Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

venerdì 19 luglio 2019

Isterismo europeo e smemoratezze salviniane

Luciano Granieri




Che il governo giallo-verde sia sull’orlo di una crisi di nervi è acclarato. Soprattutto è chiaro quanto una certa schizofrenia si sia impadronita di Matteo Salvini.  

Gli immigrati continuano a sbarcare con canotti, zattere e barchini. Perfino le odiate ONG attraccano forzando i blocchi della Guardia di Finanza,  tanto le  procedure sanzionatorie elevate nei loro confronti per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e per  infrazione del decreto Salvini, norma palesemente incostituzionale, vengono puntualmente archiviate dalla magistratura. 

Dunque la narrazione dei porti chiusi, lungi dall’impedire lo sbarco degli immigrati, è un’odiosa prassi criminale ordita ad uso e consumo propagandistico,  giocato sulla pelle di disperati, ai quali  basterebbe che noi andassimo via da casa loro per non farli partire. 

Ma fra le tante frustrazioni quella più bruciante riguarda la vicenda  continentale . Matteo Salvini,  pur di stravincere le elezioni europee, per imporre il cambiamento sovranista  a Bruxelles e a Strasburgo, e per fare il pieno di consensi anche in funzione italiana, ha cominciato ad invocare nei suoi comizi santi e madonne, ha perfino tentato di fare del “nero” -da cui ricavare una tangente per finanziarsi  la campagna elettorale - attraverso una tentata compravendita di gasolio fra Eni e i russi di Gazprom e Rosnefet . (alla faccia del cambiamento qui torniamo ai tempi di tangentopoli con pure l’Eni di mezzo come allora). 

Tutti questi sforzi hanno pagato ma solo parzialmente. Perché in Europa quel 34% di consensi rimediato in Patria hanno contato ben poco. Alla presidenza del Parlamento ci è andato uno del Pd, e la Lega non ha scucito nemmeno un commissario. Il che ha riempito di livore il nostro condottiero che ha negato il voto alla nuova presidente del consiglio europeo  Ursula Von De Leyen, fedelissima della Merkel, ma in  cerca di voti ,a manca e soprattutto a destra, per riuscire ad ottenere la carica. 

Voti ricevuti dal M5S, alleato di governo della Lega. Apriti cielo! Tuoni e fulmini sono stati lanciati dal condottiero Salvini   che ha accusato i compagni penta stellati di essersi appiattiti  sulle posizioni   conformiste  di Merkel,  Macron, Berlusconi e Renzi , tradendo gli  italiani che   avevano votato per il cambiamento, dell’Europa. 

 Ma tutta questa acredine verso l’Europa  degli oligarchi, dei banchieri, del deficit da sforare per fare la flat tax,  dei vincoli che fanno così male agli Italliani, non deriverà dal fatto che dopo tanta fedeltà leghista all’Europa si pretendeva un minimo di riconoscimento? Eh già perché bisogna sapere che i voti leghisti sono stati determinanti per l’impalcatura costitutiva della  UE come è oggi . Se qualcuno ha la memoria corta vediamo di rinverdirla:

1992:Trattato di Maastricht architrave liberista  dell’attuale Unione Europa.  Viene ratificato dalla Lega in una grande ammucchiata con  DC e PDS (Contrari Rifondazione e Msi) : “Un’innovazione rispetto all’attuale sfacelo dello Stato Centralista Italiano” Così tuonava il senatore leghista Roveda  (16-9-1992) Il deputato leghista Franco Rocchetta esprimeva : “fiducia e fede nell’idea della comune casa europea” (20-10-1992)

1997: Trattato di Amsterdam. Una  sorta di armonizzazione dei trattati già esistenti .  Si dà una maggiore rilevanza agli aspetti sociali e di cooperazione fra gli Stati . In questo frangente il leghisti si astengono alla Camera, e votano contro al Senato. In realtà questo comportamento aveva poco a che fare con i trattati europei e molto con gli assetti nazionali. C’era da far cadere il governo Prodi ,appoggiato dal Prc, con la Lega all’opposizione.

2002: Trattato di Nizza.  Modalità di accoglienza di altri Stati Membri nell’Unione. Votano a favore,alla Camera, i leghisti  Guido Giuseppe Rossi  e Alessandro C’è, al Senato proclamavano il si della Lega Fiorello Provera e Piergiorgio Stiffoni

2008: Trattato di Lisbona.   Una   sequela di codicilli e commi  utilizzati per   trasformare in trattato  di pertinenza  economico finanziaria quello che era originariamente un’ipotesi di Costituzione europea bocciata  con il refrendum da Francesi e Olandesi.   Il 31/07/2008 Salvini in persona , allora deputato della Repubblica, unendo il suo voto agli altri deputati leghisti provvedeva  alla ratifica del trattato alla Camera. Approvazione a cui gli stessi  Leghisti avevano contribuito votando favorevolmente al Senato già il 23 luglio.

