Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

giovedì 9 febbraio 2012

IL COMITATO D'AFFARI DELLA BORGHESIA

di Alberto Madoglio


A poco più di due mesi dalla sua formazione, il governo Monti si caratterizza per essere un esecutivo tra i più reazionari e antipopolari che l’Italia abbia mai avuto. Una durissima manovra finanziaria che ha aumentato le tasse, dirette e indirette; una riforma delle pensioni che da un giorno all’altro ha allungato in modo considerevole gli anni di lavoro; un decreto sulle liberalizzazioni che, lungi dal favorire un calo di prezzi e tariffe, permetterà la creazione di nuovi monopoli, condannando alla proletarizzazione e all’impoverimento ampi strati della piccola borghesia.

E non è ancora finita!
Coperta dall’inganno di quella che viene chiamata “fase 2”, cioè una fantomatica fase in cui terminano i sacrifici e si innescano politiche di sviluppo, col conseguente aumento della ricchezza per tutti, specialmente per i ceti meno abbienti, il governo dei professori si appresta a varare una nuova riforma del mercato del lavoro.
Una vulgata comune in questi ultimi tempi, sostenuta sia dalle forze di centrodestra che da quelle di centrosinistra, da intellettuali (o presunti tali) conservatori e progressisti, vuole che i problemi dell’economia in Italia siano sostanzialmente dovuti ad un mercato del lavoro eccessivamente garantista per i lavoratori e troppo severo con le imprese.
Che si tratti di una menzogna bella e buona non lo sosteniamo solo noi, comunisti rivoluzionari non pentiti, ma anche soggetti al di sopra di ogni sospetto. Qualche settimana fa uno studio pubblicato dall’Ocse sosteneva che l’Italia è il Paese dove è più facile fare dei licenziamenti individuali. Per la verità l’Ocse sostiene che i licenziamenti collettivi siano più difficili, ma qui basta chiedere a Fiat, Telecom, Ferrovie, banche e altre imprese di ogni dimensione quali difficoltà abbiano avuto in questi anni nel licenziare migliaia di persone. La risposta è semplice: nessuna.
D’altra parte fin dai primi anni Novanta sono stati operati una serie di passaggi che hanno reso il lavoro in Italia sempre più precario, con sempre meno diritti, e remunerato con salari da fame: con l’accordo della Cgil di Trentin (allora inspiegabilmente considerato come un leader di sinistra dopo la segreteria di Lama), venivano introdotti i contratti di formazione lavoro, e poi la legge Treu (voluta dal primo Governo Prodi e sostenuta a spada tratta dall'allora segretario di Rifondazione Comunista, Bertinotti), la Biagi ecc.

Articolo 18: quale è la vera posta in gioco
Lo stesso articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori oggi non garantisce realmente un granché. Nei pochi casi in cui le aziende sono costrette a riassumere un lavoratore, quasi mai lo reintegrano effettivamente nella produzione: pagano lo stipendio, ma lo isolano in reparti di confino o all’inattività. Il caso dei tre delegati sindacali della Fiat di Melfi è emblematico.
Ma allora perché si vuole così pervicacemente riformare i contratti di lavoro se, come abbiamo detto oggi, le imprese di ogni dimensione hanno nei fatti carta bianca?
Il perché è presto detto. Dopo cinque anni dall’inizio di una crisi che ha devastato l’economia mondiale, in cui i segnali di ripresa solo lontani da venire, il capitale cerca in ogni modo di recuperare i profitti persi. Ecco che ogni intralcio, anche minimo, anche simbolico, che si frappone al suo dominio incontrastato e alla sua sete di guadagno, deve essere spazzato via senza pensarci troppo.
Inoltre la grande borghesia, i suoi partiti e i suoi governi, sanno benissimo l’importanza che hanno i simboli nella lotta di classe che quotidianamente capitale e lavoro combattono tra loro. Le minime garanzie oggi rimaste a favore dei proletari, se nei fatti non rappresentano una tutela reale come abbiamo spiegato in precedenza, rappresentano comunque una speranza per il loro presente e per il loro futuro. L’articolo 18 che esemplifica queste ormai sempre più residue tutele, ai loro occhi è l’ultima barriera, l’ultima linea di difesa contro lo strapotere del padrone. Gli operai, così come i giovani e i disoccupati, e per ragioni opposte i padroni, sanno che questa è per certi versi la battaglia cruciale, che rischia di determinare i rapporti di forza tra le classi per i prossimi anni.

