La crisi climatica e ambientale non è il prodotto di un disastro naturale. La sete di profitto del capitalismo imperialista è responsabile di questa distruzione. Ciò che sta accadendo oggi in Amazzonia ne è la prova tragica. La foresta pluviale amazzonica è in fiamme, gli animali muoiono bruciati, la flora viene distrutta, il clima viene contaminato non solo nella regione, ma a migliaia di chilometri di distanza, conseguenza del folle disboscamento promosso dai proprietari delle terre, delle aziende minerarie e del legname.
L'aggressione all'Amazzonia è in atto da molto tempo e sono stati i popoli indigeni e i lavoratori siringueros ad averla subita storicamente. Questa lotta è costata la vita a Chico Mendes e ad un gran numero di attivisti e dirigenti. Questa aggressione, in difesa degli interessi delle imprese, ha sempre avuto il sostegno diretto o subdolo dei diversi governi, e oggi subisce un’impennata grazie alla politica del governo Bolsonaro che sta conducendo a questa barbarie ambientale, che, a sua volta, sta provocando una forte risposta con le mobilitazioni in Brasile e nel mondo.
Il disastro dell’Amazzonia è oggi l'esempio più evidente della distruzione ambientale, ma non costituisce una eccezione. Questa distruzione provocata dal capitalismo è un fenomeno mondiale, che si intensifica nei Paesi coloniali e semicoloniali oppressi e sfruttati dall'imperialismo. Una testimonianza di questa realtà può essere data dai popoli che hanno dovuto scontrarsi con le multinazionali minerarie, o quelle del petrolio, del'idroelettricità, dell'agroalimentare, in Ecuador, in Perù, in Bolivia, in Cile, in Argentina... che distruggono il loro ambiente e i loro mezzi di sostentamento, così come causano le massicce migrazioni dal continente africano. Ma questa distruzione è causa di sofferenze quotidiane anche per le popolazioni delle grandi città dei Paesi imperialisti.
L'aggressione all'Amazzonia è in atto da molto tempo e sono stati i popoli indigeni e i lavoratori siringueros ad averla subita storicamente. Questa lotta è costata la vita a Chico Mendes e ad un gran numero di attivisti e dirigenti. Questa aggressione, in difesa degli interessi delle imprese, ha sempre avuto il sostegno diretto o subdolo dei diversi governi, e oggi subisce un’impennata grazie alla politica del governo Bolsonaro che sta conducendo a questa barbarie ambientale, che, a sua volta, sta provocando una forte risposta con le mobilitazioni in Brasile e nel mondo.
Il disastro dell’Amazzonia è oggi l'esempio più evidente della distruzione ambientale, ma non costituisce una eccezione. Questa distruzione provocata dal capitalismo è un fenomeno mondiale, che si intensifica nei Paesi coloniali e semicoloniali oppressi e sfruttati dall'imperialismo. Una testimonianza di questa realtà può essere data dai popoli che hanno dovuto scontrarsi con le multinazionali minerarie, o quelle del petrolio, del'idroelettricità, dell'agroalimentare, in Ecuador, in Perù, in Bolivia, in Cile, in Argentina... che distruggono il loro ambiente e i loro mezzi di sostentamento, così come causano le massicce migrazioni dal continente africano. Ma questa distruzione è causa di sofferenze quotidiane anche per le popolazioni delle grandi città dei Paesi imperialisti.
Il cambiamento climatico è già una realtà palpabile
La concentrazione di diossido di carbonio (anidride carbonica) nell'atmosfera prima dell'era industriale era di 280 parti per milione (ppm), e oggi ha già raggiunto 415 ppm. La temperatura globale è aumentata di circa 1 °C, avvicinandosi al limite di sicurezza di + 1,5 °C stabilito dall'accordo di Parigi, un valore che raggiungeremo tra pochi anni. E questo è solo uno dei problemi ambientali che il capitalismo causa, che si aggiunge alla depredazione e alla distruzione di grandi territori da parte di aziende energetiche, minerarie e del legname, al massiccio inquinamento di fiumi e mari e alla selvaggia urbanizzazione di intere aree.
