Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 17 maggio 2014

Privatizzazioni: Il nuovo che avanza?

Marco Bersani (Attac)


Il Consiglio dei Ministri ha dato ieri l’ok alla collocazione in Borsa del 40% di Poste Italiane e del 49% di Enav, con l’intenzione di incamerare una cifra di circa 6 miliardi di euro.
L’obiettivo dichiarato è naturalmente la riduzione del debito pubblico, che da questa operazione riceverà, come ognuno può notare, una spinta decisiva : scenderà infatti da 2.120 a 2.114 miliardi di euro, senza contare come le entrate annuali dello Stato, stanti gli utili attuali delle due società, passeranno da 1 miliardo a 600 milioni (Poste) e da 50 a 25 milioni (Enav).
Un vero e proprio nonsense economico, che svela il meccanismo che sottende a tutte le politiche di austerità : le privatizzazioni non servono ad abbattere il debito pubblico, ma è la trappola –costruita artificialmente- del debito pubblico a permettere la prosecuzione delle privatizzazioni.
Sbandierate come il nuovo che avanza, le privatizzazioni hanno ormai una lunga e fallimentare storia nel nostro Paese: negli anni ’90, furono il cavallo di battaglia del liberismo imperante, al punto che, nonostante la guerra neoliberale alla società porti da sempre con sé il vessillo (meritato) di Margaret Tahtcher, il nostro Paese con i suoi ricavi di 152 miliardi di euro, è riuscito a piazzarsi al secondo posto mondiale, dopo il Giappone, nella classifica dei proventi da privatizzazione.
Con i risultati che tutti oggi conosciamo: il totale disimpegno dello Stato dai settori, anche strategici, dell’economia, l’azzeramento di ogni funzione pubblica in campo economico-finanziario, la costruzione di monopoli privatistici, la drastica riduzione dell’occupazione e della qualità dei servizi, l’aumento delle tariffe a carico dei cittadini.
Il governo Renzi, in particolare riguardo a settori sensibili per i diritti universali dei cittadini- com’è il caso di Poste Italiane- propaganda una sorta di azionariato popolare riservato ai dipendenti e ai risparmiatori; come se la storia non dimostrasse, al di là di tutte le favole sulla democrazia economica, quale sia il vero ruolo dei piccoli investitori: mettere i soldi nella società, permettendo così agli azionisti maggiori di poterla controllare senza nemmeno fare lo sforzo di doverla possedere.
Ciò che viene propagandato come nuovo è di conseguenza la vecchia ricetta che, con lo shock della crisi, viene riproposta in maniera estensiva: a rischio sono oggi le aziende partecipate dallo Stato, ma ancor più l’insieme delle ricchezze in mano alle comunità locali –territorio, patrimonio pubblico, beni comuni- sui quali i grandi capitali accumulati in due decenni di speculazione finanziaria hanno deciso di mettere le mani, favoriti dalle politiche monetariste dell’Ue e dalle scelte liberiste del governo Renzi.

Il ballo della Digos

Eloquens Robot

Hei voi, capelloni sovversivi! Ecco la canzone che vi rimette in riga


MEMORIA E OBLIO A FROSINONE

Oltre l'Occidente


Frosinone si prepara a fine mese a festeggiare il 70° anniversario della Liberazione. Chi passa a p.le Vittorio Veneto nota la scenografia adottata. Ma nell’osservarla con più attenzione appare una stonatura: la bandiera della odierna Germania, sulla destra.

Si deduce che la memoria che l’Amministrazione Comunale vuole condurre si rifaccia ad una descrizione dei fatti e degli attori in gioco in quei giorni terribili di 70 anni fa senza alcun giudizio di valore sui ruoli avuti, sui valori, sulle responsabilità.
La “memoria” quindi viene ricostruita con uno sfondo opaco e indistinto che non solo dribbla le analisi storiche, ma utilizza i valori elencati nella Costituzione Repubblicana come passati e appartenenti ad altra epoca. Si sussurra invece che tali valori sono ancora quelli per i quali tutti noi dobbiamo far riferimento… almeno così è fuori da Frosinone, in Italia. 
Allora perché chiamare la manifestazione “le giornate della memoria”? Avremmo potuto far dire una messa riconciliativa per tutti i morti e forse ce la saremmo cavata meglio. 
Niente di tutto ciò. I nostri politici al governo della città ci sfidano su un terreno insidioso: tentano anche loro di scaricare il fardello storico del criminale fascismo mussoliniano ma solo per promuoverne quel “nuovo fascismo” che appare quanto mai terribile, della società dei consumi, dello sviluppismo, della omologazione, della indifferenza. 
Un nuovo fascismo che oggi si sta rappresentando con tutta la carica di odio e di discriminazione verso la stessa, propria, popolazione: che non tiene più al contesto ma solamente agli affari, che non contempla più identità culturali ma solamente masse consumiste, che non dimensiona la propria azione su un territorio riconosciuto, ma di questo ne consuma solamente le risorse per il ripristino sempre più veloce del proprio profitto. 
E lunedì questo “nuovo fascismo” porterà in consiglio comunale a Frosinone tasse e palazzi. Gli unici argomenti che i nostri politici amano affrontare: la cementificazione del Matusa e la TASI nuova terribile tassa che cumula tutto…. 
La storia de La Liberazione, in questo contesto, viene spinta in soffitta, insieme ai concetti di resistenza, lotta politica, opposizione, ambiente, uguaglianza, lavoro, reddito, dignità, beni comuni per fare strada alle politiche economiche liberiste antidemocratiche di cui la Germania si fregia con la rigorosa applicazione, e di cui alcuni pensano che facciano gli interessi delle popolazioni. 
Quella bandiera in piazza forse, oggi, non riuscirà ad assolvere dalla storia la Germania, ma ne riconduce un pensiero positivo alla "necessaria guerra" economica ai PIGS in atto.


Video di Luciano Granieri

Effetto domino della Sentenza della Corte Costituzionale di illegittimità sul “ristoro ambientale": le Associazioni chiedono alla Regione Lazio la revoca.

Rete per la Tutela della Valle del Sacco, Comitato Residenti Colleferro, Raggio verde


La Regione Abruzzo, con Deliberazione del 17 marzo 2014, n. 171, ha annullato le vigenti Delibere della Giunta Regionale (DGR) riguardanti la “determinazione del contributo ambientale ai Comuni, sede di impianti per rifiuti urbani”, analogamente a quanto già deciso dalle Regioni Piemonte,Veneto Campania.

Cosa è il contributo ambientale?
La tariffa di conferimento presso impianti di rifiuti è composta da alcune voci, la tariffa vera e propria comprendente il benefit ambientale, l’ecotassa regionale, l’onere di post-gestione, l’IVA, e vale in particolar modo in misura diversa, per discariche, centri di trasferenza, impianti di incenerimento e impianti di Trattamento Meccanico Biologico (TMB).
La quota relativa al benefit ambientale, calcolata come aggiunta percentuale alla tariffa originaria, viene versata dai Comuni conferitori al gestore dell’impianto che deve provvedere a girarla al Comune ove risiede lo stesso.
Nella fattispecie il gestore funge da intermediario tra i Comuni conferitori e il Comune ove è localizzato l’impianto,
   
Perché queste Regioni decidono esse stesse, autonomamente, di annullare proprie delibere in materia di benefit ambientali fino a questo momento legittime?
Tutto deriva dalla Sentenza n. 280 del 17.10.2011 della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’illegittimità della norma della regione Piemonte, in base alla quale “i gestori di impianti di rifiuti urbani e speciali erano tenuti a corrispondere al Comune sede di impianto un contributo ambientale annuo”.

La sentenza n. 280/2011 è chiara: 1. il contributo richiesto non ha natura di corrispettivo, ma di “tributo di scopo”; 2. in quanto tale, non può essere oggetto di legislazione regionale, perchè viola gli artt. 23 e 119 della Costituzione Italiana.

Gli effetti della Sentenza sono a dir poco dirompenti,  in quanto da un lato i Comuni, sedi di impiantistica di rifiuti e in misura economica maggiore per le discariche o futuri TMB, vedono sottratti dalle loro Casse una notevole entrata “garantita” dalle tariffe di conferimento, dall’altra i Comuni conferitori, almeno teoricamente, vedono diminuita a loro vantaggio la quota percentuale di conferimento stabilita dalle Regioni da corrispondere ai gestori.

Ancora una volta vogliamo ribadire che quello della presenza di impianti rifiuti rappresenta un vero business per i Comuni ove risiedono e che gli stessi, ottenendo entrate derivanti dalla localizzazione, spesso e volentieri non attivano le pratiche di raccolta differenziata spinta in quanto lo smaltimento non rappresenta un problema di carattere economico.

Inoltre nonostante la previsione contrattuale nelle Convenzioni, Intese e/o Accordi tra le Amministrazioni comunali ed i gestori di rifiuti di destinare il benefit ambientale esclusivamente al ripristino, ristoro e controllo ambientale, i cittadini, spesso, non conoscono il loro effettivo utilizzo.

E’comunque certo che la presenza, non meno della gestione spesso illegale, di impianti di trattamento di rifiuti ha un impatto violento sull'ambiente e sulla salute pubblica e quindi è condivisibile il concetto di ristoro ambientale quale indennizzo per lo svolgimento di un'attività inquinante, che però, in seguito alla Sentenza citata, dovrà essere regolamentata da una Legge dello Stato.

