Mondiali 2018. Il gioco del calcio restò per anni ancorato al modulo "2-3-5"
Quando
la Russia zarista entrò nella Prima guerra mondiale, il calcio era già diffuso
nelle città europee dell’Impero e stava dilagando verso il Caucaso, il Volga e
gli Urali. I contadini e gli operai che assaltarono il Palazzo d’Inverno
nell’ottobre 1917 erano presumibilmente freschi tifosi del gioco arrivato da
Occidente. Una volta al potere, i bolscevichi non tardarono a occuparsi del football e crearono, dalle ceneri dei club
borghesi, nuovi sodalizi “proletari”, associandoli alle principali istituzioni
del paese: CSKA Mosca (esercito), Dinamo Mosca (Ministero degli Interni),
Lokomotiv Mosca (Ministero dei Trasporti), Torpedo Mosca e Zenit Leningrado (i
maggiori complessi industriali).
Dapprima,
il calcio fu oggetto di attenzioni ambivalenti da parte dei comunisti, che
oscillavano fra la condanna ideologica di uno sport ritenuto ineluttabilmente
diseducativo (il dribbling e le finte erano giudicati turpi inganni!)
e i vani tentativi di moralizzarlo con cervellotiche modifiche alle regole. Si
trattava in effetti di un altro versante del più generale dibattito sullo
sport: tutti concordavano che la cultura sportiva sovietica dovesse propiziare
il miglioramento della salute, l’incremento della produttività lavorativa,
preparare i lavoratori a difendere le conquiste rivoluzionarie, divulgare
abitudini collettivistiche e disciplina, ma a questi scopi, sembravano meglio
rispondere combinazioni varie di ginnastica, esercizi fisici correttivi,
giochi, escursioni e parate.
Benché
fosse altresì unanime la condanna dell’individualismo, dell’ossessiva ricerca
dell’eccellenza prestazionale e dello spirito competitivo, prevalse la volontà popolare,
poiché le masse amavano il calcio per quello che era. Il Cremlino si convinse
che anche il pallone poteva essere sfruttato a fini di irreggimentazione, di
ri-orientamento socio-culturale, di compattamento della sparsa identità
federale e quale pietra di paragone nella competizione contro il “corrotto
mondo occidentale”.
L’isolamento
internazionale, retaggio dell’Ottobre e dell’intervento straniero in appoggio
ai contro-rivoluzionari nella guerra civile, ostacolò però la crescita
tecnico-tattica del movimento calcistico. Senza scambi con l’estero (l’URSS
aderì alla FIFA solo nel 1946) e con ridotte occasioni di confronto anche fra
le squadre delle diverse città dello sterminato paese, il livello del gioco
rimase modesto. Nikolai Starostin, ex calciatore e fondatore
dello Spartak Mosca, suggerì allora la creazione di un campionato unico
sovietico, la cui prima giornata si disputò nel maggio 1936 – Starostin si
spinse ben oltre, proponendo che i calciatori fossero esentati da ogni altro
lavoro e per questa eresia professionistica qualche anno dopo si beccò dieci
anni di gulag.
Ordinata
la parte organizzativa, il football sovietico
aveva adesso necessità di progredire tatticamente, dato che ogni squadra
mandava in campo due difensori, tre centrocampisti e cinque punte, tutti
schierati in linea a replicare la forma della piramide. L’evoluzione verso il
più moderno “sistema”, con l’arretramento in difesa del centromediano e il
disallineamento degli attaccanti, in Russia sperimentato dal solo Spartak e osteggiato
dai vertici del PCUS come una capitolazione di fronte a una tattica
capitalista, fu conseguenza di un’altra guerra civile, quella spagnola.
Nel
giugno 1937, una selezione basca giunse in Unione Sovietica nel quadro di un
tour per raccogliere fondi a favore della Repubblica attaccata dai franchisti.
I calciatori baschi costituivano il nerbo della Spagna, che nel 1928 aveva
inflitto all’Inghilterra la prima sconfitta contro una rappresentativa
continentale e ai Mondiali del 1934 aveva eliminato il Brasile prima di
lasciare strada all’Italia padrona di casa. I “sistemisti” di Euskadi furono festeggiati da folle imponenti come
campioni dello sport ed eroi della resistenza contro il nazifascismo, ma non si
fecero scrupoli a umiliare prima il Lokomotiv e poi la Dinamo Mosca, mettendo a
nudo l’inadeguatezza dell’obsoleto 2-3-5 dei russi. L’ultima speranza era lo
Spartak e la nomenklatura del partito fece sinistramente sapere a
Starostin che era in gioco l’orgoglio sovietico. Rinforzato da alcuni elementi
ucraini e georgiani, lo Spartak non deluse e, anche grazie a qualche gentile
favore arbitrale, travolse la compagine iberica per 6-2.
Nel
1938 quasi tutte le formazioni della massima divisione si convertirono al
“sistema”, inclusa l’ultraconservatrice Dinamo Mosca, che ne sviluppò
un’avveniristica versione con fitta rete di passaggi e insistito scambio di
posizioni fra i giocatori. Così attrezzato, l’undici dei servizi segreti nel
novembre 1945 andò in tournée nel Regno Unito e meravigliò persino i maestri
inglesi, vincendo con l’Arsenal e pareggiando con Chelsea e Rangers Glasgow.
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