Alberto Madoglio : Lega Internazionale dei Lavoratori
Venerdì 21 ottobre la Fiom ha indetto una sciopero generale di otto ore per tutti i lavoratori del Gruppo Fiat. Si tratta della prima mobilitazione degli operai della multinazionale di Torino indetta dai metalmeccanici della Cgil da parecchio tempo.
Data l’importanza che la Fiat ha storicamente avuto in Italia e che continua ad avere oggi, nonostante la crisi che l’ha pesantemente colpita come tutte le multinazionali del settore auto, i risultati di questa vertenza avranno delle ricadute, in positivo o in negativo, per tutti i lavoratori.
Fiat: un comportamento anti-operaio che viene da lontano
La Fiat a gestione Marchionne ha da oltre un anno iniziato una durissima lotta, senza esclusione di colpi, contro i suoi operai e contro la Fiom. In verità la politica sindacale dell’azienda non è mai stata tenera con i lavoratori e i sindacati combattivi, e non ci riferiamo solo alle vicende degli scontri tra azienda, sindacato e lavoratori che hanno caratterizzato la storia aziendale dalla sua fondazione, ma anche a fatti più recenti (vedi i licenziamenti dei delegati dei sindacati extraconfederali avvenuti negli ultimi anni, le migliaia di provvedimenti disciplinari inflitti ogni anno agli operai, ecc.).
Il salto di qualità della gestione MarchionneTuttavia dal giugno dello scorso anno abbiamo assistito a un salto di qualità, e di quantità, nella politica aziendale.
Con l’introduzione nell’estate del 2010 di un nuovo contratto per i lavoratori della Fiat di Pomigliano d’Arco, con cui in sostanza venivano azzerati i diritti degli operai, si è voluto dare un segnale non solo ai lavoratori del Gruppo, ma al mondo del lavoro nel suo insieme: il tempo delle trattative rituali azienda-sindacato è finito; superati i cancelli, esiste un solo padrone e i dipendenti hanno un solo dovere: ubbidire e lavorare in silenzio.
All’epoca si diceva che il comportamento del Lingotto era dovuto alle particolari difficoltà nel gestire una fabbrica come quella campana (dove i lavoratori da anni si oppongono a condizioni di impiego molto pesanti, a un sistematico ricorso alla cassa integrazione e quindi a salari ridotti fino alla metà).
La svolta di Pomigliano non sarà un caso isolato, una eccezione, seppur infelice. Prima o poi tutte le altre aziende del Gruppo sarebbero state colpite da questa accelerazione autoritaria e questa si sarebbe poi allargata a tutto il mondo del lavoro. Così è stato: prima con Mirafiori a Torino, poi della Bertone di Grugliasco. Per Termini Imerese, Irisbus di Avellino e Cnh di Imola (queste ultime fabbriche producono mezzi pesanti come camion e autobus) si è scelta la soluzione estrema: chiusura degli impianti e licenziamento di migliaia di lavoratori. Per il resto degli operai, impiegati e precari la traduzione del nuovo corso Fiat sono stati l’accordo tra sindacati e Confindustria del 28 giugno scorso e l’articolo 8 della recente manovra finanziaria del governo, che in entrambi i casi adottano il modello Marchionne, decretando nei fatti la morte del contratto nazionale di lavoro e la distruzione del sindacato confederale a favore di sindacati aziendali, con lo scopo nemmeno troppo nascosto di legarli e subordinarli alle esigenze dei capitalisti, mettendo in competizione tra loro gli operai delle varie aziende.
Un attacco a tutto il mondo del lavoroSiccome l’appetito vien mangiando, la Fiat non si è fermata e, con l’annuncio dell’uscita da Confindustria a partire dal gennaio 2012, ha indirettamente affermato che vuole liberarsi da ogni residuo vincolo “concertativo”. Come spiegare questo comportamento? Ricordavamo all’inizio che il settore auto è stato quello maggiormente colpito dalla crisi scoppiata nel 2008, e la Fiat, che è la più debole fra le grandi imprese del settore, si trova da tempo in forte difficoltà rispetto ai suoi concorrenti. E’ anche quella che investe meno in ricerca e sviluppo, a causa della sua debolezza patrimoniale, e quindi cerca di recuperare utili aumentando a dismisura lo sfruttamento della manodopera. Ovvio che in una situazione del genere, ogni minimo ostacolo o rallentamento ai suoi piani appare alla direzione come un attentato alla sopravvivenza.
La direzione Fiom: realismo o opportunismo?Ma questo atteggiamento è stato molto facilitato dalla mancanza di opposizione ai suoi piani: non solo Cisl, Uil, governo e la Cgil di Susanna Camusso non si sono minimante opposti ai piani di Torino, ma la stessa Fiom, che da 18 mesi è stata spesso vista da molti come l'ultimo baluardo a difesa degli operai, ha avuto grosse responsabilità per la situazione in cui si trovano oggi i lavoratori Fiat e non solo.