2011-2012: Obbligo di inserire il pareggio di bilancio in Costituzione. Con letture e votazioni doppie, tra il novembre 2011 e l’aprile 2012, la Lega, in buona e larga compagnia, provvedeva ad approvare l’inserimento in Costituzione del pareggio di bilancio nella convinzione che :”Risanamento e stabilizzazione della finanza pubblica rappresentano la pre-condizione per consentire all’Italia  di affrontare con successo gli scenari competitivi determinati dalla globalizzazione così affermava  Giancarlo Giorgetti il 5 marzo del 2012. Per il leghista  Pierguido Vanalli :”l’inserimento del pareggio di bilancio in Costituzione serve a contrastare una dissennata politica di spesa pubblica (05/03/2012) Sempre Giorgetti evidenziava coerenza e linearità delle scelte, tra il livello europeo – dove il 1° marzo 2012 il Consiglio europeo approvava il fiscal compact – e il livello nazionale, con un parlamento pronto con il pareggio di bilancio a dare "un segnale politico forte ai mercati, chiarendo che l’Italia e l’Europa hanno imboccato in modo duraturo la strada del rigore".

 Dicembre 2012: Legge attuativa del pareggio di bilancio.  Lo stesso Giorgetti   fu il primo firmatario  della legge attuativa del pareggio di bilancio, anello di raccordo fra  le regole europee  del fiscal compact, e del six pack, con la legislazione nazionale  (legge n.243/2012). Nell’occasione il deputato leghista Roberto Simonetti affermò convinto : “«Da sempre la Lega ha l’obiettivo del pareggio di bilancio» rispetto ad uno «Stato che invece ha sempre utilizzato il diabolico debito pubblico per finanziare l’assistenzialismo peloso, la Cassa per il Mezzogiorno», quel «deficit spending utilizzato non per costruire impresa ma per comprare consenso e voti» Ovviamente la legge il cui primo firmatario fu Giorgetti passò  con l’unanime e convinta approvazione leghista.


Come si vede il percorso europeista della Lega è stato quasi netto. La  vocazione comunitaria  del Carroccio è più che certificata,  nonostante  Salvini,  prima delle elezioni europee, per accaparrarsi il consenso  dei sovranisti anti UE, abbia affermato  che “Siamo pronti a sforare le normative europee in tema di debito e deficit”  -cioè andare contro quei principi che la stessa Lega aveva provveduto ad inserire nella Costituzione - oppure “Se gli italiani ci danno mandato, di alcuni vincoli europei faremo volentieri a meno" -cioè quegli stessi vincoli che la Lega è stata così solerte a votare -. 

Per cui capiamo bene il rancore di Salvini il quale, nonostante sia stato sempre fedele nei secoli all’Unione Europea, oggi si ritrovi con un pugno di mosche in mano.  Allora  sbraita contro quella stessa Europa liberista che lui e il suo partito hanno fortemente contribuito a costruire. Però sarebbe bene che gli elettori leghisti sappessero che concedendo il voto a chi si spacciava per  fustigatore della UE, hanno premiato chi  invece ha contribuito a costruire una struttura oligarchica  a loro oggi così invisa. Si ma in fin dei conti a questi  elettori che gliene frega dell’Europa, basta che non arrivano più i barconi!!!


*Dati tratti da un'articolo scritto per "il manifesto"  da Isidoro Davide Mortellaro professore associato di storia delle relazioni internazionali

Anagni 19 luglio, una triste triste ricorrenza che ancora oggi indigna i cittadini


IL COMITATO  “ SALVIAMO L’ OSPEDALE  DI  ANAGNI “                                               
                                         



Un anno fa, in questi giorni, Anagni visse una dolorosa vicenda che segnò tutti i cittadini.

Il Presidio  Sanitario, così pomposamente  chiamato, non fu in grado di  prestare  le più basilari forme di primo intervento alla donna colpita da una puntura di insetto.

Al dolore  dei familiari si sommava  così lo sgomento e la  rabbia dei  cittadini di fronte a un caso che  si doveva e poteva affrontare.

La reazione dei  cittadini fu un’ imponente  manifestazione con la quale si esigeva una risposta chiara e univoca  dai responsabili dell’ Amministrazione, della  ASL, della  Regione Lazio. Le dichiarazioni di tutti i rappresentanti politici e istituzionali presenti furono, come era facile indovinare, un elenco di  impegni, iniziative , denunce e così via.

Il Sindaco fu esplicito e convinto assertore di interventi  rapidi e decisivi, affinché  venissero attivati gli indispensabili  servizi per le urgenze e le emergenze.

