25 aprile festa di
liberazione. Liberazione dal nazifascismo, liberazione dal giogo tedesco. Dopo
una lotta crudele e cruenta che ha coinvolto presone normali, quelle che mai avrebbero
immaginato di impugnare un fucile, si è arrivati
a quel giorno di primavera del 1945. Da li è partito il lungo percorso che, attraverso la Costituzione ci ha donato la consapevolezza di essere cittadini, ispirati dai principi di solidarietà iscritte nella stessa Carta.
Ma ad oggi
possiamo definirci completamente liberi, pienamente in grado di disporre della
nostra dignità umana? Evidentemente no perché
quelle lotte ci hanno liberato solo in
parte dal complesso coercitivo che il nazifascismo portava con se. Nelle analisi e negli scritti dei maggiori
esponenti del partito comunista italiano del tempo, dal 1929 in poi, emerge come il fascismo fosse considerato la “serra artificiale del
capitalismo”. Con la lotta di liberazione ci siamo disfatti della serra, ma il
suo contenuto è ancora pienamente in vita, è diventato sempre più coercitivo costituendo a sua volta
una dittatura globale spesso più crudele di quella da cui ci siamo liberati.
Se
la lotta al nazifascismo ha avuto un esito vittorioso, quella al capitalismo è naufragata
. Questa parte di conflitto proprio dalla resistenza aveva tratto nuova
linfa, fluido vitale, ma con il passare
del tempo, anche con il concorso di forze
cosiddette democratiche nate dopo la liberazione, si è essiccato.
La voracità
predatoria capitalistica era ben viva
nel ventennio. Il 4 novembre del 1931 il regime fascista salvò, con denaro pubblico,
la Banca Commerciale italiana dal fallimento assorbendone i debiti attraverso Banca
d’Italia e Cassa depositi e prestiti. La Banca Commerciale Italiana deteneva quote azionarie della più grandi imprese
italiane dell’epoca, dall’industria chimica, a quella idroelettrica, tanto da
concentrare nel suo capitale la proprietà di tutto il panorama industriale che,
ovviamente, veniva gestito in regime di monopolio. La crisi della Comit fu determinata dalla mancata affluenza di capitali americani
(7 miliardi) prosciugati dalla grande crisi del ’29. Dopo poco meno di un
secolo le dinamiche non sono cambiate. Come
non trovare analogie con i recenti salvataggi delle banche in dissesto costati
20 miliardi di euro. Allora come oggi il drenaggio di denaro pubblico verso le
banche costò molto caro alla popolazione e ai lavoratori in particolare.
La
stessa finanzianziarizzazione da parte della Banca Commerciale di tutte le più
importanti imprese fu ordita in combutta con il regime fascista attraverso la
rivalutazione della lire messa in atto da Mussolini. La maggior parte delle
attività produttive basate sull’esportazione
rischiarono il tracollo se la Banca Commerciale Italiana non ne avesse
acquisito le azioni di fatto assumendone il controllo . Così come per mantenere la competitività
delle imprese, a fronte di una lira più forte, furono compressi pesantemente i
salari elargendo agli operai stipendi da fame. Non si rileva qualche affinità a
quanto capita oggi ai lavoratori italiani dopo l’adozione dell’euro?
Ma veniamo ai grandi trusts che oggi definiremmo multi nazionali . La più
importante, senza ombra di dubbio, fu la Montecatini. Durante il ventennio ha controllato
la quasi totalità della produzione siderurgica, estrattiva, energetica, chimica
e bellica . La battaglia del grano
voluta da Mussolini nel 1925 fu una manna per la Montecatini, unica produttrice
di concimi chimici necessari ad implementare i raccolti di cerali . Ma il boom avvenne
con l’avvio delle politiche di guerra e dell’autarchia. Lo studio per la produzione di “ersatz”(carburanti,
gomme, e altri elementi da ottenersi, in mancanza di materia prima, con sostitutivi chimici), la produzione di
zinco e coke metallurgico sancirono il decollo finanziario dell’impresa . Nel 1938 la Montecatini chiuse il bilancio
con un ricavo netto di 180 milioni di lire, in tre anni assicurò 260 milioni di
dividendi agli azionisti i quali si
arricchirono a dismisura proprio grazie a
Mussolini con l’autarchia e le politiche
di guerra che nel contempo, per i prezzi elevati di beni e merci, stavano affamando la popolazione.
Come non trovare
analogie con gli attuali player privati dell’energia e dell’erogazione idrica che, grazie allo shock dell’economia a debito, piegano i governi ai loro desiderata
favorendo leggi e provvedimenti utili ad
assicurare dividendi milionari ai propri
azionisti, espropriando i cittadini dei
beni fondamentali alla vita come l’acqua. Anch’essi realizzano profitti tali da impoverire gran parte della
popolazione.
In un comunicato del maggio 1941, scritto della federazione giovanile comunista d’Italia si legge: “Il fascismo
aveva promesso di liberare il popolo dalla schiavitù del regime capitalistico;
ma oggi tutte le ricchezze del paese sono nelle mani dei grandi capitalisti,
sono monopolizzate dai trusts e dai consorzi. Alcune centinaia di pescecani,
affaristi e di speculatori le amministrano nel loro interesse esclusivo,
schiacciando i produttori piccoli e medi”.
Oggi come allora dunque il mondo
finanziario-speculativo guida i governi totalitari
e non. Oggi come allora la ricchezza
smisurata di pochi è la causa dell’estrema
precarietà di molti . La classe subalterna durante il ventennio vedeva nella propaganda fascista un’effimera
promessa di riscatto, lasciando guidare la propria rabbia dal regime verso l’intolleranza razziale,
verso la discriminazione spinta nei confronti di chi non corrispondesse all’archetipo
del maschio italico e
della donna incubatrice di prole.
Anche
oggi la frustrazione di che si sente solo, titolare del proprio misero “capitale
umano” la rabbia
sorda, guidata dalla propaganda populista, si scaglia contro gli altri ultimi, i
migranti, i discriminati di ogni genere. Oggi come allora non ci siamo liberati
dalla dittatura del capitale, reso ancora più vorace dall’ideologia liberista.
Un regime liquido, etereo che opprime e
umilia, disseminando la vita di quegli ostacoli che la Repubblica dovrebbe
rimuovere per consentire il pieno sviluppo della persona umana.
Ma fra le tante
cose importanti che la resistenza ha insegnato c’è la necessità di unire forze, pur culturalmente diverse fra loro, contro l’oppressore. Facendo tesoro di questo
insegnamento, gli oppressi delle periferie, gli esclusi dal triturante ciclo economico, i
precari della vita dovrebbero unirsi a chi soffre come loro ma arriva dall’altra
parte del mediterraneo. Dovrebbero considerare queste persone non come
usurpatori di miseria ma come compagni di lotta. Buon 25 aprile
a tutti.
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Informazioni tratte da:
"Il dissesto della Commerciale" articolo comparso nella pubblicazione bimestrale "Lo stato Operaio"(ottobre-novembre 1931)
"I grandi lineamenti dell'economia italiana visti attraverso la Montecatini" articolo di Paolo Tedeschi, pseudonimo di Velio Spano, pubblicato il 7 maggio 1938 su "La Corrispondence internationale"
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