Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

martedì 6 gennaio 2015

Sul ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Cuba e gli Usa

Dichiarazione del Segretariato internazionale della Lit-Quarta Internazionale
 
Negli ultimi giorni la principale notizia politica sulla stampa mondiale è stata l’annuncio del riallacciamento delle relazioni diplomatiche tra Usa e Cuba, concordata dai presidenti Barak Obama e Raul Castro, la cui rottura si era avuta all’inizio degli anni Sessanta.
Raúl Castro ha chiesto anche la fine da quest'anno del blocco commerciale e degli investimenti imposto dagli Usa e Obama si è impegnato a presentare una richiesta di revoca di quella legge nel Congresso.
C’è un appoggio quasi unanime di questa misura a livello mondiale. I principali governi imperialisti la appoggiano, compresa l’Unione europea. Nella riunione del Mercosur, ad esempio, tutti i governi che si presentano come più “di sinistra”, come Dilma Rousseff (Brasile), José Mujica (Uruguay), Nicolás Maduro (Venezuela) e Cristina Kirchner (Argentina), e quelli che si trovano più a destra, come Juan Manuel Santos (Colombia), hanno appoggiato con entusiasmo questa misura. Maduro ha elogiato Obama per il suo “coraggio”. Cristina Kirchner ha elogiato la “dignità del popolo cubano che ha saputo difendere i suoi ideali, nonostante i decenni di embargo economico imposto dagli Stati Uniti”. Dilma Rousseff ha detto: “Noi, i lottatori sociali, pensavamo che non avremmo mai visto mai questo momento”.
Il ruolo di Papa Francesco in questo accordo è stato ampiamente diffuso dalla stampa e riconosciuto da Obama e Castro. Non si tratta di una relazione recente tra il governo cubano e il Vaticano, dato che è cominciata a partire dal 1990 con Giovanni Paolo II e si è approfondita con Benedetto XVI, culminando con Papa Francesco come grande artefice di questo accordo.
In realtà, questi sono governi borghesi che continuano a mascherarsi da “lottatori sociali” per applicare piani economici neoliberali. L'unanimità quasi totale di giudizio sul fatto comprende gran parte della sinistra. Numerose correnti sostengono che questo fatto rappresenta “un trionfo di Cuba” (Paese che considerano “l’ultimo bastione del socialismo”), che sarebbe riuscita finalmente a “sconfiggere l’impero del Nord”.
Il Partido Obrero di Argentina [guida del Crqi, raggruppamento di quattro o cinque partiti tra cui l'italiano Pcl, ndt] afferma che questa “vittoria” è il prodotto di decenni di lotta contro il blocco. Il Nuevo Mas argentino celebra l’accordo, nonostante sostenga che “è una trappola”
Siamo in disaccordo con queste analisi. Per noi, quello che è accaduto in questi giorni ha una spiegazione totalmente differente: significa il predominio, all’interno dei differenti settori dell’imperialismo statunitense, di quelli che non vogliono perdere le eccellenti opportunità di affari che offre Cuba dopo la restaurazione del capitalismo nell’isola sui settori più legati alla borghesia cubana anticastrista di Miami.
Prima di esporre la nostra posizione, crediamo necessario chiarire che difendiamo il diritto di Cuba, in quanto Stato sovrano, di intrattenere relazioni diplomatiche e commerciali con tutti i Paesi del mondo. Allo stesso modo, abbiamo sempre sostenuto la fine del blocco commerciale degli Stati Uniti contro Cuba. Non è questo il punto che stiamo discutendo, ma il contenuto reale del recente accordo.
 
