Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

venerdì 4 novembre 2022

Un decreto pericoloso e incostituzionale

 La presidenza del Coordinamento per la Democrazia Costituzionale



Con il decreto legge n. 162 del 31 ottobre, che ha per oggetto una serie di materie disomogenee, è stata introdotto il nuovo reato di “Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”, per il quale sono previste pene durissime da tre a sei anni di reclusione e multe da 1.000 a 10.000 euro, oltre alla confisca dei mezzi e delle attrezzature impiegate nell’organizzazione degli eventi.

Per il nuovo art. 434 bis del codice penale: “L'invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi

per l'ordine pubblico o l'incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell'invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l'ordine pubblico o l'incolumità pubblica o la salute pubblica.”

Secondo l’art. 77 della Costituzione il Governo può adottare provvedimenti provvisori con la forza di legge solo “in casi straordinari di necessità ed urgenza”. In questo caso il ricorso al decreto legge è macroscopicamente ingiustificato, sia perché non esiste una emergenza di sicurezza causata dallo svolgimento di qualche “rave party”, sia perché non c’è nessun vuoto normativo da riempire in quanto l’ordinamento conosce già il reato di invasione di terreni o edifici, prevedendo la procedibilità d’ufficio e la pena della reclusione da 2 a 4 anni se il fatto è commesso da più di 5 persone (art. 633 c.p.).

E’ bene chiarire che la nuova fattispecie non si applica solo ai Rave Party, ma a tutti i casi in cui vi sia un raduno più di 50 persone su aree private o pubbliche. Un picchetto di operai in sciopero che si radunano nel piazzale dinanzi ad una fabbrica può cadere sotto la scure del nuovo art. 434 bis perché per integrare il reato è sufficiente un pericolo “astratto”. In questo modo si realizza una forma di criminalizzazione di tutte le manifestazioni di protesta che normalmente si realizzano mediante il raduno di più persone in luoghi pubblici o privati, in aperta collisione con l’art. 17 della Costituzione che garantisce la libertà dei cittadini di riunirsi pacificamente e senz’armi.

La cosa più grave è che, di fronte al crescente disagio sociale, si progetta una risposta autoritaria in termini di repressione delle prevedibili manifestazioni di protesta che fa virare l’ordinamento verso uno Stato di polizia.

Il Coordinamento partecipa alla mobilitazione di enti ed associazioni e personalità della cultura per respingere questa insidiosa manovra di restrizione delle libertà costituzionali.

Ci aspetta una lunga stagione di resistenza costituzionale.

mercoledì 19 ottobre 2022

Al crocevia di Cassino, cinquant’anni di una fabbrica

 Andrea Meccia, tratto da "Alias" inserto culturale de "Il manifesto"


FIAT. Il 15 ottobre 1972 veniva inaugurato lo stabilimento di Piedimonte San Germano. Luogo dove il sindacalismo resistente ha dovuto fronteggiare mutamenti interni e sconvolgimenti sociali, dove il terrorismo e la contestazione si sono fronteggiati, e dove ancora oggi i lavoratori lottano per la dignità. Un’ intervista a Vincenzo Antenucci, sindacalista oggi in pensione


Per osservare e tentare di capire cosa abbia voluto e cosa voglia dire ancora la presenza del sito industriale, oggi Stellantis, di Cassino-Piedimonte San Germano nel territorio del basso Lazio, sono disponibili un paio di opzioni che bisogna provare a tenere insieme. La prima invita a costeggiare l’infinito perimetro dello stabilimento – i cancelli di ingresso e uscita dei lavoratori e delle lavoratrici, i capannoni, la centrale termica, il centro sportivo divenuto hub vaccinale Covid-19 in tempo di pandemia, lo snodo ferroviario che comunica con l’impianto per movimentare merci e vetture – provando a immaginare cosa ci fosse lì prima che la Fiat si “meridionalizzasse”. L’alternativa, più suggestiva e seducente, è invece scegliere di guardare il tutto dall’alto, inerpicandosi lungo gli oltre 500 metri di altitudine dall’Abbazia di Montecassino, dalla cui Loggia del Paradiso si può scattare una foto forse capace di tenere insieme il senso della storia di questo territorio di confine, tra il centro e il Sud dell’Italia. È qui che il futuro patrono d’Europa Benedetto da Norcia, nel 529 d.C., costruisce la prima chiesa di Montecassino e conia il motto ora et labora, prega e lavora.

È in questo pezzo d’Italia che nel febbraio 1944, si consuma uno dei momenti più drammatici della Seconda guerra mondiale, lo sfarinamento da parte degli anglomericani, bloccati dai nazisti lungo la linea Gustav, della secolare abbazia benedettina e della città di Cassino a suon di bombardamenti aerei. È tenendo insieme questi due punti di osservazione che si diradano le polveri della distruzione e si riesce a cogliere il significato di quanto accaduto il 16 ottobre 1972 allo stabilimento Fiat di Cassino. È un lunedì d’autunno quando dalla sua catena di montaggio esce la prima autovettura prodotta nel più grande insediamento industriale della casa torinese nel Mezzogiorno. A venire alla luce è una Fiat 126 di colore rosso, una nuova utilitaria a due porte che coniuga le caratteristiche delle auto simbolo del boom economico italiano. La 126 ha un motore posteriore come la 600 e si configura come un incontro tra la linea della 127 e le caratteristiche tecniche della già storica e iconica 500. Come raccontato in un cinegiornale Fiat, la 126 ha quattro posti, due cilindri raffreddati ad aria, ventitré cavalli, quattro marce. È un’auto che supera i cento chilometri orari «quanto occorre per una buona accelerazione nel traffico urbano e una buona velocità di crociera sulle autostrade» e «risponde alle norme europee antinquinamento». Le prime prove di produzione sono iniziate nel mese di luglio. I lavori per la nascita dello stabilimento hanno invece preso il via il 15 settembre 1970, dopo che il 22 gennaio di quell’anno, Paolo Emilio Taviani, ministro della Cassa per il Mezzogiorno, ha firmato il decreto che stabilisce il sorgere della Fiat nell’entroterra meridionale del Lazio, sfera di influenza di Giulio Andreotti. Il 15 marzo 1971 si iniziano a intravedere le strutture dei primi capannoni. Il 23 settembre 1972 la produzione si avvia ufficialmente su un’area di due milioni di metri quadri scaturiti da settanta miliardi di lire di investimenti. Gli operai assunti sono perlopiù contadini, operai edili, artigiani. Provengono dal cassinate, dalle sue aree limitrofe e da fuori regione. Hanno in media 25-30 anni. Li chiameranno metalmezzadri, operai da un lato, e per sempre contadini dall’altro. In molti sono poi coloro che hanno già conosciuto la grande fabbrica fordista.



