alle leggi pro-Riva all'Ilva.
D'altronde non sono da meno i 10 milioni di euro che la Regione assicura alle scuole materne private e i tagli pesantissimi alla sanità pubblica con la chiusura in due anni di ben 20 ospedali pubblici, il taglio di 2200 posti letto ed la chiusura interi reparti, mentre la sanità privata continua ad ottenere remuneratissime convenzioni.
Non appare essere, quest'ultima, un'ipotesi del tutto peregrina, tenuto conto del fatto che da diversi mesi a questa parte la credibilità di Vendola, indubbiamente l'uomo di punta di Sel, è venuta definitivamente a volatilizzarsi.
Da ultimo, appare doveroso ricordare la vicenda delle intercettazioni telefoniche del governatore pugliese col responsabile Relazioni Istituzionali dell'Ilva (di Taranto), Girolamo Archinà; nelle quali, oltre alle invereconde risate di Vendola, sedicente ambientalista, nei riguardi della sceneggiata architettata dallo stesso Archinà contro un giornalista che voleva porgli delle domande scomode, evidenziava un tono ed un approccio dettate da un servilismo degno del peggior servo sciocco di giullaresca portata...
Nello stivale d'Italia, infatti, tutto si può che dire tranne che Vendola combatta il c.d. “neoliberismo capitalista” visti i ricchi affari che fanno le grandi famiglie del capitalismo italiano ed estero, da Riva a Natuzzi, passando per le multinazionali tedesche e non solo.
Affari fatti anche in ambito ambientale, grazie alle discariche della Marcegaglia e alle leggi pro-Riva all'Ilva.
D'altronde non sono da meno i 10 milioni di euro che la Regione assicura alle scuole materne private e i tagli pesantissimi alla sanità pubblica con la chiusura in due anni di ben 20 ospedali pubblici, il taglio di 2200 posti letto ed la chiusura interi reparti, mentre la sanità privata continua ad ottenere remuneratissime convenzioni.
La necessità di rompere con il riformismo
Da tutto quanto appena detto, si evince l'assoluta necessità, tanto più in un momento storico dettato da una crisi economica generalizzata e destinata a peggiorare, di creare i presupposti per strappare i burocrati come Vendola dai loro comodi scranni. Con l'obiettivo di capovolgere le fondamenta stesse di una società fondata sull'iniquità e l'ingiustizia sociale, al fine, non solo di cacciare queste grigie figure servili dei potentati economici, ma con l'obiettivo di riorganizzare la società secondo gli interessi generalmente riconosciuti della maggioranza; quella stessa maggioranza che produce la ricchezza, usurpatale poi dagli speculatori e dai loro lacché.
giovedì 13 febbraio 2014
Multiservizi: Virtuosi penalmente perseguiti e cattivi gestori a piede libero
Comitato di Lotta Frosinone
L’auspicio dei lavoratori della Frosinone Multiservizi di non perdere il proprio lavoro, dopo aver garantito i servizi per anni gratuitamente e essersi pagati il diritto ad una occupazione appena dignitosa, sembrerebbe essere sempre più concretizzabile. Il Comune vuole fare la società nuova? Vogliono richiamare i lavoratori che sono rimasti fuori dagli appalti? Niente di tutto ciò. Alcuni lavoratori della ex società a seguito dell’occupazione del tetto del Comune sono stati denunciati: si prospetta quindi un ritorno al lavoro con i progetti dei detenuti, quelli che in parte hanno preso il posto dei lavoratori della Frosinone Multiservizi!?!
Proprio nel giorno dove venivano ufficializzati i debiti, consolidati in più di 8 milioni di euro, alcuni lavoratori della Frosinone Multiservizi che hanno protestato l’estate scorsa per essere stati sostituiti nel posto di lavoro, per il mantenimento dei servizi pubblici e per denunciare una gestione tutta particolare degli appalti dei servizi – qualche mese dopo infatti sugli appalti della immondizia qualcuno è finito nelle grinfie della giustizia - sono stati raggiunti da una denuncia ed ora devono anche difendersi, dopo aver perso reddito, posto di lavoro e società, e oramai quasi senza ammortizzatori sociali!
Una realtà che sembra svolgersi alla rovescia: chi indebita, sfrutta, usa a proprio personale vantaggio, mette in difficoltà la vita dei cittadini, appare premiato, benedetto. I lavoratori colpevoli di difendere un diritto, i diritti per tutti, vengono perseguiti pesantemente.
8 milioni di debiti: un vero record per una società pubblica pure giovane e che per i primi tre anni aveva visto la Regione garantirne la sopravvivenza economica. Stride e grida vendetta questo debito. I lavoratori hanno lavorato per 800/900 euro al mese per 7 anni; avevano lavorato per €.500 per i precedenti 10 senza che le amministrazioni avessero messo mano al portafoglio generando risparmi per decine e decine di milioni di euro; avevano assistito impotenti ai favori della politica partitica che si spartivano posti dei consiglieri di amministrazione che guadagnavano per poche sedute l’anno quasi quanto i lavoratori in un anno e del presidente che prendeva tre volte tanto, dello staff ipergonfiato e iperpagato (un direttore tecnico è arrivato a costare anche €.80.000,00).
A ciò si aggiungevano negligenze e impreparazioni della stragrande maggioranza dei professionisti delle figure tecniche che si avvicendavano ma che si rendevano protagonisti di macroscopici danni che sarebbero costati all’azienda tanto denaro e ai lavoratori il posto stesso.
Dietro questi 8 milioni di debiti c’è qualcosa di più e di diverso anche. C’è lo spostamento di debiti degli enti che non hanno mai corrisposto il reale costo dei servizi; la Multiservizi veniva usata in caso di mancana di risorse per le emergenze: finché c’erano i soldi in cassa invece erano altre ditte private a prendere appalti sostanziosi e ben pagati.
