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L’Europa che vorrei è quella dei popoli, non dei mercati. I tratti fondanti dell’attuale UE identificano
una costruzione europea destinata al governo di un mercato sovranazionale. Una
struttura in cui diritti dei popoli vanno gaiamente a farsi benedire.
Non è un caso che la crisi finanziaria del 2008, provocata dal fallimento delle
scorribande speculative delle banche d’investimento, ha visto l’Unione Europea impegnata a
trasferire sulle spalle dei propri cittadini i debiti contratti dai banchieri
privati. Come? Gli stretti vincoli determinati dal trattato di Maastricht, per
cui ogni singolo Stato deve rispettare un rapporto debito/pil non superore al 3%, ha spinto i governi, impossibilitati a mettere in campo uno straccio di
politica sociale, a ricorrere a sistemi
di finanziamento i cui tassi d’interessi
usurai , imposti da quelle stesse banche
che hanno prodotto il disastro e veicolati dalla Bce, hanno appesantito
ulteriormente una situazione debitoria non creata dai cittadini. Se a ciò
aggiungiamo che i prodotti finanziari, venduti
agli Stati dai delinquenti delle banche
d’affari tipo Deutsch Bank , J.P Morgan o ancora Goldman Sachs, pullulavano
di titolo tossici, (con la
cartolarizzazione dei mutui subprime e dei
derivati), l’imbroglio ai danni della
comunità è del tutto evidente.
Questa
dinamica, che nega ogni diritto sociale alla
maggioranza dei cittadini europei, non appartenenti alle
èlite economiche, la cui rabbia viene indirizzata verso gli
immigrati, è permessa proprio dalle normative europee. Nel trattato
di Maastricht si fa divieto agli Stati di ricorrere all’assistenza finanziaria
dell’Unione, di altri Paesi membri, o delle Banche centrali, obbligando i
governi a rivolgersi ai mercati per
soddisfare il proprio fabbisogno di denari, cedendo a questi la propria autonomia politica.
Il Patto di Stabilità e Crescita inasprisce la disciplina degli avanzi di bilancio. Il rapporto debito Pil al 3% potrebbe risultare addirittura eccessivo. Ogni singolo Stato, in funzione
della propria precaria situazione
economica, potrebbe essere obbligato ad un’ulteriore
macelleria sociale riducendo ulteriormente la situazione debitoria al di
sotto del 3%.
Il Fiscal compact cede alla commissione europea la valutazione della
condizione finanziaria dei singoli Paesi membri condizionandone le scelte di
politica economica. Lo stesso Fiscal Compact arriva
ad imporre ai singoli enti locali un deficit strutturale non inferiore allo
0,5% del Pil, arrivando ad espropriare le prerogative democratiche fin dentro i Comuni.
Tutta l’impalcatura su cui si fonda l’Unione
Europea sancisce la supremazia degli interessi finanziari su quelli dei
cittadini. Ne consegue che per un’Europa di popoli, tutto il sistema va abbattuto dalle sue fondamenta: dal trattato Maastricht, al Patto di Stabilità e Crescita, dal Fiscal Compact al sistema vessatorio dei salvataggio degli Stati
(Mes), dal Trattato
sull’Unione (Tue) , a quello sul
funzionamento dell’Unione (Tfue), fino ai protocolli del trattato di Lisbona.
Tutto ciò sarebbe
irrealizzabile senza un ripensamento della struttura istituzionale della UE. I membri del
Parlamento europeo, che andremo inutilmente ad eleggere domenica prossima, non
avranno alcun potere decisionale. Il
Parlamento infatti non può far altro che
condividere le decisioni del Consiglio e della Commissione (istituzioni non elette dai cittadini a livello europeo) depositari delle competenze legislative. Non solo, tale
condivisione viene meno per quanto concerne le materie di politica estera,
finanziaria e monetaria, di esclusiva competenza del Consiglio (i cui
componenti sono i capi dei singoli stati) dell’ECOFIN ( composto dai ministri
dell’economia dei Paesi Membri) e dalla Bce.
Nell’Europa che vorrei ogni Paese membro dovrebbe eleggere i componenti di un’assemblea
costituente chiamata alla stesura
della Costituzione europea da sottoporre al giudizio degli elettori. Una Carta basata sui principi comuni a tutti i dispositivi costituzionali nati nel
corso della storia, a partire dalla dichiarazione dei diritti dell’uomo e del
cittadino del 1789. Principi in cui il
benessere dei cittadini è posto come bene supremo, che nessun’altra prerogativa
può scalfire , men che meno gli interessi dell’èlite finanziarie. Una
Costituzione in cui venga sancito il potere legislativo del Parlamento, con il
Consiglio deputato alle funzioni esecutive.
Un Parlamento che sancisca diritti
comuni e uguali per i cittadini dell’intera Comunità europea, in termini di progressività
fiscale, di accesso al lavoro, alla
salute, all’istruzione, con salari e condizioni economiche decenti, funzionali ad assicurare il pieno sviluppo della persona
umana.
Nelle condizioni date non ha alcun senso sprecare un bene
democraticamente prezioso come il voto per un rappresentate che non avrà alcun
potere. Prima si procederà alla rimozione totale dell’attuale assetto
normativo e costitutivo della UE, con la revisione
totale dei rapporti di forza, in favore di una rappresentanza parlamentare
reale e di una partecipazione fattiva e consapevole di tutti
i cittadini europei alla vita politica,
e prima si otterrà un vero cambiamento.
Solo con una nuova
architettura sarà possibile il raggiungimento di un benessere sociale diffuso e globale. Solo così
gli interessi pubblici potranno superare le prerogative lobbistiche di singoli Stati e di potentati finanziari , quelli si totalmente globalizzati.
Personalmente andrò al seggio, rifiuterò
la scheda e farò verbalizzare dal Presidente i motivi del mio diniego, dovuto
alla totale inutilità rappresentativa del voto. Probabilmente sarà un atto
insufficiente, forse inutile. Ma lo sarà
fini a quando non ci si renderà conto che il campo la lotta per una reale rinascita del benessere collettivo comune a
tutta l’Europa e a tutto il mondo, deve
spostarsi sulla rivendicazione di un’agibilità democratica oggi negata. Un totalitarismo determinato, non già dai pur
pericolosi effetti collaterali di un Europa antisociale incarnati nei sovranismi e nei fascismi variamente declinati, ma dalla
dittatura globale del neoliberismo.