Umberto Franchi
Ho partecipato alla grande manifestazione con 3.000.000 di persone a Roma in difesa dell'art. 18 dello Satuto dei Lavoratori.
Ci sono una quantità di ex sindacalisti che dopo avere manifestato con me in difesa dell'art .18 sono diventati parlamentari ed hanno votato per l'abolizione dell'art.18 (JOBS ACT) Voluta da Renzi.
Spero vivamente , ma penso vanamente, che essi non siano ricandidati alle prossime elezioni.
ESSI SONO:
- Guglielmo Epifani ex Segretario generale Cgil;
- Cesare Damiano, ex Segretario FIOM Nazionale;
- Valeria Fedeli, ex sindacalista Cgil di Gallarate Milano;
- Teresa Bellanova, ex sindacalista braccianti Cgil;
- Luisella Albanelli; ex sindacalista Cgil;
- Patrizia Maestri, ex segretaria gen. Cgil Parma;
- Maria Fontana, sindacalista Cgil Crema;
- Anna Giacobbe, ex sindacalista Spi Cgil nazionale;
-Marco Niccoli, operaio tipografo iscritto Cgil;
- Mario Tronti, teorico operiaismo iscritto Cgil;
- Antonio Bocuzzi , delegato RSU UIL alla Thyssenkrupp di Torino Quella dell'incidente con 7 morti.
Le rovine
"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"
Buenaventura Durruti
sabato 6 gennaio 2018
venerdì 5 gennaio 2018
C'è bisogno di aria usciamo dalla camera a gas di una campagna elettorale asfissiante
Luciano Granieri
Uno dei momenti in cui
la barbarie, e l’indecenza prendono in ostaggio le dinamiche sociali si
materializza durante le campagne
elettorali.
Ciò avviene da quando i
partiti si sono trasformati, da
strumento di partecipazione politica per
i cittadini , in comitati d’affari. La
ricerca del consenso non si basa sulle idee ma sul marketing. Il candidato
diventa un prodotto da magnificare, la sua “mission” è quella di promettere mirabilie al fine di vendere la propria
effimera merce . Di conseguenza le
campagne elettorali sono infarcite da lucenti, quanto mirabolanti, spot in cui l’interesse dei cittadini - la tutela
dei quali dovrebbe essere il primo obiettivo di chi si candida - diventa l’ultima opzione, anzi spesso viene ignorata e disattesa.
Un
esempio eclatante di barbarie elettorale è la vicenda dello Ius Soli. Un provvedimento di dignità,
una norma sacrosanta, indispensabile per un Paese
che accampa la pretesa di dichiararsi
civile, sacrificata sull’altare degli interessi dei comitati d’affari presenti in Parlamento. Questi hanno valutato l’approvazione dello Ius Soli come un pericolo
per la cattura del consenso. Una sciagura messa in piedi dalla falsa narrazione, diffusasi come un virus, della paura per l’immigrato protagonista di una fantomatica quanto epocale
invaisone. Non è il primo e non sarà l’ultimo provvedimento di civiltà
sacrificato alle ragioni dell’ottenimento dello scranno. Fra i banchi della maggioranza o fra quelli
della minoranza non fa differenza basta stare nel Palazzo.
I famigerati programmi devono essere
flessibili . Se il sondaggio indica che lo Ius Soli fa perdere voti si cancella
dalla lista. Se la liberalizzazione della vendita delle armi fa acquistare voti
si, pone come primo punto programmatico. E’ il mercato bellezza! I fiori
non si vendono più? Si tolgono dalla
produzione, se viceversa i cannoni mostrano l’interesse della clientela si aumenta la loro costruzione.
A occhio e croce i propositi sono gli stessi
in capo agli schieramenti che offriranno la loro mercanzia il 4 marzo prossimo.
Si pianificano elemosine mortificanti a favore della marea di gente alle prese con
una vita precaria: redditi definiti con le più
disparate perifrasi,( di cittadinanza, di dignità, di marciapiede), si è tutti concordi nell’aiutare delinquenti in Libia, in Niger per
ricacciare indietro o imprigionare gli
immigrati prima che questi ,affogando nel Mediterraneo, possano mostrare al
mondo la nostra inciviltà . Sterminiamoli
a casa loro .
Ancora, tutti promettono di eliminare la legge Fornero, ma
nessuno, ossequioso ai dettami della stabilità finanziaria, lo farà. E poi il lavoro. E’ il punto principale
del programma di ogni aggregazione, ma nessuno se la sente di andare oltre al
già sperimentato sistema fallimentare di
foraggiare le grandi aziende in cambio di qualche posto di lavoro in
più, magari precario. E le tasse? Altro stucchevole mantra per cui i liberali veri vogliono abbassarle ai ricchi, mentre i
liberali riformisti pure, oltre naturalmente
a promettere l’ennesimo
inasprimento alla lotta all’evasione, che puntualmente si concretizza con
condoni e rottamazioni di cartelle esattoriali.
Come si vede siamo in presenza di un giro di promesse, limitato, asfittico. Aria!
C’è bisogno di aria. C’è bisogno di un partito che abbia il coraggio di uscire
dagli invalicabili confini dati, e programmare un piano che guardi lontano, non all’oggi per il
domani. E quali sono i confini dati?
Semplice sono le ferree barriere imposte dal capitalismo. Se non si prende
minimamente in considerazione di sovvertire l’ineluttbilità dell’accumulazione
capitalista, si rimarrà sempre prigionieri di un giogo asfittico, chiuso e
malsano .
Il capitalismo, la libera concorrenza, il libero mercato, il
liberismo (quante citazioni a sproposito della parola libero!) sono male piante che andrebbero estirpate. Se
qualcuno da una parte accumula capitali, evidentemente dall’altra parte ci sarà gente che non avrà il necessario per vivere. Se si
consente ai capitali di rimpinguarsi a dismisura attraverso la speculazione
finanziaria, è inutile promettere la rivalutazione del lavoro come veicolo di
dignità e promozione sociale. Esso rimarrà sempre una forma di schiavismo,
magari mitigato da qualche elemosina
tipo reddito di cittadinanza.
Si dirà: c’è
la globalizzazione che grazie al progresso tecnologico ha unificato il mondo trasformandolo in un
grande villaggio globale, ha unificato i mercati, basta un clic e si possono
sposare capitali da un lato all’altro del pianeta in pochi secondi, un processo,
secondo molti, che non può regredire, è
il segno della post modernità . Siamo sicuri? Il motore della globalizzazione comprende
un complesso intreccio fra mezzi di comunicazione e di trasporto che guarda
caso sono in mano al capitale. E’ possibile collettivizzare questi mezzi ed espropriarli
alle mega lobby finanziarie?