La formazione dell’ammontare debitorio è essa stessa una costruzione in corso d’opera: sono in essere centinaia di cause, deve essere liquidato il TFR, e ancora rimangono in piedi crediti della società nei confronti degli enti. C’è spazio quindi per rimodulare l’intera questione debitoria. C’è necessità che gli enti, anche il più recalcitrante, acquisiscano coscienza che ci si può accordare, anzi ci si deve accordare, nell’interesse prioritario della difesa dei soldi di tutti, con il mantenimento dei servizi pubblici con oneri minori e salvaguardando la dignità di centinaia di posti di lavoro. C’è spazio per la riduzione dei debiti ma bisogna averne umilmente la volontà.
mercoledì 12 febbraio 2014
Parco naturale con coltivazione a Km0 nell'attuale "Valle Fredda" a Frosinone
Petizione
Ci rivolgiamo a Lei per valorizzare e sensibilizzare il rapporto tra l'uomo e la natura creando un parco naturale con percorso nel centro di Frosinone nell'attuale zona denominata "Valle Fredda", affinchè tramite il rapporto con i coltivatori si possa creare una zona di coltura a Km0, un modo per l'uomo per rigenerarsi dallo stress cumulato dai ritmi cittadini, un modo per sensibilizzare il cittadino, anche attraverso l'arte, all'importanza della raccolta riciclata, dell'energia alternativa, dell' ecosostenibilità, alla genuinità dei prodotti naturali, alla ristorazione che una passeggiata in un campo incontaminato e boschivo possa giovare alle membra e al fisico del cittadino. Ritenendo un diritto del cittadino avere la possibilità di realizzare le cose prima descritte, richiedo attenzione alla regione Lazio:
Al Presidente della regione Lazio Nicola Zingaretti, Il sindaco di Frosinone Nicola Ottaviani, cordialmente,
Alessandro S.
Comunicato Stampa Conferenza Stampa 11 febbraio 2014 - Art. 4 Decreto Destinazione Italia
Rete per la tutela della Valle del Sacco
Di seguito il comunicato diffuso dalle realtà che hanno promosso la conferenza stampa di ieri 11 febbraio presso la sala stampa della Camera dei Deputati contro l'art.4 del decreto Destinazione Italia.
Destinazione Italia, arriva il condono tombale per i disastri ambientali
Comitati, movimenti e amministratori locali: SI’ alle bonifiche, NO ai regali per gli inquinatori.
Chi ha inquinato deve essere pagato: un condono tombale sulle bonifiche per criminali e aziende senza scrupoli con tanto di regalo di miliardi di euro di fondi pubblici.
Il Decreto Destinazione Italia è un vero e proprio regalo per gli inquinatori incalliti che hanno devastato il paese deprimendo l’economia di vaste aree italiane e condannando a morte migliaia di cittadini. Questa è la denuncia lanciata oggi durante la conferenza stampa svoltasi a Roma presso la sala stampa della Camera a cui hanno partecipato rappresentanti del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, del Coordinamento Nazionale Siti Contaminati, degli amministratori dei Comuni ricadenti nei Siti Nazionali di Bonifica (SIN) e della campagna Stop Biocidio di Lazio e Abruzzo.
In queste ore è scatta la mobilitazione affinché la norma contenuta all’Art.4 del Decreto sia cancellata. Purtroppo la maggioranza in Parlamento pare sorda agli questi appelli lanciati dai cittadini e dai Comuni che da anni si battono contro gli inquinatori, spesso lasciati soli proprio dallo Stato. Si preferisce tutelare gli interessi di grandi aziende che in questi ultimi anni sono spesso salite, è proprio il caso di dirlo, sul banco degli imputati per gravissimi fatti di contaminazione di acqua e suolo.
In Italia lo Stato ha perimetrato 57 Siti di Interesse Nazionale per le Bonifiche, scesi a 39 con una operazione di riclassificazione artificiosa realizzata con un tratto di penna dal Ministro Clini all’inizio del 2013 senza che le bonifiche, per stessa ammissione del Ministero, fossero realizzate e senza che nessuno a livello ministeriale tra alti funzionari e amministratori nazionali pagasse per tale insuccesso. Taranto, Priolo, Marghera, Terra dei Fuochi, Bussi, Brindisi, Gela, Sulcis, Mantova, Brescia sono solo alcune di queste aree, abitate da milioni di persone, in cui l’Istituto Superiore di Sanità ha accertato, con lo studio “Sentieri”, un aumento esponenziale di malattie mortali stimando migliaia di morti in eccesso.
Con queste premesse ci si aspetterebbe un rilancio delle bonifiche a favore dei cittadini, per recuperare lo “spread ambientale” che ci separa da paesi come la Germania che da anni perseguono la riqualificazione ambientale con il consenso e la partecipazione della popolazione dando nuova vita ai territori destinandoli a parchi, ecomusei, luoghi per attività sportive ecc.
Il Governo Letta, Il Ministro Orlando e la maggioranza hanno invece immaginato di poter “reindustrializzare” questi siti puntando al coinvolgimento degli inquinatori, che potranno ricevere fondi pubblici per qualsiasi tipo d’iniziativa produttiva, anche inceneritori, nuove raffinerie ecc. L’accordo di programma potrà essere formato con soggetti già condannati o sotto processo per reati gravissimi, che riceveranno il sostegno dello Stato.