Sono andati anni prima a Torino lasciando Sardegna, Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia, Campania, Molise ed adesso vedono, nell’apertura di uno stabilimento nell’area centro-Sud del Paese, un’occasione per portare la loro esperienza, chiudere con la metropoli industrializzata, trasferirsi in un contesto di provincia, vivere in una casa indipendente, coltivare un pezzo di terra utile all’economia familiare e riavvicinarsi ai paesi di origine. Sono gli emigranti di ritorno. Siamo tre anni dopo lo scoppio dell’autunno caldo e pochi mesi dopo la nascita dello Statuto dei lavoratori quando nel basso Lazio inizia a prendere definitivamente forma un pezzo di storia dell’industria automobilistica italiana. Mentre Torino fatica a gestire la sua trasformazione in gigantesca fiatopoli e Mirafiori è ormai un catino ribollente di rabbia e lotta operaia, i vertici Fiat decidono di delocalizzare verso Sud la produzione. L’obiettivo, favorito dai copiosi finanziamenti, è il decongestionamento produttivo e occupazionale. Per conseguirlo, non dovranno essere gli operai a cercare la fabbrica. Sarà la fabbrica che andrà a cercarli. Laggiù dove sono nati. I comuni del cassinate vedono così crescere nel giro di pochi anni la propria popolazione.Più 36% per Piedimonte San Germano, più 38% per Aquino, più 18% per Cassino.

Anche nel basso Lazio però, l’industria metalmeccanica, moderna e imponente, insieme alla crescita economica e alle opportunità del cosiddetto indotto, impone fatica, sudore e rapporti di lavoro gerarchizzati, dettando nuovi ritmi di vita ad un territorio da sempre a vocazione agricola. «All’epoca molti si chiesero cosa avesse spinto la Fiat a scegliere Cassino-Piedimonte San Germano per installare la sua fabbrica. Il primo elemento fu l’ampia disponibilità di manodopera e le infrastrutture già esistenti: l’autostrada del Sole, la strada statale Casilina, la bretella dell’autostrada del Sole dal casello di Cassino, la ferrovia Roma-Napoli; la linea ferroviaria Cassino-Villa Santa Lucia-Piedimonte, infine l’esistenza di un nucleo industriale Cassino-Pontecorvo», racconta Francesco Di Giorgio, segretario della Camera del Lavoro di Cassino e membro del Comitato centrale Fiom-Cgil (1974-1980) ed autore del volume Dalla Fiat a Stellantis. 50 annni di evoluzione economica del Lazio Meridionale 1972-2022 (Centro documentazione e studi cassinati, pp. 314). Ma la conflittualità non mancherà neanche nello stabilimento di Cassino, la Mirafiori del Sud che nel corso della sua storia arriverà a contare oltre 10.000 addetti contemporaneamente. «Cassino fu crocevia di gruppi terroristici ben organizzati e strutturati, ma anche area di contestazione radicale», ricorda ancora Di Giorgio. A partire dal 1976, una serie di incendi dolosi, esplosioni, aggressioni, gambizzazioni e attentati dinamitardi segnano la vita della grande fabbrica di provincia. Saranno il preludio all’uccisione del capo dei servizi di sorveglianza della Fiat di Cassino, avvenuta il 4 gennaio del 1978. L’omicidio viene prima rivendicato con una telefonata al quotidiano Il Messaggero. Successivamente, a Roma, verrà ritrovato un volantino firmato dalla sigla Lotta armata per il comunismo. Con l’omicidio di De Rosa si chiude la prima fase di vita della Fiat di Cassino. Sempre in quel 1978, per saldare le lamiere della Ritmo, nella fabbrica ai piedi dell’abbazia benedettina verrà installato il primo Robogate. Sarà una rivoluzione tecnologica. Due anni dopo, nel 1980, la marcia dei 40.000 quadri Fiat tra le strade di Torino sanciràla morte dell’operaio. La grande fabbrica cambierà ancora.

Intervista a Vincenzo Antenucci. Dal primo giorno all’ultimo con passione
Vincenzo Antenucci è un sindacalista in pensione. Vive a Sant’Elia Fiumerapido, una manciata di chilometri da Cassino. È nato nel 1946 a Vastogirardi, paesino di montagna dell’Alto Molise. Ha lavorato in Fiat dal 1969 al 2003. Prima a Torino, poi a Piedimonte San Germano dove ha scritto importanti pagine di storia sindacale.

Antenucci . Cosa ricorda del primo giorno in Fiat?
Sono entrato in Fiat il 31 marzo 1969, dopo il servizio militare. Un amico mi disse che a Torino c’erano buone possibilità di essere assunto. Inoltrai la domanda nel dicembre del ’68. Qualche mese dopo entrai alla Iveco di Torino con mansione di collaudatore di banco. Fu il mio primo lavoro in assoluto. Quel giorno mi venne a prendere un caporeparto. Mi spiegò il lavoro da fare e mi affiancò ad un altro dipendente per una settimana.

Quale fu l’impatto con Torino città?
Non vorrei esagerare, ma fu traumatico. In quel periodo le assunzioni in Fiat furono massicce. Gli alloggi scarseggiavano. Trovai una pensione in zona stazione di Porta Nuova. Il proprietario mi disse che non potevo rimanere per più di una settimana. Rimasi senza un tetto. Per fortuna c’erano le vacanze pasquali e andai da mia sorella a Roma. Al ritorno, trovai un’altra pensione. Cambiai diversi alloggi nei miei sette anni torinesi.

Quando entrò in contatto con il sindacato?
Iniziai a frequentare la sede del sindacato unitario. Fui solo un attivista della Flm, la Federazione lavoratori metalmeccanici che abbracciava Fiom, Fim e Uilm. Quando arrivai a Cassino invece – era il 1975 – fui eletto delegato di squadra. Da quel momento in poi, fino alla pensione, sono stato rappresentante Fiom.

Perché ha deciso di tornare verso Sud?
Ognuno di noi sogna di ritornare al suo paese di origine. Nel mio caso, almeno provai ad avvicinarmi.
Cosa ricorda del primo giorno di lavoro a Cassino?
Venivo da una realtà diversa e gli inizi non furono dei migliori. Fui messo al reparto lastroferratura, dove facevamo le saldature della 126. Lì c’erano fumi e polveri. Oltre alla fatica del lavoro, si respirava male. Poi passai alla catena di montaggio. Anche lì la fatica era tanta. Per fortuna però, l’ambiente era più pulito. Per migliorare le condizioni di lavoro abbiamo fatto lotte immense.
Che differenze e che analogie c’erano tra Torino e Cassino?
Per le lotte sindacali, Torino è stata sempre una città all’avanguardia. Lì c’erano i sindacati strutturati, con grande organizzazione ed esperienza. A Cassino, in uno stabilimento nuovo, non fu facile iniziare questo tipo di attività. I contratti e gli accordi non si conoscevano. Per via di questa impreparazione, l’azienda tendeva a fare il bello e il cattivo tempo… Mano a mano abbiamo iniziato a costruire il sindacato, capendo anche i tempi di lavoro e di pause. C’era chi prendeva quaranta minuti di pausa. La stessa gerarchia, i capi per capirci, non aveva del tutto chiara la situazione lavorativa. I rappresentanti sindacali torinesi non ci hanno mai abbandonati. Venivano spesso a Cassino per riunirsi. Ci raccontavano come andavano le cose su e come dovevano andare a Cassino e in tutti gli stabilimenti del Sud nati in quegli anni. Un’altra cosa da non dimenticare è che Cassino era uno stabilimento di carrozzeria, di assemblaggio, quindi molto complesso sotto il profilo dell’organizzazione del lavoro. Gli accordi strappati da noi erano all’avanguardia.