Per ovviare poi alla distorsione nell'uso dello strumento, affinché non costituisca un incentivo a non effettuare la Raccolta Differenziata, si auspicherebbe un intervento più esteso della Corte dei Conti rispetto ai numerosi Comuni “ritardatari” e/o comunque di svincolare per legge l'indennizzo del ristoro dal prezzo di smaltimento dei rifiuti.    

Detto ciò CHIEDIAMO alla Regione Lazio la REVOCA e l’abrogazione dei Decreti e Determinazioni riguardanti il benefit ambientale, al fine di evitare possibili ricorsi di Associazioni e Comitati del territorio sulla illegittimità degli atti adottati rispetto al dettato costituzionale.



venerdì 16 maggio 2014

Forum per l'acqua pubblica e L.I.P. Valle del Sacco in piazza per una partecipazione reale dei cittadini

Lucano Granieri


Mercoledì 14 maggio  il Coordinamento dell’ Acqua Pubblica Lazio e il Forum Italiano  dei movimenti per l’acqua hanno  organizzato a Frosinone un’assemblea pubblica in preparazione della manifestazione nazionale per l’acqua, i beni comuni, i diritti sociale e la democrazia in Italia e in Europa che si terrà domani 17 maggio a Roma. 

La scelta del Forum  dei movimenti per l’acqua di organizzare l’assemblea in Piazza VI dicembre, nei pressi della tenda in cui i lavoratori della Multiservizi sono in presidio permanente per ritornare in possesso del loro posto di lavoro, è emblematica nel  voler unire, alla difesa dell’acqua, la tutela del  lavoro, anch’esso bene comune . All’assemblea ha partecipato anche il comitato Legge di Iniziativa Popolare  (L.I.P.)  per la Valle del Sacco. Tre sacrosanti diritti  spesso violati (lavoro, beni  comuni,  difesa e valorizzazione del territorio)  in piazza per chiedere giustizia.  

E soprattutto per chiedere il coinvolgimento dei cittadini nella determinazione delle scelte che interessano direttamente la loro vita.  Questa esigenza presso la collettività si  sta affermando sempre con maggiore forza, essendo ormai  evidente che le decisioni assunte nei centri di potere, locali, nazionali ed internazionali , sono deleterie  per le persone e funzionali  all’ulteriore arricchimento di chi questi centri di potere anima.  Lo strumento di coinvolgimento e partecipazione esiste, nonostante faccia venire l’orticaria ai molti frequentatori dell’establishment, ed è la legge di iniziativa popolare.  

Attraverso questo istituto, costituzionalmente riconosciuto, i cittadini previa la raccolta di firme, possono presentare alla discussione di Parlamento,  e consigli locali, delle proposte di legge che le assisi coinvolte dovrebbero essere obbligate a discutere e valutare. Il  forum per l’acqua pubblica ha usato questo strumento per  inserirsi nell’astenia deliberativa della Regione Lazio, incaricata di legiferare in materia di gestione del servizio idrico, al pari di tutte le altre Regioni, per sostituire la norma  impietosamente bocciata dai cittadini con il referendum del 2011. 

In mancanza di una proposta, che  la Regione Lazio, tardava ad elaborare, il forum  per l’acqua pubblica, ha imposto, attraverso la raccolta di 39.000 firme e l’adesione di 40  Comuni del territorio, la discussione di una legge di iniziativa popolare che recepisce tutte le istanze alla base della proposta referendaria,   orientata cioè  alla gestione partecipata del servizio idrico. 

Scadendo i termini per la presentazione di una nuova legge e in mancanza di una proposta alternativa a quella del forum, la Regione Lazio   non ha potuto far altro che approvare all’unanimità le legge di iniziativa popolare. Riamane ovviamente la trappola dei  decreti  attuativi necessari  ad identificare le linee di applicazione della legge.  In questa fase potrebbero essere messi in  atto tentativi di sabotaggio, ecco perché è fondamentale partecipare alla manifestazione nazionale di domani  a Roma in difesa dei beni comuni. 

C’è anche da dirimere una questione scandalosa in quanto i sindaci della consulta continuano a complottare con Acea a danno dei cittadini in una organismo come l’Ato ormai annullato dalla nuova legge. E’ bene ricordare che  quanto  viene deliberato negli Ato, tariffe comprese,  è da considerarsi nullo e dunque inapplicabile, dunque illegale. 

Lo strumento della legge d’iniziativa popolare è decisivo anche per la difesa del territorio, grazie al coinvolgimento diretto dei cittadini. Proprio su questo strumento il Comitato L.I.P.  (Legge d’Inizativa Popolare) Valle del Sacco, punta per offrire un piano concreto di bonifica e riqualificazione della Valle del Sacco.  

Attorno ad  un PROGETTO che in altri siti europei, come Pais e Calais in Francia o il bacino siderurgico della Ruhr in Germania, ha contribuito a rianimare territori devastati dall’inquinamento e  che è perfettamente applicabile alla Valle del Sacco, la L.I.P.  punta a raccogliere ulteriori proposte dai cittadini. Suggerimenti inerenti  alla bonifica, ad uno sviluppo economico diverso,   attento alle peculiarità turistico-culturali,  ad un nuovo sistema produttivo orientato alla green economy, alla riqualificazione culturale e urbanistica funzionale ad una redistribuzione residenziale più sostenibile  nelle città e  nei paesi situati nella Valle. 

Proposte  che, inserite nell’impianto normativo generale, possano partorire una legge efficace  tale da raccogliere le firme necessarie per essere presentata  e per accedere ai fondi europei appositamente messi a disposizione e  finalizzati alla realizzazione di  progetti simili. Il forum per l’acqua pubblica attraverso lo strumento della legge di iniziativa popolare è riuscito ad ottenere una prima vittoria. E da questo risultato il comitato L.I.P.  trae ulteriore linfa ed entusiasmo per ridare ai cittadini il potere di decidere sui destini del proprio territorio. Anche il comitato L.I.P. parteciperà alla manifestazione di domani a Roma insieme al forum per l’acqua pubblica. 

Diritti Partecipazione e Rappresentanza

L’OSSERVATORIO PEPPINO IMPASTATO DI FROSINONE PROPONE IL:
seminario
DIRITTI PARTECIPAZIONE RAPPRESENTANZA
tenuto dal Prof.Wladimiro Gasparri
docente di Diritto presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Firenze il
23 maggio alle ore 16,00
presso la Casa del Volontariato di Frosinone (accanto al cinema Arci e accanto alla stazione ferroviaria).

la relazione tratterà di tre temi fortemente legati tra loro a partire dalla Costituzione del 1948:

·       il principio di legalità, quale principio costitutivo dei rapporti sociali sia in termini di fondamento dei diritti e dei doveri del cittadino che di definizione dei poteri e dei fini dello stato;

·       la partecipazione come strumento mediante il quale i soggetti privati rappresentano i propri interessi, che ha le propria fonte nell'incontro tra legalità e cittadinanza e che contribuisce alla emancipazione del suddito in cittadino;

·       la rappresentanza come il processo in grado di interpretare aspirazioni e speranze dei cittadini, sintesi necessaria tra legalità e partecipazione come capacità e volontà di conoscere e di sapere interpretare i bisogni di coloro che si vogliono rappresentare proponendo soluzioni credibili per l'immediato e per la prospettiva prevedibile.

il circuito virtuoso tra questi tre componenti fonda la stessa democrazia costituzionale:
qualsiasi torsione di uno di questi componenti costituisce un pericolo per l'idea stessa di cittadinanza.