Al momento della stesura di questo manifesto, i dati indicavano che lo scorso mese di luglio (l'ultimo in cui è stata eseguita la misura) è stato il più caldo mai registrato. Anno dopo anno, i record vengono infranti. Le conseguenze sono ben note: eventi meteorologici estremi, siccità, colture perse, ondate di calore sempre maggiori, desertificazione e distruzione di terreni, incendi sempre più intensi.
Questa crisi ecologica globale ha portato a un'estinzione di massa delle biodiversità, con un tasso di estinzione 10.000 volte superiore a quello naturale, e circa un milione di specie minacciate. Numerose popolazioni in Africa o in America Centrale sono costrette ad abbandonare le loro terre per unirsi alle ondate migratorie. L'umanità è davvero sull'orlo di un collasso ecologico di conseguenze difficilmente prevedibili. Non a caso, molti scienziati hanno adottato il concetto di «antropocene», ovvero la definizione di una nuova era geologica che enfatizza il ruolo dell'essere umano nella trasformazione del mondo biofisico e nell'origine dei problemi ambientali globali. Tuttavia, questo concetto appare riduttivo, poiché ignora il ruolo centrale che hanno le relazioni di potere, lo sfruttamento e le disuguaglianze sociali prodotte dal sistema capitalista, come vedremo in seguito.
La concentrazione di diossido di carbonio (anidride carbonica) nell'atmosfera prima dell'era industriale era di 280 parti per milione (ppm), e oggi ha già raggiunto 415 ppm. La temperatura globale è aumentata di circa 1 °C, avvicinandosi al limite di sicurezza di + 1,5 °C stabilito dall'accordo di Parigi, un valore che raggiungeremo tra pochi anni. E questo è solo uno dei problemi ambientali che il capitalismo causa, che si aggiunge alla depredazione e alla distruzione di grandi territori da parte di aziende energetiche, minerarie e del legname, al massiccio inquinamento di fiumi e mari e alla selvaggia urbanizzazione di intere aree.
Al momento della stesura di questo manifesto, i dati indicavano che lo scorso mese di luglio (l'ultimo in cui è stata eseguita la misura) è stato il più caldo mai registrato. Anno dopo anno, i record vengono infranti. Le conseguenze sono ben note: eventi meteorologici estremi, siccità, colture perse, ondate di calore sempre maggiori, desertificazione e distruzione di terreni, incendi sempre più intensi.
Questa crisi ecologica globale ha portato a un'estinzione di massa delle biodiversità, con un tasso di estinzione 10.000 volte superiore a quello naturale, e circa un milione di specie minacciate. Numerose popolazioni in Africa o in America Centrale sono costrette ad abbandonare le loro terre per unirsi alle ondate migratorie. L'umanità è davvero sull'orlo di un collasso ecologico di conseguenze difficilmente prevedibili. Non a caso, molti scienziati hanno adottato il concetto di «antropocene», ovvero la definizione di una nuova era geologica che enfatizza il ruolo dell'essere umano nella trasformazione del mondo biofisico e nell'origine dei problemi ambientali globali. Tuttavia, questo concetto appare riduttivo, poiché ignora il ruolo centrale che hanno le relazioni di potere, lo sfruttamento e le disuguaglianze sociali prodotte dal sistema capitalista, come vedremo in seguito.
La crisi ecologica: una questione di classe
Dire che la colpa della situazione attuale è genericamente del «comportamento umano» o fondamentalmente del modello basato sui consumi individuali, significa mascherare la realtà. Il cambiamento climatico ha dei responsabili che hanno un nome e cognome. Solo 100 grandi aziende sono responsabili del 70% delle emissioni globali. Sono grandi compagnie petrolifere, energetiche e estrattive di carbone e gas.
Queste imprese accumulano fortune gigantesche nel portafoglio di pochi individui, incuranti di distruggere il pianeta. Guardando al rovescio della medaglia, la classe lavoratrice e i settori popolari, specialmente nei Paesi semi-coloniali (che hanno meno responsabilità), sono quelli che pagano le conseguenze più devastanti, sotto forma di inondazioni, cicloni, insicurezza alimentare o vedendosi costretti a migrare. Pertanto, anche la crisi climatica ed ecologica è una questione della lotta di classe.