Governo Monti: non disturbare il manovratore
E’ per questo che il governo Monti, sostenuto da tutta la stampa della borghesia, sta dando
un’importanza particolare a questa riforma. Peraltro sa di poter contare su molti alleati e su pochi oppositori, questi ultimi per lo più solo di facciata.
Tra i primi c’è senza ombra di dubbi il Partito Democratico. E’ dalle sue fila che sono emerse due delle proposte di riforma che oggi sono in discussione: quella più estrema, definitiva, di Ichino, nemico giurato dei lavoratori, che mira ad importare in Italia un modello di lavoro totalmente flessibile, di stampo "anglosassone". E quella, in apparenza più moderata, di Nerozzi (ex sindacalista Cgil), Damiano (ex ministro del lavoro del secondo governo Prodi) e altri, che punta a eliminare le tutele dello Statuto dei Lavoratori per un periodo transitorio, tre anni dall’assunzione, per poi prevederne l’estensione. Non si tratta qui del male minore: per tre anni ogni lavoratore sarebbe alla mercé del datore di lavoro. L’esperienza ci insegna che questa riforma potrebbe essere il primo passo per una definitiva cancellazione dello Statuto. Le stesse proposte circa una modifica degli ammortizzatori sociali (le varie forme di cassa integrazione che, per parte nostra, non abbiamo mai difeso in quanto si tratta di un altro strumento utilizzato da padroni e governo per far pagare ai lavoratori la crisi, garantendosi la pace sociale) vanno verso un ulteriore peggioramento delle condizioni di sopravvivenza delle classi subalterne.

Un'opposizione nemmeno di facciata
Tra i finti oppositori possiamo annoverare certamente la burocrazia della Cgil. Non solo non possiamo in alcun modo fidarci delle rassicurazioni che la segretaria Camusso fa circa la sacralità dell’articolo 18. Diceva le stesse cose riguardo le pensioni (ricordate il suo: “quarant’anni di lavoro sono un numero magico”?) e sappiamo come è finita. E le stesse contro-proposte che avanza sono tutte all’interno di un’idea di mantenimento del lavoro in uno stato di flessibilità perenne; in presenza di oltre 40 contratti di lavoro precari, la Camusso, con foga barricadera, afferma solennemente: ne bastano 4 o 5. Una richiesta che può mettere al tappeto i padroni: al tappeto sì, ma dalle risate, contenti di avere una vera e propria quinta colonna nel più grande sindacato del Paese.
E al fianco della Camusso troviamo Sel di Vendola e la Fed (Rifondazione e Pdci) di Ferrero: il primo attento a non criticare troppo il governo per non bruciarsi le ambizioni di una futura alleanza di governo, magari come nuovo leader, di centrosinistra. Il secondo per le stesse ragioni, anche se con minori pretese, occupato ad attaccare a parole la borghesia... ma quella tedesca, di cui Monti sarebbe (nella sua fantasia) solo la longa manus.
Per non parlare del gruppo dirigente Fiom guidato da Landini: dopo aver respinto, pur tra mille cautele, l’estensione del "modello Pomigliano" alle altre fabbriche del gruppo, oggi rivendica l’indizione di un referendum tra gli operai del Lingotto per decidere del futuro di quei diritti che poco tempo fa definiva "intangibili".

Una sola risposta: opposizione di classe per un governo operaio
Tutti questi fatti dimostrano come nel bel mezzo della crisi sia più irreale che mai proporre una via di conciliazione tra le esigenze opposte di padroni e lavoratori. Davanti all’attacco brutale delle classi dominanti, i proletari e tutti gli sfruttati devono rispondere con un programma altrettanto radicale, basato sui loro interessi.
Estensione dell’articolo 18 a tutti i lavoratori, abolizione di tutti contratti di lavoro precari, aumenti in grado di recuperare il potere d’acquisto dei salari uguali per tutti, reddito sociale garantito, sistema pensionistico su base redistributiva per il diritto alla pensione dopo 35 anni di lavoro, estensione dei diritti sociali e sindacali a tutti i lavoratori immigrati e loro immediata regolarizzazione. Ma ciò richiede l'esproprio senza indennizzo sotto controllo operaio di tutte le imprese, banche, società finanziarie che licenziano o ricorrono alla cassa integrazione.
Queste sono alcune rivendicazioni che dovrebbero far parte di un programma complessivo di mobilitazione e unificazione di tutti i settori sociali che sono colpiti dalla crisi e che vengono spinti dall’attacco del capitale verso un futuro fatto di miseria, disoccupazione e disperazione.
Un programma in grado di far comprendere a larghe masse che la soluzione dei loro problemi non può avvenire all’interno di questa società, basata sullo sfruttamento e sulla ricerca sfrenata del profitto, ma che può avvenire solo attraverso una lotta rivoluzionaria che abbia come scopo la distruzione di questo sistema politico, economico e sociale e la sua sostituzione con un'economia democraticamente pianificata, al servizio della maggioranza dell'umanità.
Questo obiettivo è oggi il solo realistico e attuabile, se si vuole evitare che il mondo sia spinto verso una barbarie senza fine.
Ed è propagandando e agitando questo programma che noi rivoluzionari facciamo appello a tutti i lavoratori più coscienti presenti nei sindacati e nei movimenti, per guadagnare nelle lotte un'unità di classe in contrapposizione alla borghesia e al suo governo cosiddetto tecnico.


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