Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

domenica 28 luglio 2013

Egitto Nessuna fiducia nel nuovo governo fantoccio dei militari e dell'imperialismo!

dichiarazione della Lit - Quarta Internazionale
Prendendo le redini del proprio destino, l'imponente lotta delle masse popolari egiziane torna a sconvolgere il mondo. Una nuova data è entrata nella storia dell'eroica rivoluzione del Paese più popoloso della regione: 30 giugno 2013. Durante quella giornata, le strade e le piazze delle principali città d'Egitto sono state prese da una incontenibile manifestazione di milioni di persone. Il ruggito di quei milioni ha espresso una sentenza categorica: via Morsi!
Il governo guidato da Mohamed Morsi, basato su un accordo tra la Fratellanza Musulmana e gli alti vertici militari, è crollato dopo tre giorni da quell'inappellabile verdetto delle piazze.
L'esperienza delle masse, accelerata al massimo dal processo rivoluzionario in corso, ha fatto si che un anno di mandato fosse sufficiente perché Morsi, che non ha dato risposta a nessuna delle aspirazioni popolari dopo la caduta di Mubarak, si trasformasse in un cadavere politico.
Il popolo lavoratore, stanco, si è sollevato con molta più forza che in quelle gesta contro il dittatore e ha rovesciato un altro presidente in meno di tre anni, confermando e rafforzando tutto il processo di rivoluzioni che scuote il Nord Africa e il Medio Oriente, che fino ad ora ha rovesciato Gheddafi in Libia, Ben Alì in Tunisia, Saleh in Yemen e che sta affrontando Al Assad in Siria.
Sulle strade, nelle piazze e accerchiando i palazzi, le masse egiziane scrivono una nuova pagina nella storia della loro rivoluzione; una rivoluzione che continua il suo corso e si dimostra permanente, ininterrotta, nella quale le masse hanno dimostrato chiaramente che la caduta di Mubarak è stato solo l'inizio.
Il rovesciamento del governo di Morsi significa una nuova e immensa vittoria delle masse popolari. E come tale è stata riconosciuta e festeggiata fin dall'inizio dalle masse egiziane. E' una vittoria perché l'elemento determinante che ha rovesciato Morsi è stata la colossale mobilitazione popolare.
Il regime militare imperante nel Paese, che è riuscito a sopravvivere alla caduta di Mubarak, sebbene non è stato distrutto, è uscito malconcio e indebolito dall'azione delle masse, poiché le masse comprovano nuovamente che è possibile imporre il cambio di un governo mediante la loro forza nelle strade.
Questo perché il piano del regime era che il governo di Morsi avrebbe goduto della stabilità sufficiente per portare il suo mandato fino alla fine. La cupola dei generali si è vista obbligata, forzata dalla mobilitazione di massa, a sacrificare un altro governo asservito ai suoi interessi: prima quello di Mubarak, ora quello di Morsi.
I militari hanno dovuto fare questa manovra contro la loro volontà, come misura per placare la tremenda mobilitazione di massa che aveva preso tutto il Paese e minacciava la sopravvivenza stessa del regime militare.
Hanno dovuto cambiare un altro fusibile e la situazione del regime, con ogni colpo che il movimento di massa gli assesta, si fa più precaria, più fragile, ma ancora riesce a manovrare.
Per la Lega Internazionale dei Lavoratori - Quarta Internazionale, come abbiamo sostenuto in altre dichiarazioni, questo è il contenuto del fatto e del processo. E' molto importante tener presente questo, poiché è naturale che vi siano dubbi e confusioni, sopratutto a partire dalla forma con la quale è occorsa la deposizione finale di Morsi: un golpe dell'Esercito.
L'intervento militare che, nel mezzo delle mobilitazioni, ha concretizzato la destituzione di Morsi, sebbene sia la contraddizione e non l'essenza del processo, non è un elemento di minor importanza, poiché a partire dallo stesso si è insediato un nuovo governo in Egitto ed è in marcia tutto un nuovo piano politico, una “road map”, sempre orchestrata dai militari, che mantiene lo stesso obiettivo delle classi dominanti e dell'imperialismo dalla caduta di Mubarak: sconfiggere la rivoluzione.