Dire che la colpa della situazione attuale è genericamente del «comportamento umano» o fondamentalmente del modello basato sui consumi individuali, significa mascherare la realtà. Il cambiamento climatico ha dei responsabili che hanno un nome e cognome. Solo 100 grandi aziende sono responsabili del 70% delle emissioni globali. Sono grandi compagnie petrolifere, energetiche e estrattive di carbone e gas.
Queste imprese accumulano fortune gigantesche nel portafoglio di pochi individui, incuranti di distruggere il pianeta. Guardando al rovescio della medaglia, la classe lavoratrice e i settori popolari, specialmente nei Paesi semi-coloniali (che hanno meno responsabilità), sono quelli che pagano le conseguenze più devastanti, sotto forma di inondazioni, cicloni, insicurezza alimentare o vedendosi costretti a migrare. Pertanto, anche la crisi climatica ed ecologica è una questione della lotta di classe.
L'imperialismo e i governi nazionali sono responsabili
Dal vertice di Rio de Janeiro del 1992, quando è stata adottata la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, sono trascorsi 27 anni e altre 24 conferenze internazionali. Invece di aver avuto qualche utilità, la situazione è andata peggiorando. Senza andare indietro nel tempo, tra il 2017 e il 2018, le emissioni globali sono aumentate del 2,7%.
Governi come quello di Trump e di Bolsonaro assumono apertamente la difesa dei grandi interessi capitalisti, rifiutando esplicitamente seppur minime misure di controllo. Ma la verità è che tutti i governi, da quelli di Merkel e Macron sino a quello di Evo Morales (che al servizio delle imprese dell'agroalimentare ha esteso la frontiera agricola a scapito delle aree di preservazione ambientale), fanno semplicemente una messa in scena teatrale per fingere che stanno cercando di risolvere qualcosa, cercando di placare la preoccupazione per questo problema. L'ipocrisia dei leader della Germania e della Francia è insopportabile: cercano di apparire come campioni della difesa dell'Amazzonia, mentre sono due dei Paesi che hanno il più grande impatto sull’ecologia. Al di là delle chiacchiere, non hanno mai intrapreso un’azione veramente efficace. Questo perché sono essi stessi al servizio degli stessi capitalisti che si arricchiscono producendo le emissioni e provocando il degrado ambientale.
In tal senso, vogliamo denunciare e prendere le distanze dai cosiddetti «partiti verdi», o dai partiti neo-riformisti che stanno cercando di apparire come «ecologisti», come ad esempio Syriza o Podemos. E che in realtà, hanno rinunciato a qualsiasi cambiamento radicale e hanno svolto istituzionalmente la funzione di «stampelle» a sostegno dei governi della vecchia socialdemocrazia (oggi più correttamente social-liberalista), e delle borghesie imperialiste e ugualmente predatrici dell'ambiente. Anche dove questi partiti hanno governato, come in Grecia, l'equilibrio sociale ed ecologico difficilmente avrebbe potuto essere peggiore.
Dal vertice di Rio de Janeiro del 1992, quando è stata adottata la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici, sono trascorsi 27 anni e altre 24 conferenze internazionali. Invece di aver avuto qualche utilità, la situazione è andata peggiorando. Senza andare indietro nel tempo, tra il 2017 e il 2018, le emissioni globali sono aumentate del 2,7%.
Governi come quello di Trump e di Bolsonaro assumono apertamente la difesa dei grandi interessi capitalisti, rifiutando esplicitamente seppur minime misure di controllo. Ma la verità è che tutti i governi, da quelli di Merkel e Macron sino a quello di Evo Morales (che al servizio delle imprese dell'agroalimentare ha esteso la frontiera agricola a scapito delle aree di preservazione ambientale), fanno semplicemente una messa in scena teatrale per fingere che stanno cercando di risolvere qualcosa, cercando di placare la preoccupazione per questo problema. L'ipocrisia dei leader della Germania e della Francia è insopportabile: cercano di apparire come campioni della difesa dell'Amazzonia, mentre sono due dei Paesi che hanno il più grande impatto sull’ecologia. Al di là delle chiacchiere, non hanno mai intrapreso un’azione veramente efficace. Questo perché sono essi stessi al servizio degli stessi capitalisti che si arricchiscono producendo le emissioni e provocando il degrado ambientale.
