Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

giovedì 7 febbraio 2013

Aspettando "Trane"

a cura di Luciano Granieri

dal libro "Stasera jazz" di Arrigo Polillo.


"  ll quartetto di John Coltrane con McCoy Tyner, Elivin Jones e Jimmy Garrison, venne per la seconda volta a Milano nell’ottobre del 1963. Le emozioni cominciarono subito all’aeroporto, quando ci accorgemmo che fra i passeggeri appena arrivati da Amsterdam non c’era –contrariamente alle previsioni – proprio nessuno che assomigliasse a Coltrane e compagni. Avevamo purtroppo poco tempo a disposizione: l’aereo che avrebbe dovuto portare i nostri eroi era atterrato a Linate verso le due e mezzo del pomeriggio, e il primo dei due concerti sarebbe dovuto cominciare due ore dopo.
Accertato che il successivo aereo da Amsterdam  sarebbe arrivato verso e cinque e mezza, prendemmo le misure necessarie per fronteggiare la difficile situazione: uno di noi corse in teatro per essere pronto a comunicare al pubblico quanto gli avremmo fatto sapere per telefono: e cioè che l’inizio del concerto sarebbe stato posticipato all’ora x, oppure che sarebbe strato annullato. Gli altri, fra cui io, rimasero all’aeroporto per cercare di sapere in anticipo se fra i passeggeri del successivo volo ci fossero i nostri amici, e per poi accompagnarli al teatro. Fu Barazzetta che, valendosi di sue conoscenze, riuscì ad ottenere ciò che ci venia dichiarato impossibile, e cioè farsi confermare  - quando già l’aereo era in volo –  che su di esso viaggiavano i Signori John Coltrane  e C. (Ricordo ancora chiarissimamente l’emozione con cui apprendemmo al telefono ch i quattro passeggeri da noi ricercati erano in volo verso Milano…). Come Dio volle, i nostri atterrarono a Linate. Li caricai sulla macchina e mi avviai a tutta velocità verso  teatro, dove il pubblico, tenuto al corrente di quanto stava succedendo, era in paziente attesa da n paio d’ore (nessuno aveva chiesto l rimborso del biglietto, che pure avevamo offerto: per Trane valeva la pena aspettare..). Mentre guidavo i miei nervi erano tanto tesi che ebbi un lapsus: invece di dire che il  pubblico stava aspettando da ore (hours) in teatro, dissi ai quattro che aspettava da anni (years), otenendo come risposta una fragorosa risata che mi rivelò che, fra i cinque uomini che si pigiavano nell’automobile, l’unico veramente preoccupato ero io. Po feci a Coltrane questo discorsetto: “Ormai non c’è tempo per un intervallo sufficientemente lungo per andare al ristorante, fra un concerto e l’altrp. Al massimo possiamo fare un intervallo di mezz’ora durante il quale potrete mangiare delle bistecche  che faremo portare in camerino”. Mi confortò tranquillo “Okay”: evidentemente il nostro si immedesimava nella situazione, anche se sembrava calmissimo.
Arrivato in teatro divenne ancora più calmo: si cambiò d’abito (suonava sempre in smoking) con grande lentezza, fece un po’ di toilette, e poi si rilassò per alcuni minuti; e i sui uomni feero altrettanto. In quel modo si perse un’altra mezz’ora e si arrivò alle sete. E’ vano aspettarsi da un musicista di jazz americano dei movimenti affrettati prima del concerto; alcuni minuti di relax (a base di sigarette più o meno “pesanti”) prima di suonare sembrano assolutamente indispensabili.
Ma torniamo a Trane e i suoi. Quella sera ci regalarono dello splendido jazz suonando quasi senza soluzione di continuità per più di quattro ore. Ci fu il previsto intervallo di mezz’ora per la bistecchina in camerino, ma per il resto: non-stop. Se si pensa che un assolo di Coltrane poteva continuare senza interruzione per tre quarti d’ora si può avere un’idea del tour de force a cui i quattro si sottoposero.
Eppure alla fine dei due concerti, il leggendario sassofonista sembrava fresco esattamente come era in principio. Come allora (quanto tempo era passato dal primo My favourite things della giornata? A me sembrava un’eternità) rispondeva quietamente, con un dolce, paziente sprriso sulle labbra, a qualunque domanda gli venisse rivolta. Era un uomo “serafico”: qesto è l’aggettivo giusto. Proprio il contrario della sua musica, tumultuosa, ubriacante.
