Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

sabato 4 gennaio 2014

La memoria maestra di legalità

Osservatorio Peppino Impastato

Disgraziatamente    la mafia ha caratterizzato la storia d’Italia almeno dalla sua unità  fino ad oggi.  Le organizzazioni mafiose hanno innervato  i rapporti economici, politici   del Paese, modulandosi a seconda del mutare delle condizioni sociali e finanziarie che hanno contraddistinto l’evolversi della Nazione.   La mafia ha condizionato e determinato gli indirizzi politici ed economici costituendo un vero e proprio carcinoma maligno divoratore di risorse economiche,  finanziarie ma anche sterminatore di vite umane. 

Oggi si calcola che le organizzazioni mafiose e criminogene siano le multinazionali che realizzano i maggiori profitti al mondo attraverso il governo del malaffare e del riciclo dei proventi di queste attività nell’economia legale.  Parallelamente all’evoluzione della mafia  si è sviluppato, come un’anticorpo sociale, un sistema di lotta alla mafia che ha impegnato   migliaia di persone alcune delle quali hanno pagato con la vita il prezzo  della loro dedizione. Donne e uomini che si sono battuti contro tutte le mafie con determinazione e forza, segnando spesso delle importanti vittorie, ma non riuscendo mai a debellare il cancro. In particolare il terreno della lotta alla mafia diventava e diventa impervio quando si arriva ad intaccare l’intreccio tra mafia, politica e istituzioni, diciamo così, deviate.  

 Il movimento antimafia in generale ha visto grandi figure battersi strenuamente e poi soccombere. Magistrati del calibro di Falcone e Borsellino, ma anche attori che hanno lottato contro la mafia all’interno della società civile. Un movimento di antimafia che combatteva tutti i giorni nel sociale, nei rapporti con  i propri simili.  Fra questi annoveriamo Placido Rizzotto, Peppino Impastato,  da cui la nostra associazione  prende il nome, e il giornalista, scrittore Giuseppe (Pippo) Fava . 

  Il 5 gennaio di 30 anni fa, Pippo Fava fu freddato dalla mafia con 5 colpi calibro 7,65 alla nuca.  Aveva appena lasciato la redazione del suo giornale “I siciliani” e si stava recando a prendere la nipote che recitava presso il teatro  Verga a Catania. Non gli lasciarono nemmeno  il tempo di scendere dalla sua Renault 5. Lo stesso rituale di depistaggi e diffamazioni , andato in scena dopo l’omicidio per mafia di Peppino Impastato, si replicò anche per Fava. Solo nel 1998 si concluse il processo con la condanna all’ergastolo  del boss Nitto Santapaola come mandante , degli  organizzatori dell’omicidio  Marcello D’Agata e  Francesco Giammusso e degli esecutori material  Aldo Ercolano e  Maurizio Avola. 

 Quale la colpa che ha condannato a morte Fava? Quella di non farsi i fatti propri né più e né meno come Peppino Impastato. Con la sua attività di giornalista, prima all’Espresso sera , poi come direttore del  “Giornale del Sud” e della rivista  indipendente “I Siciliani”  Fava    denunciò il perverso   intreccio fra mafia politica e finanza che infestava la Sicilia e tutto il Paese . Grazie alle inchieste svolte dal mensile  “I siciliani” -  rivista indipendente da lui fondata  dopo che l’establishment politico-mafioso era riuscito a cacciarlo dal “Giornale del Sud”  -  grazie a una redazione composta da giovani giornalisti, molti inesperti  ma attivi e intraprendenti , fra cui il figlio il giornalista e politico Claudio Fava,  gli affari che il clan Santapaola tesseva con i grandi imprenditori catanesi, oltre che con il faccendiere Michele Sindona, divennero oggetto di pubblica denuncia.  

In un’intervista rilasciata ad Enzo Biagi pochi giorni prima della sua morte,  il 28 dicembre del 1983 Fava ebbe a dichiarare: “ Mi rendo conto che c'è un'enorme confusione sul problema della mafia. I mafiosi stanno in Parlamento, i mafiosi a volte sono ministri, i mafiosi sono banchieri, i mafiosi sono quelli che in questo momento sono ai vertici della nazione. Non si può definire mafioso il piccolo delinquente che arriva e ti impone la taglia sulla tua piccola attività commerciale, questa è roba da piccola criminalità, che credo abiti in tutte le città italiane, in tutte le città europee. Il fenomeno della mafia è molto più tragico ed importante…”  Pippo Fava era uno che dava fastidio, come Peppino Impastato,  e come Peppino è stato ucciso. Nel degrado etico o politico che contraddistingue lo scenario attuale, con mafia e camorra che continuano a fare affari, contaminando i rapporti economici e sociali del nostro Paese, la memoria di persone come Pippo Fava deve rimanere sempre ben presente nella società civile.  E’ dall’attività di queste persone sempre pronte a gridare  con coraggio che “La Mafia è una montagna di merda” che può rinascere una consapevolezza oggi debole o del tutto mancante.  La consapevolezza che   con l’illegalità, la corruzione, la prevaricazione degli altri, la nostra società rimarrà sempre vittima del degrado etico e politico,  risultato dell’azione delle mafie con il concorso della spregiudicatezza   della speculazione finanziaria.   Per questo motivo riteniamo   giusto e doveroso ricordare Pippo Fava a trent’anni dalla sua morte.

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