Le origini della rottura e l’embargo
Nel 1959, l’esercito guerrigliero del Movimento 26 luglio, diretto da Fidel Castro, rovesciò il presidente Fulgencio Batista e prese il potere a Cuba. Questo movimento aveva un programma democratico, nel quadro del sistema capitalista.
Tuttavia, nella misura in cui cominciava ad applicare alcune misure contro la borghesia cubana (come la riforma agraria) e altre che colpivano le imprese statunitensi, i governi degli Usa, prima sotto il presidente Dwight D. Eisenhower e dopo con John F. Kennedy, cominciarono ad avere una politica sempre più aggressiva contro Cuba per  tentare di rovesciare il governo di Fidel Castro. Tra le loro azioni possiamo citare il fallito tentativo di invasione della Baia dei porci (aprile 1961).
In risposta a queste aggressioni il governo castrista cominciò un processo di espropriazione delle imprese imperialiste e della borghesia cubana (che fuggì in massa a Miami).
Cuba si trasformò così nel primo Stato operaio dell’America latina, nel “cortile” dello stesso imperialismo statunitense. Come risultato di questo (e dell’applicazione di un'economia pianificata) non solo smise di essere una semicolonia, ma inoltre il popolo cubano ottenne conquiste importantissime come l’eliminazione della fame e della miseria e passi avanti molto importanti nei campi della sanità e dell’educazione. È allora, nel 1962, che il governo degli Usa ruppe le relazioni diplomatiche e decretò un embargo commerciale e degli investimenti verso Cuba.
È necessario ricordare che la direzione cubana ha costruito uno Stato burocratico, senza democrazia reale per i lavoratori e le masse, secondo il modello stalinista. I lavoratori cubani non hanno mai governato Cuba. Inoltre la direzione castrista si è mantenuta all’interno del criterio del “socialismo in un Paese solo” proposto dallo stalinismo dalla seconda metà degli anni ’20, contro la rivoluzione socialista internazionale proposta dal marxismo. Quel modello è infine fallito e, così come aveva anticipato Lev Trotsky, ha condotto alla restaurazione capitalista in Urss, Europa dell’est, Cina e Cuba.
Nella struttura economica di Cuba cominciarono ad avere un’importanza centrale le relazioni commerciali con l’Urss, che forniva petrolio a basso costo e tecnologia e comprava zucchero, settore che si mantenne come asse dell’economia cubana.
Nella sua politica internazionale, dopo un primo accenno di volontà di estendere la rivoluzione promuovendo i movimenti guerriglieri, Cuba si allineò appieno con la politica estera dell’Urss. Per questo giocò un ruolo molto negativo nel frenare la possibile costruzione di nuovi Stati operai con processi simili a quello cubano, come è accaduto in Nicaragua nel 1979, dopo che il Fsln prese il potere e Fidel Castro, che i sandinisti consideravano loro esempio, li convinse a non creare “una nuova Cuba in Nicaragua”. Contribuì così a rafforzare l’isolamento di Cuba all’interno del continente americano.

La restaurazione capitalista è già avvenuta anche a Cuba
La restaurazione del capitalismo e la caduta dell’Urss (tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90) significarono un duro colpo per l’economia cubana e si aprì il cosiddetto “periodo speciale”, fatto di privazioni per le masse. È allora che la direzione castrista decise di restaurare il capitalismo nel Paese.
La definizione dell’attuale carattere di classe dello Stato cubano è stata oggetto di dure polemiche in seno alla sinistra nelle ultime due decadi. Per la corrente castro-chavista Cuba continua ad essere “l’ultimo bastione del socialismo”. Altre correnti, incluse molte provenienti dal trotskismo, sostengono che c’è un processo di restaurazione in corso e vi si oppongono, ma secondo loro non ci sarebbe ancora stato un “salto qualitativo” e per questo Cuba continuerebbe ad essere uno “Stato operaio burocratizzato”.
Per la Lit-Quarta Internazionale e poche altre correnti, la restaurazione capitalista si è già prodotta ed è stata realizzata dalla stessa direzione dei fratelli Castro. Le tappe principali della restaurazione sono state:
* La legge sugli investimenti stranieri del 1995 che ha creato le “imprese miste”, amministrate dal capitale straniero. Gli investimenti si sono diretti specialmente nel turismo e nei settori collegati, ma dopo si sono estese ad altri settori, prodotti farmaceutici e, successivamente, al petrolio;
* L’eliminazione del monopolio del commercio estero da parte dello Stato esercitato, fino ad allora, dal Ministero del commercio estero: sia le imprese statali che quelle miste possono negoziare liberamene le loro esportazioni e importazioni;
* La trasformazione di fatto del dollaro nella moneta effettiva di Cuba, in coesistenza con due monete nazionali: una "convertibile" in dollari e l’altra "non convertibile";
* La privatizzazione di fatto della produzione e della vendita di canna da zucchero, attraverso le “unità basilari di produzione cooperativa” (80% della superficie coltivata). I loro membri non hanno la proprietà giuridica della terra, ma si dividono i profitti ottenuti. Nel 1994 cominciarono a funzionare i “mercati agricoli liberi”, i cui prezzi si determinano nel mercato.
A partire da queste misure, l’economia cubana smise di funzionare intorno alla pianificazione economica statale e cominciò a funzionare, anche se in maniera distorta, intorno alle leve del profitto e del mercato.
Cuba smise di essere uno Stato operaio e diventò un Paese capitalista in rapido processo di semicolonizzazione. Esistono numerose imprese straniere che operano nel Paese, specialmente spagnole, italiane e canadesi, che controllano settori molto importanti dell’economia.
In questo quadro, la direzione castrista si è trasformata in socia dei capitali stranieri, garantendo i loro affari e, allo stesso tempo, arricchendosi con questi attraverso le imprese statali e le partecipazioni nelle imprese miste.
 