La velocità
di comunicazione non consente solo di trasferire capitali in un battibaleno ma
anche di organizzare rivolte sociali in poco tempo, di diffondere l’idea che
alla globalizzazione del mercato debba sostituirsi la globalizzazione dei
diritti.
Per essere più concreti: c’è qualcuno che ha il coraggio di proporre l’abolizione della
proprietà privata, solido caposaldo su cui si basano le dinamiche capitaliste?
La casa è di chi la abita, il campo è di chi lo coltiva, la fabbrica è di chi
ci lavora, gli elementi e i servizi
fondamentali alla vita, come acqua, salute ed istruzione sono di chi ne
usufruisce. Pensare un rapporto di
produzione fuori dal capitalismo, consentirebbe di togliere di mezzo Acea, ad
esempio, che ci tiranneggia facendo profitti sull’acqua. Fuori dal capitalismo
le fabbriche e le fonti generatrici di servizi sarebbero di proprietà dei
lavoratori, i quali riacquisterebbero, oltre che la dignità di concorrere al benessere della collettività , un potere politico vero. Il diritto alla
salute e all’istruzione sarebbe veramente nella disponibilità di tutti , non solo dei più ricchi.
Sono consapevole del
fatto che un tale prospettiva non può essere spesa in una campagna elettorale
come quella in corso, non può imporsi
come strumento di dignità in una canea di voci indegne pronte a promettere
qualsiasi cosa pur di ottenere la poltrona. Un programma basato sul
rovesciamento del capitalismo non può camminare solo su dinamiche nazionali ,
ma investire processi di internazionalizzazione di condivisione globale. Ci
provarono i No Global, poco meno di vent’anni
fa. Il capitalismo si sentì talmente minacciato da reagire con una violenza inaudita
(vedi il G8 di Genova).
Con ciò non
considero inutile una candidatura alle prossime elezioni, ma questa deve costituire un primo passo. Un atto utile, nella misura in cui si utilizza il mega palcoscenico
elettoral-mediatico, per denunciare gli imbrogli del libero
mercato, per affermare che una sinistra o è anticapitalista o non è . Poi però c’è bisogno di una grande operazione
culturale, utile a riacquistare credibilità
verso il proprio blocco sociale ormai
disperso in rivoli approdati all'estrema destra leghista e al grillismo. Un percorso
lungo che abbisogna di applicazione, convinzione, in breve, l'applicazione della
politica quella vera e non l'opprimente vociare del marketing elettorale .
mercoledì 3 gennaio 2018
Cosa possiamo imparare dalla politica bolscevica verso i musulmani
Robert Belano
Pubblichiamo la traduzione di un articolo, “What can we learn from the Bolsheviks’ Policy toward Muslims?”, contenuto nella rivista marxista americana, recentemente uscita, Left Voice (n°3, Memoirs of the future: 100 years from the Russian Revolution – “Memorie del futuro 100 anni dalla rivoluzione russa”).
“Compagni, voi che per la prima volta vi siete riuniti in un congresso di popoli dell’Est, dovete proclamare una guerra veramente santa contro i ladroni, i capitalisti anglo-francesi. Ora dobbiamo affermare che l’ora è suonata: i lavoratori di tutto il mondo possono risvegliarsi e chiamare a raccolta decine, centinaia di milioni di contadini; possono formare un’Armata Rossa anche a Est, possono armare e organizzare una rivolta nelle retrovie dei britannici, possono aprire il fuoco contro i banditi, possono avvelenare l’esistenza di ogni insolente ufficiale britannico che sta spadroneggiando in Turchia, Persia, India e Cina”
G. Zinoviev,Congresso dei Popoli dell’Est, Baku, 1920
I Bolscevichi e la religione
Gli storici anti-comunisti per lungo tempo hanno ribadito che i bolscevichi restrinsero le libertà religiose e perseguirono i credenti dopo la Rivoluzione d’Ottobre. Robert Service, per esempio, lamenta una “campagna del terrore” lanciata dai bolscevichi contro la Chiesa Ortodossa, l’Islam e l’ebraismo. Richard Pipes afferma che la campagna sovietica contro la chiesa fa “accompagnata da una politica diretta contro le credenze e i rituali religiosi”. Gli storici liberali, per parte loro, hanno ripetuto pressappoco queste stesse posizioni per tutto il secolo scorso
È indiscutibile il fatto che, giustamente, i bolscevichi abbiano individuato la Chiesa Ortodossa russa come un agente dello zarismo e un nemico nella lotta per il socialismo. Alla vigilia della rivoluzione, la chiesa era il più grande latifondista della nazione, con 7,5 milioni di acri posseduti (circa 3 milioni di ettari, ndr). Nel 1918, il Decreto sulla Separazione della Chiesa dallo Stato, promulgato dai bolscevichi, espropriò la terra e le proprietà della chiesa, mettendoli sotto amministrazione dei soviet. La Chiesa fu anche spogliata dell’immenso potere politico che aveva mantenuto per oltre cinque secoli. I preti e i membri del clero che resistettero alla confisca del loro oro e argento furono imprigionati o giustiziati.
I capi bolscevichi erano convinti atei, come da tradizione del marxismo. Però, come Marx, sapevano che il credo religioso sarebbe svanito per sempre solo quando l’oppressione di classe generatrice di quel credo fosse stata distrutta. La citazione di Marx per cui “la religione è l’oppio dei popoli” è nota. Ciò che è meno noto è quel che la precede: “la religione è il sospiro della creatura oppressa, è il cuore di un mondo senza cuore, lo spirito di una condizione priva di spirito”. In altre parole, la devozione religiosa è sorta da condizioni materiali che, al principio del ventesimo secolo in Russia, consistevano nelle vestigia del feudalesimo, insieme con lo sfruttamento capitalista, la guerra e la carestia.
Lenin, in particolare, si curava di distinguere tra l’apparato oppressivo della Chiesa Ortodossa e le masse oppresse che erano ancora perlopiù credenti. Egli dichiarò che i comunisti devono rioganizzare “la propaganda più estesa dell’illuminismo scientifico e delle concezioni anti-religiose. Mentre si fa questo, dobbiamo evitare con cura qualsiasi cosa che possa ferire i sentimenti dei credenti, perché tale metodo può solo portare al rafforzamento del fanatismo religioso”.
Le parole di Lenin suonano profetiche oggi. Decenni di feroce repressione dei musulmani – prima sotto lo stalinismo e poi sotto la “democrazia” borghese – hanno alimentato le fiamme del fondamentalismo islamico in Cecenia, Uzbekistan, e ovunque nella ex-Unione Sovietica.
Le minoranze religiose sotto lo zarismo
Dopo che la Rivoluzione di Febbraio aveva deposto Nicola II, le minoranze, specie i musulmani, gli ebrei e le sette minori cristiani, che avevano sofferto a lungo il giogo dello zarismo, non vedevano l’ora di un nuovo regime politico. Per questi settori, lo zarismo aveva significato pogrom sanguinosi contro gli ebrei, e il programma di “russificazione” che imponeva il russo come lingua ufficiale e imponeva che tutta l’istruzione fosse impartita in russo.