XI Congresso della LIT-CI: dai fuochi della lotta di classe

Segretariato Internazionale della Lit-Quarta Internazionale

A San Paolo, in Brasile, tra il 6 e il 12 aprile si è svolto l'XI Congresso della Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale. L'assise, massima istanza di direzione della nostra Internazionale, si è data nel quadro di una realtà molto ricca e dinamica.
Da un lato, questa realtà è segnata dalla persistenza dell'impatto della crisi economica iniziata nel 2007. Anche se non è al suo punto più basso, soprattutto negli Usa, continua a livelli quasi recessivi in Europa e ora colpisce con più forza i cosiddetti “Paesi emergenti”, tra i quali quelli latinoamericani, mentre è sempre più evidente un rallentamento dell'economia cinese.
D'altra parte, alla continuità dei processi della lotta di classe cominciati negli scorsi anni, come quelli che (con tutte le loro contraddizioni) vivono l'Europa o il mondo arabo, in particolare l'Egitto e la Siria, si somma l'inizio di una forte instabilità in America Latina. Si percepisce la fine della tranquillità relativa degli anni precedenti, la quale a sua volta aveva chiuso la turbolenza dei processi rivoluzionari della prima metà del primo decennio del XXI secolo. Comincia così una forte crisi, o perlomeno un'importante logoramento, di vari governi di fronte popolare o populisti di sinistra che negli anni passati hanno dominato indiscutibilmente la scena politica continentale. Si chiude il ciclo di crescita di questi governi e si apre, in questo processo, un profondo logoramento della corrente castro-chavista.
A questo bisogna aggiungere, a differenza di quanto accaduto agli inizi del XXI secolo, l'incorporazione del Brasile, attraverso le “giornate di giugno” del 2013, che hanno espresso la profonda insoddisfazione di importanti settori di massa della società brasiliana.
Le caratteristiche specifiche di quest'ultimo processo, la “spontaneità” e i tratti “anti-partito” di settori d'avanguardia, possono essere comprese solo a partire dalla crisi di direzione rivoluzionaria e dalla confusione che permane in molte settori per la caduta del “socialismo reale”. Quest'ultima caratteristica (la crisi di direzione), in realtà, è presente anche in tutti gli altri processi e spiega molte delle loro contraddizioni e disuguaglianze, come nel caso del mondo arabo.
Una nuova fase della Lit-Quarta Internazionale
Un altro elemento presente nel dibattito del Congresso è stato la continuità dello sviluppo e della crescita della Lit-QI.
Così come abbiamo segnalato, la crisi di direzione rivoluzionaria e i suoi riflessi in ogni Paese sono la spiegazione ultima di come i processi si sviluppano, con le loro fortissime contraddizioni e diseguaglianze.
Allo stesso tempo, come Trotsky afferma nel Programma di Transizione, la risposta a questa crisi di direzione rivoluzionaria è il compito più strategico e allo stesso tempo il più urgente per i rivoluzionari. Compito che la Lit esprime attraverso la prospettiva di “Ricostruzione della Quarta Internazionale”.
In questo senso, la situazione mondiale va aprendo sempre maggiori possibilità di intervento della Lit e, con ciò, di crescere e svilupparsi nel quadro di questo intervento. Lo stesso congresso ha discusso della necessità di distinguere tra gli spazi di “intervento” nei movimenti e di “costruzione” di partito, avendo quest'ultima leggi proprie e compiti specifici.
Nel contesto di questa discussione si è constatato che la Lit-Quarta Internazionale ha continuato a crescere dal suo congresso precedente.
Da un lato, estendendo le sue aree di attività a nuovi Paesi e regioni. In questo congresso, ciò si è espresso nella incorporazione della delegazione della nuova sezione della Lit in  Senegal, che è stata accolta con un grande applauso, ma anche nei piccoli ma “grandi" progressi (giacché si partiva quasi da zero) nell'intervento nei processi del mondo arabo, in particolare nella guerra civile siriana. O nella presenza del delegato della Turchia, con la nuova realtà del Paese e la sua enorme importanza come “cerniera” tra l'Europa e il mondo musulmano.
D'altra parte, sono anche cresciute l'inserimento e la partecipazione di diverse sezioni della LitI nei processi della lotta di classe (scioperi, manifestazioni, scontri) e altri fatti della realtà, come partecipazione elettorale di diverse sezioni (che è un segnale della crescita di queste organizzazioni).
Come esempio, citiamo il Pstu brasiliano, attivo partecipante nei processo del giugno 2013 e promotore di un sindacato, relativamente minore [3 milioni di aderenti, ndt] ma reale e dinamico, come la Csp-Conlutas. O la partecipazione elettorale simultanea di tre sezioni centroamericane ( Pt del Costa Rica, Pst dell'Honduras e Ust di El Salvador).
Nel caso dell'Europa, che era stato individuata come priorità nel congresso precedente, abbiamo assistito ad un rafforzamento delle nostre sezioni, due delle quali potranno presentare proprie liste alle elezioni europee (come il Mas portoghese e Corrente Rossa di Spagna) e intervenire attivamente nei processi di riorganizzazione come in Spagna (attraverso la partecipazione ai Cobas e a “Hay Que Pararle los Pies”) e in Italia (dove contribuiamo alla costruzione di No Austerity, un coordinamento delle lotte ) .
Intensi dibattiti
Questa realtà ricca e dinamica è stata oggetto di analisi lungo i vari punti del congresso. E, come non avrebbe potuto essere altrimenti, su diversi punti si sono prodotti dibattiti molto intensi, risultato di approcci e percezioni differenti della realtà, che si riflettono a loro volta in differenti tattiche o proposte di azione.
Così è successo, per esempio, nei punti sulla Siria ed Egitto. Sulla Siria, si è dibattuto il carattere della guerra civile siriana, la definizione di ciascuno dei suoi campi e la posizione da adottare di fronte a questa. Sull'Egitto, si è discussa la dinamica generale della rivoluzione, il significato della assunzione diretta del governo da parte dei militari e come affrontare la repressione di cui sono stati oggetto i Fratelli Musulmani. Un altro punto molto dibattuto è stato quello che ha analizzato le migliori tattiche e forme di organizzazione per lottare contro l'oppressione delle donne.
Altri intensi dibattiti ci sono stati sull'Europa, specialmente sulle migliori tattiche e programmi per intervenire nelle lotte e sviluppare le nostre organizzazioni. E sul Brasile e su come dare risposta alla situazione aperta nel giugno 2013.
Questi dibattiti, sfumature e differenze si danno nel quadro di una profonda unità strategica. Ci ricordano gli intensi dibattiti e le discussioni della corrente bolscevico russa lungo tutta la sua storia, che forgiarono il partito che diresse la rivoluzione del 1917. Sono l'espressione di un'organizzazione internazionale viva e, allo stesso tempo, articolata con il suo inserimento nelle differenti realtà e con le percezioni di queste realtà.
La costruzione dei partiti rivoluzionari
Un altro dibattito che ha attraversato il congresso è decisivo per la costruzione di organizzazioni operaie rivoluzionarie in questo periodo.
La crisi capitalista e lo sviluppo e la polarizzazione della lotta di classe aprono per i rivoluzionari grandi possibilità di crescita. Settori ampi dell'avanguardia operaia e giovanile avanzano verso posizioni combattive e si radicalizzano. Entrano nei processi rivoluzionari con tutta la loro forza e freschezza, e alle volte, con le loro false illusioni sull'“approfondimento della democrazia”. Spesso non riconoscono un riferimento socialista né una prospettiva di distruzione del capitalismo.
Sopra tali limiti nella coscienza si innestano le brutali pressioni che la borghesia e i suoi meccanismi esercitano su tutte le organizzazioni (tanto rivoluzionarie come centriste e riformiste), nella misura in cui cresce lo spazio per il loro sviluppo. Questo è inevitabile, è una legge della realtà: quanto più cresce un'organizzazione, maggiori sono le pressioni che esercitano su di essa le istituzioni della democrazia borghese, i processi elettorali, i mezzi di comunicazione di massa, gli apparati sindacali, ecc.
È stato sempre così, e tale condizione si approfondisce con l'acuirsi della lotta di classe. La stragrande maggioranza delle organizzazioni della sinistra anticapitalista, anche quelle che provengono dal trotskismo (come l'ex Segretariato Unificato [l'organizzazione di cui faceva parte, in Italia, la recentemente disciolta Sinistra Critica, ndt]), soccombono a queste pressioni, abbandonando le strategie, il programma e la concezione del partito e dell'internazionale, trasformandosi in organizzazioni elettoralistiche, riformiste, economicistiche.
Questo non è un problema astratto. Ad esempio, chi accede ad un incarico sindacale, comincia a ricevere pressioni per essere “moderato” o per “restare fuori dalla politica”. Chi viene eletto parlamentare, comincia ad avere accesso ai mezzi, alle risorse finanziarie a sua disposizione, a “essere importante” e ad avere un trattamento differenziato, è sottoposto alla pressione di ottenere voti ad ogni costo... E quello che diciamo per le persone è doppiamente valido per le organizzazioni e si riflette nella tentazione di cercare “scorciatoie” verso le masse e nella costruzione del partito.
È quella che abbiamo chiamato “alluvione opportunistica”, che ha portato molti a capitolare al chavismo pochi anni fa, come fanno ora in molti con la greca Syriza; una deriva che si intensifica con l'evoluzione della situazione. E che noi della Lit continuiamo a contrastare.
Queste pressioni, che hanno cambiato il carattere di molte di queste organizzazioni, agiscono anche sui partiti rivoluzionari e su noi stessi. Il futuro e il carattere di qualsiasi organizzazione è determinato dalla sua capacità di affrontare queste pressioni. E il primo passo per combatterle, è riconoscerle, identificarle. In generale, la capitolazione a queste pressioni comincia dalla negazione delle stesse.
Non si tratta di adottare la sterile “purezza” dei settari che, per non contaminarsi, non intervengono nei processi. Non abbiamo vocazioni settarie.
Si tratta di intervenire con tutta la nostra determinazione, lottando con audacia affinché le nostre sezioni crescano e si sviluppino, aumentino la loro influenza, senza abbandonare il programma, la politica e il carattere di un'organizzazione rivoluzionaria, e allo stesso tempo lottando contro queste pressioni e pericoli. Sebbene non esistano ricette o schemi, è bene ricordare l'avvertimento che dava Nahuel Moreno alle organizzazioni e ai partiti che orientava: “essere più operai, più marxisti e più internazionalisti che mai”, come meccanismo di difesa da tutte le pressioni della realtà.
L'elaborazione teorica e programmatica
Tra gli aspetti segnalati da Moreno, ce ne è uno che ha particolare risalto: la consapevolezza che non potremo avanzare e, allo stesso tempo, combattere le pressioni se non partiamo da uno studio profondo della realtà internazionale e delle realtà nazionali. E, a partire da questo studio, avanziamo nell'elaborazione di risposte teoriche e programmatiche a questa realtà. In particolare, ai nuovi processi e fenomeni, come quelli derivati dalla restaurazione nell'ex Urss e nell'Europa dell'Est.
Insieme a questa risposta alla realtà, questa elaborazione deve essere al servizio della lotta ideologica tanto contro le correnti burocratiche e riformiste, quanto contro il ritardo nella coscienza delle masse su cui queste correnti si appoggiano.
Molte volte si commette l'errore di credere che la lotta ideologica sia solo per “tempi tranquilli” e non per quelli di più acuta lotta di classe. È bene viceversa ricordare il criterio di Friedrich Engels che i rivoluzionari devono sempre portare avanti tre tipi di lotta: economica, politica e ideologica.
In realtà, è nei momenti più critici della lotta di classe che la battaglia ideologica si fa più necessaria, perché sono i momenti in cui i nostri partiti hanno maggiori possibilità di crescere ed è più dura la disputa con le altre correnti.
Uno di questi aspetti dell'elaborazione è lo studio profondo e permanente delle rivoluzioni precedenti. Prendiamo, a questo proposito, quanto segnalato da Trotsky quando diceva che per i bolscevichi sarebbe stato impossibile dirigere la rivoluzione russa del 1917 senza aver studiato e aver riflettuto profondamente sui processi che andavano dalla Rivoluzione Francese alla rivoluzione del 1905 in Russia.
Coerentemente con questa analisi, una delle principali risoluzioni del Congresso è stata quella di votare come compito prioritario lo studio e l'elaborazione di un'attualizzazione teorico-programmatica. Insieme a questo, si è deciso di destinare notevoli risorse, dunque fondi e quadri con esperienza, per questo compito di formazione e istruzione 
dei quadri dell'Internazionale, utilizzando strumenti quali i seminari e i corsi.
La proletarizzazione
Altrettanto importante è stata la riaffermazione della necessità di proletarizzare (radicare nella classe operaia) l'Internazionale e le sue sezioni, come strategia di costruzione che rafforzi sempre più la nostra appartenenza di classe e il nostro carattere di rivoluzionari.
Sempre Moreno ribadiva che legarci e inserirci nel proletariato è, da un lato, l'unica garanzia per costruire organizzazioni molto solide e non soggette alle “mode” ideologiche passeggere della sinistra. E anche perché il nostro obiettivo di un socialismo coniugato con la democrazia operaia può costruirsi solo con la mobilitazione permanente e autodeterminata delle masse dirette dalla classe operaia. Così intendiamo l'“essere più operai che mai”.
Un finale entusiasmante
Attraverso questo intenso dibattito [una settimana di congresso, ndt], stanchi per l'intensità delle sessioni e dei dibattiti, ma soddisfatti per il lavoro svolto, i delegati e gli invitati hanno terminato il congresso cantando le strofe dell'Internazionale in varie lingue. È stato un modo di dire: siamo determinati e pieni d'entusiasmo nel proseguire la lotta, ora meglio armati politicamente dopo i ricchi dibattiti e l'approvazione delle risoluzioni del congresso mondiale.
Infine, una festa con musica e balli ha permesso la fraternizzazione e lo svago, dopo tanto lavoro. Come amava citare il vecchio Marx: "Homo sum, humani nihil a me alienum puto" (Sono un uomo, non ritengo a me estraneo nulla di umano).
(traduzione dall'originale spagnolo di Giovanni "ivan" Alberotanza)

