Dialoghi sull'uomo. C'è una dimensione ritmica negli esseri umani: «Rompere il ritmo. Condivisione e inclusione»
Quando nasce, il bambino ignora tutto dell’angolo di mondo dove è finito. E deve apprendere tutto, il più in fretta possibile. Possiede una formidabile risorsa in proposito, la mimesi. Che immediatamente mette in opera per entrare in relazione con la madre o chi si prende cura di lui. Relazione ritmica. Per la sopravvivenza del neonato, entrare in ritmo con la madre è altrettanto importante che prendere il latte che lo nutre. Il piccolo animale umano deve necessariamente apprendere i ritmi materni, e poi dell’ambiente in cui vive e vivrà, poiché solo in tal modo sarà riconosciuto come uno del «Noi» e non un estraneo.
Gli esseri umani sono animali ritmici e i ritmi sono culturali, segnano i perimetri delle comunità, dividono insiders e outsiders. La base ritmica è il corpo umano, ritmici i suoi processi, ritmico il suo movimento secondo l’«incorporazione» infantile. Ma la posta in gioco per gli esseri umani non è semplicemente seguire i propri ritmi, bensì andare a tempo con gli altri. Cioè sincronizzarsi. E trascinarsi reciprocamente alla sincronia. Andare a tempo nelle relazioni con gli altri è condividere un «beat» nelle azioni comuni o in compresenza. È svolgere un lavoro poliritmico, in cui i movimenti e le azioni assomigliano a sequenze musicali, intrecciate o a contrasto, polifoniche o all’unisono, corali o in contrappunto.
Innanzitutto è la comunicazione umana ad essere «musicale». Per la specie umana essa è la proto-musica fondamentale. I cui punti di connessione e comune fonte con la «musica» letteralmente intesa sono affascinante oggetto di studi. Dialogo verbale, per esempio: giochi ritmico-sonori di scambi semantici. Ma non solo il dialogo verbale, ogni azione umana condotta insieme ad altri ha tratti di «musicalità». Sguardi, gesti, movimenti, espressioni emotive, dai sorrisi al pianto. Soprattutto tra persone che hanno o stabiliscono relazioni emotivamente positive. Quella tra madre e bambino è prototipica, ma poi quelle tra innamorati, tra amici, tra colleghi che si scelgono tra gli altri. E tra membri di associazioni, di comunità, di villaggio. L’«intimità» culturale si esprime in tratti ritmico-musicali.
Per converso, lo straniero è un estraneo ritmico-musicale. Uno che non va a tempo. E che non conosce le «melodie», cioè i flussi di azione noti, performati e riconosciuti. O gli «accordi» ritmici e melodici. L’estraneità ideologica, simbolica, culturale si esprime nell’estraneità «musicale». Ed è quest’ultima che colpisce a caldo nelle relazioni, più di tutto il resto.
Un bel problema, costitutivo dell’intera storia della specie umana.
Animali affascinati dall’intimità musicale e al tempo stesso animali spinti a incontrare gli altri. Per curiosità. Ma anche per definire i confini del Noi rispetto ai non-Noi. E dunque millenni di scontri, ma anche di incroci. Di quelli che possiamo chiamare meticciamenti. In giro per il mondo, e non da oggi: non esiste «cultura» autentica, siamo tutti meticci. Incrociati. Ibridati. In gradi diversi, ma tutti. E lo siamo in forme ritmiche. Non facili, non neutrali. Rotture, rifiuti, estraniazioni, dissonanze. Ambiguità tra attrazione e rifiuto. E linee di potere (perché l’attrazione mimetica tra gruppi diversi e reciprocamente alieni non è mai stata neutrale, ha sempre segnato le linee di asimmetria di potere).
Ma poi ricomposizioni creative in nuovi alfabeti ritmici e melodici. Viene innanzitutto da pensare agli incroci musicali. Il jazz per esempio. La cui storia di formazione è un complicatissimo incontro di tradizioni musicali diverse e lontane. Africa sì, ma Nuovo Mondo, neri sì, ma bianchi, «alieno» sì, ma «nostro». Ma non solo jazz, e non solo musica. Quando il tè è arrivato in Europa non ha semplicemente aggiunto il suo gusto a quelli preesistenti, ma ha modificato i ritmi di vita sociale. E non è forse un caso che il tè abbia attecchito soprattutto dove non c’era il vino. Altra struttura ritmica, risultata impermeabile alla nuova del tè.
La grande storia degli incroci ritmici è ancora tutta da scrivere. E non è solo storia. C’è una contemporaneità di meticciamento ritmico che è sotto i nostri occhi e che sfugge, poiché le narrazioni prevalenti sono degli scontri. La globalizzazione non è omologazione, ma meticciamento. Ritmico. Ancora una volta la musica. Il rock dei grandi concerti nelle capitali del mondo, ibridato in forme locali da indagare etnograficamente. E ancora una volta non solo musica. Quale formidabile fucina sotterranea di ibridazioni ritmiche, per esempio, è stato ed è l’Erasmus degli studenti universitari europei?
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