Il
caso Ilva, che si aggiunge a quello di Whirlpool e di Alitalia, dimostra che
ormai il nostro paese è nelle mani avide e ciniche delle multinazionali.
ArcelorMittal,
chiedendo l’immunità penale e la riapertura dell’altoforno 2, per continuare
nell’affitto e poi nel conseguente acquisto dell’Ilva, dimostra per tabulas che
essa non vuole assolutamente seguire le prescrizioni del piano ambientale e non
ha nessuno scrupolo di lucrare sulla pelle dei lavoratori e dei cittadini di
Taranto.
È
evidente che per l’Ilva economia e salute sono entità inconciliabili. E che per
Lei ha valore solo il suo personale guadagno. Essa specula sull’eroismo dei
lavoratori che, pur di portare a casa un misero salario, non esitano a
rischiare la propria salute e la propria vita.
L’errore
sta a monte. Il nostro governo e il nostro Parlamento non avrebbero mai dovuto
privatizzare le fonti di produzione di ricchezza nazionale e, in particolare,
le acciaierie di Taranto, Piombino e Genova, eliminando così la possibilità,
nei casi di cicli economici sfavorevoli, di trasferire in parte gli operai da
una fabbrica all’altra e, se del caso, anche dal settore siderurgico ad altri
settori produttivi.
Ingannevole
e deplorevole è stato l’atteggiamento della televisione, della stampa e di
buona parte dei politici, i quali, assecondando le intenzioni di ArcelorMittal,
hanno fatto apparire come una “mazzata” la minaccia della chiusura della
fabbrica, addossandone la colpa alla forza politica che aveva tolto, con legge,
l’immunità penale. Quasi che la vita dei lavoratori e dei tarantini non avesse
nessun valore nei confronti dell’attività della fabbrica stessa.
A
questo punto l’Italia è davvero a un bivio: o si capisce che dobbiamo sottrarci
al potere cinico e intransigente delle multinazionali, o non abbiamo più alcuna
possibilità di salvare, non solo l’ambiente, ma addirittura la salute e la vita
dei nostri concittadini.
È
arrivato il momento che gli italiani si sveglino e escano dal loro torpore,
evitando di farsi ingannare dalle menzogne di tutti quei politici, nel caso di
specie Salvini e Renzi in testa, che ancora vedono nella nostra subordinazione
alle multinazionali l’unica via d’uscita.
Senza
pensare che questa via d’uscita conduce direttamente alla povertà, alla
schiavitù e alla morte.
È
assurdo che si faccia di tutto per pregare, senza un minimo di dignità, le
multinazionali straniere a restare in Italia, donando loro i profitti che
spetterebbero agli italiani.
Il
territorio, dove ha sede questa industria, è italiano, e in virtù dell’articolo
42, comma 2, della Costituzione, l’abbandono di questo sito da parte della
multinazionale in questione comporta il venir meno di qualsiasi diritto da parte
di essa, nonché il ritorno della fabbrica nella piena disponibilità dello Stato
italiano, il quale non deve pagare assolutamente nulla alla società che specula
in modo tanto palese sui nostri beni e sulla salute dei nostri cittadini e deve
anzi chiedere il risarcimento dei danni conseguenti al chiusura dell’azienda.
Il
problema è stabilire quanta produzione di acciaio occorre nel momento attuale,
e ridimensionare l’azienda nei limiti del dovuto. Tutto il resto, come avvenuto
nella Rhur deve essere riconvertito in altre attività che producono egualmente
reddito senza danneggiare l’ambiente e la salute, occupando nel contempo tutti
i lavoratori.
Occorrono
oggi decisioni coraggiose e limpide. E soprattutto è necessario uscire dalla
china pericolosa nella quale si è ficcato il governo, mostrando la sua
debolezza nei confronti delle prepotenze delle multinazionali straniere.
La
soluzione è soltanto una: nazionalizzare le imprese per tutelare la salute, il
lavoro e l’ambiente.
Le
risorse economiche finora sono state impiegate per finalità inutili e soltanto
per rendersi graditi alla pancia degli elettori.
Adesso
le risorse vanno trovate, anche mediante una richiesta di un prestito
nazionale, per riportare in campo lavorativo l’utilità sociale, la libertà, la
sicurezza e la dignità umana. Lo impongono gli articoli 41 e 42 della
Costituzione Italiana Repubblicana e Democratica.
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