C’è modo e modo di
passare dalle parole ai fatti: quello che ha scelto l’Amministrazione Ottaviani
nell’attuare la legge regionale 7/2017 sulla rigenerazione urbana è ispirato al
mero recepimento delle sole norme che favoriscono gli operatori privati anziché
la collettività, con un via libera all’aumento delle cubature e ai cambi di
destinazione d’uso improntato al lassez-faire
più spinto. Insomma, le belle parole della legge, fra le cui finalità si
annoverano (art. 1, comma 1) il miglioramento della qualità ambientale, la
limitazione del consumo di suolo, il risparmio energetico e lo sviluppo delle
fonti rinnovabili, la promozione delle tecniche di bioedilizia, lo stimolo alla
mobilità sostenibile, la promozione del verde urbano, la realizzazione di interventi
per il recupero delle acque piovane, stanno per tradursi in fatti di tutt’altro
segno.
Le due proposte di
delibera al vaglio del prossimo Consiglio Comunale, infatti, saltando a piè
pari i punti qualificanti della legge che si intende attuare, vanno dritte al
cuore dei veri desiderata dell’amministrazione: coltivare il consenso
elettorale agevolando i privati nella realizzazione di quegli interventi di
recupero del patrimonio edilizio che si configurano, nei fatti, come un regalo
a chi, grazie anche ai condoni dei decenni passati, ha contribuito a far sì che
la città si collocasse al terzo posto nel Lazio in quanto a superficie di suolo
consumata (dati ISPRA 2018). Nello specifico, le due delibere riguardano la
facoltà, concessa ai Comuni dagli artt. 4 e 5 della legge regionale, di
adottare disposizioni che permettono il cambio di destinazione d’uso degli
edifici e soprattutto l’ampliamento del 20% della volumetria degli immobili.
Come contropartita, viene richiesto ai privati solo il minimo sindacale imposto
dalla norma regionale, ovvero un non meglio specificato efficientamento
energetico dell’edificio, che potrà verosimilmente tradursi anche solo in un
miglioramento minimo della classe energetica, magari con il semplice passaggio
dalla G alla F, senza alcun obbligo di installazione di impianti di energia
rinnovabile o di creazione di cappotti termici per limitare la dispersione di
calore. Solo per le demolizioni e ricostruzioni si dovrà passare alla classe A,
ma anche in questo caso non si tratta di una scelta del Comune bensì di un
preciso vincolo imposto dalla Regione.
Eppure la L.R. 7/2017 prevedeva altre possibilità per
i Comuni, ad esempio quella, illustrata all’art. 2, di adottare programmi
organici di rigenerazione urbana con chiare finalità di interesse generale,
attraverso un iter caratterizzato dalla partecipazione civica che avrebbe
potuto mettere al centro una nuova visione della città e perseguire gli
obiettivi di una vera riqualificazione urbana, della sostenibilità ambientale,
della riduzione dei consumi idrici ed energetici, della rinaturalizzazione dei
suoli e della creazione di aree verdi. Ma tutto ciò evidentemente non avrebbe
favorito gli interessi elettorali né le clientele su cui si radicano i consensi delle
amministrazioni di vario orientamento politico che si sono succedute nei
decenni a Frosinone.
A ben vedere, la
scelta amministrativa che il Comune si accinge ad intraprendere non è altro che
la seconda gamba su cui si regge la politica urbanistica frusinate: la prima,
come abbiamo già denunciato, risiede in uno sfacciato, antistorico e
anacronistico via libera alle nuove edificazioni, in una riedizione dell’epoca
del mattone selvaggio di cui le gru che oggi svettano nel cielo cittadino ci
consegnano un plastico ricordo. Insomma il Comune, sempre a un passo dal
dissesto finanziario, non disponendo più di denaro pubblico da dilapidare a
fini clientelari, sta decidendo di svendere la più preziosa delle sue risorse,
il suolo, bene pubblico finito e non rinnovabile, fonte di quei servizi ecosistemici
che sono alla base stessa della vita. A pochi giorni dai tragici allagamenti
avvenuti a Palermo, non possiamo non ricordare che il cardine di ogni strategia
per limitare i danni causati da eventi meteorici violenti – purtroppo destinati
ad intensificarsi con l’aggravarsi della crisi climatica – è proprio la
salvaguardia della capacità drenante di ampie porzioni di territorio, possibile
solo preservando il più possibile l’integrità dei suoli.
Per queste ragioni,
c’è bisogno a nostro avviso di una cesura netta rispetto a politiche
urbanistiche che si ostinano a guardare ad un passato che è impossibile
riesumare. Pertanto, vogliamo rivolgere un appello ai consiglieri comunali di
maggioranza e di opposizione affinché il tema della rigenerazione urbana, così
cruciale in una città cresciuta sotto il segno del caos edilizio, venga
discusso con l’approfondimento che merita e con la
lungimiranza richiesta a degli amministratori chiamati al difficile compito di
traghettare Frosinone verso una sostenibilità che non sia di facciata.
Stefano Ceccarelli
Presidente
Circolo Legambiente “Il Cigno” di Frosinone APS
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