Ieri la Camera ha riconosciuto la fondatezza dell’allarme lanciato dai comitati approvando l’emendamento Realacci che rischia però di essere solo la foglia di fico per un provvedimento che resta del tutto inaccettabile. A riguardo emblematica è la posizione espressa dalla Rete Comuni Sin, che raccoglie i comuni inseriti tra i Siti di Interesse Nazionale per le bonifiche, per cui l’art.4 è da cancellare tout court dal decreto. Tale posizione è supportata anche da una valutazione che fa ritenere il provvedimento del tutto inadeguato e controproducente perchè inserito nell'ennesimo decreto "omnibus" e non all'interno di una stategia complessiva che miri a rendere realmente più efficace la normativa in materia.
Nello specifico, il denaro pubblico erogato nell’ambito dell’accordo di programma potrà essere assegnato agli inquinatori “solo” per i nuovi investimenti produttivi e non per la parte della bonifica, messa in sicurezza e risarcimento. In realtà si sono accorti che il provvedimento era contrario ai principi del nostro ordinamento e di quello comunitario che prevedono da decenni per l’autore del danno alla collettività il ripristino ambientale e il risarcimento del danno. E’ stata introdotta, quindi, questa precisazione che all’atto pratico sarà di difficilissima applicazione vista la complessità degli interventi, dei calcoli connessi all’attuazione degli accordi di programma e, soprattutto, delle verifiche che dovrebbero essere messe in campo che già oggi latitano da parte del Ministero dell’Ambiente. In ogni caso sarà uno schiaffo per cittadini onesti e popolo inquinato e un guadagno per gli inquinatori. Si vedranno finanziare a fondo perduto o, se va male, con il “solo” credito d’imposta impianti produttivi di ogni genere che avranno anche il riconoscimento di opere di pubblica utilità! Chi ha la fedina sporca o un curriculum da inquinatore saprà scommettere su interventi sostenibili?
Il tocco finale è nel comma 6 in cui si prevede addirittura un vero e proprio condono tombale, co-finanziato dagli italiani, per gli inquinatori poiché l'attuazione dell'accordo di programma “esclude per tali soggetti ogni altro obbligo di bonifica e riparazione ambientale e fa venir meno l'onere reale per tutti i fatti antecedenti all'accordo medesimo.” Tutto ciò senza considerare che spessissimo (basti pensare ai casi della diffusione della contaminazione del PCB a Brescia o della diossina a Bussi) la gravità reale dell’inquinamento e il vero importo dei danni si scoprono ad anni di distanza.
Nel Decreto è clamorosa la mancanza di norme per assicurare la partecipazione dei cittadini e la trasparenza dei procedimenti nella formulazione degli accordi di programma. Non hanno neanche previsto la Valutazione Ambientale Strategica che è obbligatoria per piani e programmi. Sarà forse la “sindrome di Dracula”, si ha paura della luce? Bisogna utilizzare miliardi di euro di fondi pubblici europei al riparo dagli occhi di quei cittadini che, nonostante il fumo sprigionato dagli impianti inquinanti…, da anni hanno saputo denunciare reati e innescare inchieste (l’ultima ieri a Bussi, coinvolta la multinazionale Solvay)?
Comitati, cittadini e amministratori ritengono che i fondi pubblici debbano essere impiegati in maniera trasparente per progetti sostenibili realizzati da soggetti che abbiano credibilità e che abbassino la pressione antropica sui siti di bonifica già martoriati, sull’esempio dei paesi più civili, attraverso un Piano Nazionale per le Bonifiche condiviso con comunità, associazioni e movimenti. Gli inquinatori devono solo pagare fino in fondo per i disastri che hanno danneggiato l’economia di un intero paese e città meravigliose come Mantova, Taranto etc.
Roma, 11 Febbraio 2014
Forum Italiano dei Movimenti per l'Acqua
Stop Biocidio Lazio/Abruzzo
Rete Comuni SIN - Siti Interesse Nazionale per le Bonifiche
Coordinamento Nazionale Siti Contaminati
Associazione A Sud
ISDE Lazio
Aquino. Le giornate della memoria
Comitato ANPI -Provincia di Frosinone
Ieri 11 Febbraio, ad Aquino, si è svolta come programmato la seconda delle giornate di iniziativa per la Memoria degli stermini nazifascisti, promosse dall’Associazione “Adesso Aquino”. La giornata, nell’ambito di un più vasto programma che si concluderà sabato 15 nella Sede municipale, e realizzato in collaborazione con le Istituzioni locali, Comune e Scuola Media Statale, ha inteso portare ai giovani allievi delle classi medie un contributo di conoscenza e di sensibilità sui temi del razzismo, della tolleranza e della guerra che si avvalesse della testimonianza diretta di un sopravvissuto e dell’esperienza di persone ed associazioni che operano da sempre su questi temi.
L’ANPI è stata lieta di aderire all’invito rivoltole dagli organizzatori, ed ha offerto un contributo di conoscenza forte di decenni di impegno, partecipando con due dirigenti di prestigio adeguato all’importanza dell’iniziativa. Non trattandosi di una giornata di semplice commemorazione, abbiamo cercato di stimolare i ragazzi e le ragazze ad una riflessione consapevole, alla ricerca di una loro autonoma valutazione dei fatti, mettendo loro a disposizione sia lo svolgersi del processo storico di quelle vicende, sia il punto di vista critico e rigoroso dell’ANPI.
Gli interventi di Ivano Alteri dell’esecutivo provinciale e di Stefano Spalvieri, Segretario provinciale e studioso attento della storia del’900 italiano ed europeo, hanno fotografato il panorama storico-politico entro il quale il concentrazionismo europeo nazista e fascista si è prodotto e sviluppato, offrendo ai giovani presenti prezioso materiale di approfondimento critico. La stessa ANPI è stata presentata da Alteri come risorsa utile a chi voglia costruire il proprio giudizio politico ed etico attraverso la conoscenza critica e non riposando su comodi quanto inconsistenti luoghi comuni.