I bolscevichi riconoscevano la necessità di un appello agli oppressi di tutto l’impero – dalle nazionalità oppresse come gli ucraini e i polacchi alle varie minoranze religiose – al fine di assicurare il successo della rivoluzione. Invertirono la russificazione e incoraggiarono nelle scuole l’insegnamento nei linguaggi nativi. Questa politica, come molte altre conquiste per i musulmani e per le minoranze oppresse, sarebbe terminata a seguito dell’ascesa al potere di Stalin. Stalin, che incarnava il crescente “sciovinismo grande-russo”, diffuso nella burocrazia come Lenin aveva denunciato, re-impose il russo come lingua ufficiale di tutta l’URSS e rese obbligatoria l’istruzione in russo dal 1938.
Al contrario dei menscevichi e dei social-rivoluzionari, i bolscevichi offersero alle nazioni oppresse il pieno diritto all’autodeterminazione, incluso il diritto a separarsi dalla repubblica sovietica. I polacchi e i finlandesi scelsero la separazione, ma questo approccio da parte dei bolscevichi assicurò loro la fiducia di molti lavoratori e contadini delle nazionalità oppresse che erano rimaste estranee ai menscevichi e ai socialisti rivoluzioanri. Il supporto degli strati popolari di queste regioni si sarebbe rivelato fondamentale nella vittoria dell’Armata Rossa durante la guerra civile.
Un appello ai popoli dell’Est
Al tempo della Rivoluzione d’Ottobre, un cittadino su dieci della nuova repubblica sovietica era musulmano. Nella regione dell’Asia Centrale, spesso definita semplicemente “l’Oriente”, oltre il 90% della popolazione era musulmano. Oltre 120 linguaggi erano parlati nella nuova repubblica, e solo circa la metà della popolazione parlava russo. Soltanto 19 idiomi in questi territori avevano una forma scritta.
L’anti-imperialismo dei bolscevichi e, in particolare,di Lenin e Trotsky, fu centrale per la loro politica verso la popolazione musulmana. Lenin spesso citava Marx ed Engels che dicevano “nessuna nazione può essere libera se opprime altre nazioni”. Dopo l’insurrezione, i bolscevichi dichiararono nulli e inapplicabili gli accordi con gli Alleati, che avevano offerto alla Russia l’annessione di Costantinopoli e la ripartizione della Turchia e della Persia.
Inoltre i bolscevichi riconobbero che la sconfitta dell’offensiva imperialista – che li sormontava militarmente e tecnologicamente – richiedeva l’unità di tutti i lavoratori, i contadini poveri e i popoli oppressi in tutta la Repubblica Sovietica. I dirigenti sovietici videro un alleato nella popolazione musulmana che era stata a lungo soggiogata dalle stesse forze contro le quali l’Armata Rossa lottava: l’imperialismo inglese, l’imperialismo francese e ovviamente le forze controrivoluzionarie zariste.
Ad ogni modo, la conquista dei musulmani poveri e lavoratori al bolscevismo non era un compito facile. Lo storico E. H. Carr scrive:
“[I bolscevichi] concepivano un’immagine molto vaga dei popoli oppressi che aspettavano l’emancipazione da mullah superstiziosi così ansiosamente quanto quella dagli amministratori zaristi; e rimasero sconvolti nello scoprire che, mentre la presa dell’Islam sui popoli nomadi e su parti dell’Asia Centrale era poco più che nominale, altrove rimaneva un’istituzione tenace e vigorosa che offriva una resistenza molto più fiera di quella della Chiesa Ortodossa alle nuove idee e alle nuove pratiche. Nelle regioni dov’era forte – sostanzialmente nel Caucaso settentrionale – la religione musulmana era un’istituzione sociale, giuridica e politica, oltre che religiosa, e regolava la vita quotidiana dei suoi fedeli in quasi ogni aspetto. Gli imam e i mullah erano giudici, legislatori, insegnanti e intellettuali, così come politici e a volte capi militari”.
Nel 1920, i bolscevichi convocarono il Primo Congresso dei Popoli dell’Oriente a Baku, in Azerbaijan. Erano presenti duemila delegati dall’Asia Centrale, leader sovietici come Grigorij Zinoviev e Karl Radek, e comunisti stranieri come Bela Kun e John Reed. Nel suo discorso inaugurale, Zinoviev, un bolscevico di origine ebraica e ucraina, invocò una “guerra santa” contro gli imperialisti stranieri. In questo modo, egli ambiva a collegare la campagna dell’Armata Rossa contro i Bianchi e i loro sodali internazionali alla storica lotta dei popoli d’Oriente contro gli occupanti stranieri.
Lo storico Stephen White scrive che: “Il fine anti-imperialista del Congresso non era sfuggito alle autorità britanniche”. Una pattuglia navale britannica fu armata, senza successo, per impedire ai delegati turchi di partecipare. Due delegati persiani in viaggio furono uccisi da un bombardamento aereo britannico, e parecchi altri furono feriti o arrestati. Il congresso si concluse con un imponente corteo e l’incendio di un’effige di Lloyd George, Alexandre Millerand e Woodrow Wilson.
L’Islam dopo la rivoluzione
Dopo la rivoluzione, ben lungi dall’abolire la religione con la forza, le politiche dei bolscevichi permisero a certe religioni di crescere. Il numero delle madrasse, per esempio, aumentò notevolmente nella regione, come Chris Bambery illustra su Counterfire. Infatti, in alcuni Stati sovietici, questi centri islamici istruivano quasi dieci volte di più gli studenti rispetto alle scuole di Stato . Inoltre, i bolscevichi promossero una politica di korenizatsiia, cioè di “indigenizzazione”, per la quale “ogni nazionalità [sarebbe stata] rappresentata nel governo e nell’amministrazione in proporzione al loro peso nella popolazione”. E mentre permaneva ancora qualche ritrosia verso il nuovo regime sovietico tra le popolazioni d’oriente, “attorno al 1918, il 45% dei membri del Partito Comunista del Turkestan erano musulmani”.
In un brano scritto per International Socialism, Dave Crouch afferma che in Asia Centrale “un sistema giudiziario parallelo fu creato nel 1921, con corti islamiche che amministravano la giustizia in accordo con le leggi della sharia. Lo scopo era garantire al popolo la scelta fra la giustizia rivoluzionaria e la giustizia religiosa”. Comunque, “le sentenze della sharia che contraddicevano la legge sovietica, come la lapidazione o il taglio delle mani, erano proibite”. Circa metà dei casi giudiziari in Asia Centrale durante i primi anni della Rivoluzione furono decisi dalla sharia. Nei casi in cui un processo sotto sharia rifiutava di garantire il divorzio a una donna, lo Stato permetteva il ripetersi del processo in corti rivoluzionarie, se una delle parti faceva appello alla decisione”.