In tal senso, vogliamo denunciare e prendere le distanze dai cosiddetti «partiti verdi», o dai partiti neo-riformisti che stanno cercando di apparire come «ecologisti», come ad esempio Syriza o Podemos. E che in realtà, hanno rinunciato a qualsiasi cambiamento radicale e hanno svolto istituzionalmente la funzione di «stampelle» a sostegno dei governi della vecchia socialdemocrazia (oggi più correttamente social-liberalista), e delle borghesie imperialiste e ugualmente predatrici dell'ambiente. Anche dove questi partiti hanno governato, come in Grecia, l'equilibrio sociale ed ecologico difficilmente avrebbe potuto essere peggiore.
Può esserci un capitalismo verde?
Le istituzioni ufficiali stanno elaborando una narrazione finalizzata a promuovere la cosiddetta «economia verde», una politica ambientale caratterizzata dalla mercificazione delle risorse naturali e che esalta le soluzioni di mercato, apparentemente mirata a salvare l'ambiente. Esempi di questa politica sono le concessioni di spazi forestali pubblici al settore privato, la certificazione «sostenibile» di prodotti come il legname tropicale e l'implementazione del programma di Riduzione delle Emissioni per la Deforestazione e la Degradazione delle foreste, che serve solo gli interessi del capitale finanziario.
Essa consisterebbe nel promuovere un nuovo modello economico, che renda le «aziende sostenibili» più redditizie di quelle «inquinanti» in modo da rimpiazzarle, ad esempio, cambiando i combustibili fossili con le energie rinnovabili. Il problema di fondo di questo approccio è semplice; ed è che il capitalismo è assolutamente insostenibile dal punto di vista ambientale. Il ciclo di riproduzione ampliato del capitale dipende da una crescente appropriazione delle risorse naturali, ad un ritmo molto maggiore rispetto al tempo necessario alla rigenerazione della natura. I sistemi naturali si sviluppano nel corso dei secoli e il loro ciclo di recupero è incompatibile con il ciclo della riproduzione del capitale, che impone un forte e intenso sfruttamento delle risorse naturali, portando alla rottura della sua dinamica naturale.
Vedendo le conseguenze della Rivoluzione industriale, Karl Marx già poneva in guardia su questo approccio, accusando la produzione capitalista di «perturbare l'interazione metabolica dell'uomo e della terra», cioè lo scambio di energia e materiali tra l'uomo e il suo ambiente naturale, condizione necessaria per l'esistenza della civiltà. Secondo Marx, «distruggendo le caratteristiche di quel metabolismo, ella [la produzione capitalista] impedisce il suo recupero sistematico come legge regolatrice della produzione sociale, in una forma adeguata al pieno sviluppo della razza umana».
Per alimentare la produzione di merci, il capitalismo ha sviluppato, negli ultimi 200 anni, un «modello fossile». L'industria, i trasporti, l'energia, persino l'agricoltura, funzionano attraverso un'infrastruttura alimentata da combustibili fossili. Cambiare il modello su una scala sufficiente per affrontare il cambiamento climatico significherebbe necessariamente distruggere tutte le infrastrutture attuali, per ricostruire qualcosa di diverso su scala globale. Nessun fondo di investimento finanziario, nessun trust capitalista multinazionale, è disposto a investire una quantità incommensurabile di capitale per «salvare il clima», sacrificando i benefici che continuerebbe ad otterrebbe semplicemente continuando a produrre come fatto finora.