L’interlocuzione con altre associazioni, realtà territoriali o di più vasto interesse, Istituzioni democratiche (scuola, amministrazioni, Enti locali), che per l’ANPI sono metodo costante e irrinunciabile, ha avuto un momento davvero alto anche ad Aquino, reso ancor più proficuo dall’attiva presenza di Ugo Foà, testimone delle deportazioni italiane.
Nell’esprimere la propria soddisfazione per l’esito della giornata, e nel rivolgere un ringraziamento non formale all’Associazione “Adesso Aquino” per l’invito a collaborare, l’ANPI è lieta di confermare la propria partecipazione alla giornata conclusiva della manifestazione sabato 15 Febbraio, cui saranno presenti il Presidente ed il Segretario provinciali insieme ad una delegazione.
Auspichiamo il riproporsi di questa e di nuove iniziative ad Aquino sui temi della libertà, della democrazia e della pace, e assicuriamo il nostro sostegno all’Associazione “Adesso Aquino” per una futura sempre più stretta e proficua collaborazione.
martedì 11 febbraio 2014
Scuola di formazione politica e sociale Don Gallo. Un primo bilancio dopo il seminario sulla storia della mafie e dei movimenti antimafia.
Luciano Granieri
Sabato scorso 8 febbraio si è concluso il primo seminario
organizzato dell’Osservatorio Peppino Impastato di Frosinone a cura della Scuola di Formazione politica e
sociale Don Gallo. “La storia delle mafie e del movimento antimafia” è stato l’argomento del seminario strutturato
in tre appuntamenti. Essendo di fatto il primo vero evento organizzato
dall’Osservatorio (la proiezione del film i 100 passi l’anno scorso presso alcuni istituti scolastici di
Frosinone è stato un semplice seppur
significativo preambolo) vogliamo tentare un piccolo bilancio. Come già sottolineato la
partecipazione è stata numericamente in linea con le nostre aspettative. Ciò
che invece ci ha colpito positivamente è
stata la varietà delle persone che hanno partecipato. In un ambiente ristretto,
come quello dei cittadini militanti di
Frosinone, ci aspettavamo di vedere la solite facce, invece abbiamo avuto il
piacere di conoscere gente nuova di tutte le età e formazione sociale. Dai
giovani delle scuole medie superiori, agli insegnanti, dai professionisti a
piccoli imprenditori. In particolar modo abbiamo rilevato una partecipazione
massiccia di persone provenienti da paesi della provincia. Se da un lato ciò può costituire un elemento positivo,
dall’altro è da rimarcare la solita assenza delle coscienze civili del Capoluogo.
Sarebbe poco realistico non connettere questa scarsa partecipazione da parte
dei cittadini di Frosinone con la frammentata storia dei movimenti e dei
soggetti che gravitano attorno alla militanza frusinate. Questo è un male
cronico ed è anche la causa della
consolidata inadeguatezza dell’ opposizione sociale e politica alla perversa congregazione, al governo della città da decenni, costituita da una devastante commistione fra comitati elettorali
cittadini e potentati imprenditoriali,
fondiari e finanziari, implacabili predatori
della società civile frusinate. Chiusa la parentesi,
torniamo ad occuparci dei seminari. Un altro elemento importantissimo di questi
incontri è costituito dal fatto che alcuni partecipanti hanno deciso di passare,
da semplici fruitori, a soggetti attivi all’interno dell’Osservatorio. Proprio
nel corso dell’ultimo appuntamento di sabato scorso altre persone si sono unite
al sottoscritto, a Mario Catania, relatore del corso e a Francesco Notarcola, presidente
dell’associazione, al fine di condividere le incombenze organizzative dei
prossimi appuntamenti, tra i quali,
ricordiamo quello importantissimo di sabato prossimo 15 febbraio. “La festa e
la cena della legalità”. Una tappa fondamentale per la nostra associazione,
perchè sarà la prima vera occasione, fra musica, poesia, cibo per la mente e
per lo stomaco, di presentarci alla gente, di misurare, attraverso la
condivisione con altri soggetti, l’efficacia della nostra proposta sociale e
divulgativa. Dopo le prove di divulgazione ora è il momento della prova della
condivisione e della convivialità. Speriamo che ad ascoltare i Bifolk, gruppo
folk di Veroli, ad apprezzare le poesie di Peppino Impastato, recitate dal
professor Alfonso Cardamone e a godere delle specialità culinarie della nostra
città, ci sia molta gente. Ricordiamo dunque l’appuntamento: Festa e Cena della
legalità. Musica, poesia, libagioni e molto altro. Sabato 15 febbraio presso la Casa del volontariato di Frosinone
in Via Pierluigi da Palestrina, vicino al cinema Arci dietro alla stazione
ferroviaria a partire dalle 18,00. Vi aspettiamo
numerosi.
Diritto di sciopero e di organizzazione sindacale: adieu?
Fabiana Stefanoni
Ecco cosa significa il "Testo unico sulla rappresentanza"
voluto da padroni e burocrazie sindacali
ll 10 gennaio è stato sottoscritto, senza che ci sia stata un'adeguata risposta dal versante di classe, il famigerato "Testo unico sulla rappresentanza", sottoscritto da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria. Si tratta di un accordo tra i rappresentanti del padronato e le burocrazie sindacali che sancisce l'estensione del "modello Pomigliano" (già vigente in Fiat) a tutto il mondo del lavoro. Una tagliola sul diritto di sciopero e di associazione sindacale, che si viene ad aggiungere alla legge 146 del 1990, che limita fortemente i diritti sindacali nel pubblico impiego e nei cosiddetti "servizi essenziali".