Ma la prima e fondamentale cosa è comprendere che, indipendente dalla forma, la caduta di Morsi, come fu quella di Mubarak, è un'enorme vittoria rivoluzionario delle masse egiziane, che con le loro azioni debilitano i militari e anche l'imperialismo statunitense, che sostenta questo regime da più di 30 anni.
La caduta di questi governi ha nuovamente minato la stabilità del regime e l'ha messo sulla difensiva. Per mantenersi al potere, i generali hanno dovuto fare una serie di concessioni sul terreno democratico (l'ultima è stata sacrificare Morsi), ma si mostrano incapaci di fare lo stesso in campo economico. Il risultato di questo processo è un grado sempre maggiore di instabilità del regime. Il "golpe" preventivo non ferma il processo anzi lo stimola.
Questa situazione inevitabilmente porterà le masse scontrarsi con il nuovo governo, nello stesso modo in cui hanno affrontato Mubarak e Morsi, poiché la crisi economica si aggrava ogni giorno che passa.
La contraddizione del processo: perché i militari aumentano il loro prestigio?
Definito l'essenziale nella caduta di Morsi (l'azione delle masse), dobbiamo capire qual è e quali conseguenze ha la contraddizione di questo processo: il fatto che, in effetti, sono stato i militari quelli che, davanti alla mobilitazione delle masse che minacciava il regime nel suo insieme, hanno saputo ricollocarsi in tempo e intervenire, dando un ultimatum e deponendo dalla presidenza Morsi.
Con questa mossa, l'Esercito ha usurpato le masse e ha assunto la guida del processo, evitando che le masse popolari continuassero la mobilitazione fino a scacciare quel governo.
Questa mossa ha dato ai generali molto prestigio tra la popolazione, oltre a causare una grande confusione nell'avanguardia e nella sinistra antiregime, che hanno lottato incessantemente contro Mubarak e Morsi.
Tale contraddizione deve essere spiegata e diventa necessario capire la ragione della fiducia e dell'appoggio popolare alle Forze Armate.
Il fattore più immediato è che, come si sa, di fronte alle grandi mobilitazioni che hanno rovesciato Mubarak e Morsi, piuttosto che reprimere e orchestrare un bagno di sangue, come ci si aspetta da un regime militare controrivoluzionario, si sono visti obbligati a riposizionarsi e a fare concessioni democratiche, al punto di destituire i loro due ultimi governi.
Giocando questa carta, potevano presentarsi ed essere visti da ampi settori come “amici” e “guardiani” delle aspirazioni delle masse.
Ma il prestigio politico dell'Esercito egiziano ha radici più profonde e storiche. Finanziate direttamente dagli Usa, a partire dagli accordi di pace di Camp David con Israele, il prestigio delle Forze Armate si basa, contradditoriamente, sul loro passato antimperialista.
E' correlato al nazionalismo e panarabismo nasserista, che affrontò e destituì la monarchia, affrontò l'imperialismo e arrivò a nazionalizzare il Canale di Suez, misura radicale che, inoltre fu difesa militarmente nel 1956, durante una guerra in cui l'Egitto affrontò Gran Bretagna, Francia e Israele. La reputazione dei militari ha a che vedere, anche, con le guerre che intrapresero contro Israele: la Guerra dei Sei Giorni, nel 1967, e quella dello Yom Kippur, nel 1973.
Tuttavia, questa prestigio non si è mantenuto intatto. Non possiamo dimenticare che durante il periodo di governo della Giunta Militare, tra la caduta di Mubarak e l'elezione di Morsi, un'ampia avanguardia e anche settori importanti del movimento di massa fecero una esperienza più diretta con il proprio Esercito.
Le misure della Giunta Militare, da febbraio 2011 al giugno del 2012, hanno generato un processo di logoramento che è andato erodendo progressivamente il prestigio acquisito dai militari dopo aver cacciato Mubarak.
Di fronte a questo e con la vittoria elettorale della Fratellanza, che ha sconfitto di stretta misura il candidato diretto della Giunta, Ahmed Shafik, i militari hanno accettato che la Fratellanza assumesse la guida del governo, a condizione che garantisse le fondamenta del regime, vale a dire: il peso e i privilegi economici delle Forze Armate, che controllano non meno del 30% dell'economia e gli accordi politici e militari con gli Usa e Israele. Oltre a questo, la Fratellanza ha dovuto assolvere il compito di controllare il movimento di massa. Un patto chiaramente controrivoluzionario che la Fratellanza ha accettato di buon grado.