Neanche i miglioramenti tecnologici in regime capitalistico costituiscono una soluzione. Quando un’impresa capitalista raggiunge una maggiore efficienza, la utilizza per ridurre i costi e produrre quantità maggiori di merci, per massimizzare i suoi profitti. Non rinuncia mai a guadagni maggiori per consumare meno risorse; tra l'altro, se lo facesse, vi sarebbe un'altra impresa che userebbe rapidamente la maggiore efficienza per soppiantarla sul mercato.
In tal senso, il concetto di «capitalocene» è più corretto, come suggeriscono alcuni ricercatori marxisti, che partono dall’osservazione che i comportamenti umani sono determinati sempre dalle relazioni politiche ed economiche nel contesto del capitalismo globale. Pertanto, la difesa dell'ambiente deve essere parte integrante della lotta dei lavoratori contro lo sfruttamento capitalista. L'essere umano supererà l'alienazione rispetto alla natura solo quando sarà libero dallo sfruttamento del lavoro. È una lotta anticapitalista e antimperialista e, essenzialmente, finalizzata alla costruzione di una società socialista. Una società basata su nuovi rapporti di produzione per superare la separazione tra la campagna e la città e per stabilire un rapporto equilibrato con la natura, «condizione inalienabile per l'esistenza della riproduzione della catena delle generazioni umane», come ha sottolineato Marx.
Ma questo non significa trascurare le lotte attuali. Le lotte in difesa di acqua, suolo e habitat, che oggi hanno un collante mondiale nella difesa dell'Amazzonia, devono essere accompagnate dalla strategia del superamento del sistema capitalista, per la costruzione di una società in cui la classe operaia detenga il potere politico ed economico. Pertanto, presentiamo alcune misure che costituiscono proposte transitorie.
Le istituzioni ufficiali stanno elaborando una narrazione finalizzata a promuovere la cosiddetta «economia verde», una politica ambientale caratterizzata dalla mercificazione delle risorse naturali e che esalta le soluzioni di mercato, apparentemente mirata a salvare l'ambiente. Esempi di questa politica sono le concessioni di spazi forestali pubblici al settore privato, la certificazione «sostenibile» di prodotti come il legname tropicale e l'implementazione del programma di Riduzione delle Emissioni per la Deforestazione e la Degradazione delle foreste, che serve solo gli interessi del capitale finanziario.
Essa consisterebbe nel promuovere un nuovo modello economico, che renda le «aziende sostenibili» più redditizie di quelle «inquinanti» in modo da rimpiazzarle, ad esempio, cambiando i combustibili fossili con le energie rinnovabili. Il problema di fondo di questo approccio è semplice; ed è che il capitalismo è assolutamente insostenibile dal punto di vista ambientale. Il ciclo di riproduzione ampliato del capitale dipende da una crescente appropriazione delle risorse naturali, ad un ritmo molto maggiore rispetto al tempo necessario alla rigenerazione della natura. I sistemi naturali si sviluppano nel corso dei secoli e il loro ciclo di recupero è incompatibile con il ciclo della riproduzione del capitale, che impone un forte e intenso sfruttamento delle risorse naturali, portando alla rottura della sua dinamica naturale.
Vedendo le conseguenze della Rivoluzione industriale, Karl Marx già poneva in guardia su questo approccio, accusando la produzione capitalista di «perturbare l'interazione metabolica dell'uomo e della terra», cioè lo scambio di energia e materiali tra l'uomo e il suo ambiente naturale, condizione necessaria per l'esistenza della civiltà. Secondo Marx, «distruggendo le caratteristiche di quel metabolismo, ella [la produzione capitalista] impedisce il suo recupero sistematico come legge regolatrice della produzione sociale, in una forma adeguata al pieno sviluppo della razza umana».
Per alimentare la produzione di merci, il capitalismo ha sviluppato, negli ultimi 200 anni, un «modello fossile». L'industria, i trasporti, l'energia, persino l'agricoltura, funzionano attraverso un'infrastruttura alimentata da combustibili fossili. Cambiare il modello su una scala sufficiente per affrontare il cambiamento climatico significherebbe necessariamente distruggere tutte le infrastrutture attuali, per ricostruire qualcosa di diverso su scala globale. Nessun fondo di investimento finanziario, nessun trust capitalista multinazionale, è disposto a investire una quantità incommensurabile di capitale per «salvare il clima», sacrificando i benefici che continuerebbe ad otterrebbe semplicemente continuando a produrre come fatto finora.
