Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

lunedì 13 dicembre 2010

12 dicembre: in ricordo di Piazza Fontana. Intervista a Francesco "Baro" Barilli

da http://www.piovonopietre.it/


Francesco "Baro" Barilli E' un "figlio" di quel movimento, della sua domanda collettiva di un altro mondo possibile, della sua indignazione per la repressione e per ogni ingiustizia, della necessità di documentare, scrivere e indagare.ha scritto con Sergio Sinigaglia per la Manifestolibri "La piuma e la montagna" (2008); con Checchino Antonini e Dario Rossi ha scritto "Scuola Diaz: vergogna di stato" (2009) per le Edizioni Alegre; con Matteo Fenoglio, "Piazza Fontana" (2009) per il Becco Giallo.
E, in occasione dell'anniversario della strage di Piazza Fontana, abbiamo deciso di ricordare assieme a lui.

In primo luogo, Baro, cosa accadde il 12 dicembre del 1969?



Paradossalmente, spiegare "il fatto" è la cosa più semplice: una bomba esplode all'interno della Banca Nazionale dell'Agricoltura. Il bilancio iniziale, 13 morti e un centinaio di feriti, si aggrava nei giorni seguenti fino a 16 vittime. Un altro uomo morirà alcuni anni più tardi e verrà riconosciuto come la diciassettesima vittima. Ma dobbiamo ricordare anche la diciottesima: il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli, precipitato da una finestra della questura durante un interrogatorio, nella notte fra il 15 e il 16 dicembre. Sempre il 12 dicembre altri tre ordigni scoppiano a Roma e un altro attentato viene sventato a Milano, alla Banca Commerciale in piazza della Scala: il piano per portare il terrore quel giorno in Italia era di ampio respiro...

Chi è che mise le bombe e chi ordinò agli esecutori di fare la strage?

La sentenza d'appello dell'ultimo processo, confermata in Cassazione il 3 maggio 2005, conclude che "a Padova fu costituito, nell'alveo di Ordine Nuovo, un gruppo eversivo capitanato da Freda e Ventura e che ad esso vanno attribuiti una serie di fatti delittuosi consumati nel 1969, tra i quali campeggiano gli attentati ai treni dell'agosto". A tale proposito preciso che Freda e Ventura furono condannati per gli attentati della primavera-estate del 69 e per associazione sovversiva con sentenza definitiva del 27 gennaio 1987. "Circa la responsabilità di Freda e Ventura in ordine alla strage" il giudizio della Corte milanese "non può che essere uno: il complesso indiziario costituito dalle risultanze esaminate, a cominciare dall'accertamento delle responsabilità irrevocabilmente operate dalle Corti di assise di Catanzaro e Bari ... fornisce a tale quesito una risposta positiva". A tutto questo aggiungerei la posizione di Carlo Digilio, praticamente l'armiere di fiducia di ON. In estrema sintesi: ha dichiarato di aver svolto una perizia tecnica sull'esplosivo, e la Magistratura lo ha ritenuto un teste credibile nell'insieme del suo racconto, ma non nelle chiamate di correità verso quelli che, secondo la sua versione, avrebbero compiuto la strage. Gli sono state concesse le attenuanti e il suo reato è stato cancellato dalla prescrizione, ma dal punto di vista giudiziario non è solo l'unico colpevole accertato, ma anche un altro elemento che ci consente di considerare acclarato il quadro in cui la strage è stata concepita, progettata, attuata.
Dunque nell'ultimo processo, accanto alle assoluzioni, la Magistratura ha espresso un duro giudizio non solo verso Freda e Ventura, ma in generale su Ordine Nuovo (in special modo sulle cellule venete). Si tratta però di un giudizio di colpevolezza che assume un'importanza solo "storico-morale". E se pensiamo che con la sentenza del 2005 si sono aggiunte altre assoluzioni definitive, è difficile pensare che un eventuale nuovo processo possa portare a esiti diversi. Quarant'anni dopo la strage sarà molto difficile arrivare a qualcosa di più di una verità storica ormai consolidata.


La strage di Piazza Fontana è considerata la prima tappa sanguinaria della "strategia della tensione". A quale logica rispondeva e quali obiettivi si poneva la "strategia della tensione"?