Questo patto si è mantenuto fino a che il governo di Morsi ha smesso di avere l'utilità necessaria a tali scopi.
Il governo della Fratellanza si è logorato rapidamente, tanto per la sua gestione neoliberista quanto per le sue misure bonapartiste chiaramente autoritarie. In poco tempo, quella immagine di “moderati” che Morsi aveva cercato di alimentare, si è dimostrata una farsa. La Fratellanza, nei mesi in cui è stata al governo, ha cercato seriamente di portare avanti un progetto di islamizzazione della società e di concentrazione di poteri nella presidenza. In questo senso, un punto alto del logoramento di Morsi, non solo con le masse ma con importanti settori borghesi, è stato quel “decretaccio” che lo investiva di pieni poteri, nel novembre del 2012.
A questo si è sommata la proposta e l'approvazione, senza la partecipazione non solamente delle masse popolari ma delle stesse forze di opposizione borghesi, di una costituzione che, oltre che antioperaia e antisciopero, era basata sulla “sharia” (legge islamica) come principale fonte giuridica dello Stato. Così, la Fratellanza dimostrava in pratica che il suo progetto era arrivare a una repubblica islamica.
Il governo di Morsi, come parte di un regime militare, ha significato la continuazione della repressione contro gli attivisti, degli attacchi ai mezzi di comunicazione di massa, alle minoranze religiose copta e sciita. Queste misure l'hanno logorato tanto tra le masse popolari che tra settori della borghesia stessa. Non senza motivo, nelle loro mobilitazioni, le masse attaccavano Morsi come il “nuovo Mubarak” o il “nuovo faraone”.
Tutto questo, sommato a una situazione economica sull'orlo del collasso, ha fatto si che l'accettazione di Morsi (e in grande misura anche della Fratellanza) precipitasse e lo scontento popolare crescesse. La campagna lanciata dal movimento giovanile Tamarod (ribellione in arabo) ha offerto una alternativa che ha incanalato la rabbia accumulata verso azioni di massa fino a sboccare nel 30 giugno, il punto di svolta. Nel solo mese di marzo del 2013 si sono sviluppate 1354 manifestazioni e, nell'aprile di quest'anno, ci sono stati 1462 proteste (48 al giorno), registrate dal Centro per lo Sviluppo Internazionale, di cui il 62% avevano un carattere economico. Un cifra record non solo in Egitto ma a livello mondiale durante questo mese.
In questo contesto, l'Esercito ha cominciato a prendere le distanze da Morsi, ha cercato di convincerlo a fare marcia indietro e a negoziare. La campagna di Tamarod cominciava a guadagnare l'appoggio dell'opposizione borghese. L'Esercito e la polizia la lasciavano correre fino alla mobilitazione del giorno 30 di giugno.
L'ultimatum del vertice delle Forze Armate, per voce del generale Al-Sisi, arriva nel mezzo di una situazione incontrollabile, in cui il Paese già era preso dalle manifestazioni, con scontri nelle strada tra sostenitori e oppositori di Morsi, vale a dire, quando la caduta del governo era solo questione di tempo.
L'Esercito, in questo quadro, ha agito per evitare un rovesciamento diretto e completo del governo per mano delle masse, si è mosso all'interno del processo per deviarlo e contenerlo meglio.
I militari hanno consegnato un anello ma hanno salvato le dita. Sono riusciti, almeno per ora, a recuperare il prestigio che si era logorato durante il governo della Giunta, allora guidato dal generale Tantawi.
Purtroppo, sono riusciti a usurpare il trionfo delle masse, per mantenere il controllo del processo susseguente a Morsi e poter gestire la conformazione del nuovo governo. Per mancanza di una direzione rivoluzionaria con peso di massa, le masse popolari hanno finito per confidare nella via d'uscita che l'Esercito ha tessuto per placare la mobilitazione popolare.
Che posizione prendere di fronte alle mobilitazioni della Fratellanza?
Durante il governo di Morsi, noi rivoluzionari dovevamo stare nelle piazze, insieme con le masse, lottando contro questo governo e facendo propaganda sulla necessità di lottare contro i militari e il loro regime.
