Mentre con la fase 2 s’impone un nuovo ordine di controllo sociale
per compensare lo sbraco totale sulle aperture delle
grandi fabbriche, ad oggi responsabili del
25% dei contagi riscontrati nell’area lombarda, (fonte Istat) i fondi
necessari a limitare una crisi economica
senza precedenti, oltre che ad essere insufficienti, non sono mai arrivati, a
parte i 600-800 euro per alcune partite iva.
La ragione è che, ad una crisi
straordinaria e senza precedenti, si risponde con strumenti ordinari. Basati
sulla difesa della catena del valore per le esportazioni, vero obiettivo della
fase 2, e sulla tutela ancora più rafforzata delle prerogative dal capitale
finanziario, l’unico comparto a cui non si può chiedere il minimo sacrificio
neanche di fronte ad una strage sanitaria e sociale quale quella in corso.
I soldi
non arrivano perché impastoiati nelle lungaggini
che le banche impongono per cercare di erogare denaro senza rischi, il quanto
più possibile garantito dallo Stato. I soldi non arrivano e quando
arriveranno, essendo frutto di prestiti, aumenteranno il rapporto debito/pil, a
fronte del quale, quando tutto sarà finito, dovremo pianificare ulteriori
politiche di austerity con tagli alla sanità, alla scuola, ai servizi pubblici con ulteriori imponenti piani
di privatizzazione. Alla beffa di un’erogazione insufficiente si aggiungerà il
danno di un ulteriore impoverimento
delle popolazioni strangolate dal ripristinato del patto di stabilità.
S’impone
dunque l’attivazione di politiche adeguate alla straordinarietà della
situazione. E’ necessario togliere alle banche e ai mercati finanziari la
gestione degli aiuti che devono essere a
fondo perduto ed erogate direttamente dalle istituzioni pubbliche, a cominciare
da quelle più vicine ai cittadini, come i Comuni, nell’ambito dei quali è
possibile esercitare un controllo più stringente da parte dei cittadini.
Proprio
dai Municipi si possono pianificare consulte pubbliche per un audit
del debito con lo scopo di alleggerire la massa passiva e attivare programmi di
tutela sociale. Si può fare. E’ ciò che sta facendo il comune di Napoli con la
collaborazioni di giuristi ed economisti fra cui Marco Bersani.
A tal proposito pubblico due articoli: Il primo tratto da “il manifesto” di sabato 25 aprile sul programma del Comune di Napoli. Il secondo, di Marco Bersani, tratto da “Attac
Italia”. L’obiettivo è utilizzare un testo predisposto dalla stessa Attac su questo tema per proporre al nostro comune un'operazione simile a quella di Napoli.
Qualcuno obietterà che la giunta Ottaviani è totalmente insensibile
a certe tematiche. E’ vero, ma intanto proviamo a proporre il testo , che è pubblicato nel post precedente poi vediamo. Come passerà il Coronavirus, passerà anche l’oscurantismo dell’amministrazione
Ottaviani! Almeno lo speriamo.
Luciano Granieri.
Luciano Granieri.
«Il debito dei commissari lo deve pagare lo stato»
Adriana Pollice da "il manifesto" del 25 aprile 2020
Approvata ieri la delibera della giunta di Napoli. Solo per il post terremoto del 1980 risultano 200 milioni di euro fuori bilancio
La
cancellazione del debito storico prodotto dalle gestioni commissariali
succedutesi dagli anni Ottanta: ieri pomeriggio la giunta comunale di Napoli,
su proposta del sindaco de Magistris e del vicesindaco Panini, ha approvato una
delibera che innesca un nuovo contenzioso con lo stato. La pandemia sembra aver
aperto un varco: «L’atto è finalizzato – recita il testo – a liberare risorse
ingiustamente sottratte alla comunità locale per sostenere interventi connessi
alla mitigazione dell’impatto sociale ed economico dell’emergenza Covid-19».
I
commissariamenti sono stati 5: quello relativo al terremoto del 1980, emergenza
rifiuti, Sin Bagnoli-Coroglio, sottosuolo, rischio idrogeologico. «La delibera
è il frutto del contributo di importanti avvocati, primo fra tutti il vice
presidente emerito della Corte costituzionale, Paolo Maddalena. Alla stesura
del testo ha contribuito l’Audit sul debito pubblico, affiancato dai professori
Marco Bersani e Andrea Fumagalli» ha spiegato Panini.
Oggetto
dell’atto è «la revisione del debito, al fine di cancellare quella parte che
risulti un “debito ingiusto”; la revisione dei tassi di interessi da pagare a
Cassa depositi e prestiti per riportare tale rapporto nell’ambito
dell’interesse economico generale». Il comune non è riuscito a quantificare la
cifra totale per la complessità delle partite nonché del contenzioso che ha
generato negli anni: per la sola ricostruzione post terremoto, «da una prima
ricognizione effettuata sui debiti fuori bilancio 2012-2018, il peso è stato
pari a circa 200 milioni di euro». Poi ci sono i 66 milioni per l’emergenza
rifiuti del periodo 2006/2009.
Con la
delibera il comune stralcia dal bilancio le somme «accollandole allo stato,
cioè al soggetto che ha deliberato l’emergenza». Ma spetterà alla Corte
costituzionale stabilire se i commissari hanno legittimamente trasferito al
comune gli impegni da portare a termine. Il tema è soprattutto politico:
«Cambiare le regole del pareggio di bilancio degli enti locali, sanitari,
regionali e statali che strozzano le comunità».
