Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

venerdì 20 luglio 2012

Assumi tre e paghi uno

Luciano Granieri


 La Fiat nel primo semestre 2012 ha subito un calo di vendite rispetto all’anno precedente, pari al 19,7%. (-24,4% solo a giugno) Questa notizia è musica per le orecchie  del  tagliatore di teste Sergio Marchionne. In realtà, per qualsiasi  amministratore delegato una dato del genere dovrebbe segnare un fallimento, anzi dovrebbe indurre la proprietà a licenziare il suddetto   amministratore delegato che, fra l’altro, percepisce un stipendio 500 volte maggiore  a quello di un operaio.  Non è il caso di  Marchionne. Infatti l’obbiettivo non dichiarato, ma del tutto evidente, del manager italo-canadese e dalla Fiat che lo paga così profumatamente, non è quello di vendere autovetture bensì quello, di svendere mano d’opera .   Ridurre all’osso il  costo del lavoro sbattendo in mezzo alla strada i lavoratori italiani, e trasferendo i siti industriali in Serbia e in altri paesi dove un operaio viene sfruttato con una retribuzione da fame, corrisposta  in parte dallo Stato che ospita gli stabilimenti, è il "must".  Il tutto con somma soddisfazione degli azionisti che grazie a queste operazioni intascano cospicui dividendi . Dunque il calo delle vendite non è una iattura ma una ulteriore giustificazione per chiudere stabilimenti in Italia e trasferirli all’estero. Gli operai questo l’hanno capito bene . La dichiarazione di Marchionne secondo cui, proprio a causa della crisi di vendite, che determina dinamiche  di sovra produzione, è necessario  porre in cassa integrazione gli operai dello stabilimento modello di Pomigliano, e poi chiudere almeno una fabbrica, o quantomeno accorparla con un altro sito, non fanno altro che trasformare  il timore in  crudele e triste presagio. Coloro i quali tremano  più di tutti  sono gli operai di Piedimonte S.Germano che,  vedendo passare sotto la catena di montaggio solo i componenti della Giulietta, sospettano, a ragione, che lo stabilimento ciociaro  sarà il primo ad essere tagliato, o al massimo accorpato a Pomigliano. Prima di addentrarmi sulle ragioni per cui la FIAT subisce un tale bagno di sangue in termini di vendite, vorrei riportare alla memoria quanto accadde in occasione del referendum a Pomigliano.  Vorrei ricordare a tutti i sindacati, gli amministratori locali e nazionali, che invitavano gli operai di Pomigliano a votare il piano schiavista imposto da Marchionne,  perché ciò avrebbe significato l’assicurazione della produzione Panda nello stabilimento campano, l’impegno da parte del manager italo-candese a riassumere tutti gli operai licenziati prima della riapertura , e   a  investire 20 milioni di euro per il rilancio produttivo, che forse non fidarsi delle promesse di un tale squalo sarebbe stata cosa buona e giusta. La FIOM lo aveva capito e ha lottato fino all’ultimo pagando dazio con la cacciata dei propri iscritti dalla fabbrica.  Ricordiamo le dichiarazione del democristiano  Bonanni della Cisl, il quale se la prendeva con i metalmeccanici della CGIL perché, secondo lui, non ci si poteva  arroccare sulla difesa dei   diritti relativi ai metodi   di  lavoro  se il lavoro non c’era. Col senno di poi  ci siamo resi conto   che i diritti sono sfumati, a causa del risultato referendario,   ma è sfumato anche quel lavoro, l’assicurazione del quale,  secondo Bonanni, doveva far digerire le nefandezze iscritte nel  ricatto referendario.  Pomigliano va in cassa integrazione per tutta l’estate, e un altro stabilimento è a rischio concreto di chiusura.  Se fossi un operaio che ha votato a favore del referendum secondo le indicazione del mio sindacato di regime,  pretenderei le dimissioni di coloro che all’interno di quel sindacato hanno spinto affinché si votasse il piano Marchionne, e chiederei la denuncia per truffa di Marchionne stesso.  