Quando i militari, di fronte alla mobilitazione delle masse, hanno dato un ultimatum a Morsi e gli hanno annunciato che se in 48 ore non avesse soddisfatto le rivendicazioni delle masse popolari l'avrebbero abbattuto, questa nostra collocazione non poteva cambiare, perché il “golpe” dei militari, non significava un regresso come sarebbe stato se si fosse trattato del cambio da un regime democratico borghese a una dittatura. In questo caso si trattava di un “golpe” nel quadro dello stesso regime militare e sebbene l'esercito lo stesse realizzando con la forza, stava soddisfacendo la principale rivendicazione del movimento di massa in quel momento: destituire Morsi.
In questo è simile alla caduta dello stesso Mubarak, al quale, alla fine del suo governo di fronte alla poderosa mobilitazione di massa, fu la stessa cupola dell'Esercito a dire che doveva uscire di scena perché era impossibile mantenerlo al potere.
Il rovesciamento di Morsi, rappresenta la caduta di un nuovo autocrate, un nuovo Mubarak – in questo caso un civile di taglio islamico – e l'interruzione dell'implementazione del suo progetto ultrareazionario, bonapartista teocratico, guidato dalla Fratellanza. E le masse lo sentono come una vittoria democratica.
In sintesi, durante il governo Morsi eravamo sempre insieme alle masse contro quel governo e contro il regime militare e non abbiamo cambiato questa posizione neanche quando il governo è stato minacciato e poi abbattuto dai militari. Nello stesso modo in cui ora siamo contro il nuovo governo e contro il regime militare e siamo a favore di tutte le mobilitazioni progressive che lo pongono in questione.
Ma questo non significa dire che sia corretto, per i rivoluzionari, appoggiare qualunque mobilitazione di massa indipendentemente dal suo carattere.
In Egitto, quando la Fratellanza Musulmana scende in strada difendendo il ritorno del governo bonapartista di Morsi, si sta rendendo protagonista di una mobilitazione contro il regime ma di carattere controrivoluzionario e per questo non è corretto difendere alcun tipo di unità d'azione con questa organizzazione.
Lottare perché Morsi riprenda la presidenza, significa lottare perché tornino i responsabili degli attacchi alle minoranze religiose, dei tentativi di imporre la sharia come base della Costituzione, vale a dire, è lottare per il ritorno di un governo con un progetto bonapartista teocratico. Il ritorno di Morsi, cacciato dalla stragrande maggioranza delle masse popolari, sarebbe un regresso per la rivoluzione.
Per capire questo, immaginiamo se Mubarak, all'essere deposto nel 2011, avesse chiamato alla mobilitazione dei suoi seguaci per tornare al potere, sostenendo che la sua caduta era conseguenza di un “golpe”. Risulta facile credere che nessuno avrebbe difeso i “diritti democratici” di quel dittatore davanti a questa iniziativa chiaramente controrivoluzionaria.
Questa mobilitazione, pertanto, non ha nulla di progressivo, sebbene ne facciano parte migliaia di persone che credono, erroneamente, di stare in questo modo “difendendo la democrazia” contro un “golpe”. Perché la rivoluzione avanzi è necessario sconfiggere questo tipo di mobilitazioni che servono solo alla controrivoluzione.
Da settimane, frequentemente, ci sono mobilitazioni a favore e contro Morsi. In queste mobilitazioni accadono scontri tra ambedue le fazioni, che finiscono con decine di morti e feriti. Di fronte a ciò, si impone la necessità che le organizzazioni popolari, che hanno rovesciato Morsi, si dotino di piani e organismi di autodifesa per imporre la volontà delle masse contro la reazionaria Fratellanza Musulmana, in modo che non dipendano dall'Esercito e dalla polizia per imporre la loro volontà.
Tuttavia, il fatto che siamo contro le manifestazioni della Fratellanza Musulmana per tornare al governo non significa che appoggeremo qualsiasi misura repressiva dell'Esercito o della polizia, poiché le loro misure obbediscono agli interessi dei loro comandanti e non vi è motivo di confidare in essi.