Quel sorriso mi diede il coraggio di rivolgergli alcune domande formali nella speranza di ottenere risposte sufficienti per cavarne un’intervista. Poi però troncai corto, perché provai della compassione per gli altri  tre uomini  che, dopo aver fatto un viaggio da Amsterdam a Milano e aver dato due concerti di fila, il tutto nel giro di sei ore o giù di lì, avevano il diritto di andare a dormire. Tuttavia feci in tempo  a ottenere qualche riposta, e la ricordo bene. Tra l’altro rammento la scarsa importanza che Coltrane annetteva a un suo  disco che a me pareva ottimo, Olè Cotrane, e ricordo soprattutto l’incredibile modestia di cui, con ogni sua risposta dava prova. A un certo punto mi disse di avere un contratto con la Impulse che lo obbligava a registrare tre LP all’anno. “E’ un problema serio” mi disse a questo proposito. “ Per registrare tre dischi bisogna  avere inventato tanta di quella musica! Nei dischi bisogna mettere solo il meglio di quanto si è inventato e suonato durante l’anno, e i non so proprio come farò…”  Rividi l’ultima volta Coltrane, ancora con i sui tre amici , al Festival del jazz di Juan les Pins, nel luglio del 1965. Gli sentii suonare un magnifico A Love Supreme (era la prima volta che ascoltavo da lui questo pezzo oggi famoso, perché allora il disco non era ancora arrivato in Italia) e poi andai fra le quinte a salutarlo e a congratularmi con lui. “Guarda chi c’è” disse a Tyner, col sorrisetto serafico che conoscevo già. E’ inutile aggiungere che, nonostante l’impegnativa impresa (A Love Supreme durava circa  tre quarti d’ora), era fresco come una rosa."
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Vogliamo proporre a tutti gli appassionati di jazz e ai nostri naviganti le gesta dei quattro personaggi protagonisti del racconto di Polillo. I video che seguono infatti vedono, John Coltrane –sax tenore e soprano, McCoy Tyner - pianoforte, Elvin Jones – batteria e Jimmy Garrison al contrabbasso,  impegnati nell’esecuzione di tre brani emblematici della poetica jazzistica del quartetto. Il set fu registrato a San Francisco nel dicembre del 1963  e faceva parte di un ciclo televisivo prodotto dal giornalista e critico musicale Ralph J.Glesason, denominato Jazz Casual. I brani in questione sono “Afro Blue” scritto da Mongo Santamaria, un pezzo in tre quarti. Una struttura ritmica molto congeniale al quartetto del sassofonista di Hamlet North Carolina, basti pensare che la stessa forma ritmica  è la base di My Favoirute Things il brano tratto dall’omonimo valzer di Roger e Hammerstein,  utilizzato come colonna sonora di “Tutti insieme appassionatamente”, che segnò uno dei capolavori assoluti di Coltane. L’improvvisazione che Coltrane sviluppa in Afro Blue, prima con il soprano e poi con il tenore,  è costruita secondo la logica modale.  Un  linguaggio che sposta il fluire della melodia al di fuori del contesto definito dagli accordi.  Segue “Alabama” una composizione dello stesso Coltrane, un brano dall’atmosfera mistica, austera. Dopo l’enunciazione del tema, l’improvvisazione si snoda uscendo dal recinto  degli accordi per svilupparsi ancora una volta su un binario modale. Il terzo pezzo è Impression,  sempre di Coltrane. Una favolosa cavalcata improvvisativa in cui tutti i musicisti si esprimono su livelli straordinari. McCoy Tyner sfodera una assolo straordinario, grappoli di note si susseguono in modo brillante. La mano sinistra sfodera un  tocco poderoso, sempre alla scoperta di nuove armonie, e la  destra è impegnata a impreziosire il tutto con arpeggi veloci e finissimi. Impressionante è la parte in cui restano soli Coltrane e Jones a rincorrersi con brillanti suggestioni. Elvin Jones è immenso mostra una libertà ritmica inusitata, intensa, capace di fondersi perfettamente con l’esuberanza improvvisativa di Coltrane, l’assolo di Garrison è una perla, il suo contrabbasso sembra a tratti un’orchestra.  Ascoltando questi tre brani si può facilmente intuire la ragione per cui il pubblico di Milano rinunciò a farsi rimborsare il biglietto e attese pazientemente due ore per l’esibizione del quartetto di Coltrane. John Coltrane, pur nella tranquillità e mitezza del suo carattere, riuscì ad esprimere una musica dalla forte connotazione politica   e di lotta per i diritti sociali e civili dei neri e di tutte le categorie sociali emarginate . Il suo stile, forgiato dall’esperienza del Rythm and Blues, del Be Bop, dall’aver avuto compagni di viaggio come Miles Davis e Thelonius Monk  e dall’improvviszione modale, evoca i canti di lavoro degli schiavi neri e la rabbia che esplodeva nei ghetti. Non c’è dubbio che Cotrane fu il degno continuatore di quella rivoluzione espressiva iniziata da Charlie Parker.
Good  Vibrations.

Luciano Granieri


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