Può dirci qualcosa degli episodi di lotta armata che si verificarono? E quali, secondo lei, le cause della radicalizzazione dello scontro all’interno della fabbrica?
L’omicidio di Carmine De Rosa nel gennaio del ’78 fu un evento tragico, ci colse di sorpresa. La reazione del sindacato fu forte e unitaria. Il consiglio di fabbrica di quelle ore fu drammatico. La cosa ci segnò profondamente. Siamo stati però in grado, anche grazie al Pci locale, di arginare questa deriva di violenza e rimanere nei canoni della lotta democratica all’interno della fabbrica. Le condizioni di lavoro erano dure. Questo non va dimenticato. Uno dei problemi fu sicuramente il carattere spontaneo di alcune lotte all’interno di uno stabilimento giovane.

Quando sono entrate le prime donne all’interno della Fiat di Cassino?
Tra il ’77 e il ’78, la Fiat doveva assumere circa 2000 operai. All’ufficio di collocamento di Piedimonte San Germano, nella lista di persone in cerca di lavoro c’erano molte donne. La Fiat però aveva delle forti riserve su assumere manodopera femminile perché, a suo giudizio, non era adeguata alla catena di montaggio. La situazione si sbloccò solo dopo che occupammo l’ufficio di collocamento. In alcune situazioni, le donne hanno dimostrato di lavorare meglio degli uomini. Per esempio, nei lavori di minuteria o in quelli di selleria.

A un certo punto, Cassino subì anche una profonda trasformazione tecnologica…
Iniziò nel 1978 per la produzione della Ritmo con l’introduzione dei primi robot teleguidati. Si partì dalla lastratura, dove avveniva l’assemblaggio delle scocche. Poi si passò alla verniciatura, dove, all’interno di cabine, erano gli operai gli addetti allo spruzzo della vernice. Alcuni tipi di lavoro vennero senza dubbio migliorati.

In una battuta, chi è il metalmezzadro?

Il metalmezzadro è colui che ha lasciato l’agricoltura ed è andato a lavorare in fabbrica. Questa zona era piena di persone che anche dopo l’assunzione nella grande industria non ha mai smesso di fare lavori agricoli.

Quando è andato in pensione che fabbrica ha lasciato?
Una Fiat in cui il sindacato riusciva ad avere buoni rapporti in favore dei lavoratori.

In chiusura, cosa hanno rappresentato per lei la Fiat e il sindacato?
La Fiat è stata l’opportunità di lavorare e farmi una famiglia. Il sindacato mi ha permesso di migliorare la qualità della mia vita e quella dei lavoratori. Mi ha insegnato cose che prima non riuscivo a comprendere, conducendomi verso l’emancipazione. È stato una scuola di democrazia.

Box: le auto prodotte a Cassino
Nel 1972 inizia la produzione della 126. Nel 1974 a Cassino viene prodotta la 131. Sarebbero poi arrivate la Ritmo (1978), la Regata (1983), la Tipo (1987), la Tempra (1988), la Bravo e la Brava (1995), la Marea (1999), la Stilo (2001), la Croma (2005), la nuova Bravo (2007), la nuova Lancia Delta (2008), le Alfa Romeo Giulietta (2010), Giulia (2016) e Stelvio (2016), la Maserati Suv Grecale (2022).

mercoledì 28 settembre 2022

ODE AL BILANCIO RISANATO

 Luciano Granieri



PREMESSA

Finite le ennesime elezioni farsa, in attesa che si torni a perdere tempo con le prossime ancora più farsa (le regionali), torniamo ad occuparci di cose serie. Come previsto da chi stava, e sta, seguendo le vicende del bilancio di Frosinone, l’ode al bilancio risanato, e la lode all’ex assessore risanatore, oggi sindaco, erano suggestioni buone solo per il consenso elettorale. Chi ha avuto la pazienza di leggersi gli ultimi pronunciamenti della Corte dei Conti sul rispetto degli obiettivi sottoscritti dall’ente guidato da Ottaviani all’interno del Piano di Riequilibrio Economico e Finanziario, sa che tutto quanto strombazzato in campagna elettorale dall’ex sindaco, oggi parlamentare e dall’ex assessore, oggi sindaco, era basato sul nulla. Non si capisce perché le forze che si sono opposte al nuovo (vecchio) primo cittadino, in campagna elettorale, non lo abbiano rimarcato con forza. 

Non bilancio risanato, ma aggravato e in continuo aggravamento, come se fosse un morbo cronico ed irreversibile.

Vediamo nel dettaglio.

La Corte dei conti nella deliberazione del 5 agosto 2022

n. 98/2022/PRSP Comune di Frosinone (FR) Piano di riequilibrio finanziario pluriennale ha accertato

L’INADEMPIMENTO degli obiettivi intermedi del PRFP da parte del comune di Frosinone.

DEBITI FUORI BILANCIO

L’ente non ha incluso, nell’attuazione del Piano, circa 800.000euro di debiti fuori bilancio. Evidenza confermata dal Comune stesso. Cioè non risulta chiaro come siano stati spesi quei soldi. Ricordo che il ricorso ai debiti fuori bilancio è concesso solo per interventi urgenti ed inderogabili. Cioè casca un palazzo, un terremoto…….ecc

CONTENZIOSI

Non si capisce come lo stesso Comune intenda assolvere alle spese per i seguenti conteziosi:

1) Controversia con “Delta Lavori ” per la costruzione di una strada (ss 156/ss155 - Monti Lepini);

2) Controversia con “Impresa Sangalli Giancarlo & C. s.r.l.”.

Nel caso della Delta Lavori. Il Comune è stato condannato in primo grado a rifondere 1.575.149,62. per il contenzioso relativo ai lavori effettuati sulla Monti Lepini. La condanna è esecutiva per cui  si deve pagare. L’amministrazione è tranquilla perché sostiene di avere copertura. Presenta una stampa contabile in cui, da un lato ha dei residui passivi verso creditori pari a: 545.819 già impegnati, più 10.921.352,85 da pagare entro il 2022 (non si sa bene verso chi, non è scritto). Dall’altro vanta un credito di garanzia, da parte della Regione Lazio (contributo regionale agli investimenti per la costruzione della strada) per  13.944.342,47. Dunque la differenza fra le risorse da incassare dalla Pisana e gli importi da pagare, non si sa a chi, produce un attivo di  2.478.000 euro, una somma ampiamente sufficiente per assolvere gli oneri dovuti.

SIAMO SICURI CHE I SOLDI DELLA REGIONE SIANO DISPONIBILI?

Forse…...forse no, anzi no.

Nel corso del procedimento è emerso che questi soldi erano già stati impegnati dal Comune per pagamenti verso altro soggetti , i quali, forse per lungaggini burocratiche, non sono stati in grado di riscuoterli nei tempi stabiliti (oltre due esercizi contabili seguenti all’emissione del titolo). Il caso di specie consente di togliere tali poste dal bilancio come passività in quanto definiti debiti “perenti”. Al di là della dinamica contabile le somme devono essere corrisposte comunque. In pratica i finanziamenti che deve ricevere dalla Regione il Comune li ha destinati al pagamento di altri soggetti, ma fino a che questi soldi non escono materialmente dalla cassa, non figurano come passività in contabilità , però di fatto restano impegnati, quindi non possono essere utilizzati per altri scopi, tipo la Causa per Delta Lavori.