La lotta delle donne musulmane
Mentre la rivoluzione offrì molte nuove libertà alle donne, come il diritto al divorzio e il diritto all’aborto, i rivoluzionari non imposero la propria morale sulle minoranze oppresse. Si concesse alle donne musulmane di continuare a vestirsi con il loro abbigliamento tradizionale, incluso il velo, se così preferivano (un diritto abolito successivamente da Stalin). Parlando al congresso, una delegata dichiarò: “le donne dell’Oriente non stanno soltanto lottando per il diritto a camminare per strada senza dover indossare la chadra (il velo), come molti pensano. Per le donne dell’Oriente, con i loro alti ideali morali, la questione della chadra, si può dire, e di minore importanza”.
Ma non c’erano illusioni sul fatto che le donne musulmane non soffrissero un’estrema oppressione. Un’altra delegata dichiarò in modo inequivocabile: “Noi, le donne dell’Oriente, siamo sfruttate dieci volte peggio che gli uomini”. Per le donne delegate, le rivendicazioni urgenti includevano la completa uguaglianza di diritti, l’accesso eguale all’istruzione e al lavoro, la fine della poligamia, eguali diritti nel matrimonio, e la creazioni di comitati di donne in difesa dei propri diritti.
Il potenziale per una ribellione dei musulmani
Mentre l’anti-imperialismo guidò l’approccio di Lenin verso i musulmani, la storia autoctona anti-imperialista dell’Islam ha reso i musulmani particolarmente ricettivi rispetto alle idee del bolscevismo. Lo storico liberale John Sidel afferma che nei primi due decenni del ventesimo secolo lavoratori, contadini, marinai e soldati si ribellarono contro i colonizzatori olandesi in Indonesia, la patria della popolazione musulmana più numerosa. Nel 1920, l’Unione Comunista delle Indie fu fondata e divenne il primo partito comunista in Asia a unirsi al Comintern. L’attivista sindacale indonesiano, Tan Malaka, invocò un’alleanza tra il crescente movimento pan-islamista e il movimento comunista. La mancanza di chiarezza del primo sulla questione di classe, insieme alla regressione dell’Unione Sovietica verso lo sciovinismo negli anni seguenti, non permise l’unità delle forze antimperialiste.
Oggi abbiamo l’esempio della Primavera Araba nata nel 2011. Questo fenomeno ha mostrato l’enorme potenziale dei popoli delle nazioni a maggioranza musulmana per la rivolta contro la tirannia e l’oppressione. Cominciata come un movimento per la democrazia e contro l’austerità in Tunisia, essa si è diffusa rapidamente attraverso il Medio Oriente. In Tunisia, manifestazioni di massa e scioperi generali hanno posto fine al dominio, lungo 23 anni, del presidente appoggiato dagli USA Ben Ali. In Egitto, il movimento ha rovesciato la repressive amministrazione Mubarak, che aveva governato per un trentennio col pieno supporto dell’imperialismo USA. Queste sollevazioni popolari si sono confrontate anche con diversi governi “islamisti”, come quello di Morsi in Egitto, che è stato eletto nel 2012.
In ogni caso, la mancanza di un programma politico indipendente della classe lavoratrice nella Primavera Araba ha portato in ultima istanza alla cooptazione del movimento da parte delle forze borghesi e, infine, alla sua disfatta. L’imperialismo ha ripristinato lo stato di polizia in Egitto con un coup militare. In Tunisia, come scrive Gilbert Achcar su Jacobin, “il nuovo partito dominante [è] in buona sostanza… una versione ammodernata del partito dominante del vecchio regime”. Ma questo movimento di massa ha dimostrato che saranno i lavoratori, la gioventù egli strati popolari nelle strade ad ottenere riforme democratiche, non le forze borghesi o gli interventi americani.
Come possiamo applicare oggi la politica bolscevica?
Chiaramente, le attitudini progressiste dei bolscevichi verso le minoranze oppresse e le religioni contrastano nettamente con le leggi e le pratiche anti-islamiche in vigore oggi nell’Europa e negli USA moderni. Austria, Francia, Belgio, così come vari altri Stati e città in altri paesi europei, hanno imposto dei divieti sui veli integrali. E non sono soltanto i partiti di destra ma anche quelli “democratici” ad essere responsabili per queste restrizioni. La Francia ha tentato di andare oltre nella repressione dell’abbigliamento islamico proponendo un divieto per il “burkini” che proibirebbe i costumi che coprono il corpo intero. Nel mentre, le grandi testate giornalistiche deridono Maometto e ritraggono gli islamici come rabbiosi terroristi. L’identificazione e il tormento dei musulmani è sfrenato negli aeroporti, nelle università e in altri luoghi. In questo senso, la tolleranza ottenuta nei primi anni della repubblica sovietica “senza dio” supera di molto la situazione esistente nei “paesi illuminati” d’Occidente.
Le lezioni dei bolscevichi, però, vanno oltre l’approccio dei socialisti verso i musulmani. Parlando al Congresso di Baku, Zinoviev parafrasò il famoso slogan del Manifesto Comunista, dichiarando, “Lavoratori di tutte le terre e dei popoli oppressi del mondo intero, unitevi!”. I bolscevichi vedevano il bisogno urgente del collegamento tra la causa dei lavoratori e quella delle minoranze oppresse, incluse quelle che non erano tecnicamente parte del proletariato, ma piuttosto contadini, artigiani o membri di altri settori che erano stati progressivamente schiacciati dal capitalismo.
Nei paesi a capitalismo avanzato oggi, il bisogno di unire la classe lavoratrice con le minoranze razziali [nell’inglese statunitense è uso comune il termine non scientifico di “razza” per indicare i grandi raggruppamenti arbitrari etno-biologici in cui solitamente la popolazione viene classificata, ndr], etniche e religiose è più chiaro che mai. I capitalisti, di fronte a una crescente irrequietezza tra i lavoratori e la popolazione oppressa dopo decenni di austerità e di erosione degli standard di vita dei lavoratori, hanno promosso la xenofobia, il razzismo e l’islamofobia al fine di prevenire l’unità tra i lavoratori bianchi, i lavoratori di colore, i musulmani e gli immigrati. Lungi dall’offrire dei benefici materiali ai lavoratori, i politici che hanno fatto campagna a partire da questo fervore nazionalista – Donald Trump e Teresa May tra i tanti – porteranno soltanto ulteriori tagli ai salari, posti di lavoro più precari, e nuovi tagli ai servizi sociali.
