Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

venerdì 12 ottobre 2018

Tre Due Uno Zero

A cura di Felice  C. Besostri

Non più nemici, non più frontiere:
Sono i confini rosse bandiere.
O comunisti, alla riscossa,
Bandiera rossa trionferà.

Bandiera rossa la trionferà
Bandiera rossa la trionferà
Bandiera rossa la trionferà
Evviva Lenin, la pace e la libertà!


Questa strofa di "Bandiera Rossa" non la canta più nessuno.



Per una riflessione transnazionale in un momento di eclisse dell'internazionalismo invitiamo a leggere l'articolo che segue, tratto da "L'Avvenire dei lavoratori di Zurigo"la più antica testata del movimento operaio e socialista  fondato nel 1894. L'editoriale di Andrea Ermanno è dell' 11 ottobre .

Buona lettura


Partiamo dall’Isonzo, celebrato dalla retorica nazionalista come “Fiume sacro alla Patria”. In tempi più prossimi è stato giustamente ribattezzato “Fiume sacro ai popoli d’Europa”. Ma c’è chi vorrebbe riportare indietro le lancette della storia, e allora non nuoce ricordare il monito pronunciato dal presidente socialista francese François Mitterrand il 17 gennaio 1995 di fronte al Parlamento Europeo: «Il nazionalismo è la guerra. La guerra non è solamente il nostro passato, può anche essere il nostro futuro».

    Trecentomila. Erano giovani e forti, e sono morti. Trecentomila ragazzi, italiani e non italiani, hanno lasciato la vita lungo le sponde dell’Isonzo agli ordini di Cadorna e von Below: Che Diaz li abbia in gloria!, diceva il poeta Leonardo Zanier. Tra meno di un mese assisteremo alla celebrazione della “vittoria”. Il 4 novembre 1918, un giorno dopo l'armistizio di Villa Giusti, gli italiani entrarono a Trento e Trieste. Fu quella la guerra “che pone fine a tutte le guerre”? No. Il mega-suicidio collettivo europeo, dal nazionalismo al nazi-fascismo, continuò imperterrito verso la più grande catastrofe che la storia ricordi.

    La globalizzazione è divenuta irreversibile anche proprio a causa delle guerre mondiali. Di lì in poi la politica si vede indotta a produrre grandi “narrazioni”. E ripercorrere le grandi “narrazioni” della politica (seguendo con qualche sostanziale libertà la periodizzazione di Yuval Harari) ci può qui aiutare a focalizzare meglio lo stato di cose presenti.

MENO TRE. Nell’anno 1943 – un quarto di secolo dopo la fine della Grande Guerra e dopo la caduta di quattro imperi, lo zarista, il prussiano, l’austro-ungarico e l’ottomano (detto "Stato Eterno") – le grandi “narrazioni” politiche globali sono tre.

    C’è la “narrazione” nazi-fascista, che progetta un mondo determinato secondo rigidi principi d’ordine, di obbedienza incondizionata verso il capo e di superiorità razziale del proprio popolo. L’asse Berlino-Roma-Tokyo dispone di una quindicina di alleati mentre una ventina sono i paesi sottoposti al controllo delle sue truppe d’occupazione, nell’Europa continentale, nell’Estremo oriente e in certa parte dell’Africa. I nazi-fascisti esercitano un notevole controllo anche sull’Atlantico e sul Pacifico, oltre che su ampie zone del Mediterraneo. Ma dopo le sconfitte di Midway, El Alamein e Stalingrado inizia la loro lugubre catastrofe.

    È il comunismo sovietico la “narrazione” politica in procinto di assumere il ruolo predominante su scala mondiale. Stalin si accinge ad esercitare la propria influenza, diretta o indiretta, su tutta l’Europa orientale, sulla Cina e su vaste porzioni dell’estremo oriente. In seguito l’egemonia sovietica si estenderà notevolmente anche in Medioriente, Africa e America Latina.