SANGALLI: LO SO IO QUANTO DEVO PAGARE.

Nel caso della Sangalli, la causa presenta un rischio di soccombenza, che comporterebbe un esborso del Comune verso il ricorrente pari a € 1.639.861. L’ente valuta, di accantonare solo 80.000 euro, anziché il 10% del valore di causa, come previsto di 163.986,10. In base a quali calcoli e a quali risultanze o documenti non è dato sapere.

TOTO IMU

Non si capisce se l’IMU che il Comune deve avere dall’ATER (€ 1.429.172,00 ) sia un credito di dubbia esigibilità, cioè presenti il fondato rischio di non essere riscosso. Per l’ente non c’è problema, l’ATER è una pubblica amministrazione e c’è da fidarsi. E’ strano però che lo stesso ente accantoni risorse per contenziosi IMU. Cioè ti fidi ma intanto prepari i soldi per gli avvocati.

SI ATTENDE RISPOSTA

La  Corte dei Conti rileva come la questione dell’utilizzo improprio delle anticipazioni straordinarie di liquidità -accertato nella precedente rilevazione n.7/2020, di cui anche noi avevamo parlato, a suo tempo( LEGGI QUI )- non è stata chiarita come richiesto nella deliberazione precedente 97/2022/PRSP. In pratica ancora non si sa a cosa siano servite quelle anticipazioni straordinarie relative e all’anno 2018 .Ad oggi, nonostante il sollecito dei giudici contabili, la faccenda rimane ignota. In teoria il Comune, dovrebbe aver utilizzato quelle risorse (salvo poi rimetterle in cassa, cosa non accertata) , per eventi straordinari, appunto urgenti, imprevisti. Ma non mi pare che, a parte il risultato delle elezioni comunali, a Frosinone siano successi particolari disastri.


QUINDI. NONOSTANTE SI SIA SOSTENUTO PER TUTTA LA CAMPAGNA ELETTORALE CHE IL NEO SINDACO, EX ASSESSORE ALLE FINANZE, ABBIA RISANATO TUTTI I DEBITI LA CORTE DEI CONTI, NON UN AVVERSARIO POLITICO, AFFERMA ESATTAMENTE IL CONTRARIO.

E intima al Comune di:

Dimostrare attraverso documentazione (parcelle e fatturazioni) a cosa siano serviti gli 800mila euro di debiti fuori bilancio, in modo da stabilire la correttezza del loro utilizzo. Che cioè siano stati usati per emergenze e non per costruire, faccio un esempio, la macchina di San Silverio.

Chiarire come siano state impegnate le anticipazione di cassa, interrogazione a cui il comune non aveva risposto già nel PRSP precedente. Ovvero come sono stati usate queste uscite urgenti? (E’ stata riparata una scuola distrutta da un evento naturale imprevisto, o sono stati aggiustati risultati di bilancio…..diciamo così non proprio brillanti? ndr) E quei soldi sono stati rimessi in cassa successivamente?

Specificare esattamente se per i contenziosi in essere i soldi ci sono oppure no, chiarendo le modalità precise di contabilizzazione dei residui attivi e passivi. A tal proposito viene richiesta alla Regione Lazio la documentazione comprovante il credito di garanzia a favore del Comune di Frosinone.

Chiarire come è stato imputato precisamente l’importo dell’IMU di ATER. E’ iscritto nel crediti di difficile riscossione? E secondo quale criterio è stato previsto un fondo per contenziosi IMU

Il tutto deve essere trasmesso “ENTRO E NON OLTRE IL 30 SETTEMBRE” altrimenti, dichiara la Corte: le poste per cui le informazioni non verranno rese verranno valutate come non trasparenti e non affidabili”.

TRISTE, SOLITARIO Y FINAL

Visti i precedenti, non so quanto le vicende sul bilancio possano interessare la cittadinanza e le forze d’opposizione. Credo però che l’ulteriore e definitivo azzeramento dei servizi pubblici comunali, diretta conseguenza del debito maturato dall’ente, possa interessare e coinvolgere tutti coloro che attorno all’uguaglianza dei diritti fra i cittadini, stanno cercando di costruire una lotta diffusa per la costruzione di un nuovo blocco sociale. Chi è interessato ci dia una mano.


lunedì 26 settembre 2022

Conclusa questa fiction elettorale di successo, si è in trepidante attesa della prossima

 Luciano Granieri



Il grande spettacolo delle elezioni sta per arrivare alla sua ultima tappa, con il suo carico indecente di attorucoli sfibrati e consunti, a cui solo il grande palcoscenico elettorale può restituire una effimero scenario. 

Tutto sta finendo:

 -Il mega evento condotto da poltronisti di professione a cui, in una sorta di gioco dei ruoli, si sono  contrapposti i falsi paladini della legalità, della sensibilità ambientale caricata a salve, della lotta alla diseguaglianza, che gira e rigira, aumenta la diseguaglianza. 

  -Il Carrozzone dei mastri giornalisti, quelli delle maratone, e i lacchè, che a corto di suggestioni (La guerra non fa più notizia, l’inflazione e la povertà sono un terreno troppo minato da percorrere) si sono gettati a capofitto nel grande spettacolo elettorale benedetto come una manna dal cielo. 

 -Il Carrozzone dei signori dei social, a cui non è parso vero di diffondere nefandezze su quello o quell’altro leader, in perfetto stile “Crisi Totti e Ilary” e di dispensare cazzate raccolte sotto la nobile categoria del “programma politico”(qualche programma serio in verità c’era ma non ha raccolto voti). 

 Siamo arrivati al clou. 

Gli opinionisti illuminati devono ora discutere, se e quale, fra i capibastone perdenti, deve essere esonerato. La giuria tecnica dei “giornalistoni”, pagati dalle lobby finanziarie, ci deve ancora svelare se l’Italia giocherà nel girone europeo della Germania o in quello della Polonia. 

Come si permettono dunque quattro illusi di proporre reclami contro una legge elettorale, che dicono essere incostituzionale perché costringe l’elettore ad incoronare le star scelte dalle corporations, anziché scegliere liberamente i propri rappresentati? Quando mai si è visto che nelle grandi produzioni cinematografiche, o nelle serie TV di successo, gli attori e le comparse li sceglie il pubblico? 

Lasciateci lavorare in pace, non disturbate.

L’astensionismo è arrivato a vette elevatissime (ha votato solo il 63,9% degli aventi diritto).  Meglio, meno persone a rompere le scatole. 

Il sistema elettorale è incostituzionale perché mortifica la partecipazione. Non sarebbe ora di toglierlo di mezzo questo vecchio orpello della Costituzione, buono solo a far perdere tempo a chi deve decidere? Da anni JP Morgan e le grandi banche d’affari americane spingono affinché l’Italia si liberi di questo peso che impedisce il pieno sviluppo della speculazione finanziaria. Dopo tanti tentativi andati a vuoto, ultimo quello fallimentare del Pd di Renzi. Forse ci siamo. Pare che l’erede dei ragazzi di Salo’, Giorgia Meloni, indiscussa e sfavillante trionfatrice dello spettacolo, in grado di mettere d’accordo la giuria popolare con quella tecnica, possa e voglia riuscire ad accontentare gli americani dalla banca Morgan e tutte le grandi corporazioni finanziarie internazionali: il presidenzialismo è bell’e pronto. 