Di fronte a tutto questo, la Sinistra [negli USA, con “Sinistra” generalmente non si intendono i partiti borghesi “di sinistra”, cioè in buona sostanza i Democratici, ndr] deve dare tutto il suo supporto ai settori oppressi, prendendo ad esempio casi come la manifestazione a livello nazionale negli aeroporti a seguito del Muslim Ban di Trump, se si vuole conquistare queste comunità a lotte rivoluzionarie. Dobbiamo essere pienamente coscienti che le forze repressive dello Stato, che oggi deportano gli immigrati e arrestano o molestano le persone di colore, domani saranno usate per infrangere gli scioperi e sventare ribellioni operaie. Inoltre, la Sinistra e la classe lavoratrice nei paesi imperialisti devono mettere in campo una solidarietà risoluta con i popoli dei paesi semi-coloniali nelle loro lotte contro l’imperialismo. Dobbiamo rigettare tutte le invasioni “umanitarie” e le campagne di bombardamento che sono portate avanti principalmente contro popolazioni non bianche e musulmane in giro per il mondo. Queste guerre e questi atti di aggressione non portano democrazia né migliorano il benessere della popolazione; al contrario, servono solo gli interessi dei paesi imperialisti e la ristretta cerchia dell’uno per cento.
Il divampare delle guerre civili e della fame per tutto il globo come conseguenza diretta della politica imperialista ha innescato un’onda migratoria dall’Africa e dal Medio Oriente verso l’Europa, gli USA e i vari petro-Stati, come l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Questa situazione ha creato un nuovo settore di lavoratori immigrati, milioni dei quali sono musulmani. Questi lavoratori sono fra i più sfruttati e oppressi ed è verosimile che guideranno nuove battaglie contro il capitale La solidarietà mostrata dai rivoluzionari russi verso le minoranze oppresse dovrebbe essere un esempio per i lavoratori occidentali su come condurre lotte in comune con i musulmani, gli immigrati, le persone di colore, la comunità LGBT, e tutti quelli che soffrono sotto il giogo oppressivo del capitalismo.
fonte:www.lavocedellelotte.it
martedì 2 gennaio 2018
L’opinione degli Americana rispetto agli aiuti Usa ad Israele e gli altri programmi top dell’AIPAC (Commissione per i Pubblici affari israelo-americani)
Le lobby israeliane e la politica americana
Grant F. Smith traduzione di Luciano Granieri
Dale Sprusansky: Grant Smith è il direttore dell’Istituto
per la ricerca sul rinnovamento delle politiche per il Medio Oriente. E’
l’autore del libro, pubblicato nel
2016:” La Grande Israele: Come le Lobby Israeliane muovono
l’ America”. Un’opera che si occupa
della storia, dei ruoli e delle attività di efficienti organizzazioni
israeliani operanti negli Stati Uniti . Grant ha inoltre scritto due storie non
ufficiali dell’AIPAC e molti altri
libri.
La sua organizzazione di sondaggi è costantemente al lavoro all’interno
del Freedom of Information Act (FOIA), è sempre al lavoro , e ha scoperto importanti documenti riguardanti,
in modo particolare, il programma
nucleare israeliano. Potremmo dire poco sull’argomento se molte persone non
lavorassero così intensamente come fa Grant. Considerando
le sue frequenti ricerche, le sue
apparizioni nel tribunale del FOIA, i suoi sondaggi le sue E-Mail delle 5 del mattin ,possiamo realmente affermare che
Grant è un One Man Machine.
Oggi, ci rivelerà i dati di alcuni sondaggi condotti dalla
sua organizzazione e da altre agenzie sugli aiuti americani ad Israele.
Grant Smith: Grazie
Dale, l’opinione del pubblico rivelata dai sondaggi è molto importante,
ovviamente, ma non c’erano molte considerazioni da fare in relazione alle domande su cosa la gente pensi dei programmi
fondamentali delle lobby israeliane. Ma qualcosa oggi è destinata a cambiare. I
sondaggi che stiamo per analizzare, in relazione al contributo che potrebbero e
dovrebbero offrire gli eletti, coloro i quali sono incaricati di agire nell’interesse pubblico, rimarcano che in merito
ai programmi della lobby israeliane
prese in esame, si sta verificando un
distacco crescente fra ciò che pensa
l’opinione pubblica e le azioni
governative pianificate in favore di
queste .
L’anno scorso ho qui trattato della nascita delle lobby
israeliane negli Stati Uniti, la loro crescita, la loro grandezza, il loro
organigramma, e la loro organizzazione operativa . Su questo argomento era
incentrato il mio libro “La Grande Israele”in
cui ho illustrato come un patrimonio di 3,7 miliardi di dollari detenuto da organizzazioni no profit sono in campo per arrivare ad ottenere nel 2020 un profitto di 6,3 miliardi.
14.000 impiegati, 350.000 volontari, una membership con remunerazioni pari a 774mila dollari, congiuntamente a
campagne per finanziamenti di infrastrutture, ingenti donazioni individuali ,oscure
azioni politiche di diversi comitati, contribuiscono a consolidare gli aiuti americani che Israele altrimenti mai avrebbe potuto avere. Tutto ciò apparirà
in un luminoso display quando 15.000 membri dell’AIPAC si riuniranno il prossimo week end nel loro congresso annuale. Comunque ritorniamo alle lobby e a
ciò che gli Americani pensano dei loro programmi.
Le indagini che di
seguito sto per mostrarvi sono state
condotti dall’Istituto di Ricerca per i
Consumatori di Google, l’unico e più accurato servizio di sondaggi disponibile
oggi in America .
Diamo un’occhiata a
cosa gli Americani pensano del singolo e più importante programma in base al
quale Israele sta ottenendo aiuti da
parte del Dipartimento di Stato Americano,
inclusi armamenti avanzati,
finanziamenti per le aziende di armi israeliane
orientate all’esportazione. Tale
programma è compreso nel memorandum d’intenti
decennale , altrimenti noto come MUOs
Il MUOs decennale che
ci accingiamo ad analizzare sovraintende all’intera questioni dei piani d’armamento nucleare israeliani che sono sul tavolo.
Gli Stati Uniti hanno provveduto, a fornire 254 miliardi di finanziamenti conosciuti
ad Israele, più di ogni altro paese. Ora
c’è stato un recente tentativo da parte di studiosi come il Prof. Hillell Frisch
finalizzato a spostare la questione
affermando che Giappone, Germania e Sud
Corea sono i maggiori destinatari di aiuti.
Naturalmente questa notazione è errata.
Giappone, Germania e Sud Corea sono in un’altra categoria, quella degli alleati
di frontiera. Le spese per le alleanze militari con contribuzioni da entrambe
le parti impongono obblighi reciproci minimamente comparabili con gli aiuti ad Israele con non ha alcun
obbligo.