Nelle  settimane  e nei  mesi successivi  non accadde assolutamente  nulla e  nemmeno la  volontaria e generosa raccolta  di  migliaia di firme  da parte di un nuovo comitato cittadino servì a far convergere  sull’ ex-ospedale di  Anagni  l’attenzione e i possibili  interventi delle  istituzioni responsabili. Anzi negli stessi giorni fu chiuso, unico di tutto il Lazio, anche il Punto di Primo intervento. 

Si ha l’impressione, che diventa certezza, che la battaglia per l’ospedale sia solo uno slogan elettorale, buono per guadagnare consenso, ma alla fine si faccia poco o niente.

Il Comitato “ Salviamo l’ Ospedale di Anagni “ ritiene che non è il momento di  gettare la  spugna, proprio ora che si profila un cambio al vertice dell’azienda Asl con l’arrivo di un nuovo direttore generale. Il Comitato “ Salviamo l’ Ospedale di Anagni “ chiede che il Sindaco, il Consiglio Comunale di Anagni e i Sindaci dei Comuni limitrofi, finora  privi di una strategia  politica unitaria  sulla  questione della  Sanità  dell’ area  nord della  provincia di Frosinone, ripropongano con forza il tema della mancanza di servizi sanitari efficienti in tutta l’area nord della provincia di Frosinone. 

Un’area SIN (sito di interesse nazionale) per l’eccessivo inquinamento del territorio e su cui insistono molti stabilimenti industriali pericolosi e sottoposti alla normativa Seveso.

Si convochi anche un’assemblea per riflettere e analizzare il perché la situazione  è ferma  ad un anno fa,  e che  cosa  si  ritiene di poter ancora fare.

Il Comitato sottolinea  che migliaia di anagnini  sono ancora   disposti a dare una fiducia, condizionata  e a tempo determinato, per un impegno che dimostri  di tradursi in fatti concreti, senza  annunci e promesse  che nessuno vuole più sentire, mentre tutti vogliono essere  ascoltati e rispettati come  cittadini.

 Anagni , 19  luglio 2019

LE ASSOCIAZIONI: ANAGNI SCUOLA FUTURA ,  ANAGNI  VIVA, CIRCOLO  LEGAMBIENTE ANAGNI,  COMITATO OSTERIA DELLA  FONTANA, COMITATO RESIDENTI  COLLEFERRO, COMITATO  SAN  BARTOLOMEO, COORDINAMENTO INTERPROVINCIALE AMBIENTE E SALUTE VALLE DEL SACCO E BASSA VALLE DEL LIRI (al quale hanno aderito 32 tra associazioni e comitati), DIRITTO ALLA  SALUTE,   RETE PER LA TUTELA DELLA VALLE DEL SACCO

 Per informazioni:  mail:info@dirittoallasalute.com.  telefonare al  n.:  3930723990.
Per aggiornamenti: www.anagniviva.org,  www.retuvasa.org,  www.dirittoallasalute.com

giovedì 18 luglio 2019

Christone "Kingfish" Ingram, il futuro del blues

Luciano Granieri





Crossroads “ per gli appassionati ed i musicisti di blues è il mitico incrocio fra la highway 61 e la 41° strada. Ci troviamo in pieno Delta del Mississippi a poche miglia dalla città di Clarksdale, il posto dove si vuole sia nato il blues.

 Quell’incrocio è così venerato perché   fu il luogo dove Robert  Johnson  pare abbia stretto un patto con il diavolo per poter suonare la chitarra come nessun altro. Il suo brano Cross Road Blues evoca questo evento.  A pochi metri da quell’incrocio, nella città madre del blues, Clarksdale, vent’anni fa, esattamente il 19 gennaio 1999, è nato Christone detto “Kingfish” Ingram. 

Anch’egli conosce bene quell’incrocio, ma il  patto per suonare magnificamente la chitarra, anziché farlo con    il diavolo  come Roberto Johnson, lo ha fatto con se stesso “Esercitandomi tutti il tempo con la chitarra”  così dice il rubicondo ragazzone nero di vent’anni , fulmineo nel ammaliarti con il suo modo di  suonare. 

E’ proprio vero il blues, fenomeno musicale con solidi ancoraggi nel passato ma con un brillante futuro , spesso   genera degli artisti che pur assorbendo in pieno la lezione dei maestri rivoluzionano con la loro creatività il linguaggio delle dodici battute. E’  il caso di Christone “Kingfish” Ingram. Il suo album di debutto dal titolo “KINGFISH”, uscito per l’Alligator Records, ne è un mirabile esempio. Nei  dodici di brani del disco  si ha l’impressione di ascoltare il blues elettrico  di Chicago, o le atmosfere  intime della campagne del delta, o la voce degli "Hobos" che vagavano sui treni del sud per cercare un campo, una piantagione, in cui lavorare  evitando di diventare uno "strange fruit" penzolante da un pioppo. Invece, magicamente, ci si accorge che tutto ciò è perfettamente compreso nel processo creativo ma il risultato è assolutamente originale, è un blues nuovo.  