La recente legge sugli investimenti stranieri lo conferma
L’approvazione, quest’anno, da parte dell’Assemblea nazionale di Cuba, di una legislazione che liberalizza l’ingresso di capitali stranieri e dà loro enormi facilitazioni fiscali e garanzie legali conferma questa analisi.
La legge presentata dal governo di Raúl Castro apre tutti i settori dell’economia all’investimento straniero, tranne sanità, istruzione e stampa. Tra i vantaggi offerti dalla nuova legge alle imprese ci sono i seguenti:
a. Si esentano le compagnie straniere dall’imposta sugli utili per otto anni. In seguito cominceranno a pagare una tassa del 15%, tuttavia saranno esenti da questa imposta se reinvestiranno i loro profitti nell’isola;
b. La legge garantisce “la piena protezione e sicurezza all’investitore, il quale non potrà essere espropriato, salvo per motivi di utilità pubblica o interesse sociale”. In quest’ultimo caso ci sarà un indennizzo.
Si tratta cioè chiaramente di una legislazione che può inquadrarsi solamente in un sistema capitalista. Insieme a questo, il governo di Raúl Castro sta creando un’enorme “zona franca” nel porto di Mariel. Questo porto, finanziato dal governo brasiliano, è modernissimo e può ospitare navi di grande tonnellaggio. È costato un miliardo di dollari ed è parte del tentativo cubano di diventare parte della rotta commerciale Asia-Usa.
Allo stesso tempo, l’altra faccia di questo progetto è un deterioramento sempre maggiore delle conquiste della rivoluzione in settori chiavi come la sanità, l’istruzione, l’occupazione garantita, i libretti di approvvigionamento e conduce al licenziamento di centinaia di migliaia di impiegati statali, condannati a sopravvivere come cuentapropistas. Nel frattempo i lavoratori ricevono un salario medio di 18 dollari.
 
Un dibattito interno alla borghesia imperialistaDalla restaurazione del capitalismo a Cuba si è aperto un dibattito all’interno della borghesia imperialista statunitense. Da un lato c’era la borghesia gusana anticastrista residente a Miami, con forti legami e peso nel Partito repubblicano, che voleva mantenere l’isolamento di Cuba fino alla caduta del regime castrista e che le venisse assicurata la restituzione delle proprietà espropriate dalla rivoluzione. Dall’altro, diversi settori, maggiormente legati al Partito democratico, ma che trovavano espressione anche tra i repubblicani, ritenevano che si stessero sprecando eccellenti possibilità di affari in un Paese tanto vicino geograficamente, in settori come turismo, finanza, produzione agricola, vendita di prodotti industriali ecc. Vedevano come queste possibilità venissero utilizzate dai Paesi europei (specialmente la Spagna). Di fatto, alcuni già “ingannavano” la legislazione vigente negli Usa e realizzavano investimenti “mascherandosi” dietro imprese canadesi.
Questo dibattito ha oggi una conclusione e si apre il cammino alla liberalizzazione degli investimenti e del commercio. È anche possibile che Obama abbia fatto un accordo con settori di questa borghesia anticastrista. Lo stesso Obama si è impegnato a presentare al Congresso la richiesta di abrogazione della legge del blocco. E, a dimostrazione che potrà contare sull’appoggio di un’ala dell’opposizione, Marco Rubio, senatore repubblicano della Florida, di origine cubana, ha spiegato che l’accordo include la normalizzazione dei legami bancari e commerciali tra i due Paesi.
L’insistenza di Raúl Castro sulla fine del blocco non significa una “vittoria di Cuba socialista” ma, al contrario, la ricerca di una ondata di investimenti imperialisti statunitensi che approfondirà ancora di più il processo di semicolonizzazione che vive il Paese dalla restaurazione del capitalismo. Le misure che si annunciano ora sono anche parte di un’integrazione coloniale di Cuba nella “globalizzazione”.
Le correnti di sinistra che salutano queste misure come una “vittoria” stanno aiutando a mascherare una politica che avrà gravi conseguenze per il popolo cubano. La Lit-Quarta Internazionale non si unisce a questo coro: pensiamo che, purtroppo, non sono stati i decenni di lotta del popolo cubano che hanno posto fine al blocco, ma la restaurazione del capitalismo a Cuba. Questo accordo favorisce l’imperialismo e la nuova borghesia cubana che si è formata a partire dal governo castrista.
Nel quadro di questa realtà, per la Lit ciò che si prospetta per Cuba è la necessità di una nuova rivoluzione sociale per ricostruire lo Stato operaio cubano e le sue conquiste e sostituire il regime castrista con uno basato sulla più ampia democrazia operaia.
Facciamo appello ai lavoratori e al popolo cubano perché non si lascino ingannare da questo accordo e a resistere all’attuale linea di dipendenza crescente dei Castro e a rifiutare la sottomissione di Cuba agli Stati Uniti.
Facciamo appello i lavoratori di tutto il mondo a difendere i loro fratelli cubani, che ricevono salari da miseria e vedono minacciati i loro posti di lavoro dai piani dell’imperialismo e del governo cubano.
Facciamo appello a tutti i lavoratori e la gioventù a lottare contro la dittatura cubana che assicura piena libertà alla borghesia internazionale nell’isola, ma non concede ai lavoratori il diritto di espressione, di organizzazione né di protesta, elezioni libere né alcuna libertà sindacale e politica.  
 

(traduzione dallo spagnolo di Matteo Bavassano)

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