Non più nemici, non più frontiere:
Sono i confini rosse bandiere.
O comunisti, alla riscossa,
Bandiera rossa trionferà.
Bandiera rossa la trionferà
Bandiera rossa la trionferà
Bandiera rossa la trionferà
Evviva Lenin, la pace e la libertà!
Questa strofa di "Bandiera Rossa" non la canta più nessuno.
Per una riflessione transnazionale in un momento di eclisse dell'internazionalismo invitiamo a leggere l'articolo che segue, tratto da "L'Avvenire dei lavoratori di Zurigo"la più antica testata del movimento operaio e socialista fondato nel 1894. L'editoriale di Andrea Ermanno è dell' 11 ottobre .
Buona lettura
Partiamo dall’Isonzo, celebrato dalla retorica nazionalista
come “Fiume sacro alla Patria”. In tempi più prossimi è stato giustamente
ribattezzato “Fiume sacro ai popoli d’Europa”. Ma c’è chi vorrebbe riportare
indietro le lancette della storia, e allora non nuoce ricordare il monito
pronunciato dal presidente socialista francese François Mitterrand il 17
gennaio 1995 di fronte al Parlamento Europeo: «Il nazionalismo è la guerra. La
guerra non è solamente il nostro passato, può anche essere il nostro futuro».
Trecentomila. Erano giovani e forti, e sono
morti. Trecentomila ragazzi, italiani e non italiani, hanno lasciato la vita
lungo le sponde dell’Isonzo agli ordini di Cadorna e von Below: Che Diaz li
abbia in gloria!, diceva il poeta Leonardo Zanier. Tra meno di un mese
assisteremo alla celebrazione della “vittoria”. Il 4 novembre 1918, un giorno
dopo l'armistizio di Villa Giusti, gli italiani entrarono a Trento e Trieste.
Fu quella la guerra “che pone fine a tutte le guerre”? No. Il mega-suicidio
collettivo europeo, dal nazionalismo al nazi-fascismo, continuò imperterrito
verso la più grande catastrofe che la storia ricordi.
La globalizzazione
è divenuta irreversibile anche proprio a causa delle guerre mondiali. Di lì in
poi la politica si vede indotta a produrre grandi “narrazioni”. E ripercorrere
le grandi “narrazioni” della politica (seguendo con qualche sostanziale libertà
la periodizzazione di Yuval Harari) ci può qui aiutare a focalizzare meglio lo
stato di cose presenti.
MENO TRE. Nell’anno 1943 – un quarto di secolo dopo la fine
della Grande Guerra e dopo la caduta di quattro imperi, lo zarista, il
prussiano, l’austro-ungarico e l’ottomano (detto "Stato Eterno") – le
grandi “narrazioni” politiche globali sono tre.
C’è la
“narrazione” nazi-fascista, che progetta un mondo determinato secondo rigidi
principi d’ordine, di obbedienza incondizionata verso il capo e di superiorità
razziale del proprio popolo. L’asse Berlino-Roma-Tokyo dispone di una
quindicina di alleati mentre una ventina sono i paesi sottoposti al controllo
delle sue truppe d’occupazione, nell’Europa continentale, nell’Estremo oriente
e in certa parte dell’Africa. I nazi-fascisti esercitano un notevole controllo
anche sull’Atlantico e sul Pacifico, oltre che su ampie zone del Mediterraneo.
Ma dopo le sconfitte di Midway, El Alamein e Stalingrado inizia la loro lugubre
catastrofe.
È il comunismo
sovietico la “narrazione” politica in procinto di assumere il ruolo
predominante su scala mondiale. Stalin si accinge ad esercitare la propria
influenza, diretta o indiretta, su tutta l’Europa orientale, sulla Cina e su
vaste porzioni dell’estremo oriente. In seguito l’egemonia sovietica si
estenderà notevolmente anche in Medioriente, Africa e America Latina.
Nel 1943 la
liberal-democrazia europea è sopravvissuta grazie alla resistenza delle isole
britanniche. Winston Churchill ha posto la Gran Bretagna sotto l’egida degli
USA. Di fatto l’americanismo assume l’egemonia culturale dell’Occidente, che
esce dal conflitto in una condizione di relativa minorità rispetto al mondo
comunista.