Neanche i miglioramenti tecnologici in regime capitalistico costituiscono una soluzione. Quando un’impresa capitalista raggiunge una maggiore efficienza, la utilizza per ridurre i costi e produrre quantità maggiori di merci, per massimizzare i suoi profitti. Non rinuncia mai a guadagni maggiori per consumare meno risorse; tra l'altro, se lo facesse, vi sarebbe un'altra impresa che userebbe rapidamente la maggiore efficienza per soppiantarla sul mercato.
In tal senso, il concetto di «capitalocene» è più corretto, come suggeriscono alcuni ricercatori marxisti, che partono dall’osservazione che i comportamenti umani sono determinati sempre dalle relazioni politiche ed economiche nel contesto del capitalismo globale. Pertanto, la difesa dell'ambiente deve essere parte integrante della lotta dei lavoratori contro lo sfruttamento capitalista. L'essere umano supererà l'alienazione rispetto alla natura solo quando sarà libero dallo sfruttamento del lavoro. È una lotta anticapitalista e antimperialista e, essenzialmente, finalizzata alla costruzione di una società socialista. Una società basata su nuovi rapporti di produzione per superare la separazione tra la campagna e la città e per stabilire un rapporto equilibrato con la natura, «condizione inalienabile per l'esistenza della riproduzione della catena delle generazioni umane», come ha sottolineato Marx.
Ma questo non significa trascurare le lotte attuali. Le lotte in difesa di acqua, suolo e habitat, che oggi hanno un collante mondiale nella difesa dell'Amazzonia, devono essere accompagnate dalla strategia del superamento del sistema capitalista, per la costruzione di una società in cui la classe operaia detenga il potere politico ed economico. Pertanto, presentiamo alcune misure che costituiscono proposte transitorie.
È necessaria una serie di incisive misure anticapitaliste
L'unico modo per affrontare la sfida dei cambiamenti climatici in modo realistico ed efficace è adottare misure anticapitaliste, rivoluzionarie e socialiste che pianifichino l'economia ponendo al centro la sostenibilità ambientale e la giustizia sociale, in luogo dei benefici privati.
* Le grandi compagnie, in particolare quelle energetiche e petrolifere, le miniere e le banche, devono essere immediatamente nazionalizzate e le loro risorse gigantesche messe sotto il controllo dei lavoratori e della popolazione e al servizio di una promozione totale delle energie rinnovabili. Allo stesso tempo, è necessario applicare un piano incisivo di risparmio energetico.
* Il sistema dei trasporti va trasformato, sviluppando un'ampia rete pubblica e sostenibile, che sostituisca il modello basato sull' uso di auto private e sia gratuito. Il modello urbanistico, del lavoro e del turismo deve favorire gli spostamenti minimi e fermare immediatamente l'urbanizzazione selvaggia.
* L'industria deve essere sottoposta a una rigorosa limitazione delle emissioni, adattando i suoi processi di produzione alla sostenibilità, invece di far risparmiare costi ai suoi proprietari e deve porre fine allo stratagemma del commercio dei diritti di emissione. Durata, riutilizzo e riciclaggio devono essere criteri obbligatori, eliminando produzioni superflue o distruttive.
* Dobbiamo porre fine a modelli industriali dell'agricoltura e dell’allevamento, nelle mani delle grandi aziende, per adattarli a modelli ecologici e razionali.
* Difesa incondizionata dei popoli delle foreste e di altre comunità tradizionali che guidano i movimenti socio-ambientali contro la distruzione dei loro territori causati dall'azione di grandi aziende. Queste popolazioni (indigene, contadine e quilombole) sono imprescindibili per la difesa dell'ambiente, a causa della loro cultura e del loro stile di vita. Ecco perché sosteniamo ogni lotta per la difesa dei loro territori.