Per esempio, denunciamo l'attacco che si è concluso con la morte di più di 50 membri (si parla perfino di 80) della Fratellanza che stavano protestando davanti alla caserma della Guardia Repubblicana, chiedendo la liberazione di Morsi, perché tutte le immagini dimostrano che non si è trattato di un scontro armato ma di una sparatoria della polizia e dell'Esercito contro persone in maggioranza disarmate.
Ripudiamo questo attacco per la sua crudeltà non necessaria e perché queste morti servono solo a rafforzare il tentativo della Fratellanza di tornare al potere, approfittando dell'indignazione che questo fatto ha creato in tutti i settori, anche tra quelli che hanno cacciato via Morsi.
Naturalmente, come spiegato sopra, questo ripudio non può significare che a partire da ora siamo a favore delle manifestazioni della Fratellanza per tornare al governo, ne che i suoi dirigenti siano liberati – a cominciare da  Morsi, responsabile di tutta la repressione nell'ultimo anno – o che questo partito veda immediatamente ripristinati i propri mezzi di comunicazione per fare una campagna contro quello che le masse hanno deciso nelle strade.
E' necessario fare appello alla base della Fratellanza e chiamarla ad accettare il fatto che sono state le masse popolari a scacciare Morsi. Dobbiamo denunciare che la dirigenza della Fratellanza li sta utilizzando per tornare a imporre il suo progetto autoritario e neoliberista di potere.
Mentre la Fratellanza continua a chiamare i suoi sostenitori a scendere in piazza per riprendere il controllo del potere, cioè, ad andare contro l'azione della stragrande maggioranza delle masse popolari e contro la conquista che rappresenta l'aver rovesciato Morsi, non siamo favorevoli a difendere i loro diritti di espressione ne di manifestazione.
Per esempio, mentre continuano a fare manifestazioni per il ritorno di Morsi, un regresso per la rivoluzione, non chiediamo la liberazione dei loro dirigenti o la riaccensione dei loro canali televisivi, che sono stati chiusi dal nuovo governo civico-militare.
Qual è la politica dell'imperialismo?
Mentre ne aveva l'utilità pratica, l'imperialismo ha appoggiato il governo di Morsi, che gli era servito per mantenere il regime militare e applicare la politica economica dettata dal Fmi.
Quando questo appoggio si è fatto insostenibile, poiché la sua uscita di scena si era trasformata in una necessità per attenuare, almeno per il momento, il colossale sollevamento delle masse, ha ritirato il suo sostegno alla Fratellanza e ha avallato il colpo di Stato dei militari. Anche se ha scommesso fino quasi all'ultimo momento sulla permanenza di Morsi, come aveva fatto con Mubarak, ha dovuto trarre la conclusione che era impossibile preservarlo di fronte all'enorme mobilitazione delle masse popolari.
In realtà, non ci si poteva aspettare altro, nella misura in cui il cambio di governo si è dato nel quadro dello stesso regime dominato dall'Esercito, agente diretto di Washington nella regione.
D'altra parte, a livello regionale, è da notare la politica delle monarchie del Golfo, nel senso di sostenere il nuovo governo asservito ai militari e all'imperialismo. Senza indugio hanno concretizzato un “aiuto” al nuovo governo egiziano per un totale di 12 miliardi di dollari (5 miliardi di dollari dall'Arabia Saudita, 4 miliardi dal Kuwait e 3 miliardi dagli Emirati Arabi Uniti), somma di gran lunga superiore al contributo annuale degli Usa (1,5 miliardi) e allo stesso prestito che è in corso di negoziato con il Fmi (4,8 miliardi di dollari), che porta senza dubbio un importante boccata d'ossigeno ai nuovi occupanti del palazzo presidenziale di Ittihadiya.
La questione della violenza contro le donne
In Egitto c'è un grave ostacolo alla rivoluzione dovuto all'oppressione delle donne, che è una caratteristica molto radicata nella società egiziana: è lo stupro di massa che si manifesta anche nelle mobilitazioni in Piazza Tahrir.
Questo ha a che vedere, da un lato, col fatto che la violenza maschilista contro le donne è una pratica barbara, aberrante, che è profondamente radicata nella società egiziana. Ma dall'altro lato col fatto che lo stupro è stato utilizzato durante tutto il processo rivoluzionario per dividere le fila della rivoluzione e allontanare dalla lotta le donne, le quali hanno partecipato e partecipano in gran numero alle mobilitazioni.
