Atlantic Records, etichetta discografica fondata nel 1947. Fra la fine dei’50 e per tutti gli
anni ’60 dai dischi dell’Atlantic usciva musica nera. Note in cui fruiva
prorompente e conflittuale l’aspirazione degli afroamericani a diventare un
popolo libero da ogni discriminazione, non solo legata al colore della
pelle, ma anche alla differenza di genere e di censo .
L’Etichetta fondata da Ahmet
Ertgun e Herb Abramson, fra il 1960 e il
1961, sfornava le incisioni storiche di John Coltrane: Giant Steps, My Favourite Things. Brani in cui la
prorompente cascata di note del tenorista di Hamlet trasfigurava figure melodiche semplici, come il
valzerino “My Favourite Things “ (tratto
dalla commedia hollywoodiana “Tutti insieme appassionatamente”) , trasformandole in autentici
stravolgimenti rivoluzionari.
Ma la rivolta vera che usciva
dai dischi Atlantic non era quella di Coltrane, ne sarà l’assolutismo
sovversivo del free jazz di Ornette Coleman, Archie Shepp o Cecil Taylor. Dai
giradischi di Harlem, dei ghetti di
Chicago, o Detroit, la puntina che solcava i dischi Atlantic rimandava la voce potente e al tempo flessibile, di Aretha
Franklin che chiedeva rispetto per le
minoranze afroamericane e per le donne. "Respect" Il brano di Otis Redding, divenne,
cantato da Aretha nel 1967, un’invettiva verso la società
statunitense mai rispettosa della diversità per colore di pelle, genere, e orientamenti
sessuali. Quella voce, ieri, ha cessato di innalzare il suo grido rivendicativo
ed inclusivo di una popolazione stanca
di essere sfruttata dal maschio, americano, bianco, capitalista,imperialista .
Aretha non c’è più ma il suo “Chain, chain, chain, chain of fool” continuerà a
risuonare da tutte le bluesmobile del
mondo. E’ stata definita la regina della soul music, dove per “soul”, non s’intende solo “anima”, ma una
particolare collocazione sociale e mentale che identifica l’essere neri. E’ il
soul la forma artistica, la musica aggregante, di una vera e propria lotta di
massa per la rivendicazione dei diritti sociali e civili.
Non è un mistero che la
soul music ed il R&B, per la loro semplificazione degli stilemi blues, e per la facilità di fruizione,
sono stati immediatamente sfruttati dallo show
business. Aretha, insieme a Ray Charles, Otis Redding, Wilson Picket, e altri musicisti, divenne una vera e propria star,,
assicurando profitti miliardari alle
proprie case discografiche, e a tutto lo show business gravitante intorno a lei , per lo più bianco. Del resto la dinamica per cui il mercato discografico bianco si appropria della
creatività dei neri si perde nella notte dei tempi. Bessie Smith agli inizi del
‘900 con i suoi blues contribuì a risollevare le sorti economiche della casa
discografica Okeh.
Ma la forza della
musica soul, del R&B, e in seguito dell’hip hop, è che mettono in musica la cattiva
coscienza della discriminazione anche se diventano successo commerciale fonte di grossi guadagni per chi la esegue e
chi la produce. Nel 1985 Aretha Franklin, nel pieno della sua notorietà, insieme alla “bianca” Annie Lennox, incide un
brano simbolo della lotta femminista :”Sister Are Doin’It for Themeselves”. Dove viene messo in ridicolo il
detto in base al quale, dietro ad ogni
grande uomo c’è una grande donna, invita le donne ad uscire dalla cucina e
a ricordare al mondo che sono capaci di fare grandi cose da sole, senza l’aiuto
del maschio.
Aretha se ne è andata, ma
la sua voce continuerà ad uscire dalle autoradio delle bluesmobile di tutto il
mondo. Ci sarà ancora di grande aiuto anche dal li, dove ora si trova , per
scalzare i nazisti dell’Illinois che ahimè hanno preso il potere non solo
in America ma in gran parte dell’Europa e soprattutto in Italia.