Uno stile che abbraccia B.B. King, Jimi Hendrix, lo stesso Roberto Johnson, ma è completamente diverso da ciò che questi maestri hanno suonato. E’ il blues di un ragazzo di vent’anni che ha come suo idolo il rapper  Kadrick Lamar, personaggio con cui vorrebbe fortemente collaborare. “Non riesci a vedere troppi ragazzi appassionati di blues” dice Kingfish”nella mia città tutti i ragazzi aspirano a diventare dei rapper io volevo fare qualcosa che nessuno stava facendo”  Infatti raccontare con la forza dei suoi assoli, con la potenza e versatilità della sua voce,  le storie dei giovani neri ai tempi di Trump e delle continue aggressioni della polizia verso ragazzini  afroamericani   è un fatto assolutamente nuovo o quantomeno inconsueto per un bluesman .  

Kingfish” è la prossima esplosione del blues” così sostiene un maestro come  il chitarrista Buddy Guy.  Già Buddy Gay è uno  dei suoi mentori e cosi come Keb’ Mo’. Entrambi collaborano con lui nel disco. Ma Christon Kingfish Ingram, nonostante la giovane età, ha già diviso il palco con gente del calibro di Bill “Howl-N-Madd” Perry, che lo onorò trovandogli il nome d’arte di “Kingfish”, Robert Randolph, Guitar Shorty, Eric Gale , e molti altri. 

Ma torniamo  al disco. Registrato  a Nashville KINGFISH   mette in vetrina tutte le doti di  Ingram: uno stile chitarristico coinvolgente ed ispirato pieno di soul, una vocalità profonda, una fervida creatività di scrittura. Confeziona delle vere e proprie narrazioni con i suoi assoli incarnando  lo spirito di tutti i mastri del passato mentre la musica che esce è assolutamente originale . 

E’ co-autore di  8 dei 12 brani “Molti appassionati mi conoscono per le mie cover” dice “ ecco perché è importante per me realizzare musica originale”. Il primo  brano, registrato come   registrato per le radio e poi finito nel disco , Outside of this town, è una chiara dichiarazione d’intenti  della giovane star sia per la musica che per i testi. I brani spaziano da temi  autobiografici  (Been Here Before,  Before I’m Old)  a  umorali (Trouble ) da fulmini incandescenti  ( It  Ain’t Right)  a giri ruvidi e ammalianti  (Love  Ain’t My Fovourite Thing). 

Buddy  Guy, lo accompagna con voce e chitarra  in Fresh Out, mentre  Keb’ Mo’  è al suo fianco con    una  voce calda e colloquiale in Listen  e aggiunge il ritmo e l’eco straordinario della sua chitarra in altri sei  brani. Billy Brunch è un ospite speciale  con la sua armonica in If you love me. 

Bruce Iglauer  presidente della Alligator Records, considera Kingfish come un predestinato naturale del blues e delle sue radici “All’età di vent’anni , Kingfish è uno dei più appassionanti ed eccitanti artisti che ho mai incontrato da molti anni a questa parte. Ha creato una nuova musica con lo stesso feeling del blues, ma mai è una copia di ciò che realmente è stato fatto fino ad ora …… Ha uno straordinario futuro davanti a lui e sono orgoglioso che sia entrato a far parte della famiglia Alligator” . Chiudiamo con le stesse parole di Christone “Kingfish” Ingram: “Il blues è la mia essenza ma è importante per me  creare un sound e uno stile che sia unicamente il mio. Ho molto ancora da dire quindi..... please stay tuned




mercoledì 17 luglio 2019

60 anni fa moriva Billie Holiday

Un momento magico : Billie Holiday nello studio 58, New York 8 dicembre 1957


a cura di Luciano Granieri

Dal recital di Stefano Benni: Misterioso viaggio nel silenzio di Thelonius Monk



Il 17 luglio è una data terribile per tutti gli appassionati di jazz. Oltre a John Coltrane,  morto il 17 luglio del 1967 ,  anche Billie Holiday ci lasciava in un 17 luglio, di 60 anni fa . Lo  scorso anno tradussi dal  sito  americano "Jerry Jazz Musician" uno straordinario articolo su un momento magico, fra i tanti, che Billie Holiday regalò agli appassionati nel dicembre del 1957. Lo ripropongo per ricordare degnamente Lady Day.