È una questione decisiva garantire la piena partecipazione delle donne, senza le quali non è possibile pensare al trionfo della rivoluzione. D'altra parte, la mobilitazione delle donne e la lotta perché possano agire senza temere attacchi violenti è una lotta contro il regime militare e l'oppressione maschilista che questo promuove per escludere la metà della popolazione dall'azione rivoluzionaria.
Questa situazione già era molto grave durante il governo di Mubarak, ma si è aggravata ancor più durante il governo di transizione delle Forze Armate e quello di Morsi. Tutti questi governi hanno utilizzato il metodo degli attacchi e delle violenze sessuali come vera arma politica contro la partecipazione delle donne nella lotta rivoluzionaria. Per esempio, di fronte alle denunce di stupro, la risposta del governo Morsi è stata così cinica e scandalosa: "le donne sanno che stanno tra uomini violenti, per tanto, devono proteggere se stesse, prima di chiedere al Ministero dell'Interno di farlo. Se si trovano in queste circostanze, le donne hanno il 100% di responsabilità".
Già il generale Al-Sisi, attuale uomo forte del governo, ai tempi della Giunta Militare, è stato colui che ha difeso pubblicamente la permanenza degli spregevoli “test di verginità” che venivano praticati su donne attiviste che denunciavano gli abusi sessuali da parte di uomini dell'Esercito. Al-Sisi arrivò a dire che approvava quei “test” perché erano un modo di salvaguardare l'“onorabilità” delle Forze Armate.
Pertanto la lotta per garantire la partecipazione delle donne nella rivoluzione si scontrava con i governi successivi a Mubarak e si scontra ora col nuovo governo civico-militare. In questo modo, nel mezzo di questo ambiente maschilista, sul quale si poggiano coscientemente tutti i governi per inibire le donne, si rende necessario avere una politica per combattere il maschilismo al di dentro e al di fuori del movimento sociale e, allo stesso tempo, misure di sicurezza efficaci contro i gruppi di banditi e stupratori al servizio dei detentori del potere.
Il nuovo governo: fantoccio dei militari e dell'imperialismo
Dopo la caduta di Morsi, ha assunto l'incarico un nuovo governo “ad interim”, guidato da Adli Mansur, ex capo della Suprema Corte Costituzionale, personaggio finora sconosciuto ma che gode della fiducia delle Forze Armate.
Questo giudice dovrà condurre una “transizione” che stabilisca emendamenti alla Costituzione e concretizzi la realizzazione di nuove elezioni presidenziali e parlamentari.
A causa del rapporto di forza tra le classi, l'Esercito non ha collocato alla testa del nuovo governo nessuno dei suoi uomini forti, come avrebbe potuto essere il generale Al-Sisi, che concentrerà gli incarichi di Capo Supremo delle Forze Armate, ministro della Difesa e vice primo ministro.
La cupola castrense ha dovuto investire un altro civile come nuovo fusibile a capo dell'Esecutivo. Il primo ministro è l'economista liberista ed ex ministro delle Finanze Hazem Beblaui, noto per le sue posizioni conservatrici e filo-imperialiste. Il capo della diplomazia è Nabil Fahmi, ex ambasciatore negli Stati Uniti e sarà incaricato di curare le relazioni con Washington e il suo sostegno finanziario all'Esercito.
Il vertice militare ha incorporato riconosciuti leader dell'opposizione borghese a Morsi, come El Baradei, Nobel per la Pace e altro uomo dell'imperialismo, ora consacrato dal potere militare come vicepresidente del governo provvisorio. A guidare l'importante portafoglio delle Finanze ha assunto l'incarico Ahmed Galal, economista laureato presso l'Università di Boston ed ex impiegato della Banca Mondiale.
Il nuovo governo non incorpora i settori islamisti, nemmeno i salafiti come Al Nur (che ha avuto il 30% nel vecchio Parlamento), nonostante questa organizzazione politica appoggi, anche se criticamente, il nuovo governo. Anche la Fratellanza Musulmana è stata chiamata a fare parte del governo e diversi incarichi le sono stati offerti, ma ha dichiarato di non riconoscere il nuovo governo.