* In difesa dell'Amazzonia, la più grande foresta pluviale del pianeta e delle popolazioni ancestrali che la abitano
* Limitazione radicale dell'uso di transgenici e prodotti agrotossici. I transgenici non sono altro che piante sviluppate per resistere a grandi quantità di pesticidi. Qualsiasi promessa di aumento della produttività e maggiore controllo dei parassiti è fallita rivelandosi una trappola per i piccoli contadini e ha contribuito solo a rafforzare i grandi monopoli capitalistici nella produzione agricola. Questo è il motivo per cui difendiamo la limitazione dell'uso di questi prodotti, per impedirne l'uso.
* È necessaria un ampia riforestazione, la protezione della biodiversità e il recupero degli spazi naturali.
* Tutte queste misure non devono comportare la perdità di un solo posto di lavoro. Tutti i lavoratori il cui luogo di lavoro è coinvolto in questi piani devono mantenere i loro salari e i loro diritti ed essere ricollocati in nuovi settori di lavoro. I nuovi posti di lavoro necessari verranno utilizzati per combattere la disoccupazione.
L'unico modo per affrontare la sfida dei cambiamenti climatici in modo realistico ed efficace è adottare misure anticapitaliste, rivoluzionarie e socialiste che pianifichino l'economia ponendo al centro la sostenibilità ambientale e la giustizia sociale, in luogo dei benefici privati.
* Le grandi compagnie, in particolare quelle energetiche e petrolifere, le miniere e le banche, devono essere immediatamente nazionalizzate e le loro risorse gigantesche messe sotto il controllo dei lavoratori e della popolazione e al servizio di una promozione totale delle energie rinnovabili. Allo stesso tempo, è necessario applicare un piano incisivo di risparmio energetico.
* Il sistema dei trasporti va trasformato, sviluppando un'ampia rete pubblica e sostenibile, che sostituisca il modello basato sull' uso di auto private e sia gratuito. Il modello urbanistico, del lavoro e del turismo deve favorire gli spostamenti minimi e fermare immediatamente l'urbanizzazione selvaggia.
* L'industria deve essere sottoposta a una rigorosa limitazione delle emissioni, adattando i suoi processi di produzione alla sostenibilità, invece di far risparmiare costi ai suoi proprietari e deve porre fine allo stratagemma del commercio dei diritti di emissione. Durata, riutilizzo e riciclaggio devono essere criteri obbligatori, eliminando produzioni superflue o distruttive.
* Dobbiamo porre fine a modelli industriali dell'agricoltura e dell’allevamento, nelle mani delle grandi aziende, per adattarli a modelli ecologici e razionali.
* Difesa incondizionata dei popoli delle foreste e di altre comunità tradizionali che guidano i movimenti socio-ambientali contro la distruzione dei loro territori causati dall'azione di grandi aziende. Queste popolazioni (indigene, contadine e quilombole) sono imprescindibili per la difesa dell'ambiente, a causa della loro cultura e del loro stile di vita. Ecco perché sosteniamo ogni lotta per la difesa dei loro territori.
* In difesa dell'Amazzonia, la più grande foresta pluviale del pianeta e delle popolazioni ancestrali che la abitano
* Limitazione radicale dell'uso di transgenici e prodotti agrotossici. I transgenici non sono altro che piante sviluppate per resistere a grandi quantità di pesticidi. Qualsiasi promessa di aumento della produttività e maggiore controllo dei parassiti è fallita rivelandosi una trappola per i piccoli contadini e ha contribuito solo a rafforzare i grandi monopoli capitalistici nella produzione agricola. Questo è il motivo per cui difendiamo la limitazione dell'uso di questi prodotti, per impedirne l'uso.
* È necessaria un ampia riforestazione, la protezione della biodiversità e il recupero degli spazi naturali.
* Tutte queste misure non devono comportare la perdità di un solo posto di lavoro. Tutti i lavoratori il cui luogo di lavoro è coinvolto in questi piani devono mantenere i loro salari e i loro diritti ed essere ricollocati in nuovi settori di lavoro. I nuovi posti di lavoro necessari verranno utilizzati per combattere la disoccupazione.
