Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

martedì 3 luglio 2012

Italia o spagna, basta che se magna

Giovanni Morsillo



 Caro Luciano,
ho letto con il consueto interesse ma con un po' di soddisfazione in più il tuo  SFOGO POLITICO sulla finale Italia-Spagna. Non metto becco sugli aspetti sportivi perché non ne capisco assolutamente nulla, e riconosco il mio limite (trattandosi di affari popolari, o anche nazional-popolari, per chi vuole capire la società è comunque un grosso limite non comprendere certe dinamiche del consenso). Ho invece apprezzato molto i pur veloci richiami alla fascistizzazione sedimentata della subcultura italiana, quella di massa che come noto è assai lontana dalle vette raggiunte dalle élites nazionali in tutti i secoli della nostra storia, compreso il presente. Il riferimento al colore dei Savoia, che ogni tanto qualcuno si ricorda, è comunque quanto mai opportuno, perché siamo in una Repubblica in cui il servizio radiotelevisivo pubblico e perfino molti parlamentari e uomini pubblici si rivolgono agli eredi della corona fellona e traditrice chiamandoli con i loro decaduti e ridicoli titoli nobiliari. Il signor Emanuele Filiberto viene immancabiimente chiamato "principe" nei talk-show come sui giornali, e non solo quelli di gossip, e così tutto il nutrito manipolo di ex reali o cortigiani: la nostra Repubblica è invasa da battaglioni di contesse, baroni, principi e dignitari che esibiscono blasoni ammuffiti quanto riveriti.
Per le glorie spagnole, quelle vere, del passato di Guadalajara e Madrid, di Guernica e della Catalogna, fai bene a citare Durruti, del quale mi sembra di capire che tu abbia una venerazione particolare, del tutto meritata. Io, dal mio punto di vista marxista e non anarchico, aggiungerei (non sostituirei, naturalmente) riferiementi davvero nobili, da Luigi Longo (Gallo) a Dolores Ibarruri, da Ilio Barontini a Giovanni Pesce, da Garcia Lorca a Picasso, fino a tutti gli altri noti e meno noti, ma ugualmente eroici a dimostrazione del fatto che le battaglie vere, quelle che decidono il progresso o il buio della storia, i popoli le combattono insieme, e non sono certo assimilabili a tornei di giochi e miliardi.
Se si pensa che il riscatto nazionale possa venire da un torneo di calcio, si sta immaginando una realtà in cui non conta la vita delle persone ma l'immagine di un presunto carattere nazionale trasposto in una vuota retorica della forza. Che c'entravano le svastiche e i faccioni di Mussolini, altrimenti? Come mai quella nazionale può rappresentare anche e, forse, soprattutto loro? Non penso certamente che lo sport sia un fatto "di destra" o fascista, è evidente che non è così. Ma il consenso superficiale e simbolico che riesce a catalizzare va in quella direzione per tante ragioni più volte analizzate da gente competente e che quindi non ripeterò qui.
Salvo poi il venire in soccorso del luogo comune da parte delle autorità, dedite alla pastetta nazional-popolare da fotoromanzo piuttosto che all'educazione dei cittadini alla democrazia. Napolitano, Monti e soci sanno che si prendono più mosche con il miele che con il fiele, e quindi mentre somminsitrano mefitiche minestre avvelenate al popolo (bue?) ne coprono l'olezzo ed il sapore con racconti di miele e latte a fiumi. Di questo siamo assai lontani dal prendere coscienza.
 
Un abbraccio fraterno
Giovanni

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