Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

domenica 8 dicembre 2019

Quel giorno di Chet a Frosinone

Luciano Granieri




 Annus horribils il 1980.  Iniziava il riflusso, la marcia di 40.000 alla Fiat segnava la definitiva sconfitta delle lotta operaie, aprendo la strada a quella che sarebbe stata l’annientamento delle classi subalterne da parte del capitalismo e della sua deriva neo liberista. 

Ma il fervore artistico, e in particolar modo musicale, diede vita ad una sorta di onda lunga che, proprio fra la fine dei ’70 e l’inizio degli ’80l si consolidò in modo consistente nel vecchio continente. Una marea di jazzisti americani, in particolar modo dell’avanguardia free, incrementò il proprio esodo, da un’America  lanciata a vele spiegate verso l’edonismo reaganiano, con tutto il suo devastante portato di macelleria sociale e culturale, verso l’Europa. Nel Vecchio Continente  l’epoca delle rivolte fra la fine degli anni ’60 e  tutti gli anni ’70 e la maturazione di notevoli  musicisti autoctoni aveva reso terreno fertile alla fruizione di espressioni  artistiche complesse, quanto ermetiche ed espressivamente di difficile comprensione.  

Fatto sta che artisti del calibro degli Art Ensemble of Chicago, Steve Lacy, Ornette Coleman, Don Cherry, solo per citarne alcuni, ma anche Miles Davis , Chet Baker, due jazzisti non proprio consoni al free-anche se Miles aveva avvicinato la sperimentazione con implicazioni elettriche in Bitches Brew - erano di casa in Europa. In Francia, in Scandinavia, ma anche in Italia. A  Roma , Milano nei jazz club,   nei teatri, nei festival, Umbria jazz su tutti,  era frequente imbattersi in musicisti che probabilmente nel loro paese d’origine, l’America, non si sentivano capiti e neanche sicuri. Non a caso Roscoe Mitchell, sassofonista degli Art Ensemble of Chicago, ebbe a dire che almeno in Europa potevano girare senza il fucile in macchina visto che non correvano rischi di subire aggressioni razziste. 

In quei fatidici anni ’80 un po’ di quel ben di Dio jazzistico passò anche da Frosinone. In un contesto di crescente passione per il jazz che si concretizzò  con l’organizzazione di concerti dei migliori jazzisti italiani, presenti nel territorio anche grazie alla fama del conservatorio - da Enrico Pieranunzi a Maurizio Giammarco, a Patrizia Scascitelli,   solo per citarne alcuni - capitarono a Frosinone proprio gli Art Ensemble of Chicago e Chet Baker.  Lester Bowie e compagni offrirono   una memorabile performance  al teatro Nestor.  Chet,  invece,    tenne un concerto presso il mitico auditorium Edera, sito sotto l’omonimo grattacielo. 

Un fecondo  fervore culturale aveva pervaso tutta la città grazie anche all’attività di un gruppo di giovani, radunati nella  cooperativa culturale “La Luna”, che con la loro ostinazione  e pervicacia riuscì a sensibilizzare l’amministrazione comunale   a dare una mano affinchè nel capoluogo della Ciociaria sorgesse un piccolo Birdland.  Sicuramente gli amministratori di allora, pur con tutti i loro difetti, avevano molto più a cuore il livello culturale dei cittadini e ne avevano anche un giudizio migliore, rispetto a chi guida la città oggi. 

 L'attuale   sindaco persegue l'unico scopo   di assicurare una sarabanda tutta luci ed effetti speciali da dare in pasto ad un popolo considerato di scarsa levatura culturale. Il popolo della "sbicchierate" a cui   la posticcia piana di plastica e terra incolta  del parco Matusa ,caciarona e greve, è sufficiente a dichiarare imperitura fedeltà al suo conducador. Fatto salve il festival dei conservatori , che pure presenta limiti organizzativi e costi spropositati,   l’immondizia culturale è tutto ciò che questa amministrazione è in grado di offrire con una tendenza al peggioramento visto che i prossimi tagli dell’ente ridurranno a mero deposito il museo archeologico. Ma questa è un’altra storia. 

Tornando a quegli incredibili concerti ricordo con particolare emozione quel clima. Poco più che diciannovenne, insieme ad altri amici con cui nel garage di casa strimpellando su una chitarra, un sax ,un basso, e una batteria cercavamo di ispirarci a quei mostri sacri, mi adoperai a dare una mano ai ragazzi della “Luna”. Bassa manovalanza in cambio dell’ascolto  dei nostri eroi in carne ed ossa.  

In particolare la performance di Chet Baker fu entusiasmante. Contornato da straordinari musicisti, Enrico Pieranunzi al pianoforte, Nicola Stilo al flauto, Enzo Pietropaoli al contrabbasso, e Roberto Gatto alla batteria, Chet ci ammaliò con il fraseggio morbido, drammaticamente rilassato della sua tromba,  con la sua voce così particolare ed ipnotica. I suoi compagni di avventura non furono da meno ricordo un Nicola Stilo particolarmente ispirato in grado di fornire delle suggestioni timbriche coinvolgenti  insieme alla tromba di Baker. 

Proprio in quel periodo usciva per la Edi-Pan Record il disco  Soft Journey  inciso da Chet e Pieranunzi  con la stessa formazione del concerto di Frosinone tranne Nicola Stilo sostituito in sala di registrazione da Maurizio Giammarco al sax. Un vinile che ho consumato a furia di ascoltarlo, perché ogni nota di quelle tracce   da Funny Valentine a Night Bird, ad Animali diurni,   è preziosa per la sua esecuzione ma soprattutto perché mi riporta alle meravigliose sensazioni di quel concerto all’Auditorium di Frosinone. 

Ringrazio Maurizio Barnaba che su Fb ha pubblicato lo foto scattate all’epoca di Rino Zangrilli durante quella incredibile esibizione. Foto straordinarie  ma che solo marginalmente riescono a descrivere l’incredibile magia di ciò che stavamo vivendo.    



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