Mobilitazione globale dal 20 al 27 settembre. Come affrontiamo questa lotta?
Positivamente, cresce sempre più la consapevolezza dei cambiamenti climatici e dell'ambiente. È da qui che nasce la speranza di poter cambiare le cose. In diversi Paesi, tra il 20 e il 27 settembre, si sta preparando una settimana di lotta globale, che sta guadagnando forza giorno dopo giorno, rafforzata dalla mobilitazione globale in difesa dell'Amazzonia. Come Lit - Quarta Internazionale ci impegniamo a promuoverla in tutti i Paesi in cui siamo presenti. Saremo in tutti i luoghi di lotta, nei quartieri e nelle città, costruendo questa giornata per far si che sia una pietra miliare della lotta ambientale.
Molti attivisti sottolineano il tentativo di educare la popolazione ad adottare consuetudini per il risparmio energetico. Queste abitudini sono necessarie, ma non sono sufficienti e non vanno al nocciolo del problema. Il punto centrale deve essere rappresentato dalla lotta contro l'imperialismo e contro tutti i governi capitalisti e padronali, gemellati e al servizio dei proprietari delle grandi compagnie inquinanti.
Per porre fine all'imperialismo, con i suoi governi, per cambiare il sistema economico, abbiamo bisogno che la classe lavoratrice, mano nella mano con i giovani, prenda il controllo e guidi la lotta in difesa dell'ambiente. Alla fine, i capitalisti danno solo ordini, ma sono i lavoratori che fanno funzionare davvero l'economia, sono le nostre mani che hanno la capacità di trasformarla. Solo se la maggioranza dei lavoratori prende il potere nelle sue mani eviteremo il disastro ambientale e sociale e ricostruiremo il mondo su una base umana e razionale. Pertanto, chiediamo la partecipazione alla mobilitazione, insieme ai movimenti sociali, dei sindacati e dei partiti politici della classe operaia. Chiamiamo a una vasta unità di azione in questi giorni dal 20 al 27 settembre e per tutte le lotte ambientali in corso.
Positivamente, cresce sempre più la consapevolezza dei cambiamenti climatici e dell'ambiente. È da qui che nasce la speranza di poter cambiare le cose. In diversi Paesi, tra il 20 e il 27 settembre, si sta preparando una settimana di lotta globale, che sta guadagnando forza giorno dopo giorno, rafforzata dalla mobilitazione globale in difesa dell'Amazzonia. Come Lit - Quarta Internazionale ci impegniamo a promuoverla in tutti i Paesi in cui siamo presenti. Saremo in tutti i luoghi di lotta, nei quartieri e nelle città, costruendo questa giornata per far si che sia una pietra miliare della lotta ambientale.
Molti attivisti sottolineano il tentativo di educare la popolazione ad adottare consuetudini per il risparmio energetico. Queste abitudini sono necessarie, ma non sono sufficienti e non vanno al nocciolo del problema. Il punto centrale deve essere rappresentato dalla lotta contro l'imperialismo e contro tutti i governi capitalisti e padronali, gemellati e al servizio dei proprietari delle grandi compagnie inquinanti.
Per porre fine all'imperialismo, con i suoi governi, per cambiare il sistema economico, abbiamo bisogno che la classe lavoratrice, mano nella mano con i giovani, prenda il controllo e guidi la lotta in difesa dell'ambiente. Alla fine, i capitalisti danno solo ordini, ma sono i lavoratori che fanno funzionare davvero l'economia, sono le nostre mani che hanno la capacità di trasformarla. Solo se la maggioranza dei lavoratori prende il potere nelle sue mani eviteremo il disastro ambientale e sociale e ricostruiremo il mondo su una base umana e razionale. Pertanto, chiediamo la partecipazione alla mobilitazione, insieme ai movimenti sociali, dei sindacati e dei partiti politici della classe operaia. Chiamiamo a una vasta unità di azione in questi giorni dal 20 al 27 settembre e per tutte le lotte ambientali in corso.
Questa è la lotta in cui è impegnata la Lit - Quarta Internazionale.
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