Quando è stata resa nota questa notizia il 60% degli americani ha ritenuto che gli aiuti stranieri americani ad Israele fossero
veramente troppi. Queste conclusioni possono ritrovarsi nei sondaggi di Shibley Telhami e in altri di
Gallup. Il risultato si è confermato
costante nel tempo. Gli ultimi anni, 2014-2015-2016 hanno mostrato lo stesso esito
. Gli Americani che hanno risposto al sondaggio sapevano che gli aiuti
israeliani si potevano quantificare
intorno al 9% del totale del budget destinato ai finanziamenti stranieri. Ma questa domanda sarà destinata a
cambiare in futuro, secondo Dale, fino a quando non si attuerà la proposta dell’amministrazione Trump di
ridurre il budget al Dipartimento di Stato, mantenendo inalterati gli aiuti ad
Israele. Quando ciò accadrà Israele otterrà
fondi per il 10,il 20, 30% dell’intero
budget? Ancora non lo sappiamo.
Nel Memorandum d’Intenti del settembre 2014, gli Stati Uniti
garantiscono un MOUs che va oltre I 10 anni. Non ci sono obblighi per Israele e oltre il 28% dei fondi potrebbe essere investito nelle industrie di
proprietà israeliane orientate all’esportazione, questo è l’ultimo di una serie
di impegni. In pubblico è stato detto che ciò garantirà il livello qualitativo
militare di Israele.
Quando il Congresso approva gli aiuti a favore di Israele li
presenta in un documento da sottoporre
alla firma del presidente , entrambi (congresso e presidente) confidano in un sotterfugio ,cioè che gli Stati Uniti, non
possono realmente conoscere se Israele possieda armi nucleari. In base al protocollo di controllo sull’esportazione delle armi (Arms Export Control Act), ogni
volta che gli Stati Uniti pianificano aiuti militari devono conoscere quali sono le potenze che non hanno firmato il trattato di
non proliferazione delle armi nucleari. Nel 2012 sotto la crescente pressione
esercitata da una giornalista Helen Thomas, l’amministrazione americana di Obama,
emanò un ordine di censura che punì alcuni impiegati e funzionari federali i quali diffusero informazioni, che
molte persone già conoscevano, sull’entità di armamenti nucleari in possesso di
Israele.
Da un sondaggio sulla pubblica opinione, primo nel suo genere,
emerge che la maggior parte di Americani
preferiscono un’onesta discussione sugli armamenti nucleari israeliani. Il 52%
si è espresso a favore del fatto che il Congresso avrebbe dovuto tenere in
considerazione la questione nucleare. Ufficialmente il Congresso ha dichiarato di non voler prendere
alcuna decisione sulla tema. Ma sotto la pressione di reporter, della
pianificazione di una serie di azioni
legali per bloccare gli aiuti
statunitensi, incuranti di questi programmi nucleari , e un’ampia azione di denuncia , ciò potrebbe
cambiare.
Di seguito un’intervista di Sam Husseini ( scrittore e attivista
politico direttore della comunicazione dell’ Institute for Pubblic Accuracy, un organizzazione informativa no profit) al Senatore
democratico Chuck Schumer
Sam Husseini: Riconosce
che Israele possiede armi nucleari signore?
Sen. Chuck Schumer:
Non lo so, ma può leggere ciò che scrivono i giornali in merito.
Sam Husseini:
Riconosce che Israele possiede armi nucleari signore?
Sen. Chuck Schumer: E’ un fatto ben noto che Israele possiede armi nucleari, ma il
governo israeliano non ha mai ufficialmente rivelato che tipo di armi possieda, dove siano allocate etc. etc.
Sam Husseini: Potrebbe il governo degli Sati Uniti essere più franco
Sen. Chuck
Schumer: Ok sarà così.
Grant Smith: Questo
era Sam Husseini . Nel 1985 Isreale e le
sue lobby erano le forze primarie che
offrivano accessi preferenziali
nel mercato statunitense ad aziende esportatrici
israeliane. Questa dinamica fu definita come
il primo accordo americano sui liberi affari. Siccome le aziende e le forze
sindacali americane erano unanimemente contrarie a ciò, un agente clandestino dell’Ambasciata
Israeliana intercettò un rapporto segreto di 300 pagine contenente dati industriali riservati di proprietà dell’ITC ,
e li usò per aiutare l’AIPAC a
neutralizzare la contestazione. Ciò fu l’oggetto di un indagine dell’FBI e classificato come un problema di controspionaggio.
Come probabilmente ci si sarebbe potuto aspettare da tali
processi, essi sostituirono un bilanciato rapporto commerciale con un cronico squilibrio a favore di Israele.
Infatti alla presenza
di un’inflazione stagnante , l’accordo di liberi affari fra gli Stati Uniti ed Israele è il peggiore
mai realizzato con un deficit cumulativo pari a 144 miliardi di dollari.
In quest’epoca di disapprovazione popolare di accordi
commerciali, comprendenti fra gli altri l’iniziativa della partnership
trans-pacifica o i liberi accordi
commerciali nord americani, una volta
appreso dell’accordo di libero scambio con Israele, il 63% degli americani avrebbe voluto rinegoziarlo o cancellarlo.
Un altro pessimo affare, in campo da molto tempo, concernente Israele e le sue lobby riguarda lo spostamento dell’ambasciata
americana a Gerusalemme. Sin dal 1948 Israele ha tentato di persuadere le
ambasciate straniere ricollocarsi a
Gerusalemme, la cui ripartizione è sancita
da accordi internazionali . Ma ,
sfruttando le aspirazioni presidenziali di Bob Dole, nel 1995 l’organizzazione
sionista d’America e l’AIPAC hanno sostenuto una legge, per altro approvata, in cui si prevedeva di de-finanziare il bilancio del Ministero Degli Affari esteri
se l’ambasciata non fosse stata trasferita. Il presidente statunitense di
allora si rifiutò di dare corso alla norma, ma ci sono oggi molti fautori di
questo trasferimento presso l’amministrazione Trump .
Gli Americani non sono così entusiasti di essere
coinvolti nel valutare questa
situazione. Le lobby israeliane degli Stati Uniti, vogliono che l’ambasciata
americana venga trasferita da Tel Aviv a
Gerusalemme. Nessun altro Paese, nel rispetto degli accordi
internazionali, opponendosi a tale trasferimento ha fatto pressioni in questo senso. Il 56% degli americani si è espressa contro il trasferimento
dell’ambasciata , mentre il 38% si è rivelata a favore. C’è una rinnovata
spinta affinchè si ritorni ad una politica di accordi poco trasparenti fra
Israele e Stati Uniti. Questa politica e particolarmente sostenuta dal Primo
Ambasciatore Israeliano negli Stati Uniti. Michael Oren sostiene che Stati Uniti ed Israele possono anche non
essere d’accordo su alcune questioni , ma non mostrarlo apertamente , in quanto ciò
rafforzerebbe i comuni nemici e renderebbe Israele vulnerabile. Naturalmente tale politica beneficia grandemente
Israele, come merce di scambio , questa può speculare sull’apparenza di un
incondizionato supporto degli Stati Uniti nelle proprie relazioni . Quindi è in corso un grande sforzo in questo senso .
