Il regista Gianni Amelio una volta disse che se dopo aver
visto un film esci dal cinema riflettendo profondamente sui temi che pellicola ha proposto allora vuol dire che hai visto un bel film. Lo
stesso concetto secondo me può essere riferito ai dischi. Ed è ciò che accade
ascoltando “Humanify”, il nuovo disco del gruppo “Bravo Baboon” registrato per la Auand
Record, finanziato da Puglia Sounds.
Un progetto guidato dalla Regione Puglia e realizzato grazie all’accesso ai
fondi europei per lo sviluppo e la coesione.
Un’evidenza che dimostra come un’Unione Europea scorporata dalla sua
vocazione liberista e mercantilista, ogni tanto serve.
Esaurite le
formalità burocratiche veniamo alla musica. “Bravo Baboon”. Chi
sono costoro? Semplicemente si tratta di
tre amici, solidi e virtuosi musicisti, che si sono ritrovati a Roma per formarsi
alla Saint Louis College of Music. Un
posto dove si studia tutto: dal jazz, al
blues, al latin, pop, rock, fusion,funk , soul, big band.
Si parla di Dario
Giacovelli 29 anni da Martina Franca, suona basso e contrabbasso. Dal 2008 è a Roma dove vive la sua attività
artistica ottenendo diversi riconoscimenti -ad Umbria jazz e al Fara Music, fra
gli altri - e suonando in modo costante
nella scena jazz nazionale, ma anche in collaborazione con molti musicisti
rock.
Insieme a Dario c’è Gianluca
Massetti, anch’egli ventinovenne, di San Benedetto del Tronto,
pianista compositore, trasferitosi pure lui a Roma. Ha registrato diverse colonne sonore per la
Rai, collabora con molti artisti della musica pop italiana accompagnandoli in giro per l’Europa.
Infine
il trentaquattrenne Moreno Maugliani, batterista e percussionista. Ha perfezionato gli studi in batteria jazz e
tamburo rudimentale, alterna l’attività con il trio ad un denso impegno di turnista essendo richiesto da
molti cantanti e artisti della musica leggera.
I tre amici decidono nel 2013 di unire le
proprie forze per proporre una musica che raccoglie e convoglia, in una espressione artistica innovativa
e unitaria, i loro studi, le loro
esperienze, la loro concezione della vita e dell’arte. Nel 2015 registrano il loro primo EP live all’Auditorium
Parco della Musica di Roma con ospiti d’eccezione
come Rosario Giuiani e Javier Girotto.
Dopo le presentazioni torniamo al disco. Perché
Humanify? Lo spiegano gli stessi
Bravo Baboon: “ Come artisti abbiamo l’obbligo
di non restare in silenzio”, si tratta di utilizzare la musica come mezzo
potentissimo per raccontare storie ed opporsi : “a qualsiasi forma di sopruso, razzismo, abuso e mancanza di rispetto
verso i nostri simili e versi il pianeta che ci ospita”. Quindi il fine dei
Bravo Baboon è quello di prendere posizione attraverso la musica : “In un’epoca come la nostra abbiamo deciso di
raccontare storie con la nostra musica e provare a sottolineare quanto
importante sia ritrovare il senso di umanità.
Il nome Bravo Baboon – sottolinea Dario Giacovelli - è un modo ironico per apostrofare l’essere
umano di oggi con un “Bravo Scemo” dato che , anziché evolverci , stiamo
tornando indietro”.
“Humanify” è un viaggio fatto di tante storie. Il titolo del brano di apertura “Overseas” (oltremare) e quello di
chiusura “A Casa “ danno proprio l’idea
di una percorso che comincia attraverso rotte perigliose ed impervie per
concludersi nell’auspicabile accoglienza di una casa. Ogni pezzo è una storia
che si dipana attraverso momenti melodici molto diversi fra di loro, come
quadri narrativi, apparentemente scollegati, ma che alla fine conducono alla rassicurante sequenza tematica di un
approdo sicuro. Anche quando la
struttura melodica è ripetuta è trattata secondo prospettive ritmiche
molto diverse fra loro, è il caso di “Under
the Bridge”.
Dario Giacovelli spiega
come hanno preso vita gli 11 brani del
CD . Alla base di tutto c’è «un lavoro
di ricerca e studio della musica contemporanea che abbraccia più stili.
Successivamente c’è stata una parte compositiva e di pre-produzione a 4 mani
con Massetti. E infine una fase in post produzione che ha aggiunto la
componente elettronica. Alcuni brani sono stati concepiti come una storia in
divenire, con una struttura aperta e momenti dinamici molto diversi all’interno
anche dello stesso brano. Altri hanno caratteristiche strutturali che
appartengono al mondo del jazz. Altri ancora sono basati su un flusso musicale
dettato dal groove e dal senso di loop appartenente al mondo dell’hip hop».
Al progetto hanno partecipato altri
amici del trio come Simone Alessandrini
al sax alto e Francesco Fratini alla
tromba. Si possono ascoltare in “Na
Ballad” un pezzo molto sofisticato in cui eccelle la performance di Fratini
e in “Afrodanish” dove l’estetica
free mette in risalto l’agilità e la brillantezza di fraseggio di
Alessandrini. “Humanify” ,il brano che da il titolo al CD, vede la partecipazione
della voce di Carolina Bubbico.: “«È il pezzo più
ibrido di tutto il disco – spiega Giacovelli – c’è il jazz, il pop, il groove. Ci rappresenta al 100%”.
In
effetti l’insieme delle 11 tracce è un caleidoscopio di suggestioni
armonico-melodico-ritmiche, in cui l’abilità e il grande bagaglio tecnico dei
tre strumentisti emergono in modo lampante. Funky ed Hip Hop si mischiano con una ricerca
della sonorità particolare una sperimentazione provata già negli anni ’70 , ad esempio, dal Perigeo,
ovviamente con strumenti di codificazione degli impasti sonori non paragonabili
a ciò che la tecnologia ha messo a
disposizione di Bravo Baboon. “Forget to
be present” e “I Heard You” sono chiaro ed affascinante esempio di questa
sperimentazione in chiave post-post moderna.
Non manca neanche la rabbia,
espressa con una ritmica pressante e sonorità elettroniche aggressive, tipica di certi pezzi degli Area
anche questo un celebrato gruppo degli anni ’70 con alla guida l’immenso
Demetrio Stratos. Redwood e Space Donut evocano le atmosfere del gruppo di “Gioia e
Rivoluzione”con delle alchimie
elettroniche che ricordano le diavolerie inventate allora da Paolo Tofani.
Insomma “Humanify” è una storia raccontata
in musica da tre artisti che non voglio arrendersi alla barberie e usano tutti i
quasi illimitati mezzi a disposizione del loro linguaggio artistico per
sottolineare che per restare umani bisogna tornare ad essere umani.
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