PER NON DIMENTICARE LE MAROCCHINATE

LE DONNE SI RACCONTANO
II^ Conferenza Tematica

Sabato 17 maggio 2014
   Ore 10.00

Salone Amministrazione Provinciale, Frosinone

Campagna di sensibilizzazione ”Diamoci la mano” contro discriminazioni e violenze di genere.

            Il “Tavolo di Progettazione provinciale per un Patto di solidarietà sociale”,  intende proseguire la sua Campagna di sensibilizzazione,  avviata l’8 marzo di quest’anno con la Marcia di solidarietà,  contro discriminazioni e violenze grazie anche al contributo di molte Amministrazioni comunali, Cittadinanzattiva, Associazioni di Volontariato, Sindacati Unitari, Università di Cassino e del Lazio Meridionale, Conservatorio di Musica “L. Refice” di Frosinone
            Appare doveroso, nella ricorrenza del 70° anniversario della seconda guerra mondiale, promuove una iniziativa di sensibilizzazione in omaggio alle tante donne, bambini, anziani e cittadini che, nei paesini locali  nel 1944, subirono violenze e lutti su tutto il nostro territorio provinciale. Nel mese di maggio si ricorda e commemora, in Ciociaria, la terribile vicenda della seconda guerra mondiale.
            Il nostro intento rimane quello di porre attenzione al fenomeno tristemente ricordato come “Marocchinate”, volendo così mettere l’accento sul più grande stupro di massa della storia d’Italia.
            Il 14 maggio 1944 i goumier, attraversando un terreno apparentemente insuperabile nei monti Aurunci, aggirarono le linee difensive tedesche nell'adiacente Valle del Liri permettendo al XIII Corpo britannico di sfondare la Linea Gustav e di avanzare fino alla successiva linea di difesa predisposta dalle truppe germaniche, la linea Adolf Hitler. In seguito a questa battaglia si ritiene che il generale Alphonse Juin abbia dato ai suoi soldati cinquanta ore di "libertà", durante le quali si verificarono i saccheggi dei paesi e le violenze sulla popolazione denominate appunto marocchinate.
            Il 17 maggio presso il Salone dell’Amministrazione provinciale alla presenza di esperte-i, di testimoni e popolazione, in collaborazione con Damiana Leone e la Compagnia “Errare Persona” per il progetto “Racconta la Guerra” prenderà la parola la Memoria. Noi non vogliamo dimenticare.

                                                                                                  La Presidente
                                                                                               Giuseppina Bonaviri

giovedì 15 maggio 2014

La lezione dei non omologhi

Luciano Granieri

Nel degradato panorama politico italiano esistono alcune espressioni inflazionate. Una  di queste è la “POLITICA DAL BASSO”, triste e nuova evoluzione di quel “POLITICA PARTECIPATA” che  agli inizi del 2000  aveva implicazioni molto più complesse e affascinanti, ma proprio per questo oggi  troppo pericolosa.  In ogni caso, l’una e l’altra espressione stanno ad indicare il coinvolgimento della popolazione nelle scelte politiche e nel controllo della corretta applicazione delle stesse. E soprattutto marcano una distanza dalla “POLITICA IMPOSTA DALL’ALTO”  ossia quella determinata dagli interessi particolari dei  comitati elettorali,   venefiche scorie risultanti   della degenerazione dei partiti di massa,  fiancheggiatori di lobby e potentati finanziari  . 

Il tutto suona mostruosamente ipocrita perché,    devastata  ormai  ogni forma  di aggregazione sociale,  dissolti i luoghi pubblici  di confronto e di discussione, annichilita la voglia di partecipazione in cittadini  ridotti in solitudine,  incattiviti dalla crisi sociale e morale, è praticamente impossibile praticare quella “POLITCA DAL BASSO” che tanti, quasi tutti i partiti, dicono di voler perseguire, magari scambiando la semplice attività di cliccare “MI PIACE”  sotto una proposta o un nome da eleggere, come forma di partecipazione . Un abbagliante e semplicistica  suggestione perché questa forma di pseudo partecipazione    non presuppone un confronto fra le persone, ma produce una rete di solitudini   collegate  con il mondo davanti al computer.  

Dunque non esiste in realtà una politica dal basso contrapposta ad una politica imposta dall’alto. E’ piuttosto identificabile L’ALTA POLITICA,  in alternativa ALLA BASSA POLITICA. Vorrei stendere un velo pietoso su quest’ultima, e occuparmi  della prima. Momenti di “ALTA POLITICA” si sono realizzati martedì scorso 13 maggio presso il liceo scientifico e linguistico di Ceccano, dove l’Osservatorio Peppino Impastato,  invitato dagli studenti e dai docenti, ha organizzato un dibattito sui valori della legalità, prendendo spunto dalla proiezione  dal film “I cento passi” dedicato alle vicende di Peppino Impastato.

La connessione di fatti importanti , quale la lotta sociale alla mafia,  inserita in un contesto politico e storico molto particolare come quello degli anni ’70, con l’oggi,  con il vivere quotidiano, è operazione di ALTA POLITCA.  Cercare di costruire percorsi di partecipazione traendo spunto dalle sollecitazioni che giungevano dall’occupazione del terreno dove si sarebbe dovuta realizzare la terza pista dell’Aeroporto di Punta Raisi, da  Radio Aut, o dal circolo di musica e cultura, o ancora dal collettivo femminista , e reinserirli in una realtà di personalità parcellizzate  come quella odierna è stata operazione complessa ma entusiasmante.  