Il sindacalismo conflittuale perde il diritto di rappresentanza
Il testo del 10 gennaio riprende, sostanzialmente, quello che padroni e burocrazie sindacali avevano sottoscritto il 31 maggio 2013 (con il "Protocollo d'intesa") e, già prima, il 28 giugno 2011 (con il cosiddetto "Accordo sulla rappresentanza"). Si tratta di accordi che hanno visto concordi Confindustria, Cgil, Cisl e Uil. La direzione della Fiom, che fino a pochi mesi fa aveva giudicato l'accordo positivamente (!), recentemente si è smarcata dalla Camusso: Landini si è detto contrario al Testo unico sulla rappresentanza e ha minacciato "barricate" in occasione del congresso Cgil (senza tuttavia togliere il proprio sostegno al documento di maggioranza della Camusso...). La Camusso, indisponibile a qualsiasi voce critica su questo punto, ha deciso di "sanzionare" Landini con un provvedimento disciplinare.
Si tratta di un attacco pesantissimo alla classe lavoratrice in Italia: con questo accordo i padroni si riprendono tutte le concessioni che furono costretti a fare in passato, sull'onda delle lotte operaie. E' la dimostrazione, secondo noi, del fatto che qualsiasi conquista strappata ai padroni nel sistema capitalistico prima o poi viene annullata: i padroni si riprendono con la mano destra tutto ciò che avevano concesso con la mano sinistra. E' la dimostrazione della necessità che le lotte operaie portino all'abbattimento del sistema capitalistico. Nessuna conquista della classe operaia sarà mantenuta se non si mette in discussione il dominio della borghesia.
Ma procediamo con ordine e vediamo quali sono i punti salienti di questo testo infame.
Prima di tutto, si stabilisce che solo i sindacati che condividono l'accordo stesso avranno diritto di rappresentanza sindacale nelle fabbriche. Il testo è chiaro: la condizione posta ai sindacati per partecipare alle elezioni delle Rsu (Rappresentanze Sindacali Unitarie) è che "accettino espressamente, formalmente e integralmente (sic!) i contenuti del presente accordo, dell'Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011 e del Protocollo 31 maggio 2013". In altre parole, tutti i sindacati conflittuali che si oppongono a questo accordo liberticida perdono qualsiasi diritto di rappresentanza sindacale nelle fabbriche.
Ma non finisce qui. Per poter partecipare alla contrattazione collettiva (cioè alla definizione dei Contratti collettivi nazionali di lavoro) i sindacati devono possedere alcuni requisiti minimi. Quali? anzitutto, "una rappresentatività non inferiore al 5%, considerando a tale fine la media tra il dato associativo (percentuale delle iscrizioni certificate) e il dato elettorale (percentuale dei voti espressi)" nelle Rsu. Ecco confezionata la trappola! Solo i sindacati che condividono l'accordo liberticida possono concorrere alle Rsu... ciò significa che tutti gli altri sono esclusi dalla contrattazione. Non solo: il compito di certificare le iscrizioni al sindacato è affidato in prima istanza alle aziende. Il che implica, tra l'altro, che nessun lavoratore potrà iscriversi a un sindacato senza che l'azienda lo sappia (dopo lo smantellamento dell'articolo 18 l'iscrizione a un sindacato conflittuale può diventare un buon motivo per licenziare).
Ecco allora che solo i sindacati concertativi Cgil, Cisl e Uil potranno partecipare alla contrattazione collettiva nazionale. E qui si apre un altro capitolo.
Si tratta di un attacco pesantissimo alla classe lavoratrice in Italia: con questo accordo i padroni si riprendono tutte le concessioni che furono costretti a fare in passato, sull'onda delle lotte operaie. E' la dimostrazione, secondo noi, del fatto che qualsiasi conquista strappata ai padroni nel sistema capitalistico prima o poi viene annullata: i padroni si riprendono con la mano destra tutto ciò che avevano concesso con la mano sinistra. E' la dimostrazione della necessità che le lotte operaie portino all'abbattimento del sistema capitalistico. Nessuna conquista della classe operaia sarà mantenuta se non si mette in discussione il dominio della borghesia.
Ma procediamo con ordine e vediamo quali sono i punti salienti di questo testo infame.
Prima di tutto, si stabilisce che solo i sindacati che condividono l'accordo stesso avranno diritto di rappresentanza sindacale nelle fabbriche. Il testo è chiaro: la condizione posta ai sindacati per partecipare alle elezioni delle Rsu (Rappresentanze Sindacali Unitarie) è che "accettino espressamente, formalmente e integralmente (sic!) i contenuti del presente accordo, dell'Accordo Interconfederale del 28 giugno 2011 e del Protocollo 31 maggio 2013". In altre parole, tutti i sindacati conflittuali che si oppongono a questo accordo liberticida perdono qualsiasi diritto di rappresentanza sindacale nelle fabbriche.
Ma non finisce qui. Per poter partecipare alla contrattazione collettiva (cioè alla definizione dei Contratti collettivi nazionali di lavoro) i sindacati devono possedere alcuni requisiti minimi. Quali? anzitutto, "una rappresentatività non inferiore al 5%, considerando a tale fine la media tra il dato associativo (percentuale delle iscrizioni certificate) e il dato elettorale (percentuale dei voti espressi)" nelle Rsu. Ecco confezionata la trappola! Solo i sindacati che condividono l'accordo liberticida possono concorrere alle Rsu... ciò significa che tutti gli altri sono esclusi dalla contrattazione. Non solo: il compito di certificare le iscrizioni al sindacato è affidato in prima istanza alle aziende. Il che implica, tra l'altro, che nessun lavoratore potrà iscriversi a un sindacato senza che l'azienda lo sappia (dopo lo smantellamento dell'articolo 18 l'iscrizione a un sindacato conflittuale può diventare un buon motivo per licenziare).