Facciamo un po' d'ordine: con "strategia della tensione" si può intendere un periodo storico, ma anche (soprattutto) una "tecnica" adottata per controllare e condizionare la vita politica italiana. Una tecnica, va sottolineato, utilizzata da gruppi di potere non univoci e neppure esclusivamente nazionali, a volte contrassegnati da feroci lotte intestine. Una mescolanza di forze dove possiamo individuare l'estrema destra italiana (innanzitutto Ordine Nuovo), tentata dal fascino di un golpe che avrebbe dovuto portare l'Italia nel novero dei paesi europei soggetti a dittature militari (Spagna, Portogallo, Grecia), nostalgici del regime fascista, ma pure ambienti conservatori inclini a una svolta autoritaria, magari non necessariamente dittatoriale.
Tutta questa premessa per dire che in realtà è più corretto dire che Piazza Fontana, rispetto alla strategia della tensione, è la punta dell'iceberg rispetto al "sommerso". Questo non tanto in termini di "dimensioni", ma in termini di visibilità e di collocazione temporale. Insomma, è vero fino a un certo punto che "con la strage alla Banca si apre la strategia della tensione"; è più corretto dire che il 12 dicembre 1969 questa strategia diventa visibile...
Ovviamente non è possibile stilare un "certificato di nascita" di questa strategia, ma molti studiosi ne individuano l'origine, o almeno uno snodo cruciale, nel convegno che si svolse dal 3 al 5 maggio 1965 all'Hotel Parco dei Principi di Roma. Un convegno organizzato dall'Istituto Pollio (creato dallo Stato Maggiore della Difesa e finanziato dal Servizio Segreto Militare) sulla guerra rivoluzionaria, ovvero sul pericolo rappresentato, secondo i partecipanti, dalla penetrazione comunista nel mondo occidentale. E' lì che prende l'avvio un percorso ideologico e politico che avrebbe portato alle tragedie degli anni successivi.
Ma la strategia della tensione a sua volta va inquadrata in un quadro sovranazionale connotato dalla contrapposizione est-ovest e dalla guerra fredda USA-URSS. A questo proposito voglio ricordare cosa affermò Manlio Milani (dell'Associazione dei caduti di Piazza della Loggia) quando lo intervistai per "La Piuma e la montagna" (scritto con Sergio Sinigaglia, Manifestolibri 2008): "si sta rafforzando la tesi sostenuta dallo storico Nicola Tranfaglia nel suo recente e documentatissimo libro 'Come nasce la Repubblica, 1943/47', per il quale la guerra fredda non comincia nel 1948, ma nel 1943, ossia con lo sbarco degli americani in Sicilia e che vede la collusione fra mafia, forze neofasciste (in primo luogo Junio Valerio Borghese e tutti i 'residui' della X Mas) che si schierano con i Servizi Segreti USA. Yalta verrà più tardi, ma già nel 43 si sapeva che il mondo era destinato ad essere diviso in due blocchi, e l'Italia 'doveva' far parte del blocco occidentale. E' da allora che comincia la strategia per ostacolare le forze di sinistra, e la strage di Portella della Ginestra ne segna l'inizio".
Dunque, la strategia della tensione rappresenta una sorta di ulteriore inasprimento locale di una partita che metteva in gioco gli equilibri mondiali. Una partita in cui non si esitò a mettere in campo disordini, instabilità sociali e terrore diffuso quali elementi-chiave per garantire la permanenza dell'Italia nell'alleanza atlantica, nonché per scongiurare il pericolo di uno "scivolamento a sinistra" del Paese, assai temuto nel periodo 68-69, connotato dalle forti pulsioni sociali conseguenti le lotte studentesche e il cosiddetto "autunno caldo".


Possiamo dire anche che, con Piazza Fontana, nasce anche la controinformazione militante nel nostro Paese?

Sicuramente sì. In particolare il libro La strage di Stato ha letteralmente cambiato la storia dell'informazione, in questo paese, introducendo il fenomeno dell'informazione alternativa. O, per meglio dire, la cosiddetta "controinformazione militante", di cui l'informazione alternativa su internet è l'erede. Perlomeno su Piazza Fontana si può parlare di una lotta vincente: si deve a "questa" informazione, e non certo a quella "ufficiale", se si è fermata l'iniziale campagna che voleva addossare la colpa della strage agli anarchici (e in particolare a Pietro Valpreda), se si è riusciti a combattere la disinformazione che voleva Pinelli prima "gravemente coinvolto" e poi "suicidatosi"... Sulla controinformazione consiglio Bombe a inchiostro di Aldo Giannuli, che ripercorre gli ultimi decenni di storia italiana proprio attraverso un'analisi ragionata di questo fenomeno.

Secondo la giustizia dei tribunali e dei processi gli autori della strage sono sconosciuti. Perchè questo? Perchè a quarant'anni di distanza è impossibile risalire ai colpevoli? Perchè gli assassini del 12 dicembre 1969 sono ancora intoccabili dopo tanto tempo?

Guarda, devo risponderti ancora con Giannuli, che dopo la recente assoluzione di tutti gli imputati al processo per Piazza della Loggia (sentenza, va sottolineato, per cui si dovranno attendere le motivazioni e gli esiti del probabile ricorso in appello, per cui non si tratta ancora di una battaglia persa) ha scritto un ottimo articolo sul suo blog: "la sentenza di Brescia: lo Stato e le stragi", in cui spiega puntualmente le mancanze della magistratura in questa materia.
Aldo accenna anche alla "inadeguata pressione dell'opinione pubblica" fra i motivi dell'ignavia dei giudici. Ecco, io credo che forse la sciatteria della grande informazione (e quindi dell'opinione pubblica) meriterebbe più di un accenno. Intendo dire che Giannuli nel suo bell'articolo si ferma alla magistratura. Lo fa giustamente: lui è storico, professore universitario, è stato consulente delle procure di Milano e Brescia, per cui come forma mentis è portato a quel tipo di analisi (che, sia chiaro, condivido). Io, da mediattivista, sono specularmente portato a vedere le responsabilità dell'informazione. Mi ha colpito, ad esempio, il totale disinteresse con cui è stato seguito l'ultimo processo sulla strage di Brescia, dove i media si sono svegliati solo alla sentenza (quando invece seguono ogni giorno, con morbosità disgustosa, casi di "nera" che potrebbero tranquillamente essere destinati alla sola cronaca locale).
Mi viene da dire che in quarant'anni siamo riusciti ad accertare che a mettere la bomba a piazza Fontana sono stati i fascisti e non le Brigate rosse. Bene, ma a cosa serve se nessuno lo spiega agli studenti, che per la maggior parte sono convinti del contrario, secondo indagini statistiche anche recenti? Certo, si tratta di una disinformazione di cui i giovani sono gli ultimi a doversi sentire colpevoli. E, soprattutto, di una disinformazione solo in parte dovuta a sciatteria, e in gran parte funzionale ad una narrazione della storia a sua volta utile al mantenimento del presente...