Seguendo quel filo logico si sono analizzate,  sotto una nuova luce,  tutte quelle ferite  che la mancanza di legalità e coscienza civile provocano nella vita di tutti.  E’ emerso come la normalità di una vita dignitosa, con la possibilità di ottenere un lavoro consono alle proprie aspirazioni, di potersi  curare, di respirare aria non inquinata, di poter usufruire di un sistema informativo esauriente e libero, diventa eccezionalità se si inserisce in un quadro sociale dove l’illegalità e la pervasività  del pensare “MAFIOSO”  regolano comportamenti e rapporti fra le persone.

In un contesto del genere diventa normale l’esistenza di depuratori delle acque non funzionanti con un livello di inquinamento devastante per  la salute . E’ nella norma assoluta  lo spreco di denaro pubblico per  realizzare grandi opere  di nessuna utilità per la collettività, ma fonte di arricchimento per gli speculatori.  Non indigna  una sanità in balia di appetiti elettorali e clientelari assolutamente incapace di  curare le malattie dei cittadini. E’ del tutto  normale  l’esistenza  di un’informazione asservita  tesa ad anestetizzare le menti.  

Su  questa distorta normalità, partendo della lezione di Peppino Impastato, si è tornato a ragionare in quell’aula del Liceo Scientifico e linguistico statale di Ceccano. Su questi temi ragazzi, uomini e donne non "omolghe",  così come non omologo era considerato Peppino nel suo agire politico, hanno provato a fornire soluzioni. 

Soluzioni e proposte scaturite da un liceo pubblico, non da università private incubatrici di cervelloni acefali  ammaestrati, pronti a  fare il loro ingresso nella èlite dei manager rampanti ,  degli statisti illuminati, fedeli servitori di coloro i quali hanno come obbiettivo la normalizzazione dell’individualismo sfrenato, della corruzione, dell’illegalità.  Una normalizzazione in cui prosperano le organizzazioni mafiose.  

Da quel liceo di Ceccano qualcosa si è mosso, è partito. E’ iniziata l’era dell’”ALTA POLITICA” che identifica in un nuovo gruppo di giovani  NON OMOLGHI i principali attori  e protagonisti. E’ lecito sperare.

mercoledì 14 maggio 2014

Le meraviglie di Marchionne

Vincenzo Comito. Fonte: http://www.sbilanciamoci.info/


L'amministratore delegato del gruppo Chrysler-Fiat ha presentato in pompa magna il piano industriale della società 2014-2018. Ma da dove verranno tutti i soldi per finanziare gli investimenti annunciati in presenza di un indebitamento netto che ammonta intorno ai 10 miliardi di euro?
Dopo tante attese è stato finalmente reso pubblico il piano industriale per la ChryslerFiat da qui al 2018. Bisogna preliminarmente ricordare che i programmi annunciati da Marchionne nel 2006 e nel 2010 per il solo gruppo Fiat non sono poi certo risultati realistici. In particolare quello del 2010 prometteva, come è noto, 20 miliardi di investimenti per il nostro paese, una produzione, sempre in Italia, di 1,4 milioni di vetture, nonché l’occupazione per tutti i nostri lavoratori. Ad un certo punto l’amministratore delegato era arrivato a prevedere, tra l’altro, la vendita di 500.000 Alfa Romeo all’anno.
Sappiamo come è andata a finire. Gli investimenti sono stati di qualche miliardo di euro, la produzione nel nostro paese non ha raggiunto negli ultimi anni neanche da lontano la metà di quanto promesso, negli stabilimenti ancora residui, dopo la chiusura di alcuni di essi, permane una situazione di cassa integrazione endemica; per quanto riguarda l’Alfa Romeo, nel 2013 si è toccato il fondo, con sole 73.000 unità vendute.
Oggi il gruppo italo-americano si ritrova con una redditività complessiva e dei margini operativi molto bassi, delle risorse finanziarie scarse e in diminuzione, con un portafoglio prodotti che sembra uscito da un incubo notturno di qualcuno dei suoi dirigenti, con la conseguente e continua perdita di quote di mercato in Europa, con bassissimi livelli di innovazione, in particolare sulle tecnologie verdi, nonché con vistosi buchi a livello di presenza geografica globale.
Il nuovo piano prevede investimenti per 55 miliardi di euro, per raggiungere una produzione di circa 7 milioni di vetture all’anno e per coprire alcuni buchi geografici e di fasce di mercato attualmente presenti.
La strategia, che mira in generale a spostare l’asse della produzione verso il segmentopremium, punta soprattutto sul forte sviluppo delle attività che ruotano intorno a due marchi, Jeep e Alfa Romeo.
Per quanto riguarda il primo, l’obiettivo di vendita per il 2018 è fissato in 1,9 milioni di unità all’anno, contro appena 713 mila nel 2013. Lo sviluppo si dovrebbe tra l’altro basare sul forte lancio del marchio in Cina, con tre nuovi modelli, tra cui il nuovo mini suv, che dovrebbe essere prodotto, oltre che in Cina e in Brasile, anche in Italia, nonché sullo sviluppo delle vendite, oltre che negli Stati Uniti, anche in Europa ed in America Latina.
Anche per il marchio Chrysler è prevista una crescita, anche se di dimensioni minori: si passerebbe da 350.000 a 800.000 unità.
Per il vecchio gruppo Fiat la crescita appare invece sotto tono: si passerebbe da 1,5 a 1,9 milioni di unità nel 2018, con una sostanziale stabilità in Europa e in America Latina e uno sviluppo soprattutto in Asia.
Per quanto riguarda l’Alfa Romeo, è previsto il lancio di otto nuovi modelli con investimenti per 5 miliardi di euro e il traguardo di 400.000 unità vendute nel 2018. Il marchio verrebbe, tra l’altro, finalmente reintrodotto negli Stati Uniti, oltre che anche in altre aree.
Il rilancio dell’Alfa si inserisce in un piano più complessivo di crescita della fascia alta della produzione del gruppo, con i marchi Ferrari e Maserati (le vendite di quest’ultimo brandstanno andando apparentemente bene).
Sostanzialmente stabile infine nel tempo il marchio Dodge.
Diversi sono i punti che non convincono del tutto nel nuovo piano.
Ci si chiede intanto da dove verranno tutti i soldi per finanziare gli investimenti annunciati, in presenza di un indebitamento netto che attualmente non appare del tutto leggero, ammontando intorno ai 10 miliardi di euro; al momento di chiudere l’articolo le spiegazioni in merito non erano ancora state date e comunque c’è molto scetticismo tra gli analisti e sulla stampa anglosassone.
Sul fronte dei risultati economici, mentre si annuncia un forte aumento della redditività per il 2018, i dati consuntivi per il primo trimestre del 2014 mostrano intanto una sua riduzione. Non cominciamo certo bene.
Appare d’altro canto evidente che, anche se il piano avesse successo, la presenza del gruppo in Asia, il mercato ormai maggiormente strategico per l’auto, sarebbe ancora modestissima.
Ma in generale un aumento dei volumi produttivi così marcato (l’azienda per il 2014 prevede ancora 4,4 milioni di vetture) appare difficilmente credibile. D’altro canto, gran parte degli obiettivi del piano sarebbero raggiunti soltanto nell’ultimo anno.
Per quanto riguarda in generale il polo del lusso crediamo che l’azienda si trovi di fronte ad un grosso ostacolo; i costruttori tedeschi appaiono avere tali risorse finanziarie, tecnologie e radicamento nei vari mercati da riuscire a sconfiggere qualsiasi concorrente che osasse impensierirli veramente a livello di volumi produttivi.
Per altro verso, passare da 73 mila a 400 mila unità per il gruppo Alfa in così poco tempo appare molto difficile in un segmento di mercato così complesso.
Per quanto riguarda gli Stati Uniti, tale mercato, con la forte ripresa degli ultimi anni, ha sostenuto fortemente la crescita della Chrysler; ma quanto potrà durare il boom ora che si scopre che le vendite di auto nel paese sono gonfiate da una rilevante bolla del credito (si è parlato di una situazione da sub-prime) che appare alla lunga insostenibile? Il piano prevede invece una forte ulteriore crescita su tale mercato, che gli esperti pensano stia per arrivare ad un plafonamento.
Difficile ci sembra poi che siano assorbiti tutti i dipendenti italiani, come Marchionne ha promesso. Quel poco che abbiamo sentito in proposito non ci convince pienamente, anche se indubbiamente il piano potrebbe perlomeno portare ad un quadro notevolmente migliore, mentre nessuno parla peraltro dei dipendenti degli uffici centrali di Torino, che, con il trasferimento del quartier generale in Gran Bretagna, potrebbero perdere il posto.

Esercitazioni militari israeliane danneggiano raccolti palestinesi

 Fonte: http://www.operazionecolomba.it/

At Tuwani - Il 12 e il 13 maggio hanno avuto luogo delle esercitazioni dell'esercito israeliano su terreni coltivati da palestinesi, nei pressi dei villaggi palestinesi di Jinba e Al Mirkez. Il 12 maggio, dalle ore 15:00 sino alle ore 16:30 circa, tre carri armati sono usciti dalla vicina base militare israeliana al fine di compiere dell'esercitazioni in terre di proprietà palestinese, danneggiandone i raccolti.
Intorno alle 5 del pomeriggio, quattro carri armati israeliani sono entrati nuovamente in campi di proprietà palestinese al fine di ricominciare l'esercitazione, ma, quando uno di questi ha provato ad entrare in un campo non ancora danneggiato, alcuni palestinesi lo hanno fermato restando davanti al carro armato. A quel punto i militari sono rientrati alla base.

