L’aggressione fascista del dittatore Erdogan contro i Curdi del Rojav,a nel nord della Siria, ha suscitato rabbia e indignazione presso gran parte degli organi
istituzionali internazionali. Da tutte le nazioni europee, compresa l’Italia,
si sono levate denunce e moniti al dittatore turco, affinchè fermasse
l’invasione. Contemporaneamente
cittadini, associazioni, movimenti, organizzazioni sindacali e politiche sono scese in piazza, o si apprestano a farlo,
per protestare contro l’aggressione turca.
Tutte manifestazioni
sacrosante, ma che devono necessariamente avere un seguito. Alla solidarietà e deve seguire l’appello inequivocabile alle
istituzioni nazionali ed internazionali
ad agire, ad andare oltre l’indignazione contro Erdogan.
In primo luogo urge revocare immediatamente l’autorizzazione, da
parte della Farnesina, all’esportazione di armi in Turchia. Negli ultimi 4 anni il valore di tali
armamenti è stato di 890 milioni di euro, 360 per il solo 2018.
A livello
europeo è ineludibile l’annullamento degli accordi con la Turchia sulla
gestione dell’immigrazione, interrompendo conseguentemente i relativi finanziamenti della UE a favore di Erdogan. Sei miliardi sono stati già stanziati
altri 3,6 miliardi stanno per essere inviati.
Quindi pressare il Consiglio europeo affinchè
ridefinisca gli accordi di Dublino,
prevedendo l’obbligo da parte dei Paesi membri di accogliere un numero di
migranti proporzionale al numero di
abitanti degli Stati, pena il blocco della ridistribuzione dei fondi. In questo
modo, oltre a inviare un segnale umanitario
e solidaristico forte -quale una Unione che si vuole basata su principi di pace
e solidarietà deve dare - si eviterebbe di stipulare accordi con dittatori senza
scrupoli come Erdogan , o con milizie delinquenziali come quelle dei
trafficanti libici , in modo da non
dover cedere a ricatti di sorta.
Ma soprattutto sono necessarie prese di
posizioni contro un accadimento chiaro ed inequivocabile in cui un regime
dittatoriale, quello turco -che mette in galera gli oppositori politici, i
giornalisti – sta impunemente aggredendo la Repubblica del Rojava, l’unico
esempio di democrazia reale rimasto in Medio Oriente e forse nel mondo.
In
quelle terre vige Il cosiddetto “confederalismo
democratico”. Il progetto su cui doveva
basarsi l’unificazione curda nato nel sud est della Turchia e promosso da
Abdullah Ocalan, leader del partito dei lavoratori curdi PKK, poco prima che
venisse catturato ed incarcerato.
Un esempio di repubblica basata sulla
gestione popolare diretta dell’economia, del territorio, delle istituzioni,
sulla difesa popolare organizzata nelle milizie territoriali. La parità di genere
è il primo requisito per una corretta
gestione delle organizzazioni politiche e sociali. Senza un ruolo primario
delle donne, vittime millenarie di un’oppressione patriarcale - per i
Curdi del Rojava - è una
mistificazione parlare di democrazia. Così come non si può realizzare un
compiuto assetto democratico senza il perseguimento dell’uguaglianza sociale,
il riconoscimento e il rispetto delle differenze religiose.
La repressione dei governi turchi contro i
Curdi, dal 1984 ad oggi, che poterà alla distruzione di migliaia di villaggi e
a 40 mila vittime, costringerà la prosecuzione del confederalismo democratico nel
nord della Siria .
Tale organizzazione della società si è rilevata talmente
efficace da consentire ai Curdi del Rojava di sconfiggere i terroristi di
Daesh, con le milizie territoriali composta al 40% da donne con comandi misti
donne-uomini.
Il confederalismo democratico è un esempio di assetto politico,
sociale ed economico, indigesto per i potentati finanziari che governano i
Paesi dell’Unione Europea dell’intero occidente e delle petrol-monarchie. Ecco perché è molto forte il dubbio che, al di la dell’indignazione di
facciata, l’azione della Turchia possa essere quanto meno tollerata - visto che, insieme con il riattivarsi delle incursioni
terroristiche di Daesh, potrebbe inferire
un duro colpo ad un modello democratico, basato veramente sulla partecipazione popolare.
Ecco perché ancora più chiaramente e fermamente è
necessario ribadire e rilanciare un’azione che vada oltre l’indignazione e si
schieri senza se e senza ma a fianco della resistenza Curda.
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