Il governo ad interim, non solo ha incorporato la vecchia opposizione borghese a Morsi e conta sulla benedizione delle principali istituzioni religiose, come l'imam di Al Azhar e il patriarca copto ma, come spesso accade in situazioni rivoluzionarie, il nuovo governo cerca di irradiare un'immagine “popolare” per rispondere a una vittoria delle masse. In questo senso, si è data la nomina del principale dirigente della Federazione Sindacale Indipendente (Efitu), Kamal Abu Eita, come ministro del Lavoro e dell'Immigrazione, aggiungendo così l'elemento della collaborazione di classe.
È necessario avere piena chiarezza che questo nuovo governo è e sarà un altro governo di questo stesso regime militare e al servizio dell'imperialismo. Come i precedenti, ha il difficile compito di stabilizzare il Paese e sconfiggere la poderosa rivoluzione, il problema strategico che unifica la borghesia egiziana, l'Esercito e l'imperialismo.
L'Esercito, tuttavia, nel momento immediatamente successivo alla caduta di Morsi, interviene con una tattica diversa: cerca di realizzare concessioni, incorporare dirigenti delle masse, coprirsi con una vernice “civile” e avvalersi delle legittime aspirazioni democratiche delle masse popolari. Agisce così, poiché la rivoluzione l'ha messo sotto un campana di vetro e non può scatenare in questo momento una violenta repressione, a rischio di incendiare il Paese.
Tuttavia, dobbiamo essere molto chiari che, sebbene sia attualmente difficile per il rapporto di forza, il fatto che le Forze Armate siano uscite con prestigio da questo processo, sarà un punto d'appoggio per reprimere futuri scioperi operai, lotte o azioni radicali, che sicuramente continueranno a causa dell'aggravamento della crisi economica e dei piani di aggiustamento che il governo deve imporre.
Nessuna fiducia nel nuovo governo! Affrontiamolo in maniera indipendente!
Rovesciato Morsi, il principale nemico del movimento di massa è il nuovo governo insediato un altra volta dai militari.
Come abbiamo detto in dichiarazioni precedenti, il nuovo governo sorto come risposta, all'interno del regime, alla lotta delle masse, di certo non potrà rispondere alle legittime richieste e aspirazioni democratiche ed economiche delle masse popolari egiziane.
È un governo che risponde, come hanno fatto Mubarak e Morsi, allo stesso regime dei generali pagati direttamente dall'imperialismo. Dobbiamo usare la denuncia di ciascuna delle sue politiche per spiegare pazientemente agli attivisti e alle masse, perché non è corretto dare alcun tipo di sostegno politico al nuovo governo che si è insediato dopo l'uscita di scena di Morsi ne all'Esercito, che sta dietro di esso.
Un governo che mostra il suo appoggio alla politica imperialista in Palestina e Siria. Gli esuli siriani vengono detenuti in Egitto e la frontiera con la Palestina e Gaza è stata chiusa. Questo governo cerca un riavvicinamento al dittatore Assad, così come alle monarchie del Golfo e attacca i palestinesi utilizzando il fatto che Hamas (che dirige Gaza) è un alleato della Fratellanza. Con ciò il nuovo governo cerca di giustificare un nuovo isolamento della Striscia di Gaza in accordo con la politica degli USA e di Israele.
È necessario fare appello alla stragrande maggioranza degli egiziani che hanno rovesciato Morsi, in particolare alla classe operaia, ad organizzarsi in maniera indipendente e a fare affidamento solamente sulle proprie forze, perché l'Esercito, nonostante le sue manovre, ha dimostrato di essere un organismo di repressione delle masse popolari e non vi si può riporre fiducia.
In questo senso, il ruolo dei settori della ex opposizione, come El Baradei, il movimento Tamarod e il dirigente della Federazione Sindacale che ha assunto l'incarico di ministro del Lavoro, è nefasto, poiché si sono allineati politicamente all'Esercito e collaborano a creare nelle masse l'illusione che i militari si siano ubicati a fianco delle masse popolari. Ad esempio, il nuovo ministro del Lavoro ha fatto appello a non fare scioperi e a dedicarsi alla produzione. Questo ha generato una giusta indignazione nei settori del movimento sindacale e giovanile, che si pronunciano contro l'appoggio e la partecipazione dei propri dirigenti a questo governo articolato dai militari. È molto importante che i lavoratori e i giovani esigano che questi dirigenti rinuncino a tali incarichi e che rompano con questo governo antipopolare e al servizio del regime.