Il 13 maggio le esercitazioni sono ricominciate negli stessi campi del giorno precedente e anche in altri non ancora danneggiati. Dalle 11:15 alle 12:00 circa, quattro carro armati israeliani sono usciti dalla vicina base militare, inizialmente prendendo posizione nei campi dove alcuni Palestinesi stavano raccogliendo il grano, disturbando quindi le loro attività lavorative. A questo punto 20 Palestinesi, uomini e bambini, che stavano lavorando nei campi vicini, sono corsi sul posto per monitorare la situazione. I palestinesi hanno provato ad impedire le esercitazioni, ma i carro armati hanno ugualmente danneggiato i campi pesantemente, spesso aumentando i danni intenzionalmente attraverso manovre non usuali. Nei campi e nelle colline vicine molti altri soldati israeliani si esercitavano all'utilizzo di varie armi da fuoco.

Rispetto alla situazione legale dell'area delle colline a sud di Hebron denominata Firing Zone 918 dall'esercito israeliano, il periodo di tempo, indicato dall'Amministrazione Civile dei Territori occupati, di accesso all'area per le organizzazioni nazionali e internazionali, così come il periodo concesso per la sistemazione delle strade interne ad essa, scadrà il 15 maggio. Questo periodo di tempo è stato concesso come parte del processo di mediazione, iniziato lo scorso ottobre, che si sta svolgendo al di fuori del tribunale. Durante il processo i magistrati dell'Alta Corte di Giustizia israeliana hanno imposto una mediazione tra lo Stato e più di mille palestinesi che rischiano di essere espulsi dalle loro case e proprietà. Con questa decisione i magistrati stanno cercando di porre fine alla battaglia legale iniziata 15 anni fa. Anche attraverso il processo di mediazione i residenti palestinesi hanno voluto ribadire il loro diritto a rimanere e vivere nelle loro terre in Masafer Yatta.

martedì 13 maggio 2014

Resistiamo dalla Cascata dello Schioppo

Luciano Granieri


“Resistere-resistere-resistere” dal quel  gennaio 2002 questa espressione, costituita dall’invito a resistere ripetuto tre volte,   esclamata a gran voce dell’allora Procuratore della Repubblica di Milano Francesco Saverio Borrelli, contro lo scempio che i giannizzeri berlusconiani  stavano compiendo  nei confronti della giustizia,  è diventata una parola d’ordine. Un grido di battaglia che ha travalicato i confini del tema  “giustizia” e si è esteso ad identificare qualsiasi tentativo di ribellione e resistenza  ad  ogni forma di potere,  o prevaricazione  che  volesse appropriarsi di diritti inviolabili , inquinare e annientare la convivenza civile. 

Anche la natura spesso diffonde nell’ambiente il suo sacrosanto " resistere-resistere- resistere” . Un esempio si è avuto domenica scorsa 11 maggio  a Frosinone, quando un’intero  fiume, il Cosa,  con  le sue bellezze, la cascata dello Schioppo e l’isolotto denominato “Res Pubblica” , ha invocato l’aiuto di tutti i cittadini. Un impegno    a condurre  una lotta di resistenza contro l’offensiva di chi, in nome della cementificazione selvaggia,  sta distruggendo immani risorse naturali  e paesaggistiche di cui il nostro territorio è dotato. 

Bellezze che si trovano ben dentro le mura cittadine. Quell’oasi resistente fino a domenica scorsa non aveva voce. Zittita da sporcizia,  discarica a cielo aperto,  che ne attutivano, fino quasi a renderlo muto,  il grido di dolore ma anche di speranza. 

Grazie all’impegno dell’associazionismo frusinate (Frosinone Bella e Brutta, Sei di Frosinone Se, Zerotremilacento , Forming, Vivere in salute, Adesso)  e alla impagabile volontà di singoli cittadini  che si sono  adoperati per ripulire e a rendere fruibile una zona dell’inaspettata bellezza, l’invito a resistere è tornato a levarsi inesorabile dal fiume Cosa.  

Ora sta a tutti noi cittadini raccogliere quell’invito e trasformarlo in lotta politica. Sta  a noi cercare in ogni modo di opporsi alla campagna di conquista che i grandi costruttori, veri padrone della città,  stanno rilanciando coadiuvati da una amministrazione comunale, il cui capo, sindaco podestà , era  pure  presente   domenica scorsa a godere dello spettacolo della natura resistente.  

Un sindaco  sordo all’invito a resistere,  ma generoso elargitore di immani pezzi di città ai grandi muratori speculatori ,  come le aree ex Solac e il comprensorio dello stadio Matusa, limitrofo proprio alle sponde del Cosa .  L’Elite delle famiglie   edili da sempre padrona della città,  ringrazia,  pronta all’assalto con nuove colate di cemento, pronta  riempirsi le tasche con l’ennesima speculazione immobiliare e finanziaria. 

E pensare che in una  città, prima nella classifica dell’inquinamento e quasi ultima nella graduatoria per la qualità della vita,  l’invito a resistere che viene dal fiume Cosa dovrebbe essere raccolto da tutti. Ringraziamo dunque il fiume e i cittadini che gli hanno restituito la voce e facciamo un appello a tutti noi: resistiamo –resistiamo-resistiamo.
Intervista a Francesco Notarcola di Alessandro Redirossi del quotidiano "L''inchiesta"
Foto di Luciano Bragagila dell'associazione "Frosinone bella e brutta"
Brano: Wind and Rain degli Altan
Editing: Luciano Granieri.

L'unica Europa "sociale" è quella socialista!

Pdac per le europee

Il 25 maggio anche in Italia si voterà per le elezioni europee. Il progetto delle classi dominanti del Vecchio continente, comunque vadano queste elezioni, continuerà ad essere quello che milioni di lavoratori e giovani hanno già testato sulla propria pelle: continuazione delle politiche di austerità, approfondirsi della disuguaglianza sociale ed economica, avanzamento nelle politche neocoloniali ai danni di Paesi come Grecia e Portogallo. Un progetto che vede al centro gli interessi della borghesia tedesca in particolare con la connivenza e la complicità di tutte le altre borghesie del continente, volenterose di guadagnare qualche posto di rilevanza nel club privilegiato dell'imperialismo europeo o di conservarlo (come nel caso della borghesia italiana). L'intento è chiaro: approfittare della crisi economica devastante e ancora senza vie di uscita, per assestare un colpo definitivo alla classe operaia del continente, provocando un arretramento storico dei diritti e delle condizioni di vita e di lavoro della stragrande maggioranza della popolazione, smantellando quel che resta delle conquiste ottenute dalla classe lavoratrice nel recente passato. In particolare nei "Piigs" (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna) la mattanza sociale ha raggiunto proporzioni gigantesche accompagnata anche da una progressiva involuzione bonapartista e tecnocratica dei regimi politici: il proliferare di governi tecnici, il progressivo autonomizzarsi degli esecutivi dalle maggioranze parlamentari, l'accentuarsi della tendenza a scavalcare perfino i criteri formali della democrazia borghese (verso i quali non nutriamo nessuna fiducia) sono sintomi di una deriva sempre più autoritaria delle istituzioni di questa democrazia che ha rappresentato sempre gli interessi delle banche e dei magnati dell'industria.
 
I due maggiori partiti del Parlamento europeo, il Partito popolare e il Partito socialista, rappresentano esattamente gli interessi delle borghesie del continente e lavorano già nella prospettiva di un'intesa in funzione della continuità dell'austerity. Eppure bisogna demistificare anche le forze che si presentano come alternative a questi due blocchi: ci riferiamo alla lista dell'Altra europa con Alexis Tsipras, leader greco di Syriza e candidato come presidente della Commissione europea. In Italia viene sostenuto da una lista civica che include Sel e Rifondazione e che non ha nessun riferimento alla sinistra nemmeno nel simbolo. Ma non è solo un problema di simbologia: il punto è capire qual è l'Altra europa che vogliono i sostenitori di Tsipras. L'Europa delle banche e  del grande capitale o l'Europa dei lavoratori, dunque l'Europa socialista? Continuare a parlare di un'Europa “sociale”, di un'Europa dei “popoli”, di un'Europa genericamente “democratica”, com'è scritto nel loro programma, significa evitare il problema di classe e seminare illusioni. Criticare l'austerity e il fiscal compact (ovvero l'obbligo di pagare il debito pubblico per il Paesi che hanno sforato il limite del 60% del Pil) ma evitare di mettere in discussione la struttura e gli strumenti che producono queste politiche antioperaie (ovvero l'Ue, la Bce, l'euro) è ipocrita e opportunista e significa, da ultimo, accettare quello stesso sistema che s'intende combattere. Tsipras vuole “democratizzare l'Ue”, “ristrutturare il debito pubblico”, “riformare il ruolo della Bce”: verrebbe da ridere se non fosse tragico! Pensare che queste istituzioni si possano riformare è l'utopia delle utopie: l'Unione europea, la Bce, l'euro, sono strutturalmente irriformabili, perché sono nati con il preciso intento di rapinare le classi lavoratrici del continente portando acqua al mulino dell'imperialismo. Se non si mette in discussione l'Unione europea in quanto tale e ci si perde in utopie riformatrici, si finisce per avvantaggiare il neofascismo (vedi Alba dorata che non a caso cresce proprio nella Grecia di Tsipras) e il populismo reazionario (vedi il Front National di Le Pen in Francia o il Movimento cinque stelle da noi) che coagulano il consenso di alcuni settori popolari di massa proprio attorno ad un programma di rottura con l'Ue e con l'euro in direzione di un ritorno alla sovranità nazionale. E' questa la conseguenza più devastante del riformismo “alla Tsipras”: se non si osa rompere da sinistra con l'euro e con l'Ue (e Tsipras non lo fa), finiranno per crescere quelle forze che rompono da destra con l'europeismo. Vie di mezzo la Storia non le conosce, specie in tempi di crisi come quelli che viviamo oggi.
 
