Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

lunedì 23 gennaio 2017

Un musico per Trump

Luciano Granieri



L’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca  ha sollevato molteplici problemi sin dall’inizio dei festeggiamenti per l’incoronazione. Disordini e scontri di piazza,  a Washington hanno segnato la cerimonia del passaggio di consegna  da Obama a  Trump , con tanto di scontri fra manifestanti anti Donald e la polizia. Le agitazioni sono proseguite nello scorso week-end con la marcia delle donne scese in piazza, in tutta l’America e in tutto il mondo contro il miliardario neo presidente razzista e sessista. 

Ma i problemi  erano iniziati ben prima,  meno rilevanti socialmente, ma  complicati  per la riuscita del cerimoniale. Non si è trovato uno straccio di cantante o “musico fallito”, per dirla con il poeta, disposto ad offrire al Presidente la sua musa creativa. Eppure,lasciando stare  Obama, per cui si è esibito il gotha del pop-rock americano ( Steve Wonder, Beyoncè, Alica Keyes fra gli  altri), anche  quello sfigato di Bush junior era riuscito a scritturare gente come Ricky Martin e Jessica Simpson. In realtà Andrea Bocelli avrebbe accettato di esibirsi per il miliardario newyorkese   ma la rivolta dei suoi fan lo ha  costretto a rifiutare  . Purtroppo Donald Trump si è trovato ad essere eletto in un era musicale probabilmente sbagliata.  Se il suo insediamento alla Casa Bianca fosse avvenuto negli anni ’50 o ’60 il musicista adatto a lui si sarebbe trovato. 

La storia del jazz consegna alle cronache musicali di quel periodo  le gesta di tale Stanley Newton Kenton, detto Stan,  pianista e direttore d’orchestra di Wichita  Kansas. Sarebbe stato  il  musicista perfetto per Trump. Stan Kenton può essere considerato, a buon diritto, l’esponente della reazione iper-conservatrice bianca alla rivoluzione nera del be bop. La sua orchestra era musicalmente l’opposto di quanto offerto dal panorama jazzistico afroamericano di allora. A differenza di altre orchestre  come quella di Duke Ellington o Count Basie,  nell’ensemble di Kenton non veniva minimamente offerto spazio alle  sortite solistiche dei musicisti. A contare erano le “sezioni” (ance, ottoni, ritmica) e la dispotica,  egocentrica  conduzione del capo.

 Riportiamo alcune frasi di Stan  Kenton che bene inquadrano il personaggio:” Vogliamo dare il nostro contributo alla vera  musica, e vogliamo che valga veramente qualcosa. Così stanno le cose , vi piaccia o non vi piaccia. Potete prendere o lasciare perché d’ora innanzi non ascolteremo nessuno” E ancora nel 1951 disse: “ I trentacinque o quarant’anni di jazz sono finiti. Possiamo tranquillamente chiudere su di essi la porta. In qualsiasi direzione andremo non torneremo certo più al jazz frenetico”.  Nella sua orchestra raramente trovarono posto musicisti di colore. Anzi Kenton  riteneva di appartenere ad una minoranza bianca discriminata dai critici, i quali, a suo dire,lo stroncavano perché non era di origine  afroamericana e utilizzava pochi strumentisti neri. Insomma era vittima di un  razzismo musicale alla rovescia. 

Politicamente il nostro aveva idee molto precise. Che fosse razzista è fuori di dubbio , nel 1964 appoggiò esplicitamente la corsa alla Casa Bianca  del candidato repubblicano  Barry Goldwater . Il presidente in pectore   Goldwater, sconfitto dal  democratico Lyndon B.Johnson, dichiarò che, qualora fosse stato eletto avrebbe immediatamente sganciato la bomba atomica sull’Unione Sovietica, un bel personaggio non c’è che dire. 

Il critico e scrittore Giancarlo Roncaglia racconta un episodio rivelatore della considerazione di Kenton presso i suoi colleghi. Roncaglia, si trovava a cena con Stan ed alcuni suoi orchestrali, quando girando lo sguardo nella sala scorse il sassofonista free  Robin Kenyatta, militante dei Black Muslims, che stava cenando da solo. Lo scrittore  invitò più volte il musicista nero  ad unirsi alla compagnia, ma questi rifiutò, e indicando con disprezzo Kenton disse: “…I’m sorry brother….he is fascist..” 

Tornando alle questioni musicali è innegabile che l’orchestra kentoniaia suonasse una musica,  non eclatante, ma discreta. Perciò  mi viene un dubbio. Non è che la decenza della musica di Kenton sarebbe stata eccessiva per la mediocrità di Trump?  Pensandoci bene, credo  che neanche il fascista Kenton avrebbe accettato  di suonare per il presidente miliardario. 

Dimenticavo, siccome nel jazz non si butta via  mai niente, bisogna dire che fra le fila del musicista di Wichita sono passati diversi eccellenti musicisti:  i trombettisti Shorty Rogers, Maynard Fergusson o i sassofonisti: Art Pepper, Lee Konitz,  Stan Getz il chitarrista Laurindo Almeida. Tutta gente che una volta  lasciato Kenton intraprese carriere eccellenti. Prendete Pepper, per esempio, un sassofonista dalle indubbie  sonorità bianche che però  suonava come Parker.

nel video  art pepper
good vibrations


Art Pepper -Sax Alto
Stanley Cowell- Pianoforte
Cecil Mc.Bee - Contrabbasso
Roy Haynes - Batteria.

Nessun commento:

Posta un commento