Nel nuovo brillante libro di Martin Torgoff “Bop Apocalypse” – una larga esplorazione nelle connessioni fra jazz, letteratura  e droghe, con un’analisi di  come  gli stupefacenti  abbiano  inciso nella vita e nel lavoro di artisti come Charlie Parker, Jack Kerouac, Lester Young, William Burroughs  e Allen Ginsberg -Torgoff dedica un capitolo al travaglio   che soffrì Billie Holiday per  l’abuso di droga.  Mette anche  in risalto come la stessa Holiday ammetta  pubblicamene  di fare uso di stupefacenti  nella sua autobiografia “Ladies sings the blues”   pubblicata  nel 1956.

L’ autobiografia  contiene errori che hanno lasciato molti dubbi in critici e biografi sulla sua veridicità.  Come Torgoff scrive con molto rispetto: “il libro è molto  attendibile in relazione ai primi anni di Billie  a Baltimora e circa il  periodo in cui si prostituiva. E’  ricco di notizie sulla sua vita segnata dalle droghe e dalla tossicodipendenza”. Nel libro, Billie scrisse: “Ho patito per quindici anni molte difficoltà a causa della dipendenza , con l’alternanza di momenti si e momenti no. Mi sono esalata e mi sono abbattuta.  Come ho detto prima quando ero veramente euforica nessuno mi importunava. Ho avuto guai entrambe le volte che ho provato a distruggermi . Ho   dilapidato una piccola fortuna per la roba. Ho lottato,mi sono disintossicata  ho subito le mie sconfitte  e ho dovuto lottare di nuovo contro tutto e tutti per raddrizzare le cose”.

Queste erano le drammatiche  parole  scritte   nell’autobiografia uscita  nel 1956, un periodo in cui ogni  dichiarazione o  ammissione sull’uso delle droghe ti rendeva un emarginato. Torgoff  ci ricorda come  pubblicazioni   che riportavano  vicende legate all’uso dei narcotici  fossero state bandite  dal Motion Picture Production Code del 1930 e nessuna major cinematografica o casa editrice avrebbe voluto pubblicare  soggetti legati alla tossicodipendenza,   ma il personaggio  del jazzista tossico-dipendente che Frank Sinatra  interpretò  nel film di Otto Pirminger “ The man of the golden arm” trasgredì la regola .  Lady Day (così veniva anche chiamata Billie ndr)  capì  così che forse i tempi erano maturi per raccontare la sua storia.

Billie Holiday si trovava nella scomoda posizione di essere la criminale scrittrice  di un libro dedicato ad  una vicenda  per la  quale era stata condannata, reclusa in cella, per cui   aveva subito di recente l’ennesimo     arresto per uso di stupefacenti- naturalmente faceva ancora uso di droghe”,  scrive  Torghoff e prosegue:“L’autobiografia  si conclude con capitolo interamente focalizzato  sui  narcotici… con una parte finale dedicata    ai    più recenti problemi  che Lady Day  aveva avuto con a legge”. Il libro in ultima analisi “ fu la prima vera  testimonianza confessionale di una celebrità tossicodipendente dell’era moderna” e contribuì al sorgere della  “leggenda di una  Billie Holiday grande cantante americana tossico dipendente devastata dal dolore.   Leggenda che si trasformò in un marchio indelebile ”

Nel novembre del 1956 in un intervista alla radio Mike Wallace chiese a Billie:” Perché tanti grandi jazzisti sembrano morire così presto- Bix Beiderbecke, Fats Waller, Charlie Christian, Charlie Parker?” La sua pronta replica divenuta famosa fu: “ Posso rispondere a questa domanda in un solo modo Mike . E’ perché tentiamo di vivere cento giorni in un giorno solo e perché dobbiamo cercare di piacere a tante persone. Io voglio forzare   questa  nota ma anche    quell’altra  nota ,cantare in questo modo ma anche  in un  altro  modo,  voglio prendermi tutto il feeling, mangiare tutto il buon cibo e viaggiare per tanti luoghi, tutto  in un solo giorno, e  non puoi farlo”.

Quando la Stazione  televisiva CBS decise  di produrre “ The Sound of jazz” una selezione speciale della loro serie “The Seven Lively Arts” il produttore  Robert Herridge chiese a  critici di jazz Nat Hentoff e  Whitney Balliet di riunire i più grandi jazzisti del periodo per farli esibire in uno show che sarebbe andato in onda l’otto dicembre del 1957. Fra questo gruppo di musicisti,ovviamente, c’era Billie Holiday,ma  il marchio di cantante tossico-dipendente devastata dal dolore convinse  lo sponsor della trasmissione a richiedere la sua esclusione dal programma. “ Non possiamo portare nelle case degli americani , specialmente di domenica, qualcuno che è schiavo  degli stupefacenti”. E’ questo il  contesto in cui si sviluppa  l’estratto da Bop Apocalypse. Il  “momento magico” impresso indelebilmente nelle menti di coloro che onorano questa grande donna e l’accompagnarono a questo appuntamento.