Hanno vinto i fascisti   Era ora!  Finalmente si riesce a chiarire l’equivoco storico che Giorgio Almirante -segretario dell’Msi (partito dal cui simbolo la fiamma mussoliniana è passata sul logo dei Fratelli d’Italia) - individuò e denunciò nel corso di un comizio a poche ore dal voto nel 1956. “L’equivioco cari camerati-disse- è uno, si chiama essere fascisti in democrazia”. Oggi finalmente, dopo diversi tentativi susseguitisi in passato -attraverso tentati golpe, stragi, equiparazione dei ragazzi di Salò ai partigiani, edificazione di monumenti di gerarchi sparsi per la Nazione, e da ultimo una legge elettorale antidemocratica - l’equivoco è risolto. I fascisti in democrazia si trovano benissimo, giureranno financhè sulla Costituzione. Non perché siano mutati i camerati , ma perché si è dissolta la democrazia. 

Prima si prenderà atto di questo, e prima ci si metterà il cuore in pace. Zitti e buoni fino all’uscita della prossima fiction elettorale, che secondo indiscrezioni, sarà molto più eccitante di questa.

venerdì 23 settembre 2022

APPELLO AL VOTO

 Luciano Granieri



VOTIAMO CONTRO IL ROSATELLUM

Fra i ricorsi sollevati dal Coordinamento per la Democrazia Costituzionale sull’incostituzionalità della legge elettorale con cui andremo al voto domenica 25 settembre, esiste quello relativo all’inadempimento dell’art.48 della Costituzione in base al quale il voto deve essere SEGRETO, LIBERO ed UGUALE .

In esso è compresa la norma sulla soglia del 3 %, necessaria a conseguire dei seggi. Questa è assolutamente incostituzionale perché non consente un voto libero.

Cosa succede quando una lista non raggiunge la soglia? 

Se è inserita in una coalizione, ottiene l’1%, ma non arriva al 3% , i voti conseguiti non produrranno seggi, ma saranno distribuiti in maniera proporzionale alle liste della stessa coalizione che hanno superato il fatidico limite

Cosa accade se lo stesso scenario si verifica per una lista non inserita in una coalizione, ad esempio Unione Popolare, o Italia Sovrana e Popolare? 

Quei voti verranno distribuiti a tutte le liste, anche a quelle di centro destra. Il paradosso è che se, ad esempio, Unione Popolare non dovesse raggiungere il 3%,  ed in base agli ultimi sondaggi, purtroppo, è così, una parte dei suoi voti andrebbe alle liste di centro destra,  il resto a quelle di centro sinistra, e al M5S. Siamo in presenza di una vera e propria manipolazione del voto. Per cui chi si esprime convintamente contro certi partiti potrebbe accorgersi che il suo voto è andato proprio a favore di quei partiti per cui non voleva votare. Non credo che chi vota Unione Popolare voglia che la sua preferenza possa andare a favore della Meloni! Ma questo rischio è più che fondato ed infatti è stato presentato ricorso d'incostituzionalità su questa materia. 

Indipendentemente dalla volontà di votare o meno, è necessario presentare ai seggi il reclamo protesta ai sensi degli artt. 74 e 87 T.U. Elezione Camera deputati, tutelato dall’art. 104, c. 5 del DPR 361/1957, applicabile anche al Senato della Repubblica ex art. 27, d.lgs n. 533/1993. Tali reclami verranno trasmessi alle commissioni elettorali di Camera e Senato ed annessi ai ricorsi di incostituzionalità già presentati alla Consulta che, diciamo così, non ha fatto in tempo ad esaminare causa caduta anticipata del Governo. 

E' importante sapere che questa azione non è  fine a se stessa. Infatti in presenza di un numero sufficiente di reclami, considerato che sono in essere ricorsi contro il "Rosatellum" presso diversi tribunali,  l'esito del voto potrebbe  non essere convalidato automaticamente dalle commissioni elettorali di Camera e Senato,  le quali dovrebbero aspettare i pronunciamenti della Corte Costituzionale in merito ai ricorsi presentati contro il Rosatellum.

 E' anche doveroso, secondo me, indicare i responsabili di questa truffa ordita ai danni degli elettori.

Il Pd: è stato proprio un esecutivo guidato dai dem (Presidente del consiglio Gentiloni) a licenziare, a colpi di fiducia (un iter incostituzionale) il Rosatellum. Oltre  ad approvare la modifica costituzionale sulla riduzione del numero dei parlamentari barattando la Costituzione con un posto al Governo. Il tutto dopo essersi dichiarato contrario alla riforma  nelle precedenti sedute in Parlamento tenutesi quando era  in carica il governo giallo/verde.

Il   M5S:  che con l’equazione quasi automatica: parlamentare non grillino, uguale profittatore, ha contribuito alla delegittimazione dell’Istituzione Parlamentare completando il misfatto con la già citata modifica costituzionale sul taglio dei parlamentari  ancora oggi rivendicata da Giuseppe Conte. Una riforma che ha sacrificato il valore della  rappresentanza, costituzionalmente sancita, sull'altare del sospetto e su un ipotetico, quanto propagandistico, risparmio sui costi della politica.  

Il cosiddetto "Campo largo" (Pd-5S),parte della maggioranza del "Governo Draghi" :che non ha provveduto, ad approvare una nuova legge elettorale, così come avevano promesso dopo l’esito referendario.

La destra, componente reale o fittizia (FdI) della maggioranza  draghiana di unità nazionale:  che   non si è preoccupata  della questione. Chiaramente non aveva  interesse a farlo,  la situazione attuale gli consente di governare e forse sovvertire la Costituzione a loro piacimento.

Ed infine piccoli movimenti della sinistra, così detta, radicale, vittime sacrificali di questo mostro antidemocratico: i quali non è che si siano impegnati più di tanto per contrastare questa deriva autarchica. Non ricordo, ad esempio, salvo qualche eccezione, una grande partecipazione di queste formazioni, alla campagna referendaria contro la riduzione del numero dei parlamentari, o contro la legge elettorale, almeno nella provincia di Frosinone. In merito a ciò ribadisco che l'azione politica non si esplica solo in concomitanza delle elezioni, ma va agita sempre a partire delle realtà locali.

Tanto dovuto alla memoria recente, che quasi sempre viene rimossa in favore di un voto utile, che non si capisce a chi possa essere utile, Rivolgo il mio appello elettorale:

 Indipendentemente dalla scelta se votare  o meno,  presentiamo il reclamo-protesta con il Rosatellum, Di seguito i  link su cui trovare tutte le informazioni e i testi da presentare alla segreteria del seggio.

https://www.felicebesostri.it/wp-content/uploads/2022/09/NORME-RIFERIMENTO-PROTESTE-E-RECLAMI-DA-DPR-N.docx

ISTRUZIONI PER PRESENTARE IL RECLAMO

TESTO RECLAMO

mercoledì 21 settembre 2022

Lettera ai direttori delle testate giornalistiche: Modalità di reclamo contro il "Rosatellum"

 LETTERA AI DIRETTORI DELLE TESTATE GIORNALISTICHE



di Felice Besostri

Caro Direttore,

per iniziativa di una serie di comitati e associazioni ripresa da singoli elettori si è predisposto un reclamo, al cui testo ho collaborato, da presentare al seggio elettorale sia che si voti che non si voti. Il segretario ha l’obbligo di allegarlo al verbale ai sensi dell’art. 104 dpr n. 361/1957, che prevede una pena tra 6 mesi e tre anni di reclusione, se si rifiuta. Le giunte per le elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica hanno l’obbligo di esaminarli prima di convalidare i proclamati eletti.