Ecco allora che solo i sindacati concertativi Cgil, Cisl e Uil potranno partecipare alla contrattazione collettiva nazionale. E qui si apre un altro capitolo.
La contrattazione collettiva diventa un affare tra padroni e burocrati
Il Nidil Cgil ha pubblicato sul suo sito uno squallido fumetto che ha lo scopo di dimostrare la bontà di questo accordo: cercano di presentarlo come un accordo vantaggioso per i lavoratori, in cui l'ultima parola spetta proprio a loro. "Da oggi a te l'ultima parola", spiega il burocrate Cgil, nel fumetto, alla lavoratrice fessacchiotta (donna e operaia? per questo si fa passare come scema?). Ma come stanno veramente le cose? La verità è che solo i sindacati che accettano i diktat di Confindustria potranno accedere alla contrattazione; che se un accordo è sottoscritto dal 50% più uno dei sindacati "rappresentativi" potrà diventare legge (e sappiamo quanto presto facciano i padroni a costruirsi sindacati amici, basta pensare al Fismic in Fiat); che sarà necessaria la "consultazione certificata delle lavoratrici e dei lavoratori". Esattamente quello che è successo in Fiat con l'applicazione del modello Pomigliano: si fa passare un accordo tra i sindacati complici con una consultazione referendaria truccata, senza opposizione, senza che ai lavoratori venga presentata alcuna alternativa credibile e possibile.
Non solo: le organizzazioni sindacali, una volta approvato il Contratto, si devono astenere da "azioni di contrasto di ogni natura, finalizzate a compromettere il regolare svolgimento dei processi negoziali come disciplinati dagli accordi interconfederali vigenti nonché l'esigibilità e l'efficacia dei contratti collettivi stipulati". In altre parole, divieto del diritto di sciopero durante e dopo le trattative, pena la "sospensione dei diritti sindacali" e "pene pecuniarie".
Ecco dunque che l'accordo di Pomigliano viene esteso a tutte le fabbriche di tutti i settori. La differenza, questa volta, è che la Cgil sottoscrive e approva, e persino la Fiom di Landini, in prima istanza, ha cantato vittoria (nella speranza di essere riammessa al tavolo delle trattative con Finmeccanica...).
Non solo: le organizzazioni sindacali, una volta approvato il Contratto, si devono astenere da "azioni di contrasto di ogni natura, finalizzate a compromettere il regolare svolgimento dei processi negoziali come disciplinati dagli accordi interconfederali vigenti nonché l'esigibilità e l'efficacia dei contratti collettivi stipulati". In altre parole, divieto del diritto di sciopero durante e dopo le trattative, pena la "sospensione dei diritti sindacali" e "pene pecuniarie".
Ecco dunque che l'accordo di Pomigliano viene esteso a tutte le fabbriche di tutti i settori. La differenza, questa volta, è che la Cgil sottoscrive e approva, e persino la Fiom di Landini, in prima istanza, ha cantato vittoria (nella speranza di essere riammessa al tavolo delle trattative con Finmeccanica...).
Costruiamo una grande mobilitazione per la democrazia sindacale e il diritto di sciopero!
Di fronte a questo attacco - che si aggiunge alle pesanti limitazioni al diritto di sciopero presente nel pubblico impiego e nei "servizi essenziali" - è necessario avviare da subito una grande campagna unitaria per la difesa della democrazia sindacale. E' necessario e urgente che i sindacati "di base" accantonino le propensioni settarie e autoreferenziali e si uniscano nella lotta per respingere questo accordo che sancirebbe la fine di qualsiasi sindacalismo conflittuale. E' necessario coinvolgere in questa mobilitazione i settori critici della Cgil, a partire dai sostenitori del documento di minoranza al congresso e alla stessa Fiom, per costruire un fronte unitario di lotta. E' necessario unificare e rafforzare, in un fronte unico, tutte le avanguardie di lotta: dai lavoratori della logistica ai lavoratori del pubblico impiego e dei trasporti, dai precari della scuola agli operai del gruppo Fiat a tutti i settori lavorativi che subiscono attacchi, riduzione dei salari, licenziamenti. Oggi uno strumento per unificare le lotte esiste già, e crediamo che vada rafforzato: è il coordinamento No Austerity Rafforziamo l'unità delle lotte! Uniti possiamo vincere, isolati possiamo solo perdere!
Electrolux Organizzare la resistenza dei lavoratori contro l'attacco padronale!
di Matteo Bavassano Pdac sezione di Milano
Partiamo da questa vertenza per respingere l’attacco padronale
La necessità imperante, ieri come oggi, è quella di respingere con forza l’attacco padronale: oggi l’Electrolux diventa uno dei punti focali di questo attacco anche perché, come abbiamo detto, il piano che la multinazionale svedese vorrebbe applicare contro i suoi lavoratori è un piano di tagli che nelle intenzioni dei padroni sarà esteso a tutte le realtà produttive italiane, e l’Accordo della vergogna è funzionale proprio a portare attacchi di questa portata ai lavoratori, rendendo (nei piani dei padroni) impossibile ogni resistenza operaia. Per questo crediamo sia necessario partire dalla vertenza dell’Electrolux proponendo ai lavoratori una lotta radicale per la difesa dei posti di lavoro e proponendo soluzioni radicali, le uniche che possono impedire ai padroni di continuare a sfruttare e a ricattare i lavoratori. E’ necessario, innanzi tutto, unire a questa vertenza specifica una battaglia generale, aggregando lavoratori di altri settori e altre categorie in una lotta per i diritti sindacali, i diritti di rappresentanza sui luoghi di lavoro e di sciopero.
No al ricatto dei padroni, il salario non si tocca!
Nazionalizzazione senza indennizzo: l’Electrolux sia gestita dai lavoratori stessi!
