Charlie è in ansiosa attesa. Ha la chitarra è appoggiata sulle ginocchia. Dopo un
continuo girovagare nei locali del Midwest, vincendo, a colpi di riff e trucchi dei vecchi
chitarristi blues, da lui metabolizzati
e modificati, infiniti contest con
altri musicisti, la pianista Mary Lou Williams non può fare a meno di notarlo e
presentarlo al produttore John Hammond.
John è grande amico di Benny Goodman e
vuole fare in modo che Benny ascolti a tutti i costi quel ragazzotto del Texas,
trapiantato ad Oklahoma City, cresciuto a pane, blues, swing. E’ uno che, grazie
all’applicazione dei primi rudimentali pick up alla chitarra, aveva inventato un nuovo modo di suonare lo
strumento con delle possibilità espressive mai ascoltate prima.
Siamo alla fine
degli anni ’30. Charlie è in ansiosa
attesa in un localino californiano, con il suo eccessivo cappellone e le sue, più che eccessive, scarpe a punta. Aspetta Benny Goodman per mostrargli le sue grandi
doti. Goodman si presenta e non ha una bella espressione nel vedere quel
ragazzino nero, di cui si diranno pure meraviglie, ma, così conciato, non
sembra l’archetipo del bravo orchestrale. Lo sguardo severo del” re dello swing”
incenerisce il ragazzo che non riesce neanche ad attaccare la chitarra
all’amplificatore.
Un disastro. Ma non è tutto perduto. La sera stessa al Victor Hugo di Beverly Hills, dove Goodman è
di scena, a Charlie viene consentito, di salire sul palco. Al re dello
swing la cosa non va per niente bene e, per punire il giovanotto col cappellone e le scarpe a punta attacca, “Rose Room”,
un brano talmente vecchio da risultare probabilmente sconosciuto al giovane
Charlie. L’idea è quella di irretire il chitarrista proponendo un brano su cui,
secondo Goodman, il “tamarro” non potrà che balbettare qualche nota.
Nulla di
più sbagliato. Charlie prende ogni frase di quel brano, la seziona, ne cava dei riff velocissimi, strabilianti, li lega uno all’altro e proietta quel vecchio pezzo in una dimensione inaspettata, mai ascoltata
prima. Charlie viene assunto all’istante. Benny Goodman lo prenderà sotto la sua ala
protettrice. E’ un musicista ideale per lo swing e sui suoi riff Goodman fra il ’39 e il
’41 costruirà numerosi brani.
Ma si sa
ad uno così un posto in un’orchestra, anche se la migliore di tutte, finisce per andare stretto. E a quelle strane cose che stavano
avvenendo in certi localini, come il Minton’s, o il Monroe’s Charlie non poteva rimanere
insensibile.
Quelle diavolerie
armonico-melodiche che, dalle tavole del locale sulla 118° ovest di Harlem, Monk, Gillespie e Clarke, stavano inventando, lo
avevano preso, coinvolto, tanto da farlo diventare protagonista, come, o forse, più degli altri tre. Inizia allora un frenetico tour de force. Di
pomeriggio e sera si suona nell’orchestra
di Goodman, la notte ad inventare mascheramenti impensabili al Minton’s insieme
ai boppers. Evoluzioni musicali dalle quali più di qualche jazzista, che aveva la malsana idea di cimentarsi in quelle corse mozzafiato,
usciva umiliato.
Meno male che fra i
ragazzi della beat generation, abituali frequentatori di quei locali, c’è Jerry Newmann, un benestante amico di Jack
Kerouac. Jerry è sempre presente a
quelle infuocate jam session con il suo registratore a fil di ferro magnetizzato. Cattura ogni singola nota col suo arnese. Dobbiamo a lui se le evoluzioni di Charlie riusciranno
ad arrivare ai posteri . Bisogna essere grati a Kerouac, oltre che per essere diventato il profeta della beat generation, anche per aver
conosciuto il lungimirante Newmann.
Charlie impazza, sia dai palchi dei teatri,
con Goodman, che dalle fumose ambientazioni del Minton’s. Nel giugno 1941 sul ragazzo, venuto da Oklahoma
City, si abbatte una grave forma di tubercolosi che ha gioco facile nel
devastare un corpo giovane, ma fiaccato dal fumo e dall’alcool. Goodman gli garantisce
il ricovero in ospedale. La stanza di
Charlie, più che un luogo di cura,
sembra la succursale di un night club, con whisky che corre a fiumi, signorine
che offrono le proprie grazie, marijuana a bizzeffe. Qualche volta gli
infermieri non lo trovano nel suo letto, scappato chissà dove, per poi essere
trovato e riportato in camera.
Charlie muore il 2 marzo del 1942 a soli 22
anni. Non riuscirà mai a conoscere l’altro Charlie quel “Bird” Parker che, con
il suo sax, porterà a vette elevatissime l’epopea del Be Bop. Lo stile che pose fine al jazz come musica da ballo,
e sollazzo per i bianchi, trasformandolo
in forma dall’elevatissimo valore musicale.
Ah dimenticavo. Il Charlie, di cui abbiamo
raccontato questa breve storia, è il chitarrista Charlie Christian. Colui che
portò una rivoluzione nel modo di suonare la chitarra, elettrizzando con primordiali
pick up, il "legno a corde". Strumento, prima
deputato a soli compiti di accompagnamento, diventato poi, grazie a Charlie Christian, uno
strumento dalla versatilità creativa inimmaginabile.
Dopo Christian, per i chitarristi, nulla sarà come prima.
Grazie, un piacere leggere, un piacere ancora più grande ascoltare!
RispondiEliminaGrazie, un piacere leggere, un piacere ancora più grande ascoltare!
RispondiEliminaGrazie a te.
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