Per questo la nostra proposta è diversa. In Italia non sarà possibile, a causa di una normativa antidemocratica, presentare una candidatura classista e che costituisca una reale alternativa alle diverse varianti borghesi e riformiste in campo. Nondimeno, le elezioni costituiscono per i marxisti rivoluzionari, anche quando non possono parteciparvi, la tribuna per propagandare il proprio programma. E anche le prossime europee rappresenteranno l'occasione per il Pdac di presentare il programma che, come Lega Internazionale dei Lavoratori-Quarta Internazionale, proporremo in altri Paesi come Spagna e Portogallo in cui i nostri partiti fratelli potranno concorrere alle elezioni del 25 maggio. In Italia, invece, poiché non ci saranno forze politiche che rappresentano gli interessi della classi lavoratrici, la nostra indicazione di voto è l'astensione. Allo stesso tempo il programma che presentiamo in questa campagna è un programma che, per rompere realmente la spirale di tagli, diminuzioni dei salari e controriforme pensionistiche e del lavoro, propone di mettere in discussione, attraverso la rottura e la distruzione dell'Ue e l'uscita dall'euro, le necessità più profonde del capitale imperialista e la divisione del lavoro nel continente. Un programma che, rifiutando la caricatura della “unità europea” sotto il segno dell'imperialismo (che invece la lista Tsipras con Sel e Rifondazione difende), non scade nella difesa delle piccole patrie nazionali, ma anzi persegue il disegno rivoluzionario di una futura libera federazione degli Stati socialisti d'Europa. Un programma che si scontra direttamente con gli imperialismi europei proponendo:
 
– la fine delle politiche di privatizzazione dei “beni comuni”!
– il rifiuto del pagamento del debito e l'espropriazione delle banche!
– la scala mobile dei salari e delle ore di lavoro a parità di salario, per lavorare meno e lavorare tutti!
– l'abolizione di tutte le leggi e i trattati razzisti, per un'uguaglianza salariale e di diritti sindacali e politici tra lavoratori nativi e immigrati!
– la lotta contro la doppia oppressione della donna e la violenza maschilista! No alla diseguaglianza salariale tra i sessi; per una socializzazione del lavoro domestico!
– la nazionalizzazione dei settori e delle imprese strategiche senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori!
– la fine di tutte le missioni imperialiste e il ritiro delle truppe dai Paesi aggrediti; lo scioglimento della Nato e lo smantellamento delle sue basi!
 
Un programma che potrà essere realizzato soltanto se le masse sapranno imporre con le lotte, nelle piazze, dei governi dei lavoratori che facciano gli interessi dei lavoratori.
 
per una libera federazione degli Stati socialisti d'Europa!
 
 

domenica 11 maggio 2014

ACQUA,DIRITTI SOCIALI E DEMOCRAZIA Verso un nuovo modello di gestione dei territori e dei servizi: la legge regionale sul governo del servizio idrico

Coordinamento Acqua Pubblica Lazio
Forum Italiano Movimenti per L'acqua

L’acqua prima di tutto è un diritto inalienabile perché essenziale alla vita. I distacchi del servizio di erogazione dell’acqua che continuano a verificarsi anche sul nostro territorio sono da considerarsi una grave violazione ai danni della persona ed è inaccettabile in uno stato di diritto. Hanno voluto mettere l’acqua nelle mani del privato, ed hanno lasciato che un bene inviolabile come quello dell’acqua, una risorsa da salvaguardare, fosse mercificata senza controllo lasciando i cittadini alla mercè di un gestore privato bandito.
La privatizzazione dell’acqua come tutte le politiche liberiste messe in campo, i modelli produttivi contaminanti generati dai mercati finanziari stanno devastando le nostre comunità, hanno generato la perdita del lavoro, del reddito, la possibilità di accesso ai servizi, hanno prodotto gravi danni all’ambiente. In questo senso le resistenze sui temi dell’acqua sono sempre più dentro tutte le altre conflittualità nel nostro territorio come in tutto il Paese.
I cittadini vogliono cambiare rotta, e vogliono partecipare alla gestione del patrimonio comune in un momento in cui si fa sempre più necessario un allargamento degli spazi democratici all’interno delle nostre comunità e una stretta collaborazione tra parte istituzionale e società civile. Non si tratta, infatti, solo di rivendicare beni comuni e diritti sociali ma di pensare e attuare un nuovo modello di governo e gestione dei territori, dei servizi, della ricchezza sociale, e sviluppare strumenti di democrazia partecipativa.
Un importante risultato, e un’opportunità per cittadini e comuni, in questo senso è rappresentato dalla nuova legge regionale n. 5 del 4 aprile 2014, Tutela e gestione pubblica delle acque, legge di iniziativa popolare, prima in Italia che recepisce la volontà espressa nei referendum del 2011.
Per confrantarci e discutere insieme su questi temi
invitiamo tutti i cittadini a prendere parte
all’ Assemblea pubblica
che si terrà mercoledì 14 maggio alle ore 18:00
in Piazza VI dicembre
 insieme ai lavoratori della Multiservizi che da un mese resistono in presidio permanente
 perché da questa crisi si esce solo attraverso una mobilitazione sociale diffusa in cui i cittadini devono riappropriarsi dei lori diritti nella difesa del territorio e dell’ambiente.    
Quindi  a prartecipare

alla Manifestazione Nazionale per l’Acqua, i beni comuni, i diritti sociali e la democrazia in Italia e in Europa
 il 17 maggio a Roma (Piazza della Repubblica) alle ore 14:00

Il sindacalismo conflittuale a un bivio Contro l'accordo vergogna sulla rappresentanza manca un'adeguata risposta di lotta