Pertanto, al momento attuale, un compito importantissimo dei rivoluzionari è spiegare pazientemente all'avanguardia e alle masse egiziane che questo non è il loro governo, che sarà parte dello stesso regime attuale e che dobbiamo permanere mobilitati contro i suoi piani.
Dobbiamo spiegare che questo governo è il prodotto di un riposizionamento ingannevole perché tutto rimanga uguale. Questo governo rappresenta un tentativo di continuare i piani economici di Morsi, così come i rovinosi accordi con l'Fmi e gli accordi militari, che assoggettano il Paese agli Usa.
In questo senso, è fondamentale definire un programma per continuare la lotta, per rimanere mobilitati. Il grande compito è, basandosi sulla grande conquista che significa aver cacciato via Morsi, mantenere la mobilitazione per conquistare piene libertà democratiche, castigare i crimini non solo di Mubarak ma di tutto il vertice militare, di Morsi e dei vertici della Fratellanza, confiscare le loro ricchezze e proprietà e annullare ogni patto che hanno stretto con l'imperialismo.
Il movimento di massa deve esigere dal nuovo governo civico-militare, che si dice “guardiano del popolo”, la realizzazione immediata di un'Assemblea Costituente realmente democratica e sovrana, di approvare un programma che liberi l'Egitto dalla dipendenza dall'imperialismo; che rompa immediatamente il Trattato di Camp David e con tutta la subordinazione finanziaria e politica dell'Esercito all'imperialismo e a Israele, che stabilisca il No al pagamento del Debito Estero, destinando tali enormi risorse (solo quest'anno dovranno essere pagati 5 miliardi di dollari di interessi) affinché siano investite in un piano di emergenza che contempli la realizzazione di opere pubbliche che generino posti di lavoro, che attenda ai bisogni sanitari e d'educazione per le masse popolari povere d'Egitto.
In questo senso, la lotta deve essere contro il nuovo indebitamento per 4,8 miliardi di dollari con i banchieri di Washington, che cominciò ad essere trattato da Morsi e che rimane in campo con il nuovo governo.
Deve essere incorporata nella Costituzione la libertà religiosa. Contro i tentativi di imporre una Costituzione teocratica. Tutti gli egiziani, siano o no seguaci di diverse religioni devono vedere i loro diritti rispettati. I musulmani e anche i copti, gli sciiti e quelli senza religione devono essere liberi di esercitare la loro credenza o non credenza. Non si possono imporre a tutta la popolazione i dettami di una religione, in questo caso quella musulmana, con l'adozione della sharia come base della Costituzione. Già si è visto in Iran il risultato di questo tipo di regime dittatoriale teocratico.
Bisogna riaprire immediatamente la frontiera con Gaza, è necessario liberare i rifugiati siriani detenuti e garantire loro tutte le condizioni perché possano vivere liberamente in Egitto. La rivoluzione egiziana è parte della rivoluzione araba, deve sostenere la giusta lotta dei palestinesi contro i sionisti e dei siriani contro Assad.
C'è da porre in essere anche la lotta per:
L'aumento generale dei salari!
Per un piano economico di emergenza e la riduzione immediata dell'orario di lavoro senza riduzione di salario in modo da garantire posti di lavoro per tutti!
Per l'espropriazione delle grandi imprese nazionali e multinazionali e del sistema finanziario!
Perché la rivoluzione abbia successo, perché vi sia un un vero cambiamento economico e sociale in Egitto, è necessaria una soluzione indipendente della classe operaia e delle masse popolari. Ancora di più, l'organizzazione indipendente della classe operaia e delle masse popolari sono l'unica garanzia di continuità del processo rivoluzionario. Per questo, è necessario mantenere l'indipendenza delle organizzazioni operaie e popolari e, nel calore della lotta, avanzare nella costruzione di un partito rivoluzionario e internazionalista che possa condurre la mobilitazione fino alla distruzione del regime militare, nel senso di avanzare verso l'unica soluzione di fondo: un governo operaio e delle masse popolari in Egitto.
Traduzione dall'originale spagnolo di Giovanni "Ivan" Alberotanza

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