Festa del Cinema di Roma. Alex Infascelli dirige «Mi chiamo Francesco Totti», il film dedicato al fuoriclasse capitolino. Il racconto di un’icona, senza retorica, attraverso la voce del protagonista e materiali di repertorio.
Giona A.Nazzaro fonte: "il manifesto" del 18/10/2020
Non è necessario andare a recuperare qualche riflessione pasoliniana per verificare come il calcio rivesta ancora la capacità – e l’immaginazione – per federare il sentire di soggetti separati fra loro da questioni di classe, reddito e aspirazioni. Il calcio, cosa evidente anche a chi ne mastica pochissimo o affatto, è un luogo narrazione che produce non solo racconti e mitologie, ma offre anche chiavi di interpretazione delle cose del mondo. Vero anche come la comunicazione del calcio e il racconto dei suoi eventi, con i riflettori sempre puntati su protagonisti e oscillazioni del mercato sportivo, si sia andato configurando come un vero e proprio «mondo a parte».
PER CUI la sorpresa di fronte a un film come Mi chiamo Francesco Totti – nel programma della Festa del Cinema di Roma (il 19,20 e 21 ottobre nelle sale poi su Sky)- non potrebbe essere maggiore. Alex Infascelli, regista interessante, appartato e dal tocco altamente personale, mette mano a una materia, il racconto di un’icona della Capitale, del calcio nazionale e internazionale, affrontando la vicenda di un calciatore eccezionale come Francesco Totti evitando, e già questo basterebbe come risultato estetico e «politico», tutte le banalizzazioni agiografiche che sovente, per ragioni spesso «altre», inficiano il racconto di fatti sportivi, soprattutto se recenti e sotto gli occhi di tutti. Infascelli, a partire dal titolo evocativo, crea un film che è sì un incontro con un «uomo straordinario» e un atleta incomparabile, ma soprattutto riesce nell’impresa, davvero encomiabile, di creare un’opera genuinamente popolare, mai populista. Infascelli, con un notevole gusto da «chanson de geste», illustra le imprese di Totti sin da quando il calciatore bambino inseguiva i suoi sogni di gloria («A Roma ci sono tre squadre: l’A.S. Roma, la Lodigiani e la Lazio»). Collocandoli nell’alveo di un’infanzia che è soprattutto il segno precocissimo di una vocazione che non tarderà a manifestarsi in tutta la sua ricchezza, il regista coglie con notevole attenzione politica l’ambiente umano e antropologico nel quale il futuro fuoriclasse muove i primissimi passi.
SENZA INDULGERE in nessuna retorica sulla romanità, collocando le sue immagini nella voce calda e schietta, affettuosa, del Capitano, Infascelli mette a segno un’operazione rarissima e di grande sensibilità: dare letteralmente forma a un romanzo popolare in grado di offrirsi come luogo narrazione di un esserci, della sua gente, e toccare persino coloro che al calcio non dedicano quasi mai attenzione. La nozione di «campione» è così ricondotta da Infascelli, attraverso un uso attento dei materiali di repertorio e la organizzazione ritmica che ne fa il montaggio, non a un climax, cosa che esporrebbe il tutto ai rischi della retorica partigiana, ma a illustrare le stagioni di un giovane che, parafrasando Lou Reed, «cresce in pubblico». Risultato tanto più lodevole, in quanto la narrazione calcistica offre ogni settimana, a ritmo serratissimo, le gesta di campioni che si susseguono ininterrottamente. Merito ovviamente anche di Totti, ultimo esempio di eroe popolare sportivo (come forse l’avrebbe potuto immaginare Pasolini), al pari solo di Nino D’Angelo (in un campo completamente diverso), le cui gesta sono diventate sinonimo stesso di Roma. Infascelli coglie tutte queste sfumature, intrecciandole nel corpo del suo film, permettendo così a Totti di trascendere le opposte retoriche ed emergere come un uomo complesso, appassionato e, come sosterrebbe Pavese, «un uomo che è tutto nel gesto che compie».
IL FILM di Infascelli è la forma esatta di questa misura intuita da Pavese. E quando il film, grazie a un montaggio reiterato di rara commozione, cuce insieme le stagioni più belle di Totti, evidenziando le sue giocate e i suoi magnifici gol – come se Rudy Van Gelder montasse insieme tutti gli assoli di John Coltrane in un unico movimento – il film non solo esalta alcune delle prestazioni sportive più mozzafiato di sempre, ma è come se cogliesse il canto di un’anima libera che ha spiccato il volo sopra l’Olimpico. E anche chi abitualmente non è tifoso, non può che abbandonarsi alla gioia delle lacrime e della commozione. Infascelli coglie questo movimento dell’emozione non ricercando un gesto cinematografico «artistico» ma ascoltando la voce più autentica del cinema come arte popolare. Uno stacco di montaggio, un raccordo come una creazione di Totti sul campo, illuminato dalla grazia dell’invenzione e della bellezza. Francesco Totti, da oggi, è più di un nome. «Francesco Totti», da oggi, è tutta la «nobiltà del calcio».
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