Per ritardare la loro convalida, che renderebbe inutile anche una pronuncia di incostituzionalità della legge elettorale, sarà anche opportuno fare ricorso ai sensi dell’ art. 9 del regolamento Camera dei deputati della giunta delle elezioni o dell’art. 7 del Regolamento del Senato  della Repubblica contro la proclamazione dei singoli deputati o senatori nei collegi uninominali maggioritari.

TALI RICORSI NON COMPORTANO L’INSTAURAZIONE DI UN PROCEDIMENTI GIUDIZIARI E PERTANTO NESSUN RISCHIO DI ESSERE CONDANNATI ALLE SPESE DI GIUSTIZIA ANCHE SE RITENUTI INAMMISSIBILI O INFONDATI.

Allegati:  NORME RIFERIMENTO PROTESTE E RECLAMI DA DPR N° 361 del 1957 s.m.i.

ISTRUZIONI RECLAMO

TESTO RECLAMO

APPELLO PROTESTA RECLAMO


lunedì 5 settembre 2022

Scrollarsi dalle spalle la "scimmia" del Pd.

 A chi è utile il voto utile?



Francesco Pallante

Dal 1996 al 2001 l’alleanza di centrosinistra aveva aperto alla parificazione tra fascismo e antifascismo (discorso di Violante sui «ragazzi di Salò», 1996), introdotto la precarietà nei contratti di lavoro (“pacchetto” Treu, 1997), ridotto la progressività fiscale (riforma Visco, 1997), approvato una legislazione repressiva dell’immigrazione (legge Turco-Napolitano, 1998), trasformato il rapporto Stato-enti territoriali in senso federalista (riforme Bassanini, 1997-1999), realizzato un vasto programma di privatizzazioni (D’Alema, 1999), mosso guerra a uno Stato sovrano senza l’autorizzazione dell’Onu (attacco alla Yugoslavia, 1999), creato scuole di serie A e di serie B con l’autonomia scolastica (riforma Berlinguer, 2000), revisionato la Costituzione in senso regionalista con un risicato voto di maggioranza (riforma del Titolo V, 2001).

Il governo dell’Ulivo aveva predisposto, sul piano culturale e normativo, il terreno per una radicale svolta a destra della politica italiana. Ciononostante, la comprensibile decisione di Rifondazione comunista di presentarsi da sola alle elezioni del 2001 fu vissuta come un tradimento dall’establishment politico-culturale di centrosinistra, che bersagliò il potenziale elettorato di Rifondazione con l’appello al voto utile contro il pericolo del ritorno di Silvio Berlusconi.

Da allora lo schema ha continuato a ripetersi sempre uguale, provocando ogni volta un ulteriore slittamento a destra del quadro politico generale. Il culmine della stagione renziana del Jobs Act, della Buona scuola, degli accordi anti-immigrazione con i libici, della riforma costituzionale tentata nel 2016 è stato da ultimo superato con l’«agenda» che ha animato il governo Draghi, le cui politiche anti-sociali, anti-ambientali, anti-parlamentari e pro-guerra sembrano essere l’esito della negazione, a miope beneficio dei dominanti, delle più clamorose emergenze che minacciano il nostro futuro: le crescenti disuguaglianze, la devastazione ecologica, la crisi democratica, l’olocausto nucleare.

Peraltro, le politiche di destra realizzate dal (sedicente) centrosinistra sempre hanno preparato il terreno alla successiva vittoria politica della destra; meglio: di una destra ogni volta un po’ più a destra di quella precedente. A Berlusconi è succeduto Salvini; a Salvini Giorgia Meloni. Viene da chiedersi a chi toccherà tra cinque anni…

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Disfarsi del condizionamento, conscio o inconscio, del Pd.

Luciano Granieri.

 Prendo spunto da queste note scritte da Francesco Pallante per proporre alcune riflessioni.

 Credo che ormai vada preso atto definitivamente che la svolta della Bolognina del 1989 abbia sancito la nascita di una formazione liberal-riformista che non ha nulla in comune con un partito comunista, ma nemmeno socialista (preso nel senso storico del termine). Ciò che è nato  dalle ceneri del Pci è una formazione  atlantista, d’ispirazione kennediana e successivamente blairiana. Il partito della vocazione maggioritaria, delle primarie, del "chi vince governa". Quindi non c’è da stupirsi se le stagioni del centrosinistra al potere si siano concentrate nell’applicare pedissequamente  le rigide regole scritte nel manuale del perfetto liberista. Forse con un’attenzione maggiore ai diritti civili, ma sempre frenata dalla convivenza con una parte cattolica preponderante. 

In buona sostanza il Pd è un avversario politico per chi è contro la finanziarizzazione dell’economia, per chi è convinto che il reddito debba derivare dal lavoro e non dalla speculazione finanziaria, per chi non sopporta il continuo ed irrevocabile aumento delle diseguaglianze. L’appiattimento totale alla regole del mercato operato  della politica liberal-riformista ha lasciato all’ipernazionalismo di destra la fallace tutela delle classi subalterne.

 Prima si prende atto della reale, del tutto legittima peraltro, impalcatura liberale, oggi sfociata nel peggior liberismo,  del Partito Democratico e prima si può fare qualche passo avanti. 

La questione non è se accettare o meno il voto utile, la questione è fare in modo che esso non venga mai richiesto. E’ tempo che il convitato di pietra “Pd” esca dalle opzioni delle formazioni che si sono costituite , diciamo così, alla sua sinistra. 

Da un lato assistiamo a partitini composti da “vedove del Pd” soggetti che ne sono usciti per ripicca personale, o per altri motivi non propriamente politici, ma che non vedrebbero l’ora di rientrarvi, oppure cercano, da fuori ,di accreditarsi al suo interno, ed infatti si acconciano a fare coalizione insieme ai Democratici con la speranza di avere una qualche considerazione pur nella loro condizione di invisibilità politica.

 Dall’altro assistiamo ad organizzazioni  che misurano la loro purezza comunista in relazione al rapporto più o meno conflittuale con il Pd. Chi, in qualche modo, ha avuto frequentazioni passate con il partito  guidato da Letta, anche se oggi ne prende le distanze, è un appestato anticomunista. Si giustificano ed incensano soggetti, alcuni dalla storia politica veramente insignificante ed ondivaga, nel cui curriculum compaiono imbarazzanti  rapporti con la destra, ma si condanna chiunque sia passato pure per sbaglio sotto la sede di un Pd locale.