Gli Americani, quando si sono espressi e sono stati invitati ad esprimersi su
Israele e le sue lobby americane , in particolare sull’affermazione:”Israele e
le sue lobby americane non desiderano una politica alla luce del giorno, il presidente non condanna gli insediamenti israeliani in Palestina, fornisce aiuti economici e un supporto in seno
all’ONU” La maggior parte , il 56%, la
maggioranza sostiene che non dovrebbe esistere una politica occulta.
Abbiamo qui con noi oggi Maria LaHood, la quale potrà
fornirci un ottimo lavoro descrivendo cosa è Boycott, Disinvestiment and
Sanctions (BDS) , un movimento che
cerca il
supporto internazionale affinchè si ponga fine all’oppressione
israeliana in Palestina e si oppone allo
sforzo delle lobby israeliane nel proporre leggi che blocchino le
attività del movimento stesso
sancendone l’illegalità in tutto
il paese .
Dunque dirò solo che le campagne dirette di raccolta fondi
messa in campo dalle lobby israeliane sono virtualmente ed inequivocabilmente
focalizzate a fermare BDS, come l’iniziale, attuale, programma prioritario
dimostra. E’ estremamente palese. E’ l’obiettivo numero uno.
Domanda: “Israele e
le sue lobby americane vogliono una politica non alla luce del giorno un
presidente che mai apertamente critica gli insediamenti israeliani in
Palestina, che ha fornito miliardi in
aiuti e supporto diplomatico nel consesso dell’ONU”
Ma gli Americani sono ambivalenti .Quando gli abbiamo
sottoposto un sondaggio sul BDS il 60%
né supporta né si oppone alle leggi
riguardanti l’organizzazione , il 21% si oppone ad esse e il 18% le
approva. Quindi gli americani non seguono BDS, non sono estremamente in
sintonia con esso , non concepiscono nemmeno
l’idea di un
singolo centro di potere che fa pressioni su un solo paese straniero.
Quella che segue penso sia la più importante indagine del sondaggio perché ci porta nel cuore
dell’intero meccanismo per il quale le lobby hanno accumulato una così grande influenza nell’orientare
campagne di finanziamento. Il fatto è questo. Il sistema parte dalla selezione di candidati cui
finanziare la campagna elettorale, raccogliendo
fondi attraverso l’azione spesso poco chiara di
alcuni comitati . Ciò allo scopo di eleggere politici impegnati
ad assicurare leggi pro Israele e a favore dei più grandi finanziatori
israeliani . Janet McMahon e due primari
membri del congresso, parleranno di questo, ne sono sicuro.
Il 71% degli Americani non approva questo sistema .
Probabilmente non sanno perché i lobbisti per Israele non
parlano lungamente di armi e diplomazia per il loro Paese. Parlano del
mantenimento delle relazioni
privilegiate fra Stati Uniti ed Israele e c’è una ragione legale per questo. I
lobbisti per Israele, compreso un
veterano come Abrham Feinberg e il
fondatore di AIPAC Isaiah Kenen, nei
loro scritti e nei loro discorsi erano molto più franchi all’inizio. Loro
affermavano onestamente che il loro
obbiettivo erano le armi, i soldi e supporto diplomatico perché Israele ne
aveva bisogno. Non c’era alcuna dichiarazione sul perché l’America avesse
bisogno di Israele.
AIPAC ha indirettamente ricevuto soldi
per iniziare a lanciarsi e oggi lo stretto coordinamento con il governo
d’Israele è ancora in atto. Ma il quadro delle pubbliche relazioni è mutato.
Ora c’è l’unico obiettivo di preservare interessi speciali e valori comuni. Dal 1970 non ci si è posti
alcun problema su cosa le lobby facessero. Il Dipartimento di Giustizia smise
di indagare se alcuni di questi attori
fossero agenti segreti stranieri e quindi
trattarli come tali . E fino a
quell’anno un numero crescente di indagini per spionaggio sull’AIPAC e anche sull’ADL furono avviate , ma poi
tranquillamente insabbiate senza alcun
giustificabile motivo. Il 1970 infatti fu l’ultimo anno in cui il Dipartimento
di Giustizia trattò le lobby di Israele
come possibili componenti dei servizi segreti. Ci furono nel 1962 e 1963 echi
clamorosi su richieste all’IRS (Internal
Revenue Service, dipartimento per il
controllo fiscale ndr ) di verifica del
loro status di esenzione fiscale, ma nulla accadde.
Naturalmente gli Americani sembrano approvare un ritorno a
quei tempi più autentici quando gli
agenti segreti stranieri erano costretti ad adeguarsi a leggi di trasparenza e
non godevano di un potere maggiore rispetto al congresso e agli eletti . Il
66% delle persone coinvolte in questo
sondaggio si sono dichiarati favorevoli
al ripristino di un sistema di norme funzionale a disciplinare queste
problematiche.
Forse ciò è emerso per opera di un coraggioso tipo di giornalismo investigativo che ha
indagato sul coordinamento delle lobby con
i funzionari di governo israeliani, i quali stanno ancora usando tutti i mezzi ,compreso quelli segreti, per vincere. Fra essi è compreso il tentativo di modificare i trattati
sul nucleare stipulati dall’amministrazione
Obama con l’Iran, JCPOA, accolti con
favore dalla maggior parte di
Americani ma inviso ad Israele e alle
sue lobby.
Quindi , grazie ad un giornalismo efficiente è emerso il
controllo che il governo Israeliano ha esercitato sui negoziati con l’Iran, è risultato chiaro come questo si sia offerto di fare tutto quanto fosse necessario verso
singoli membri del Congresso affinchè essi si opponessero alla approvazione di JCPOA , impegnando l’intero
principale establishment: lobby
israeliane-AIPAC-, l’ADL , L’AJC (American Jewish Committee) unito nell’opporsi all’ accordo.