Forse nessuno ha mai  descritto lo spirito fondamentale e la sensibilità della vita da jazzista   con più realismo  o più onestamente.  “ Nel vivere cento giorni in un giorno” Lady Day ha posto l’accento su  quella  forza  vitale molto  romantica, ed enigmatica che ha permeato il jazz , creato molte delle sue  innovazioni e trionfi. Ma, allo stesso tempo, è sembrato generare quel tipo di tossicodipendenza e alcolismo che avrebbero  consumato alcuni dei suoi più grandi artisti. Nessuno  ha personificato questo spirito meglio di Billie Holiday.



Quando  Herridge, Balliet ed Hentoff  valutarono  l’ipotesi di fare lo show senza di lei  capirono semplicemente che  non avrebbero potuto accettare tale  prospettiva. Herridge diffuse un comunicato in base al quale, se a Billie Holiday   fosse stato impedito di esibirsi,   loro avrebbero cancellato lo show. Lo stratagemma funzionò e l’otto dicembre del 1957 il set fu così  introdotto da Bing Crosby: “Billie Holiday  è una delle poche cantanti di jazz veramente grandi. I suoi blues sono poetici estremamente intensi. A suonare con lei  oggi ci sono alcuni dei musicisti che l’anno accompagnata in passato, negli anni trenta, in alcune delle più belle incisioni mai realizzate”

Ed erano li posizionati in semicerchio attorno ad uno sgabello dello studio 58: Roy Eldridge e Doc Cheatham alle trombe, Lester Young, Ben Webster, e Coleman Hawkins, tre dei più grandi sassofoni tenori della storia del jazz, Gerry Mulligan, il più giovane del gruppo, al sax baritono, Mal Waldrom al pianoforte, Milt Hinton al contrabbasso, Vic Dickenson al trombone, e Ossie Johnson alla batteria.

Ci sono due tipi di blues, c’è un blues allegro e uno triste” osservò Billie   mentre  raggiungeva lo sgabello e si posizionava davanti al microfono. “Io non lo so, il blues è una sorta di miscuglio di cose, devi solo sentirle. Qualsiasi cosa io canti è parte della mia vita”

Anche se  fu spesso etichettata  come cantante di blues, Lady Day  ha registrato solo tre brani nella classica forma delle dodici battute tipica del blues. La band attaccò proprio   uno di questi pezzi: “Fine and mellow”. Il lato B di “Strange Fruit”, il  famoso pezzo  o registrato nel 1939.  Lei si predispose al canto e non appena apri bocca nello studio si diffuse magia.

My man don’t love me
Treats me oh so mean

Lady Day  indossava un vestito di lana chiaro, semplice,  che copriva appena le ginocchia, i suoi capelli erano  raccolti all’indietro in una coda di cavallo che lasciava scorgere  due orecchini debolmente rilucenti nello studio. La sua figura appariva minuta, soprattutto se paragonata  alla corporatura massiccia che la contraddistinse in gioventù : “Era una piccola e delicata donna” osservò Roy Eldridge scioccato da quanto fosse cambiata.  Nonostante tutto  era  un mistero come potesse apparire ancora più luminosa e più bella di prima dopo i drammatici momenti che aveva passato.

Ben Webster prese il primo assolo, come altri nello studio aveva avuto una storia  con Lady Day “una piccola illuminazione intima”, Roy Eldridge la descrisse così. Nel caso di Webster si trattava di un fugace innamoramento che risaliva agli anni ’30. Una vicenda  che si concluse quando Webster picchiò Billie procurandole   un occhio nero. La madre della Holiday si arrabbiò  così tanto  quando vide l’occhio tumefatto di sua figlia che inseguì Webster, dal loro appartamento fino in strada sul taxi  picchiandolo con un ombrello.