MENO DUE. Passano altri venticinque anni e la generazione
dei baby boomers si ribella entrando prepotentemente in scena "contro il
sistema". Il fascismo soccombe definitivamente sotto l’onda d’urto
dell’antiautoritarismo giovanile. Due sono le “narrazioni” sopravvissute: la
liberal-democrazia d’impianto statunitense e il comunismo sovietico. Il
Sessantotto inizia la sua “lunga marcia dentro le istituzioni”, denunciando per
un verso l’assurdità della guerra in Vietnam e per l’altro verso marcando però
il trionfo edonista dell’americanismo rispetto alla imbalsamazione ideologica
moscovita. Il mondo sembra caduto ostaggio per sempre della Guerra Fredda.
MENO UNO. Venticinque anni dopo: Good Bye, Lenin! Siamo
giunti all’anno 1993 e una sola grande “narrazione” rimane in piedi. Francis
Fukuyama lancia la “fine della storia”, tesi secondo cui l'umanità avrebbe
ormai raggiunto il suo culmine con le democrazie liberali. Ma i dispositivi di
allocazione delle risorse e i criteri di redistribuzione della ricchezza escono
dall’ambito della politica per entrare nella sfera d’influenza del potere
mediatico-finanziario. Si sviluppa una diffusa ostilità verso il Welfare, verso
le organizzazioni sindacali, verso i partiti socialdemocratici e verso le
intermediazioni di qualunque tipo, dalla sezione di partito, alla parrocchia di
quartiere, alla bocciofila. Persino le Costituzioni, l’Unione Europea e l’ONU
vengono descritte come catafalchi che impediscono il libero dispiegamento del mercato
globale.
ZERO. Passano altri venticinque anni e, nel dicembre scorso,
si apprende di una sfida scacchistica tra due programmi informatici.
“AlphaZero”, algoritmo sviluppato da Google per l’autoapprendimento automatico,
gioca contro “Stockfish”, il più forte motore scacchistico open source del
mondo. In un match di cento partite “AlphaZero” consegue ventotto vittorie e
settantadue pareggi. Non perde mai. Ma nessuno gli ha insegnato il gioco degli
scacchi. “AlphaZero” lo ha appreso disputando partite su partite contro se
stesso in una sorta di training autogeno molto speciale. Tempo di
auto-addestramento: circa quattro ore. Questo algoritmo, capace di conseguire una
bravura sovrumana e di battere programmi già campioni del mondo, dimostra che
la Artificial intelligence ci sta superando in molti ambiti apicali della
competenza umana: le transazioni finanziarie, i controlli di sicurezza, le
diagnosi medico-specialistiche, le consulenze giuridiche, la progettazione,
eccetera eccetera eccetera.
A fronte di tutto
ciò non si ravvisa alcuna “narrazione” politica plausibile. Ed è financo ovvio,
o quasi, che nel vuoto delle idee i demagoghi abbiano gioco facile nell’aizzare
le folle contro… i messicani, gli eritrei e i migranti in generale. Sicché, un
passo dopo l’altro, si licenziano leggi, si emettono decreti, si erigono muri e
barriere di filo spinato, si chiudono porti e aeroporti. Si provocano ecatombi
in mare. Se parliamo di “narrazioni”
politiche plausibili, quella sovranista non lo è. Ma, per la verità, l’idea
stessa di “politica” sembra oggi smarrita. Forse un grande sforzo collettivo di
molti popoli solidali tra loro potrà metterci in grado di ritrovarla, un’idea
di politica, che è come dire: la nostra residua possibilità di co-decidere del
destino di tutti noi.
L’impennata del
surriscaldamento globale ci pone dinanzi a un appuntamento di solidarietà e di
politica al quale ci presentiamo chiaramente sparpagliati, impreparati e in
ritardo. Ma non è detta l’ultima parola. Potremmo ancora farcela, sostiene lo
storico Harari, se solo osassimo tenere un po’ più sotto controllo le nostre
paure e cercassimo di essere un po’ meno arroganti.
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