Estendiamo la lotta fino allo sciopero generale! Costruiamo una grande mobilitazione per cancellare l’accordo della vergogna e tutte le leggi antisciopero!
Organizziamo e uniamo le lotte e la resistenza dei lavoratori!
Il caso dell’Electrolux, che già da qualche mese agitava le acque del sindacalismo e delle lotte (ma la cui lotta specifica, soprattutto ad opera dei sindacati di base, risale ormai a tre anni fa nell’indifferenza e, anzi, con l’ostilità, spesso, delle burocrazie dei sindacati concertativi), è diventato un caso di portata nazionale quando, il 27 gennaio scorso, Electrolux ha presentato un ultimatum ai lavoratori: o si tagliano i salari del 40% oppure delocalizziamo in Polonia. Se, da un lato, l’esposizione mediatica della vicenda ha il merito di mettere in luce i drammatici ricatti cui i lavoratori sono sottoposti ogni giorno in tantissime realtà, soprattutto in un quadro sindacale italiano su cui si sta per abbattere lo tsunami dell’accordo tra Confindustria e Confederali sulla rappresentanza, che abbiamo ribattezzato “Accordo della vergogna”, d’altra parte il quadro che i media danno della vicenda è un quadro essenzialmente distorto, data la loro funzione di “tutori mediatici dell’ordine”. Passa, infatti, solo l’idea della multinazionale cattiva che vuole speculare delocalizzando la produzione oppure ricreando le condizioni di bestiale sfruttamento dei Paesi dell’est qui in Italia, multinazionale contrapposta ai “bravi” imprenditori italiani che vorrebbero salvaguardare la produzione italiana. Non manca nemmeno chi difende la scelta di Electrolux (cioè la scelta dei padroni contro i lavoratori) di andarsene dall’Italia a causa dell’alto costo del lavoro, ci riferiamo a Grillo e al suo reazionario Movimento 5 stelle: per Grillo il problema è lo Stato che chiede troppo alle imprese. Ma il problema di cosa debbano fare i lavoratori per non perdere lavoro e possibilità di sopravvivere non lo tange nemmeno. Ebbene, come ci hanno anche spiegato i lavoratori e le lavoratrici dell’Electrolux, cui abbiamo portato la nostra solidarietà militante, e come è facile verificare, il ricatto di Electrolux è sorprendentemente simile, per non dire identico nelle sue linee essenziali, ad un documento elaborato da Confindustria di Pordenone (insieme con “esperti” del mercato del lavoro come l’ex-ministro Treu) che vuole giungere ad una nuova competitività mediante tagli drastici ai salari e annullamento dei diritti, tra le altre cose con annullamento degli aumenti fissi, taglio delle pause e delle festività ed altri provvedimenti del genere.
Partiamo da questa vertenza per respingere l’attacco padronale
La necessità imperante, ieri come oggi, è quella di respingere con forza l’attacco padronale: oggi l’Electrolux diventa uno dei punti focali di questo attacco anche perché, come abbiamo detto, il piano che la multinazionale svedese vorrebbe applicare contro i suoi lavoratori è un piano di tagli che nelle intenzioni dei padroni sarà esteso a tutte le realtà produttive italiane, e l’Accordo della vergogna è funzionale proprio a portare attacchi di questa portata ai lavoratori, rendendo (nei piani dei padroni) impossibile ogni resistenza operaia. Per questo crediamo sia necessario partire dalla vertenza dell’Electrolux proponendo ai lavoratori una lotta radicale per la difesa dei posti di lavoro e proponendo soluzioni radicali, le uniche che possono impedire ai padroni di continuare a sfruttare e a ricattare i lavoratori. E’ necessario, innanzi tutto, unire a questa vertenza specifica una battaglia generale, aggregando lavoratori di altri settori e altre categorie in una lotta per i diritti sindacali, i diritti di rappresentanza sui luoghi di lavoro e di sciopero.
I piani dei sindacati concertativi e di Confindustria per distruggere ogni traccia di democrazia sindacale non sono slegati dall’attacco padronale contro i lavoratori e non sarà certo la mezza opposizione delle burocrazie sindacali della Fiom all’accordo (opposizione tardiva, contraddittoria e che per ora non si esprime che per via burocratica con il ricorso sulla costituzionalità dell’accordo) ad aiutare i lavoratori. La soluzione può arrivare solo dalla lotta intransigente dei lavoratori nel momento in cui si estende, coinvolge altre realtà (dai lavoratori delle fabbriche, ai lavoratori della sanità, della scuola, dei Comuni, ecc..) acquistando così la forza necessaria per respingere l’attacco dei padroni.
No al ricatto dei padroni, il salario non si tocca!
Nazionalizzazione senza indennizzo: l’Electrolux sia gestita dai lavoratori stessi!
Estendiamo la lotta fino allo sciopero generale! Costruiamo una grande mobilitazione per cancellare l’accordo della vergogna e tutte le leggi antisciopero!
Organizziamo e uniamo le lotte e la resistenza dei lavoratori!
Frosinone, la lezione del giurista Luciano Barra Caracciolo
Luciano Granieri
Che i trattati europei fossero scritti di quattro banchieri rinchiusi dentro una stanza e imposti a tutta la comunità sotto le mentite spoglie di strumenti di prosperità sociale, ci era chiaramente noto. Che i trattati europei collidessero con i principi della costituzione italiana e con le costituzioni di altri paesi, oltre che ad essere noto, ci è stato confermato dalle intimazioni di JP Morgan che nel giugno scorso invitava l’eurozona a liberarsi definitivamente dalle costituzioni antifasciste per completare il dominio del capitale finanziario in tutte le aree d’Europa.