Se non si toglie il Pd dal ragionamento, in un senso o nell’altro, una formazione ampia ed unitaria - che possa occuparsi, sinceramente e convintamente, del dilagante disagio sociale, in cui un quarto degli Italiani vive in povertà assoluta, o relativa, in cui un terzo dei lavoratori guadagna meno di mille euro al mese, che affronti l’emergenza ambientale qui ed ora, collegandola alla giustizia sociale - non potrà mai nascere. 

La coalizione di Nupes in Francia, comprendente fra gli altri, il blocco Le France Insumise, i partiti di sinistra coalizzati nel Partì de Gauche, gli ecosocialisti e perfino i comunisti del Pcf, ha ottenuto 131 seggi nel parlamento francese, proprio perché si è scrollata di dosso la variabile riformista, e si è opposta fermamente all’”agenda Macron”. Un tale risultato non sarebbe stato possibile se fosse passata la linea del voto utile, ovvero votare Macron per sconfiggere Marine Le  Pen. 

Ormai, nell'imminenza del voto,  è troppo tardi operare per  disfarsi della “scimmia Pd", ma prima che la china sia irreversibile, è possibile impegnarsi per le elezioni successive - prevedendo anche una legge proporzionale con la possibilità di eleggere direttamente i propri candidati - per costituire una formazione che, non dico tanto, ma almeno abbia a cuore l’applicazione della Costituzione?


venerdì 2 settembre 2022

Taglio dei parlamentari e modifica della Costituzione, la deriva autocratica è alle porte?

 

Jacopo Ricci  2022 LEFT




Chi si è battuto per il no al referendum costituzionale del 2020 aveva ragione: ora, la riduzione del numero degli eletti produrrà un effetto maggioritario a tutto vantaggio delle destre portando alla delegittimazione ulteriore della rappresentanza parlamentare

Avevamo ragione, ma avremmo preferito avere torto.

Avevamo ragione quando decidemmo di batterci in una dura battaglia contro i media mainstream e contro tutte le principali forze politiche per contrastare il taglio dei parlamentari promosso dal Movimento 5 Stelle.

Avevamo ragione quando, isolati e additati come profeti di sventura, sommessamente facevamo presente che la riduzione del numero dei parlamentari avrebbe ingenerato un effetto ulteriormente maggioritario sul sistema elettorale, determinando un innalzamento implicito della soglia di sbarramento e una dote in seggi più generosa per le coalizioni in grado di conseguire la maggioranza relativa dei voti.

Avevamo ragione quando, in un angolo, sostenevamo che il taglio avrebbe consentito alle destre di accentuare l’esito numerico di una vittoria già scontata rendendo plausibile il conseguimento di un numero di seggi idoneo a consentire la modifica della Costituzione senza necessità di ricorrere al successivo voto referendario.

Avevamo ragione quando vedevamo nel taglio del numero dei parlamentari la prima avvisaglia di un’onda più grande, antiparlamentare, contraria alla cultura del costituzionalismo democratico, che si sarebbe abbattuta sull’Italia e sulle sue istituzioni già fragili.

Avevamo ragione quando rimproveravamo al Partito democratico guidato da Nicola Zingaretti di assecondare un processo di modifica strutturale degli assetti istituzionali solo per omaggio ad un governo e a una alleanza legati alle contingenze, un governo che sarebbe caduto dopo soli un anno e cinque mesi, un’alleanza che avrebbe resistito, per forza d’inerzia, per meno di due anni.

Avevamo ragione quando, in più di sei milioni, ci recammo al seggio per segnalare contestualmente un disagio e un senso di appartenenza alla cultura costituzionale italiana.

Avevamo ragione quando decidemmo di manifestare, il nostro dissenso a costo di passare per “quelli che difendevano le poltrone”. Ora di poltrona, rischia di restarne soltanto una: quella del decisore unico, dell’amministratore delegato della Repubblica Italiana che le destre vorranno introdurre modificando la Costituzione del 1948 a colpi di maggioranza. Ora il rischio di una deriva autocratica e cesarista, di una svolta gaullista, di un superamento non soltanto sul piano fattuale ma anche su quello giuridico del parlamentarismo nato dalla Resistenza, è più attuale e concreto che mai.

In piena onestà, non si può far finta di credere che la delegittimazione del Parlamento derivante dal contingentamento della rappresentanza politica per un risibile risparmio di spesa non abbia contribuito a creare i presupposti giuridico-culturali per la messa in discussione della stessa forma di governo parlamentare. Contrastare una tendenza all’avvitamento del sistema istituzionale ed impedire lo stravolgimento delle istituzioni democratiche saranno le sfide più difficili che saremo chiamati a intraprendere nella prossima legislatura, senza garanzie di buona riuscita. Anche questa volta ci additeranno come profeti di sventura. Speriamo solo, stavolta sul serio, di avere torto.


*L’autore: Jacopo Ricci è portavoce nazionale di Nostra – Attuare la Costituzione

mercoledì 31 agosto 2022

Legge Truffa 4.0 Uno schiaffo alla Costituzione e alla partecipazione democratica.

 Luciano Granieri



Ciò che emerge chiaramente dalla seguente trattazione è che tutta l’impalcatura che sorregge il dispositivo elettorale è una grossa presa in giro, è una truffa ordita, per altro, da legislatori del tutto digiuni, consapevolmente o inconsapevolmente, del dettato costituzionale. Anzi dietro questo vero e proprio complotto c’è il desiderio di evitare che la libera espressione dei cittadini possa sovvertire un sistema consolidato messo a guardia degli interessi del capitale. Questo si declinerà in modo diverso, a seconda di chi vincerà le elezioni, ma nella sostanza eserciterà le stesse prerogative

Analizziamo punto per punto le fasi della truffa.

Iter di approvazione della legge incostituzionale.

Il Rosatellum è stato approvato con voti di fiducia dal governo Gentiloni nel 2017. L’articolo 72 della Costituzione precisa che le leggi in materia elettorale devono essere approvate per via ordinaria, non sono quindi previste procedure d’urgenza come il ricorso alla fiducia.

Il sistema di raccolta firme e l’obbligo di presentazione del certificato elettorale è incostituzionale oltre che illegittimo.

L’obbligo di di presentare il certificato di iscrizione alle liste elettorali, insieme con l'accettazione della candidatura è previsto dal dpr n. 361/1957 al suo art. 20. Ad oggi tale richiesta è illegittima perché il 2 settembre del 1990 è entrata in vigore la legge 7 agosto 1990, n. 241. in cui all’art.18 si specifica che il certificato di iscrizione alle liste elettorali, come tanti altri documenti inerenti la pubblica amministrazione può essere sostituito da una semplice autocertificazione.

Modifiche all’art.18 della legge n.241 sono state apportate dalle leggi 6 maggio 2015 n. 52 (Italikum), 3 novembre 2017 n. 165 (Rosatellum), 27 dicembre 2017 n. 205, e da ultimo dalla legge 30 giugno 2022 n. 84 di conversione del decreto-legge 4 maggio 2022 n. 41. Tuttavia, questi interventi non hanno mai toccato le norme obsolete dell'art. 20 del dpr, sull’obbligo della raccolta firme e la consegna del certificato elettorale, ma sono servite per esentare le formazioni presenti in Parlamento dalla raccolta firme, con criteri di volta in volta diversi e valevoli solo per la prima elezioni successive.