Ma veniamo al punto relativo alla crisi delle vendite. E’ evidente che tutto il mercato dell’auto segna il passo. La Fiat però oltre che dalla crisi è punita da una gamma di vetture, o obsolete, o  male posizionate in termini di marketing. Cominciamo da Cassino. Oltre alla Giulietta qui si produceva la Lancia Delta, che ha lo stesso autotelaio della Giulietta, e la Bravo. Quest’ultimo modello era già vecchio, in termini di contenuti tecnologici sin dal 2007, data della sua nascita. Il segmento "C" è una  tipologia di autovetture comprendente  Bravo, Giulietta, e Delta, ma anche  Golf,  Audi A3,   Ford Focus, tutte auto  tecnologicamente più avanzate rispetto alla Bravo, che non è mai riuscita a conquistarsi una fetta di mercato significativa . Veniamo alla Punto. Questo forse è il modello che ancora tiene un po’ in piedi la baracca. Prodotta a Melfi,  pur non proponendo  contenuti tecnici eccelsi, presenta comunque un ottimo rapporto qualità prezzo, per cui ancora oggi rimane leader del segmento "B" quello comprendente modelli tipo  la VW Polo, la Opel Corsa e la Ford Fiesta. La 500, vanto dello stabilimento di Tichy (Polonia),  nata come vettura status, tale da presentare un prezzo decisamente sopra la media, ha tenuto fino a quando le condizioni economiche consentivano ai figli di professionisti, o a signore benestanti, di spendere mediamente 15mila euro per un attrezzo che attualmente  viene definito  il beauty case di Jennifer Lopez. Oggi la crisi ha messo in luce il costo eccessivo rispetto ai  contenuti dell’auto, segnando  una caduta delle vendite.Tanto che la Fiat sta cercando di riposizionare il prezzo per renderla più appetibile. L’"Idea" non esiste più  sarà sostituita dalla “Cinquecentona” che anziché essere costruita a Mirafiori,  come promesso da Marchionne in cambio della sottoscrizione  a Torino dello stesso piano schiavista di Pomigliano, verrà prodotta in Serbia, altra truffa ai danni degli operai torinesi. Del Freemont macchinone americano importato in Italia con il marchio Fiat meglio non parlare. Non solo non si vende, addirittura  diventa complicato anche ordinarlo. Ma il flop vero è quello della nuova Panda. La vettura su cui Pomigliano basava la sua rinascita.  Bisogna considerare che la Panda così come conosciuta fino a ieri è stata forse l’ultimo  grande successo della Fiat. 4milioni e cinquecentomila vetture vendute dal momento della presentazione del primo modello fino ad oggi. La Fiat “p’andà ndo’ te pare” era , ed è, perché ancora in produzione (in Polonia), una vettura economica versatile, dalla personalità ben definita che la rende veramente una delle utilitarie di maggior  successo. Andare quindi a modificare  una linea così competitiva  è sempre un’operazione rischiosa. Facendolo snaturando completamente l’immagine del  modello è suicida. La nuova Panda secondo Fiat dovrebbe ricalcare le orme della 500, ossia un’auto  dallo stile  particolare, desiderabile. In effetti la vettura è gradevole in termini di design sia esterni che interni , diciamo pure che è bella, il che dovrebbe giustificare un prezzo di 14mila euro, aria condizionata e radio incluse. L’immagine  Panda però da sempre è  associata ad una vettura economica. Panda è sinonimo di un mezzo che con pochi soldi ti consente di andare dove vuoi con un discreto confort. Quindi le aspettative di che si avvicina  alla nuova creature made in  Pomigliano non sono  quella di trovare un’auto così costosa seppur bella, tutt'altro . Infatti in termini di vendite la vettura è stato un flop vero e proprio e anche in questo caso è in atto da parte di Fiat una massiccia operazione di riposizionamento  del prezzo al ribasso che ancora risulta insufficiente.  Come si vede al di là della assenza completa di investimenti sull’evoluzione tecnologica, la gamma Fiat subisce le conseguenze di politiche di marketing dissennate che pongono i modelli della multinazionale italo-americana fuori dal mercato, in una posizione poco competitiva rispetto alla concorrenza. E perché la causa di queste defaillance di management devono ricadere sugli operai?  Perché, e torniamo al tema con cui abbiamo aperto il post, A FIAT NON INTERESSA VENDERE AUTOVETTURE MA SVENDERE MANO D’OPERA.




P.S.
Per chi ancora non lo sapesse, preciso che la mia professione è quella di consulente di vendita presso una concessionaria Fiat della zona, per cui le problematiche commerciali della casa torinese, mi sono ben note.

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