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Enti locali e comunità territoriali: riprendiamoci la cassa!
L’epidemia da Covid-19 obbliga a mettere in discussione il paradigma della ricerca di una folle crescita, interamente basata sulla velocità dei flussi di merci, persone e capitali e sulla conseguente iperconnessione dei sistemi finanziari, produttivi e sociali. Sono esattamente i canali che hanno permesso al virus di portare il contagio a tutto il pianeta a velocità mai viste prima, viaggiando nei corpi di manager, amministratori delegati, tecnici iperspecializzati, così come in quelli di lavoratori dei trasporti e della logistica, e di turisti.
Ripensare l’organizzazione della società comporta la rilocalizzazione delle attività produttive a partire dalle comunità territoriali, che dovranno essere il fulcro di una nuova economia trasformativa, ecologicamente e socialmente orientata. Analogamente, saranno i Comuni e le città i luoghi dentro cui ripensare il nuovo modello sociale e democratico.
La precondizione perché questa strada sia finalmente imboccata è liberare gli uni e le altre dalla gabbia del debito e dai vincoli finanziari che in questi decenni ne hanno impedito il mantenimento della storica funzione pubblica e sociale.
Siamo di fronte a una biforcazione senza precedenti: la strada fin qui seguita porta dritto al default di tutti gli enti locali e alla definitiva spoliazione della ricchezza sociale delle comunità territoriali, fatta di territorio, patrimonio pubblico, beni comuni e servizi; l’alternativa è la riappropriazione sociale di tutto quello che ci appartiene e la realizzazione di una reale democrazia partecipativa di prossimità.
Intende intraprendere la prima strada il Comune di Firenze, il cui sindaco ha recentemente annunciato di essere pronto a “qualunque tipo di battaglia per salvare la città dal lastrico”, specificando che intende indebitare le casse comunali “mettendo a garanzia il patrimonio edilizio del Comune”. Cosa si salvi dopo aver consegnato alle banche musei, scuole, mercati, teatri, impianti sportivi, sedi amministrative e politiche è facile indovinarlo: nulla.
Ha decisamente imboccato la strada dell’alternativa la città di Napoli, che ha recentemente approvato una delibera, attraverso la quale rompe la gabbia del debito e reclama un nuovo protagonismo dell’ente locale, dopo decenni di politiche liberiste e di austerità.
Frutto di un percorso partecipativo, che ha visto in primo luogo il ruolo della Consulta pubblica per l’audit sul debito, la delibera pone alcuni elementi sostanziali: a) cancella i debiti prodotti da decenni di commissariamenti, accollandoli allo Stato, che aveva disposto quei provvedimenti; b) chiede la piena attuazione della Legge di Bilancio 2020, che, all’art.39, prevedeva l’accollo allo Stato di tutti i mutui accesi con Cassa Depositi e Prestiti, allo scopo di ridurne drasticamente i tassi di interesse; c) rivendica la possibilità per i Comuni -come si è fatto per le imprese- di accedere per tutto il periodo di emergenza a mutui con Cdp a tasso zero; d) si impegna ad annullare tutti i debiti conseguenti alla firma di contratti derivati; e) chiede anche per i Comuni, in analogia con quanto fatto per gli Stati, la sospensione del patto di stabilità e del pareggio di bilancio; f) rivendica, infine, la costituzione di un Fondo nazionale di solidarietà comunale, che garantisca a tutti i Comuni le risorse necessarie per l’emergenza economica e sociale e per il riavvio delle comunità locali.
La paradigmatica disputa fra le due importanti città evidenzia il conflitto in atto che, a seconda della via che verrà imboccata in questa fase di emergenza, determinerà l’orizzonte per tutte le comunità locali amministrate: la solitudine competitiva e l’espropriazione autoritaria o la solidarietà cooperante e l’autogoverno partecipativo.
Un conflitto, per vincere il quale, sarà decisiva la mobilitazione delle comunità locali in due direzioni precise:
- a) il ridisegno della finanza locale, mettendo la priorità sul pareggio di bilancio sociale, ecologico e di genere, rivendicando risorse incomprimibili per la realizzazione dello stesso;
- b) la socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti, che con i suoi 250 miliardi di risparmi dei cittadini, può diventare la leva finanziaria a tassi agevolati di tutti i progetti di riappropriazione sociale dei beni comuni e di costruzione di una nuova economia territoriale, ecologicamente e socialmente orientata.
Su entrambi questi fronti, Attac Italia ha da tempo preparato due proposte di legge d’iniziativa popolare (le puoi trovare qui https://www.attac-italia.org/riprendiamoci-il-comune-2/ ) che sono attualmente alla discussione di reti, movimenti e comitati e che potrebbero diventare una campagna collettiva nel prossimo autunno, quando le strade e le piazze potranno essere di nuovo lo spazio pubblico dell’incontro e la mobilitazione dovrà essere determinata e capillare per non farci ripiombare in un modello che, dopo aver sottratto diritti e ricchezza collettiva, non è stato in grado di garantire protezione alcuna.
Da questo punto di vista, diventa dirimente che la presa di posizione della città di Napoli non sia lasciata sola, ma sia la prima di centinaia di analoghe delibere che rendano evidente la volontà delle comunità territoriali di riprendere in mano il proprio destino. Anche su questo Attac Italia ha predisposto un testo, che può essere richiesto inviando una email a segreteria@attac.org
Perseguendo il diritto al futuro di tutte e tutti e ripudiando ogni espropriazione di diritti finalizzata all’interesse dei pochi. Peraltro, i soliti noti.
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