Tale produzione legislativa di parte , e a totale vantaggio di chi già occupa uno scranno parlamentare, viola il codice di buona condotta elettorale così come definito dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con la sentenza definitiva 24 marzo 2020 della Sez. IV nel Ricorso n. 25560/13, Cegolea contro Romania.

L’ultima modifica sulla raccolta delle firme viene introdotta nel già citato decreto legge n. 41 del 4 maggio 2022 recante il seguente titolo: “disposizioni urgenti per lo svolgimento contestuale delle elezioni amministrative e dei referendum previsti dall'articolo 75 della Costituzione da tenersi nell'anno 2022, nonché' per l'applicazione di modalità operative, precauzionali e di sicurezza ai fini della raccolta del voto”. Norme dunque relative ai referendum e alle elezioni amministrative. Ma l’art. 6 bis inserito nello stesso decreto è intitolato “Dispositivo in materia di elezioni politiche” Che c’entra considerato che a maggio le elezioni politiche non erano minimamente in cantiere?

Tale dispositivo,recependo parzialmente le modifiche all’art. 18 della legge 241 si articola nel seguente modo: “Le disposizioni dell'articolo 18-bis, comma 2, primo periodo, del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, si applicano, per le prime elezioni della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica successive alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, anche ai partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in almeno una delle due Camere al 31 dicembre 2021 o che abbiano presentato candidature con proprio contrassegno alle ultime elezioni della Camera dei deputati o alle ultime elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all'Italia in almeno due terzi delle circoscrizioni e abbiano ottenuto almeno un seggio assegnato in ragione proporzionale o abbiano concorso alla determinazione della cifra elettorale nazionale di coalizione avendo conseguito, sul piano nazionale, un numero di voti validi superiore all'1 per cento del totale”.

Come detto nel maggio del 2022 le Camere non erano state sciolte e le elezioni politiche non erano alla vista. Quindi oltre a non sussistere la motivazione dell’urgenza, è improprio inserire l’art. 6 in un decreto, che, fra l’altro, si occupa di tematiche diverse. Ma soprattutto non si rispetta l’art. 72 Cost. in base alla quale, come abbiamo visto, le leggi sui sistemi elettorali devono essere sempre approvate con procedimento ordinario.

Figli e figliastri

L’art 6 bis, di cui sopra, è anche una cosiddetta legge-provvedimento” visto che si riferisce alla situazione precisa di alcune liste. Le leggi provvedimento sono illegittime per irragionevolezza e disparità di trattamento (vedi la recente sentenza cost. n. 186 del 2022). Inoltre, sempre per l’art.6, Potere al Popolo, che alle scorse elezioni ha ottenuto voti validi superiori all’1% concorrendo “alla determinazione della cifra elettorale di coalizione” avrebbe dovuto essere esentata dalla raccolta delle firme così come le formazioni con esso coalizzate (Rifondazione, ManifestA e DemA che costituiscono Unione Popolare). Ciò non è avvenuto, mentre altre liste autonome sono state ammesse. Questa disparità è stata giustificata con la discrezionalità del legislatore e con riferimento alla giurisprudenza costituzionale (Corte Costituzionale sentenza n. 48 del 2021, 394/2006, n. 84 del 1997, n. 83 del 1992 e n. 45 del 1967) di interpretazione dell’art. 51 Cost., per il quale le condizioni di eguaglianza del diritto di candidarsi è subordinato “ai requisiti stabiliti dalla legge”. Tuttavia, la discrezionalità del legislatore non può sconfinare nell’arbitrarietà e nell’irragionevolezza, ovvero nella disparità di trattamento, con violazione dell’art.3 della Costituzione che, ricordo, recita: “ Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale (quindi anche concorrere alle elezioni) e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua di religione, di opinioni politiche di condizioni personali e sociali.

E ancora, la legge esenta dalle firme : “….i partiti o gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in almeno una delle due Camere al 31 dicembre 2021 o che abbiano presentato candidature con proprio contrassegno alle ultime elezioni della CAMERA DEI DEPUTATI o alle ultime ELEZIONI DEI MEMBRI DEL PARLAMENTO EUROPEO” E il Senato se lo sono scordato? Il legislatore è a conoscenza che il nostro (per adesso in futuro chissà)è un sistema paritario fra Camera e Senato? Il Parlamento europeo vale più del Senato? O è un provvedimento ad hoc per fare rientrare il gruppo di Calenda ed affini?

Incostituzionalità del voto.

Se un elettore vota per il candidato al collegio uninominale, ma non intende accordare una preferenza ad una dei partiti presenti nel listino proporzionale ad esso collegato, questo si estende ugualmente alla formazione che in percentuale prende più voti. Se a me sta simpatico un candidato che si presenta nel maggioritario, per fatti miei personali, ma non ho intenzione di votare per i partiti a lui collegati nel proporzionale, perché comunque il mio voto espresso nel maggioritario deve incidere anche nel proporzionale? In pratica io delego la mia scelta nel listino plurinominale ad altri elettori che con le loro preferenze determinano il partito più votato nella coalizione. Il mio voto non sarà personale, perché nel plurinominale sarà condizionato dagli altri elettori, non sarà libero perché comunque andrà al partito più votato contro la mia volontà, tutto ciò in palese violazione dell’art. 48 della costituzione che afferma: “ Il voto è personale, libero ed uguale….” Va sottolineato che anche l’impossibilità, imposta dal sistema, di scegliere il candidato che si ritiene più meritevole di fiducia, con l’unica opzione di ratificare una candidatura calata dai partiti non rende il voto libero.

Cosa faro? (anche se la cosa potrebbe non interessare ad alcuno)

Mi  repelle partecipare a questo esercizio plebiscitario mascherato da democrazia. Mi verrebbe di andare a votare per Unione Popolare, per affinità ideologiche e perché, almeno loro, hanno rifiutato il gioco degli ammiccamenti e degli accorddicchi di bassa lega,  con i capi bastone  delle preferenze, pur di  evirare le firme ed elemosinare uno scranno in Parlamento.  I militanti di Unione popolare, pur di partecipare con il proprio  programma senza essere tiranneggiati dalle ragioni del voto utile,  si sono messi a raccogliere le firme in agosto con la gente in ferie, e sono riusciti a raggiungere l’obiettivo,  dimostrando che forse una via democratica, seppur piccola  è ancora aperta. Ma anche in questo caso l’obbligo di votare  candidati  in questa formazione nel mio collegio, che non ritengo consoni a rappresentarmi, senza poterne sceglierne  altri, mi frena molto.

Probabilmente praticherò l’astensionismo con le motivazioni del diniego fatte annotare dal segretario del seggio nel verbale. A me non va di essere preso in giro, soprattutto in relazione ad un esercizio alto quale dovrebbe essere il momento elettorale. Momento che, invece, una massa di burocrati, servi della irreversibilità della dittatura del mercato, sta derubricando a passerella di personaggi improponibili, attenti più all’eclatanza di annunci pubblicitari da propagandare sui social, piuttosto che a spiegare i propri programmi. 

Ma del resto chi glielo fa fare?. Di programmi per lo più irrealizzabili non frega nulla a nessuno, neanche a loro.