Tu, in occasione dei 40 anni di Piazza Fontana, hai pubblicato un libro a fumetti sulla strage. Perchè la scelta di usare il fumetto per narrare Piazza Fontana?

L'ho già detto in passato: la vera domanda sarebbe "perché non è stato fatto prima?" (anche se ad onor del vero Castelli, Gomboli e Manara fecero qualcosa del genere con "Un fascio di bombe" nel '75, recentemente ripubblicato da Qpress, ma fu un episodio estemporaneo, originariamente realizzato per una campagna elettorale del PSI). Ci sono paesi nei quali il fumetto assume a pieno diritto la valenza di mezzo artistico, ma in Italia è considerato ancora un genere di serie B.
Molti quando mi chiedono "perché un fumetto per Piazza Fontana?" s'aspettano ch'io risponda "per avvicinare le nuove generazioni a fatti per loro sconosciuti". Ma non è così, o almeno non è solo quella, la molla. Che con il fumetto ci si avvicini ai giovani è vero ed importante, ma è più una conseguenza collaterale della scelta che non una motivazione.
Mi spiego con un esempio (anche questo, confesso, lo faccio di frequente): è come se uno scrivesse un saggio di 1000 pagine contro la guerra e si chiedesse poi come sia possibile condensare tali tematiche in una canzone di tre minuti e mezzo. Poi ascolta la Guerra di Piero di De Andrè e ogni dubbio sparisce.
Con questo non voglio certo dire che il lavoro realizzato da me e Matteo Fenoglio rappresenti per il fumetto ciò che De Andrè rappresenta per la canzone d'autore. Né io né Matteo siamo così stupidi o presuntuosi. Voglio solo sottolineare come ogni messaggio dipenda dal mezzo artistico che si intende utilizzare e vada rapportato alle sue potenzialità espressive.
Parlando del fumetto, mi sembra indispensabile citare Francesca Dendena, presidente dell'associazione familiari delle vittime di Piazza Fontana, che è recentemente scomparsa, lasciando un enorme vuoto in tutti noi. Lei ci è stata molto vicina per tutta la lavorazione del libro; così come il fratello Paolo e Carlo Arnoldi (figlio di Giovanni Arnoldi, altra vittima del 12 dicembre, oggi è il nuovo presidente dell'associazione).
Avevo intervistato Francesca nel giugno 2005, poco dopo l'ultima sentenza della Cassazione (alcuni brani di quella vecchia intervista appaiono proprio nel fumetto). Nell'anniversario del 12 dicembre 2007 l'ho incontrata nuovamente in un'iniziativa di commemorazione e proprio in quell'occasione Francesca ha letto Patmos, lunga poesia scritta da Pasolini subito dopo la strage. La forza espressiva delle parole di Pasolini, unita al valore simbolico del sentirle recitate proprio da Francesca, mi colpì profondamente. Quando ho cominciato a lavorare al fumetto, accanto a molti dubbi ho avuto fin dall'inizio una sola sicurezza: avrei inserito il brano iniziale, quello finale e tutti i riferimenti alla vittime proprio da Patmos.
E' difficile spiegare in due parole il temperamento e il livello di impegno civile di Franca: posso solo dire che in lei la battaglia di verità e giustizia trascendeva la dimensione personale. Era un dovere: "Quando andammo a recuperare la macchina di mio padre" mi raccontò, "incontrammo alcuni giornalisti e a me - forse per esuberanza giovanile - venne spontaneo dire: mai più... Una cosa del genere non dovrà più succedere. E io, dicevo a me stessa, avrei dovuto impegnarmi affinché un'esperienza così terribile non dovesse capitare ad altri".
Nell'ultima intervista che mi ha concesso, Franca parlò anche della necessità di un "passaggio del testimone della memoria alle prossime generazioni"... Proprio per questo mi sembra doveroso chiudere questa intervista con il suo ricordo...
La sua scomparsa è stata una grande perdita. Per fortuna, conoscendo bene suo fratello Paolo e Carlo Arnoldi, l'associazione resta in ottime mani e continuerà nel proprio lavoro con il consueto impegno e la determinazione di sempre.

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