    Nel 1943 la liberal-democrazia europea è sopravvissuta grazie alla resistenza delle isole britanniche. Winston Churchill ha posto la Gran Bretagna sotto l’egida degli USA. Di fatto l’americanismo assume l’egemonia culturale dell’Occidente, che esce dal conflitto in una condizione di relativa minorità rispetto al mondo comunista.

MENO DUE. Passano altri venticinque anni e la generazione dei baby boomers si ribella entrando prepotentemente in scena "contro il sistema". Il fascismo soccombe definitivamente sotto l’onda d’urto dell’antiautoritarismo giovanile. Due sono le “narrazioni” sopravvissute: la liberal-democrazia d’impianto statunitense e il comunismo sovietico. Il Sessantotto inizia la sua “lunga marcia dentro le istituzioni”, denunciando per un verso l’assurdità della guerra in Vietnam e per l’altro verso marcando però il trionfo edonista dell’americanismo rispetto alla imbalsamazione ideologica moscovita. Il mondo sembra caduto ostaggio per sempre della Guerra Fredda.

MENO UNO. Venticinque anni dopo: Good Bye, Lenin! Siamo giunti all’anno 1993 e una sola grande “narrazione” rimane in piedi. Francis Fukuyama lancia la “fine della storia”, tesi secondo cui l'umanità avrebbe ormai raggiunto il suo culmine con le democrazie liberali. Ma i dispositivi di allocazione delle risorse e i criteri di redistribuzione della ricchezza escono dall’ambito della politica per entrare nella sfera d’influenza del potere mediatico-finanziario. Si sviluppa una diffusa ostilità verso il Welfare, verso le organizzazioni sindacali, verso i partiti socialdemocratici e verso le intermediazioni di qualunque tipo, dalla sezione di partito, alla parrocchia di quartiere, alla bocciofila. Persino le Costituzioni, l’Unione Europea e l’ONU vengono descritte come catafalchi che impediscono il libero dispiegamento del mercato globale.

ZERO. Passano altri venticinque anni e, nel dicembre scorso, si apprende di una sfida scacchistica tra due programmi informatici. “AlphaZero”, algoritmo sviluppato da Google per l’autoapprendimento automatico, gioca contro “Stockfish”, il più forte motore scacchistico open source del mondo. In un match di cento partite “AlphaZero” consegue ventotto vittorie e settantadue pareggi. Non perde mai. Ma nessuno gli ha insegnato il gioco degli scacchi. “AlphaZero” lo ha appreso disputando partite su partite contro se stesso in una sorta di training autogeno molto speciale. Tempo di auto-addestramento: circa quattro ore.      Questo algoritmo, capace di conseguire una bravura sovrumana e di battere programmi già campioni del mondo, dimostra che la Artificial intelligence ci sta superando in molti ambiti apicali della competenza umana: le transazioni finanziarie, i controlli di sicurezza, le diagnosi medico-specialistiche, le consulenze giuridiche, la progettazione, eccetera eccetera eccetera.

    A fronte di tutto ciò non si ravvisa alcuna “narrazione” politica plausibile. Ed è financo ovvio, o quasi, che nel vuoto delle idee i demagoghi abbiano gioco facile nell’aizzare le folle contro… i messicani, gli eritrei e i migranti in generale. Sicché, un passo dopo l’altro, si licenziano leggi, si emettono decreti, si erigono muri e barriere di filo spinato, si chiudono porti e aeroporti. Si provocano ecatombi in mare.    Se parliamo di “narrazioni” politiche plausibili, quella sovranista non lo è. Ma, per la verità, l’idea stessa di “politica” sembra oggi smarrita. Forse un grande sforzo collettivo di molti popoli solidali tra loro potrà metterci in grado di ritrovarla, un’idea di politica, che è come dire: la nostra residua possibilità di co-decidere del destino di tutti noi.

    L’impennata del surriscaldamento globale ci pone dinanzi a un appuntamento di solidarietà e di politica al quale ci presentiamo chiaramente sparpagliati, impreparati e in ritardo. Ma non è detta l’ultima parola. Potremmo ancora farcela, sostiene lo storico Harari, se solo osassimo tenere un po’ più sotto controllo le nostre paure e cercassimo di essere un po’ meno arroganti.

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