Ma la chiarezza e la ineluttabilità degli elementi che il giurista Luciano Barra Caracciolo ha fornito nella presentazione del suo libro Euro e (o?) democrazia costituzionale. La convivenza impossibile tra costituzione e trattati europei, svoltasi sabato scorso presso la sala convegni della Provincia, hanno tolto ogni dubbio sulle reali finalità dei trattati europei. In particolare, nell’incontro organizzato dal Comitato in difesa della Costituzione di Frosinone, la descrizione degli articoli del 123, 124 e 125 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea ha fatto emergere la reale natura liberista delle normative europee . In queste norme si sancisce, nero su bianco, che l’Unione Europea non risponde degli impegni assunti dalle amministrazioni statali di qualsiasi stato membro (art.125) vieta alla Bce l’acquisto diretto del debito pubblico degli stati membri ( proprio in questa direzione si stanno rivolgendo gli strali della Corte Costituzionale Tedesca per contrastare la decisione della Bce di acquistare titoli di stato - Omt - dei paesi in difficoltà per ridurre lo spread). In buona sostanza si determina il divieto di qualsiasi pratica solidaristica fra Stati, o di qualsiasi sistema fiscale generale finalizzato a garantire un minima forma di difesa sociale. Sono sufficienti questi tre articoli per vanificare totalmente gli effetti della Costituzione Italiana.
L’unione europea non è in grado di assicurare, il fondamento cardine della repubblica italiana, cioè il lavoro, diritto continuamente sottratto alla comunità in favore dell’accumulazione del capitale finanziario. Nè sono assicurati i diritti inviolabili dell’uomo basati sulla solidarietà politica, economica e sociale. Nè i trattati dell’Unione, così come formulati, sono in grado di rimuovere gli ostacoli di ordine sociale ed economico che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impedendo così il pieno sviluppo della persona umana. Anzi l’obbligo dell’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione, ledendo questi principi, introduce un elemento di contraddizione all’interno della stessa Costituzione. Come è evidente ci siamo limitati a citare soli i primi tre articoli della Carta il cui spirito contrasta con i trattati europei, ma potremmo citarne molti altri.
Un ulteriore interessante rilievo che il prof. Barra Caracciolo ha posto alla nostra attenzione riguarda l’interpretazione dell’articolo 11 della costituzione. E’ falso affermare che questo articolo obbliga l’Italia al rispetto di trattati internazionali condivisi con gli altri Paesi . Infatti la rinunzia di una parte della propria sovranità per scopi più alti è finalizzata esclusivamente alla realizzazione di un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni cosa del tutto estranea ai trattati europei che, al contrario, liberano il predominio del potere economico sul potere sociale.
Alle puntali indicazioni del professor Barra Cracciolo, mi permetto di aggiungere un ulteriore elemento di enorme contraddizione. Al punto n. 6 del trattato di Lisbona (ossia il trattato sull’Unione europea) è scritto che “L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 7 dicembre 2000, adattata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati” (TUE e TFUE ndr). Nella carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea sono sanciti: Il rispetto della dignità umana, il diritto all’integrità della persona, la proibizione della schiavitù e del lavoro forzato ( elemento che viene eluso da quei paesi in cui i lavoratori sono costretti a paghe da fame e che in conseguenza di ciò, favoriscono la delocalizzazione favorendo il dumping sociale), il diritto all’istruzione e al lavoro, il diritto di negoziazione e di azioni collettive, la tutela in caso di licenziamento ingiustificato, l’ottenimento di condizioni di lavoro giuste ed eque, della sicurezza, dell’ assistenza sociale e della protezione della salute, nonchè l’accesso ai servizi d’interesse economico generale, la tutela dell'ambiente, la protezione dei consumatori. Quanto hanno in comune queste prescrizioni con ciò che è previsto dagli articoli 123-124-125 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea prima citati? Nulla eppure la carta dei diritti dell’unione, in base a quanto sancito dal trattato di Lisbona, dovrebbe avere la stessa dignità giuridica dell’appena citato TFUE.
La risposta alla domanda su quale parte dei trattati venga fatto rispettare è abbastanza scontata. E’quindi necessario uscire dall’ipocrisia dell’invocazione di un’ Europa più giusta. Il presidente Napolitano non può rivendicare, come ha fatto nella sua recente visita a Strasburgo, una politica europea solidale senza chiedere l’annullamento degli attuali trattati. Quando i partiti riformisti si pongono l’obbiettivo di reclamare la mitigazione della politiche di austerity, annunciano di voler battere il pugno sul tavolo delle istituzioni europee, o non hanno ben chiara la situazione, o sono in malafede, perchè, per fermare la marea di impoverimento causata dall’austerity imposta dai potentati finanziari europei,è necessario abolire gli attuali trattati.
Personalmente credo nella necessita di riscrivere un nuovo patto che abbia come punto di partenza la carta dei diritti dell’Unione. Bisogna fare l’esatto contrario di ciò che hanno intimato i banditi della JP Morgan. Cioè non disfarsi delle costituzioni antifascista, ma applicarle a livello europeo, elevarle da Costituzioni nazionali a Carte fondanti dei diritti dell’intera Unione. Ma per attuare questo piano è necessario combattere duramente coloro i quali hanno imposto, in nome dei propri interessi particolari, di classe, un’Unione europea basata sulla condivisione delle regole ultra liberiste, sull’ istituzione di un unica grande aerea dove la speculazione e l’accumulo di rendite finanziarie sono libere di espandersi, ma dove, per non disturbare il libero fluire degli affari, le nazioni devono rimanere divise dai loro interessi particolari e questa condizione non deve assolutamente essere rimossa. Siamo grati quindi al prof. Barra Caracciolo per averci fornito non solo conferme, ma anche nuove consapevolezze. Non resta che farne tesoro.
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