Quindi, in conclusione, una solida maggioranza dell’elettorato
americano, ritiene che gli aiuti americani ad Israele siano
veramente troppi. In verità non approvano
nemmeno i mezzi con cui le lobby hanno
ottenuto ciò che volevano , i fondi, gli impegni unilaterali americani pronti
ad essere mantenuti. Ovviamente è una maggioranza passiva . Nessuna di queste
opinioni o punti di vista si è recentemente tradotta, salvo poche eccezioni, in azioni dirette da parte dei membri del
Congresso. Per cui solo attraverso un’opposizione
attiva , non passiva, che chiaramente oggi sta venendo fuori sarà
possibile rendere gli Americani capaci di convincere il loro
governo a tornare a rappresentare i propri interessi . Solo con l’aiuto di indagini chiare, movimenti di opinione,
sondaggi , solo operando serie ricerche
sui programmi delle lobby di Israele e su cosa gli Americani pensino
della questione, noi saremo in grado di instaurare un processo che prenda il
volo e diventi virale, e parlare in modo da convincere più Americani ad uscire dalla loro passività e iniziare ad
diventare partecipanti attivi, ancora una volta verso il loro governo.
lunedì 1 gennaio 2018
Free Ahed Tamimi !
PETIZIONE
Il vignettista Naser Jafari dedica il disegno a Ahed Tamimi e a tutti i bambini e le bambine palestinesi detenut* nelle carceri sioniste. |
Chiunque sia stato ai piccoli ma determinati cortei di Nabi Saleh in Cisgiordania ha conosciuto e scherzato coi ragazzini e le giovani splendide , coraggiose ragazze della famiglia Tamimi, molto attive nella resistenza non violenta del loro piccolo villaggio partigiano.
Ahed Tamimi, 16 anni, attivista della resistenza palestinese nel villaggio di Nabi Saleh, è stata arrestata. Il suo crimine, affrontare con dignità e determinazione e la forza delle sue parole i soldati armati fino ai denti a difesa delle terre rubate, della costruzione delle colonie, dello sfruttamento delle risorse in territorio palestinese. La mattina del 19 dicembre lei e la sua famiglia sono diventate l'obiettivo delle forze di occupazione israeliane a seguito della protesta per il grave ferimento di Mohamed Tamimi, il cugino di Ahed, colpito alla testa da uno di quei micidiali proiettili di metallo ricoperti di gomma e ora in coma. I soldati hanno fatto violentemente irruzione in casa, confiscato telefoni, macchine fotografiche, computer, picchiato la madre di Ahed e arrestato la ragazza. Anche sua madre Nariman e sua cugina Nur (21 anni) sono stati arrestate nelle ore e giornate successive.
Non è la prima volta…a turno i ragazzi e specie le ragazze di questa famiglia vengono picchiate e arrestate E alcuni mesi fa ad Ahed era stata impedita la partecipazione alla carovana di solidarietà "Palestina- Movimento Nero uniti nella lotta" negli Stati Uniti insieme all'attivista e scrittore Nadya Tannous e all'attivista per la liberazione nera Amanda Weatherspoon.
Denunciamo l'arresto di Ahed, Nariman e Nur, gli ultimi dei 450 arresti di persone palestinesi dopo la decisione di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele.
Da tutto il mondo stanno chiedendo la loro scarcerazione .
Di seguito la petizione che potete firmare
Campagna
Firma per liberare Ahed Tamimi e tutti i minori palestinesi in prigione.
https://secure.avaaz.org/campa ign/en/free_ahed/?kVdCKdb
https://israelpalestinenews. org/israeli-forces-imprison- 16-year-old-palestinian-girl- mother-cousin-shooting- another-cousin-face/
http://www.yashebron.org/free_ tamimi_family
https://nycsjp.wordpress.com/ 2017/12/20/demand-an-end-to- child-detention-free-ahed-tamimi-and-all-palestinian- political-prisoners/
https://secure.avaaz.org/ campaign/ar/free_ahed/?kDPEYbb (102,000 signed this avaaz petition)
For those of you in the US, Israeli Embassy and Consulate contact information is here: https://embassy-finder.com/ israel_in_usa
For those of you in other parts of the world, Israeli Embassy and Consulate contact information is here: https://embassy-
finder.com/ israel_embassies
domenica 31 dicembre 2017
Buon inizio e buona fine
Luciano Granieri
La notizia è che a mezzanotte finisce il 2017 e comincia il
2018. Non è uno scoop, ma quanta banalità e scontatezza viene spacciata per eccezionale da parte di media asserviti e social network?
Buona fine
e buon inizio si usa augurare in questo frangente. Ecco per uscire un po’ da
una "minestrara" consuetudine voglio dividere gli auguri di buona fine da quelli
di buon inizio.
Buona Fine:
Auguro buona e sacrosanta
fine all’1% della popolazione mondiale che possiede un ricchezza pari a quella del restante 99%
Buona, sacrosanta, fine sia per i mercanti d’armi e per i
governanti che li supportano, fra questi gli italiani sono al 4° posto in Europa dopo tedeschi , inglesi e francesi.
Buona e definitiva fine a coloro i quali alimentano la
guerra fra poveri, mettendo contro le vittime erranti di quei mercanti d’armi e di quei
governanti già richiamati, e la gente mortificata dalla voracità di quell’1% a
cui pure abbiamo augurato sacrosanta e opportuna fine.
Buona e definitiva fine agli squali delle banche d’affari,
che scommettono e si arricchiscono sulla pelle delle persone , ai manager che trafficano sguazzando nei mercati azionari, facendo
soldi senza produrre alcunché e si spartiscono dividendi miliardari licenziando
la gente , a tutti quelli che, cercano di impossessarsi dei beni e dei servizi pubblici contrabbandando l’ineluttabilità
della stabilità finanziaria.
Buona, definitiva e quanto mai opportuna, fine a chi in nome
della religione, qualsiasi essa sia, occupa, depreda, terre e popoli.
Buona e tombale fine al capitalismo, al liberismo, al libero
mercato, al principio della libera concorrenza dietro la quale si nasconde il
dominio del più forte.
Buon Inizio:
Auguro buon inizio al 99% della popolazione mondiale che
detiene una ricchezza pari a quella del restante 1%.
Buon inizio sia per coloro che ogni giorno si battono nel tentativo
di portare avanti la loro vita precaria.
Buono e prosperoso inizio sia per i disoccupati e per le vittime della
moderna schiavitù, spacciata per lavoro subordinato, imposta
dalla dittatura del capitale.
Buon inizio a coloro che rischiano ogni giorno la vita per
sfuggire dalle loro terre occupate dai pirati imperialisti.
Buon inizio a coloro i quali
cercano di barcamenarsi nella rassegnazione di una precarietà
ineludibile e credono di risolvere i propri problemi combattendo altri precari
come loro.
Buon inizio per chi non si rassegna alla passiva
accettazione dell’assunto che non esista altro rapporto di produzione al di
fuori di quello capitalista e cerca di convincere quelli sopra citati che si sono invece
rasseganti.
Buono e prosperoso
inizio per coloro che credono alla possibilità
e alla necessità di una comunità solidale , anarchico-comunista, che
credono nella realizzazione dell’utopia, che ritengono possibile lo scatenarsi
della rivoluzione a partire da un semplice fraseggio di Charlie Parker.
Buon Inizio a tutti noi inguaribili rivoluzionari.
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