Nella primavera scorsa , l’Osservatorio Peppino Impastato organizzò, un corso di giornalismo
partecipato. Un nuovo modo di fare informazione nell’era della rete. La notizia
viene raccolta e diffusa direttamente dal cittadino. E’ ciò che è capitato al
sottoscritto ieri mattina.
Mi ero recato presso la Asl, per prenotare una
visita. Incamminandomi verso l’ospedale incontro una delegazione del
Comitato Ospedale San Benedetto di
Alatri. All’interno della palazzina della dirigenza il Dottor Retrosi, portavoce del movimento, era
a colloquio con la manager, Dottoressa Mastrobuono per derimere
l’annosa questione del reparto di ostetrica del
nosocomio alatrese.
Come è noto presso
l’Ospedale San Benedetto è in
apertura la così definita “Casa del Parto”. Una struttura che dovrebbe supportare, (o forse
sostituire?) Il reparto vero e proprio. Nelle scorse settimane ostetricia è stata chiusa per concedere ai medici un
periodo di ferie. Attualmente i sanitari sono rientrati,
ma non tutti ad Alatri. Alcuni sono stati dirottati presso l’ospedale Spaziani
di Frosinone. Il reparto del San Benedetto ha ripreso a funzionare, parzializzato a quattro posti letto, in luogo
dei dodici disponibili prima delle ferie, e senza la guardia medica notturna.
Una situazione che avvallerebbe il sospetto dei sindaci del distretto A e dei cittadini,
sull’imminente chiusura, non solo del reparto ma dell’intera struttura
ospedaliera.
Questo era il motivo per cui la delegazione del comitato in difesa
dell’Ospedale di Alatri era presente sotto la palazzina della dirigenza Asl.
Mentre provvedevo con il cellulare a raccogliere qualche impressione presso i
membri del comitato, giungeva l’invito alla delegazione,
tramite l’addetto stampa della manager, a
confrontarsi con la Dottoressa Mastrobuono. Come membro del coordinamento
provinciale per la sanità, organismo al quale appartiene il comitato dell’ospedale
San Benedetto, venivo invitato anch’io.
Inizialmente non volevo partecipare, un
po’ perché non avevo un mandato preciso da parte del movimento di Alatri, un po’
per mancanza di tempo-ero li per tutt' altre faccende - un po’ perché psicologicamente
non predisposto ad intavolare una vertenza con la manager Asl. Ma su pressione
della delegazione del comitato, sollecitato telefonicamente anche dai vertici,
decido di salire.
La Dottoressa Mastrobuono ci ha ricevuto in una piccola
sala riunioni. L’inizio non è stato dei più piacevoli. La manager ci informava di aver
denunciato per diffamazione il comitato San Benedetto di Alatri, per un
comunicato stampa ingiurioso nei suoi confronti, uscito sul sito Tg24 info. Il
testo è rimasto on line per poco tempo, subito ritirato dalla redazione
del giornale , ma ciò non è bastato. La Dottoressa
Mastrobuono si è sentita offesa oltre
che personalmente, anche professionalmente da qui la denuncia. I membri del
comitato che erano con me non ne sapevano nulla, ma inequivocabilmente il
comunicato era firmato dal Comitato San Benedetto di Alatri. Non conosco le modalità con cui vengono
decisi i contenuti dei comunicati stampa in seno al movimento, ma percorrere la
via dell’insulto personale, oltre che rischioso in termini giuridici è anche
deleterio in funzione delle rivendicazioni che si vogliono portare avanti.
Ma
veniamo a quanto la Mastrobuono ha affermato in merito alla situazione del
reparto di ostetricia. L’apertura della “casa del parto è un’assoluta garanzia
del fatto che l’ospedale di Alatri rimarrà attivo. Anzi proprio l’accorpamento
con Frosinone e la conseguente riorganizzazione ne garantirà la sopravvivenza. Nelle prossima legge di
stabilità, infatti, il Governo centrale
ha previsto ulteriori 10 miliardi di tagli alla sanità. Il salasso colpirà soprattutto
quelle strutture non ritenute efficienti in termini di appropriatezza delle
cure.
Secondo la Mastrobuono l’ospedale
di Alatri, non superando i 500 parti
annui e avendo operato un numero di interventi cesarei elevato, pari
al 55% delle nascite, rispetto alla media che si aggira attorno al 25-30%, sarebbe stato il primo candidato alla chiusura proprio per l’inefficienza che i numeri citati
certificava. Con l’inserimento di una struttura più snella come “la casa del
parto”, un luogo in cui verranno assistiti per lo più i parti naturali, con il
trasferimento dei casi più gravi a Frosinone e l’abbattimento degli
interventi cesarei, è possibile rendere l’ospedale più efficiente e garantirne la sopravvivenza.
Una mia prima obiezione ha
riguardato la capacità della struttura
di gestire comunque le emergenze, quei casi talmente
critici da non consentire il trasferimento a Frosinone ed esigere un intervento
immediato sul posto. La manager ha assicurato che all’interno della “casa del
parto” sarà attiva un’unità operatoria completa di chirurghi e anestesisti. Era
in atto una sorta di magnificazione della casa del parto un po’ come era
avvenuto per la casa della salute di Pontecorvo.I dubbi rimanevano. Ma il cellulare ha squillato. Mi richiamava all’ordine alle incombenze
per le quali ero uscito di casa. Mi sono dunque scusato con i membri del
comitato, con la Mastrobuono, ed ho dovuto abbandonare la riunione.
Non so come
sia andata a finire,ma questo ennesimo incontro ha rafforzato in me l’idea che
bisogna inserire la lotta per la sanità locale in un quadro più ampio. La
stessa Mastrobuono, confermando il salasso di ulteriori 10 milliardi al sistema
sanitario, ha involontariamente dimostrato come sia in atto un piano di
destrutturazione dei servizi pubblici per favorire gli affari dei privati su
sanità, acqua, energia. La difesa dell’ospedale di Alatri comincia dal
rafforzamento della lotta per la difesa della sanità pubblica di qualità per
tutti. Se non si parte da qui non sarà solo l’ospedale San Bendetto a chiudere,
ma verrà seguito da tante altre strutture indipendentemente dai manager che si succederanno alla Mastrobuono.
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