Landini, segretario dei metalmeccanici Cgil, che a parole denunciava l’accordo di Pomigliano come il primo passo per un attacco generalizzato al mondo del lavoro, non è stato conseguente con queste premesse condivisibili: non solo non ha proclamato lo sciopero a oltranza a Pomigliano per sconfiggere i piani aziendali, ma non ha fatto appello per una mobilitazione di tutti i lavoratori del Gruppo, né tantomeno uno sciopero generale contro i piani di Fiat, Confindustria e governo che, al di là dei distinguo di facciata, avevano lo stesso obiettivo: sferrare al proletariato un colpo micidiale.
A Mirafiori, quando gli operai hanno risposto con una valanga di No al referendum truffa sull’accordo, Landini si è limitato a denunciare l’azienda alla magistratura borghese: con quali risultati? Che i giudici, non essendo arbitri super partes, hanno riconosciuto, in barba alle stessi leggi fatte dalla borghesia, il diritto dei padroni di imporre in fabbrica la loro legge, dimostrando una volta di più che i magistrati altro non sono che gli ermellini da guardia del capitale e dei suoi interessi.
Alla Bertone, Landini ha battuto ogni record di cinismo e opportunismo, dando il sostanziale via libera alla Rsu Fiom che ha sottoscritto un accordo identico a quelli osteggiati a Pomigliano e Mirafiori.
Per questi motivi lo sciopero di venerdì rischia di arrivare troppo tardi, e di trovare una classe operaia sfiduciata dalle troppe occasioni perse nell’ultimo anno e mezzo.
Generalizzare lo scontro sociale: per un vero autunno caldoNoi crediamo che la partita, in Fiat come nel Paese, non sia ancora chiusa, al contrario: siamo alla prevedibile vigilia di una ascesa delle lotte anche in Italia, come peraltro già avviene, con ritmi diversi, in varie parti d'Europa.
Ce lo dimostrano gli operai di Termini, Avellino e Imola che non accettano che altri determino il loro futuro. Ma lo dimostrano anche gli operai della Ferrari di Maranello, fiore all’occhiello del Gruppo di Torino, che hanno deciso che non limiteranno la loro lotta allo sciopero del 21, ma continueranno fintanto che l’azienda non riconoscerà i loro diritti, sindacali e salariali, smettendo di trattarli come schiavi in cambio di uno stipendio che non permette loro una vita dignitosa. E infine, una prova che nulla è perduto ci viene dalla enorme manifestazione del 15 ottobre, pur privata della piazza dalla repressione borghese stimolata (se mai ce ne fosse bisogno) dalla disorganizzazione del corteo voluta dai gruppi promotori e dall'intervento infantile dei vari sfascia-vetrine. Prendendo a pretesto i fatti del 15, il governo -preoccupato della possibile crescita delle lotte operaie ben più che di qualche anarchico- ha annunciato un inasprimento delle norme repressive. Il primo atto, concordato col sindaco di Roma, è stato intanto vietare agli operai di sfilare in corteo il 21. La borghesia e i suoi politici, di centrodestra e centrosinistra (vedi il duetto Maroni-Di Pietro), non ha paura di qualche decina di pseudo-anarchici ma di migliaia di operai che potrebbero realmente bloccare il Paese, come sta succedendo in Grecia e, con effetti rivoluzionari, nei Paesi arabi, a partire dall'Egitto, dove la classe operaia è stata protagonista della cacciata di Mubarak (e ancora adesso rifiuta di lasciare la piazza al governo borghese diretto dall'esercito che impone, anche lì, misure anti-sciopero).
Anche Landini e Airaudo sono consapevoli di questa possibilità e cercano in ogni modo di evitare quelli che loro chiamano "incidenti": fingono di usare un linguaggio “radicale” quando in realtà sono costretti a proclamare la mobilitazione, che si prevede imponente, perché non potevano fare altrimenti. Al tempo stesso sono pronti a tradire le giuste aspettative e rivendicazioni dei loro rappresentati alla prima occasione utile. Lo hanno esplicitamente detto all’assemblea nazionale dei quadri Fiom dello scorso mese, annunciando la disponibilità a "congelare il conflitto", a patto di essere richiamati al tavolo delle trattative con i padroni.
Il 21 ottobre deve essere una giornata di lotta senza quartiere contro padroni, governo, politici della borghesia e burocrati sindacali che, in una sorta di nuova Union Sacrée, tentano disperatamente di evitare che la situazione sfugga loro di mano.