Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

venerdì 24 maggio 2019

L'Europa che vorrei passa dallo smantellamento di quella attuale.

Luciano Granieri


foto tratta dal sito:Contropiano.org



L’Europa che vorrei è quella dei popoli, non dei mercati.  I  tratti fondanti  dell’attuale UE   identificano una  costruzione  europea destinata al  governo di un mercato sovranazionale. Una struttura in cui  diritti dei  popoli vanno gaiamente a farsi benedire.  

Non è un caso che la  crisi finanziaria del  2008, provocata dal fallimento delle scorribande speculative delle banche d’investimento,  ha visto l’Unione Europea impegnata a trasferire sulle spalle dei propri  cittadini i debiti contratti dai banchieri privati. Come? Gli stretti vincoli determinati dal trattato di Maastricht, per cui ogni singolo Stato deve rispettare un rapporto debito/pil non superore al 3%, ha spinto i governi, impossibilitati a mettere in campo uno straccio di politica sociale, a  ricorrere a sistemi di finanziamento  i cui tassi d’interessi usurai , imposti  da quelle stesse banche che hanno prodotto il disastro  e veicolati dalla Bce, hanno appesantito ulteriormente una situazione debitoria non creata dai cittadini. Se a ciò aggiungiamo che  i  prodotti finanziari,   venduti agli Stati  dai delinquenti delle banche d’affari tipo Deutsch Bank , J.P Morgan o ancora Goldman Sachs,   pullulavano di  titolo tossici,  (con  la cartolarizzazione dei  mutui subprime e dei  derivati), l’imbroglio ai danni della comunità  è del tutto evidente. 

Questa dinamica, che  nega ogni diritto sociale alla  maggioranza  dei cittadini europei, non appartenenti alle èlite economiche, la cui rabbia viene indirizzata  verso gli immigrati, è permessa proprio dalle normative europee. Nel  trattato di Maastricht  si fa divieto  agli Stati  di ricorrere all’assistenza finanziaria dell’Unione, di altri Paesi membri, o delle Banche centrali, obbligando i governi  a rivolgersi ai mercati per soddisfare il proprio fabbisogno di denari, cedendo a questi  la propria autonomia politica. 

Il Patto di Stabilità e Crescita   inasprisce  la disciplina degli avanzi di bilancio. Il   rapporto debito Pil al  3% potrebbe risultare addirittura   eccessivo.   Ogni singolo Stato, in funzione della propria precaria  situazione economica,  potrebbe essere obbligato ad un’ulteriore macelleria sociale  riducendo  ulteriormente la situazione debitoria al di sotto del  3%. 

Il Fiscal compact cede  alla commissione europea la valutazione della condizione finanziaria dei singoli Paesi membri condizionandone le scelte di politica economica. Lo stesso Fiscal Compact   arriva ad imporre ai singoli enti locali un deficit strutturale non inferiore allo 0,5% del Pil, arrivando ad espropriare le prerogative democratiche fin dentro i Comuni. 

Tutta l’impalcatura su cui si fonda  l’Unione Europea sancisce la supremazia degli interessi finanziari su quelli dei cittadini. Ne consegue che per un’Europa di popoli,  tutto il sistema  va abbattuto  dalle sue fondamenta:  dal trattato  Maastricht, al Patto di Stabilità e Crescita,  dal Fiscal Compact al  sistema vessatorio dei salvataggio degli Stati  (Mes),  dal  Trattato sull’Unione (Tue) ,  a quello sul funzionamento dell’Unione (Tfue),    fino ai protocolli  del trattato di Lisbona. 

Tutto ciò sarebbe irrealizzabile senza un ripensamento della struttura  istituzionale della UE. I membri del Parlamento europeo, che andremo inutilmente ad eleggere domenica prossima, non avranno alcun potere decisionale.  Il Parlamento infatti  non può far altro che condividere le decisioni del Consiglio e della Commissione (istituzioni non  elette dai cittadini a livello europeo) depositari  delle   competenze legislative. Non solo, tale condivisione viene meno per quanto concerne le materie di politica estera, finanziaria e monetaria, di esclusiva competenza del Consiglio (i cui componenti sono i capi dei singoli stati) dell’ECOFIN ( composto dai ministri dell’economia dei Paesi Membri) e dalla Bce. 

Nell’Europa che vorrei  ogni Paese membro  dovrebbe eleggere i componenti di un’assemblea  costituente  chiamata alla   stesura  della  Costituzione europea da sottoporre al giudizio degli elettori. Una Carta  basata sui principi comuni a  tutti i dispositivi costituzionali nati nel corso della storia, a partire dalla dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del  1789. Principi in cui il benessere dei cittadini è posto come bene supremo, che nessun’altra prerogativa può scalfire , men che meno gli interessi dell’èlite finanziarie. Una Costituzione in cui venga sancito il potere legislativo del Parlamento, con il Consiglio deputato alle funzioni esecutive. 

Un Parlamento che sancisca diritti comuni e uguali  per i cittadini  dell’intera  Comunità europea, in termini di progressività fiscale,  di accesso al lavoro, alla salute, all’istruzione, con salari e condizioni economiche  decenti,    funzionali  ad assicurare il pieno sviluppo della persona umana. 

Nelle condizioni date non ha alcun senso sprecare un bene democraticamente prezioso come   il voto  per un rappresentate che non avrà alcun potere. Prima si procederà alla  rimozione totale dell’attuale assetto normativo e costitutivo della UE,  con la revisione totale dei rapporti di forza, in favore di una rappresentanza parlamentare reale  e di una   partecipazione fattiva e consapevole di tutti i cittadini europei alla vita politica,    e prima si otterrà un vero  cambiamento.  

Solo con una  nuova architettura  sarà  possibile il  raggiungimento di un   benessere sociale diffuso e globale. Solo così gli interessi pubblici potranno superare le    prerogative lobbistiche di singoli Stati e di  potentati  finanziari , quelli si totalmente globalizzati. 

Personalmente  andrò al seggio, rifiuterò la scheda e farò verbalizzare dal Presidente i motivi del mio diniego, dovuto alla totale inutilità rappresentativa del voto. Probabilmente sarà un atto insufficiente, forse inutile. Ma  lo sarà fini a quando non ci si renderà conto che il campo la lotta per una reale  rinascita del benessere collettivo comune a tutta l’Europa e  a tutto il mondo, deve spostarsi sulla rivendicazione di un’agibilità democratica  oggi negata. Un totalitarismo determinato,  non già dai   pur pericolosi effetti collaterali di un Europa antisociale incarnati nei sovranismi  e nei  fascismi variamente declinati, ma dalla dittatura globale del neoliberismo.



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