Lester Young,  fu il secondo a suonare –l’amico prediletto di Billie-   Sin da quando  Prez  (soprannome di Young ndr) arrivò,  due giorni prima per le prove, divenne  malinconicamente ovvio a tutti che stava peggiorando. Egli  si prese con calma  tutto il tempo necessario, indossava  delle pantofole perche i piedi gli facevano molto male. Quando  Lady Day invitava i musicisti nel suo appartamento  per un piatto di costolette e verdura lui non andava  mai. Venti anni erano passati da quando avevano diviso la loro prima esperienza, quando Prez suonava così  brillantemente accompagnandola in “I must have the man” la canzone che aveva dato inizio al loro romantica storia musicale. La relazione fra i due alternò  momenti esaltanti  e periodi di crisi,  una lungo menage  alienante  che lasciò entrambi molto tristi. All’età di 48 anni  Prez  si specchiò,  afflitto, nei suoi    occhi verdi carichi di malinconia.  Ma  quando dalle sue labbra uscirono le note del sassofono  e  suonò tutto quello che il ricordo di quella passione  aveva lasciato dentro di se, Billie sentì forte tutto l’amore che lui provava per lei. Nat Hentoff descrisse così l’assolo: “ Eseguì i più cristallini e puri accordi di blues che abbia mai sentito, Billie sorridendo e seguendo con il dondolio  della testa il beat che si diffondeva,  guardava negli occhi  Prez, e lui lei. Lady Day  stava rivivendo il passato con  malinconico  rammarico, così come stava facendo Prez. Qualsiasi cosa avesse rovinato la loro relazione fu dimenticata nella condivisione della musica. Seduto nella stanza del mixer sentii le lacrime salirmi  negli occhi  e vidi le stesse  lacrime sul viso di molti fra quelli che erano li” Nel vivere quei momenti Hentoff rimase impressionato . Invece della   “buccia avvizzita  che era prima ” Lady Day “ si mostrava  in pieno controllo, swingava sinuosamente con quello straordinario strumento che era la sua voce”.  Alternò  suggestive  linee melodiche con gli sfarzosi assoli di Mulligan, Falco, Dickenson, ed Eldridge. “L’amore è come un interruttore,  gira di tanto in tanto” cantò con un sorriso nostalgico, portando il brano nella sua dimensione personale, non lasciando dubbi sul fatto che stesse raccontando la  storia della sua vita  come sempre aveva fatto. “A volte quando pensi che sia acceso, baby,  si spegne  e tutto finisce

E con quella esibizione la signora che voleva vivere cento giorni in un giorno scivolò via .

Il resto del programma procedette regolarmente” ricordò Hentoff” ma questo era stato il climax, l’anima autentica del jazz” E’ una performance che rimane,  forse, il più grande momento mai registrato in un video. Tutto in questa esibizione profuma d’amore. Amore reciproco  e per la musica. Emerge   il grande legame musicale che tutti loro avevano condiviso durante un era che stava scivolando  via lungo le loro vite. 

traduzione di Luciano Granieri.

good vibrations.