Fabiana Stefanoni


 Mentre in senato viene approvato il decreto Poletti, che aggrava la precarietà lavorativa portando a termine lo smantellamento dell'articolo 18 già avviato dalla riforma Fornero; mentre lo stesso ministro Poletti (ex presidente di Legacoop) siede come invitato al congresso della Cgil e contemporaneamente i lavoratori delle cooperative (della logistica e dell'università) portano avanti dure lotte contro lo schiavismo delle cooperative (e di Legacoop in particolare), nella pentola degli attacchi padronali continua a bollire una minestra avvelenata: quella dell'accordo vergogna sulla rappresentanza, giustamente ridefinito dai lavoratori in lotta "accordo bavaglio".
La fine del sindacalismo conflittuale?
Abbiamo già analizzato in altri articoli il carattere antidemocratico di questo accordo, siglato il 10 gennaio da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria e successivamente sottoscritto da altri sindacati gialli, come Ugl, Cisal e perfino dallo Snater (un piccolo sindacato delle telecomunicazioni che fino a poco tempo fa era federato con Usb: patto reciso da Usb proprio all'indomani di questa firma). E' un accordo che azzera la democrazia sindacale nelle aziende private, privando del diritto di rappresentanza tutti i sindacati che non siglano l'accordo stesso: di fatto è l'estensione del "modello Marchionne", già vigente in Fiat, a tutto il mondo del lavoro privato.
La firma dell'accordo stesso equivale, per un sindacato conflittuale, a una resa incondizionata al padrone. Infatti, se un sindacato decide di sottoscrivere l'accordo (al fine di partecipare alle elezioni rsu, nominare rsa e tentare di accedere alla contrattazione collettiva), perde automaticamente il diritto di sciopero e di azione conflittuale: laddove un contratto aziendale fosse sottoscritto dal 50% più uno della rsu, né i sindacati (firmatari del Testo unico) né i delegati sindacali (rsu e rsa) potranno più organizzare iniziative di lotta e di sciopero contro il contratto stesso (lo stesso vale per il periodo delle trattative). In caso contrario, le organizzazioni sindacali subirebbero multe salate e la soppressione dei diritti sindacali.
Volgiamo lo sguardo al sindacalismo di base e conflittuale (quello che, almeno a parole, si è schierato contro questo vergognoso accordo). Per questi settori sindacali, fortemente penalizzati dall'accordo, dovrebbe - il condizionale è d'obbligo, e vedremo perché - essere scontato opporsi fermamente a questo accordo, organizzare iniziative di lotta quanto più estese e unitarie per respingerlo e, soprattutto, non firmarlo. Ma, purtroppo, le cose non stanno così. Le direzioni dei sindacati "contrari all'accordo" (incluse quelle dei sindacati di base) oscillano tra esitazioni, silenzi, settarismi e anche parecchie ambiguità: ne deriva un pericoloso vuoto di azioni di lotta che rischia di regalare ai padroni una fin troppo facile vittoria a tavolino. La classe lavoratrice rischia di subire una sonora sconfitta senza nemmeno essere stata chiamata a lottare. 
L'opposizione all'interno Cgil: è vera opposizione? 
La direzione della Fiom inizialmente aveva approvato gli accordi con Confindustria sulla rappresentanza (presumibilmente nella speranza di essere riammessa al tavolo delle trattative con Finmeccanica). Una presa di posizione molto grave, che ha favorito la propaganda filopadronale della Camusso e della maggioranza Cgil a sostegno di questo accordo antioperaio. Successivamente, Landini, una volta presa visione del testo firmato il 10 gennaio, ha ritirato il suo appoggio all'accordo. E' probabile che questo repentino cambio di posizione sia dovuto a una clausola introdotta successivamente: nel testo del 10 gennaio si precisa, infatti, che potranno accedere alle rsa solo i sindacati che hanno precedentemente partecipato alla negoziazione, e quindi non la Fiom nel settore metalmeccanico (essendo stata fino ad oggi esclusa dalle trattative con Finmeccanica).
Le tardive rimostranze della direzione Fiom hanno portato a scontri, apparentemente duri, all'interno dell'apparato Cgil, con reciproche scomuniche tra la Camusso e Landini: le tensioni sono emerse in particolare in occasione del Congresso Cgil, conclusosi proprio in questi giorni. Ma la "battaglia" di Landini contro l'accordo sulla rappresentanza si è limitata alla richiesta di una consultazione ("referendum") interna alla Cgil stessa (consultazione che, di fatto, è avvenuta nel congresso Cgil stesso e che, anche grazie a scontati brogli, ha visto prevalere la posizione della Camusso). Soprattutto, la richiesta di Landini non è quella di cancellare l'accordo sulla rappresentanza, né, tantomeno, quella di ritirare la firma della Cgil, bensì quella di modificare, in parte, il testo dell'accordo. Del resto, Landini e la direzione della Fiom, nonostante la gravità del momento, hanno appoggiato nel congresso proprio il documento di maggioranza della Camusso, limitandosi ad alzare il livello della polemica solo in occasione dell'elezione degli organismi dirigenti.
All'interno della Cgil, una posizione più netta contro l'accordo vergogna è stata presa dall'area congressuale che fa riferimento a Cremaschi ("La Cgil è un'altra cosa"), che si è assestata su percentuali basse (tra il 2,5 e il 3%: fatto scontato in un congresso truccato), ma che può contare su un buon numero di attivisti sindacali combattivi. L'area di Cremaschi ha preso una posizione contraria all'accordo sulla rappresentanza. Al contempo, ha focalizzato la sua azione esclusivamente sul terreno dei ricorsi in tribunale. Si tratta di un terreno scivoloso: l'esperienza storica dimostra che i padroni, nei momenti critici, sanno sempre volgere le leggi a loro favore. Non sarà certo qualche giudice a respingere l'accordo sulla rappresentanza e, laddove anche fosse dichiarato incostituzionale, i padroni troverebbero comunque il modo di farlo rientrare in qualche modo dalla finestra. Solo le lotte permettono di strappare risultati duraturi: per questo è necessario che la sinistra Cgil (a partire dalla minoranza congressuale e dalle realtà operaie della base della Fiom) rilanci un vero percorso di lotta e di protesta contro l'accordo.
Il sindacalismo di base nell'impasse
Sul fronte del cosiddetto sindacalismo di base le cose non vanno molto diversamente. Molte realtà locali e operaie del sindacalismo di base si sono schierate con forza e nettezza contro l'accordo della rappresentanza: basta pensare, per citare un solo esempio, alla contestazione promossa dai sindacati di base a Bergamo in occasione del Primo Maggio, quando è stato occupato il palco di Cgil, Cisl e Uil per dire no all'accordo vergogna 




Non si può dire altrettanto delle attuali direzioni nazionali dei sindacati di base (i cui apparati presentano, va detto, molti limiti di democrazia sindacale: anche per questo spesso a un reale coinvolgimento della "base" si sostituisce una politica accentrata nelle mani di pochi leader). La direzione nazionale di Usb ha sì preso posizione contro l'accordo della rappresentanza ma, come Cremaschi, si è limitata, essenzialmente, a una politica di ricorsi in tribunale "per incostituzionalità" dell'accordo. La lotta viene di fatto delegata... ai giudici: nessuna proposta di mobilitazione nazionale e di sciopero, nessun tentativo di unità d'azione e di lotta con le altre forze del sindacalismo conflittuale per cercare di respingerlo. La direzione nazionale della Cub (probabilmente il sindacato che risentirà maggiormente degli effetti di questo accordo, vista la presenza prioritaria nel privato), non solo non ha messo in campo una vera mobilitazione contro l'accordo, ma ha prodotto anche un volantino ambiguo che invita a operare "scelte alternative per praticare quelle agibilità che sostanziano un livello accettabile di democrazia"  . Sostanzialmente, la Cub nazionale non ha dato una netta indicazione alle proprie rsu di non firmare l'accordo, le ha invece invitate a praticare "scelte alternative": leggendo tra le righe, si apre alla possibilità di firmare l'accordo (al fine di conservare le rsu) trovando qualche escamotage per proclamare comunque gli scioperi. Le "vie alternative" consisterebbero nel proclamare gli scioperi come gruppi di lavoratori e non come sindacato: seguendo lo stesso ragionamento, ai tempi dell'imposizione del "modello Pomigliano" in Fiat avremmo dovuto suggerire ai sindacati di firmare il contratto (per conservare i delegati sindacali) dicendo poi ai lavoratori di proclamarsi gli scioperi da soli, senza la copertura del sindacato! A questo si aggiunge una pericolosa politica di affidamento ai deputati del Movimento 5 Stelle di Grillo - in questo Cub e Usb paiono concordi   - che inevitabilmente trascina questi sindacati su un terreno interclassista e potenzialmente persino razzista che è quanto di più distante ci sia dalle esigenze attuali della classe lavoratrice. I lavoratori hanno bisogno di unità e indipendenza di classe: quell'unità e quell'indipendenza che vengono esplicitamente negate dal Movimento di Grillo che intende unificare lavoratori e padroni in una comune battaglia contro "l'euro e i politici" e che, soprattutto, divide la classe operaia (nativa e immigrata) con una squallida propaganda razzista. Il discorso è pressoché analogo per la Confederazione Cobas. In questo caso si è arrivati a una situazione paradossale: i Cobas di Comdata (Società di servizi che deve svolgere le elezioni rsu) non solo hanno sottoscritto il Testo unico sulla rappresentanza (seppur introducendo una presunta clausola in cui il sindacato si riserva di promuovere qualsiasi vertenza riterrà utile "per far accertare vizi di nullità e contrarietà alle leggi vigenti e alla Costituzione"), ma hanno persino presentato come un trionfo il fatto che il tribunale di Ivrea abbia accettato il loro ricorso a partecipare a pieno titolo alle elezioni rsu in quanto "firmatari dell'accordo"  . Di fatto, ad una delle prime elezioni rsu che si presentano, il sindacalismo conflittuale rischia di piegarsi all'accordo, sottoscrivendolo magari dietro il paravento di qualche "clausola" o "scelta alternativa". La verità è che si tratta di un cane che si morde la coda (per poi finire per sbranarsi da solo): le direzioni dei sindacati di base e la sinistra Cgil non si attivano per mettere in campo azioni unitarie e di lotta contro l'accordo; subito dopo, proprio perché non ci sono azioni di lotta, arrivano alla conclusione che la firma dell'accordo è inevitabile. E' quella che in tempo di guerra (e quelli odierni sono proprio tempi di guerra sociale!) si chiama disfatta: una resa incondizionata senza quasi combattere. Una vittoria per i padroni, una sconfitta per la classe lavoratrice. 

 La campagna di No Austerity 
 In un quadro di questo tipo, in cui le iniziative di lotta contro l'accordo vengono lasciate di fatto alle realtà locali e di fabbrica del sindacalismo conflittuale, particolare importanza assume la campagna nazionale promossa da No Austerity - Coordinamento delle lotte (5). Le realtà sindacali, di lotta, politiche e di movimento che aderiscono al coordinamento hanno deciso di promuovere una campagna contro l'accordo sulla rappresentanza, facendo appello a tutti i sindacati e a tutte le organizzazioni che si sono pronunciate per il "no" all'accordo a non firmarlo (a nessun livello, né nazionale né territoriale né di fabbrica) e a organizzare iniziative unitarie e di lotta per respingere questo pesante attacco padronale. A nostra volta, come Alternativa Comunista facciamo appello a tutte le realtà politiche della sinistra di classe a sostenere la campagna di No Austerity e a contribuire a creare un fronte unico di lotta per respingere "l'accordo bavaglio", nella consapevolezza che l'unità di lotta delle organizzazioni del movimento operaio è la premessa indispensabile per creare i rapporti di forza necessari per respingere gli attacchi padronali e avviare finalmente una controffensiva dei lavoratori.