Un gruppo di
personalità, attive nella vita culturale, civile e politica: Massimo Villone,
Mauro Volpi, Luigi Ferrajoli, Alfiero Grandi, Domenico Gallo, Silvia Manderino,
Mauro Beschi, Guido Calvi, Felice Besostri, Livio Pepino, Antonio Esposito,
Raniero La Valle, Vincenzo Vita, Luigi De Magistris, Moni Ovadia, Sergio
Caserta, Alfonso Gianni, Antonio Pileggi, Giulia Venia, Francesco Baicchi,
Elena Coccia, Roberto Lamacchia, Fabio Marcelli, Paolo Solimeno, Leonardo
Arnau, Paola Altrui, Elisena Iannuzzelli, Margherita D'Andrea, Tommaso Sodano,
Costanza Boccardi, Massimo Angrisano, Antonio Garro tramite l’avv. Danilo Risi
hanno presentato un esposto al Procuratore della Repubblica di Napoli intorno
alla vicenda della nave “Asso 28”.
Secondo informazioni di
stampa il 30 luglio la nave “Asso 28”, società Augusta Offshore di Napoli,
operante in appoggio a una piattaforma petrolifera dell’ENI al largo di
Sabratha (Libia), ha effettuato il recupero in mare in acque internazionali di
101 profughi in fuga dalla Libia (fra cui 5 donne e 5 bambini) e in seguito si
è diretta al porto di Tripoli dove sono stati sbarcati senza alcuna possibilità
di chiedere di asilo o protezione internazionale.
I sottoscrittori
chiedono al Procuratore della Repubblica di Napoli di accertare se in questa
occasione siano stati commessi reati e in questa eventualità da parte di chi,
tenendo conto che una nave battente bandiera italiana è a tutti gli effetti
parte del territorio nazionale, e se possa configurarsi una forma di
respingimento collettivo.
Sulla vicenda della
nave Asso 28 sono state fornite diverse versioni dell'accaduto, tra queste
quella che alla richiesta di coordinamento dei soccorsi all’MRRC (Maritime
Rescue Coordination Center) di Roma non sia venuta risposta o che la risposta
abbia rinviato la responsabilità alla guardia costiera libica.
Se confermato sarebbe
la prima volta una nave italiana avrebbe sbarcato in Libia dei naufraghi
raccolti in acque internazionali dopo la sentenza della Corte Europea dei
Diritti dell’Uomo che nel 2012 ha duramente condannato l’Italia per i
respingimenti in Libia, effettuati da navi militari italiane nel 2009, su
disposizione del Ministro dell’interno dell’epoca.
E’ noto che la Grande
Chambre della Corte di Strasburgo con la sentenza Hirsi Jamaa e altri c. Italia
del 23 febbraio 2012 ha statuito che:
Le
azioni di Stati contraenti compiute a bordo di navi battenti la bandiera dello
Stato, anche fuori del territorio nazionale, rientrano nella giurisdizione
della Corte EDU ai sensi dell’art. 1 CEDU.
L’esecuzione
di un ordine di respingimento di stranieri costituisce violazione dell’art. 3
CEDU, relativo al divieto di tortura e trattamenti inumani o degradanti, quando
vi sono motivi seri ed accertati che depongono per un rischio reale che lo
straniero subisca nel Paese di destinazione trattamenti contrari all’art. 3
della Convenzione (con riferimento alla Libia)
L’allontanamento
di un gruppo di stranieri effettuato fuori del territorio nazionale, in
presenza di giurisdizione dello Stato, senza che venga esaminata la situazione
personale di ciascun componente del gruppo e senza che ciascuno possa
presentare argomenti contro l’allontanamento, integra una violazione del
divieto di espulsioni collettive di cui all’art. 4 Protocollo n. 4 CEDU la cui
portata deve considerarsi anche extraterritoriale.
A norma del codice penale
(art. 4) le navi italiane sono considerate “territorio dello Stato” agli
effetti della legge penale.
I presentatori chiedono
alla magistratura che siano accertate le condotte di tutti coloro che hanno
concorso nell’evento in quanto sussiste pienamente la giurisdizione italiana
sui fatti accaduti.
La richiesta è che
l'Autorità giudiziaria verifichi se vi sia stato un respingimento collettivo di
migranti, vietato dall’art. 4 del quarto Protocollo aggiuntivo alla Convenzione
Europea per i Diritti Umani (CEDU) e dall’art. 19 della Carta dei diritti
fondamentali dell’Unione Europea, in quanto è stato impedito ai migranti
l’accesso alla protezione internazionale poiché forzosamente ricondotti in
Libia, Paese dichiarato posto non sicuro dall'UE e dall'UNHCR nel quale i
migranti sono notoriamente sottoposti a torture, trattamenti disumani e
degradanti in violazione dell’art. 3 della CEDU e dell’art. 33 della
Convenzione di Ginevra sui rifugiati, a cui la Libia non ha mai aderito.
Ad avviso dei
firmatari, stanti le diverse e contraddittorie versioni fornite dalla stampa,
va chiarito anche il ruolo svolto dal Centro Nazionale di Coordinamento del
Soccorso Marittimo (MRCC), contattato dalla nave “Asso 28”, che ha l’obbligo di
coordinare i soccorsi adottando tutte le misure necessarie affinché le persone
soccorse possano sbarcare nel più breve tempo possibile in un luogo sicuro.
L’autorità giudiziaria italiana ha avuto modo in più occasioni di escludere che
la Libia possa essere considerata un luogo sicuro, ai sensi delle convenzioni
internazionali.
In particolare il Gup
del tribunale di Ragusa, con il provvedimento che ha disposto il dissequestro
della motonave Open Arms (dep. in data 16 aprile 2018), ha osservato che “le operazioni SAR di soccorso non si
esauriscono nel mero recupero in mare dei migranti, ma devono completarsi e
concludersi con lo sbarco in un luogo sicuro (POS, Place of safety), come
previsto dalla Convenzione SAR siglata ad Amburgo nel 1979 .. Non può essere
considerato sicuro un luogo dove vi sia serio rischio che la persona possa
essere soggetta alla pena di morte, a tortura, persecuzioni od a sanzioni o
trattamenti inumani e degradanti, o dove la sua vita o la sua libertà siano
minacciate per motivi di razza, religione, nazionalità, orientamento sessuale,
appartenenza ad un determinato gruppo sociale o orientamento politico. Il tema
è evidentemente connesso con il principio di non respingimento collettivo, con
il diritto internazionale dei rifugiati, e più in generale con i diritti
fondamentali dell’uomo.”
I sottoscrittori
dell'esposto confidano che l’Autorità Giudiziaria, accerti l’esatto svolgimento
dei fatti, verificando se vi siano responsabilità individuali private o
pubbliche e ribadiscono di essere mossi dalla preoccupazione che vi sia stata
violazione dell’obbligo di soccorso in mare e della libertà personale delle
persone ricondotte contro la loro volontà in Libia, salvo diversi e più gravi
reati, sottolineano, inoltre, che sarebbe necessario individuare queste persone
e ripristinare il loro diritto individuale di chiedere asilo.
Per firmare accedere al seguente link:
https://www.change.org/p/procura-della-repubblica-di-napoli-chiediamo-verita-e-giustizia-sui-respingimenti-in-libia?recruiter=56550748&utm_source=share_petition&ut
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