martedì 16 luglio 2019

Passare il guado

Associazione Nazionale Partigiani d'Italia
Comitato Provinciale di Frosinone



Abbiamo ormai appreso e consolidato il giudizio sul governo e sui suoi protagonisti danno i compagni e i democratici variamente collocati. Un giudizio di estrema preoccupazione, di condanna e di scherno insistentemente ribattuto sui moderni canali di sfogo (più che di comunicazione, almeno per l'uso diffuso che vediamo farne).
Appurato quindi che il governo attenta alle libertà costituzionali ed alle condizioni materiali di vita dei cittadini e non (che poi è più o meno la stessa cosa, sfumature a parte), che chi siede oggi sugli scranni delle massime Istituzioni, dal Parlamento al Governo, dagli Enti locali alle Regioni sia in genere indegno o/e inabile ad occuparli, che gli elettori sono disorientati e che mancano riferimenti (leggi: leaders) sicuri per l'alternativa, rimane intatto il problema: il governo resta al suo posto, il suo consenso aumenta, le conquiste democratiche vanno a farsi friggere ogni giorno che passa più in basso. Per chiarire, intendiamo conquiste democratiche non tanto il voto, quanto la scuola, il welfare, il valore del lavoro, la giustizia, la tripartizione dei poteri, ecc. ecc. (non possiamo elencare tutto, l'Italia ha costruito moltissimo).
Questo nonostante il lavoro faticoso e improbo di migliaia di cittadini responsabili, che dedicano buona parte della loro vita a coltivare e custodire il progetto di società disegnato dai Costituenti qualche tempo fa; non molto tempo fa, anche se a noi di memoria corta sembra preistoria.
Ci siamo quindi convinti di una ovvietà, che però tarda a farsi coscienza: la volontà non basta, la partecipazione in ordine sparso non si adatta alla guerra, nemmeno in tempo di pace; qualcuno direbbe anche oggi che lo spontaneismo non  è rivoluzionario, al massimo ribelle.
Vogliamo dire che dovremmo prendere atto non tanto della sconfitta, che c'è stata e non è elettorale ma politica, ossia di programma e di valori che lo fondino, quanto delle forze disperse che oggi o si ingegnano a darsi una dimensione sociale lottando come e dove possono e trasferendo il loro impegno solidale dalla questione del potere alla pratica dell'umanità (che non guasta ma non cambia le cose) o rinunciano in attesa di tempi più favorevoli (che non si producono da soli) o addirittura cedendo allo sconforto.
Nel primo caso si finisce per confondere la solidarietà, dove ci si mette assieme per affrontare problemi anche diversi ma mutualmente moltiplicando le forze, con la carità - nobile e spesso necessaria - che non rimuove le cause e non incide quindi sulla costruzione dell'alternativa (sociale, non meramente elettorale). 
Nel secondo si sprecano le forze e si accetta il sistema egemone come ineluttabile, non si prova neppure più a scavarne le cause e le eventuali ragioni per studiare come superarlo in positivo. 
Noi, forti dell'esperienza trasmessaci dalla Lotta di Liberazione, siamo invece certi che, poiché nessun sistema sociale è dato dalle leggi di natura, l'alternativa è sempre possibile. Si tratta però, e non è compito facile da assolvere per cui non basta chiunque di buona volontà o un leader che piaccia in televisione, di fondarla su questioni reali, su esigenze storiche e non su alchimie politiciste o su calcoli aritmetici applicati al consumismo. 
Un esempio: Greta Tunberg è stata descritta come una nuova meraviglia della politica, così come era stato per vari e meritori personaggi in giro per il mondo, da Iglesias ad Alexandria Ocasio-Cortez passando per altri importanti soggetti. In realtà, tutti costoro hanno posto a tema questioni già presenti in forma più o meno latente nella sensibilità civile dei rispettivi Paesi o del mondo intero; ma si trattava di questioni reali, percepite come critiche sebbene non trovassero posto nei programmi e nelle dichiarazioni dei vari organismi che si candidano alla direzione politica ai rispettivi livelli ed ambiti. Salvo qualche generica invocazione, qualche dichiarazione di principio più o meno spenta, quei temi venivano e vengono ancora messi ai margini perché le forze tradizionali non sono attrezzate ad affrontarli. 
Il problema vero, però, è che quelle forze non fanno sforzi adeguati per dotarsi di strumenti di conoscenza (dati, analisi, diagnosi) che consentano di elaborare proposte serie, ossia fondate e credibili.
Ora, tutto questo dove ci porta? Secondo noi al problema dei problemi: continuare a ficcarsi nella trappola a rete sapientemente costruita per neutralizzare le forze di cambiamento (quelle vere che si dotano di coscienza sociale, non quelle a servizio dedite all'ammuina) impedisce efficacemente qualsiasi tentativo di alternativa, occupando tutti ad una sterile gara a chi ha meno torto in una infinita lotta intestina senza alcuno sbocco concreto. Allora sarebbe ora che si mettesse un po' di testa nelle cose, dismettendo i vessilli da Curva Sud e iniziando a ragionare su quali siano i problemi del rinnovamento sociale e quali le strategie per risolverli. Molto è già stato fatto, ma in forma dispersa, pulviscolare, e quindi ininfluente, incapace a diventare egemone per dimensione.
Tutt'altro che buonista, è un metodo impervio, faticoso e non scontato nei risultati. Ma se si vuole parlare di politica e non di mestierame è uno dei pochissimi modi per farlo. 
Non nutriamo grosse speranze che i militanti ed i simpatizzanti delle varie sigle della democrazia della diaspora (tutte nobili e con fondi di verità, certamente) siano in grado di imporre nulla ai loro gruppi dirigenti, viste anche le modalità per lo più plebiscitarie che hanno sostituito (non sempre, per fortuna) la discussione. Tuttavia, l'auspicio è che all'interno di ciò che rimane della politica democratica organizzata si lavori per l'unità, che è concetto assai distante dall'unanimismo e dal cartello elettorale. 
C'è ancora, perché sta nelle esigenze sociali, la possibilità di ricostruire forze in grado di porre nuovamente il tema dell'egemonia nei rapporti all'interno della Costituzione. Non siamo sicuri che questo sia l'obiettivo dei gruppi dirigenti, spesso troppo autoreferenziali per intendere la rappresentanza come carico dei bisogni maturi che la società produce e non come delega per amministrare lo stato di fatto e la spesa corrente. Tocca quindi alla base, se ne è capace, organizzarsi in forme unitarie sui temi e porre le questioni al di sopra delle rispettive e legittime forme organizzative. 
Del resto, non sarebbe cosa così inedita, visto che sui temi reali ci si ritrova sempre nella stessa marcia. Anche nella nostra provincia, che si tratti di Trisulti o del Pride, dell'acqua o dell'inquinamento, della scuola o dei migranti, del lavoro o dei servizi, le facce si mescolano, le culture si rispettano, le forze si fondono, salvo poi tornare a battibeccare il giorno dopo sulla stampa. 
Così non va. Serve politica, serve partecipazione, che presuppongono differenze in grado di unirsi per obiettivi alti e comuni. Non è un obiettivo troppo alto: è la condizione per essere utili, incisivi, egemoni.

Fraterni saluti.