Quando il coordinamento nazionale
di Potere al Popolo, su mandato degli iscritti, avviò consultazioni con altre
forze per costruire una coalizione in vista della partecipazione alle elezioni europee, il
pregiudizio principale ed insuperabile
per un accordo fu la possibilità di
avviare un processo di democratizzazione e uguaglianza sociale della
Ue puntando solo alla modifica dei trattati, senza prevederne l’abolizione. La
posizione di Potere al Popolo fu chiara fin dall’inizio: non è pensabile alcuna
evoluzione in tema di diritti se non al di fuori degli attuali trattati, i
quali, scritti per creare e regolare un grande mercato sovranazionale, non
ammettono alcuna opzione sociale. L’esito delle consultazioni come è noto
fallì. Ci tacciarono di essere sovranisti di sinistra e antieuropeisti, per cui
non si raggiunse alcun accordo. Personalmente, e credo che la mia posizione
possa essere condivisa da molti altri compagni, sono più che europeista. Sono internazionalista prefigurando una
comunità internazionale in cui ad essere
globalizzati siano i diritti umani,
sociali e civili, il cui controllo sia
a carico della collettività attraverso
processi di partecipazione attiva e
organizzata. Dunque né sovranisti, né di sinistra - se per sinistra s’intende
la galassia dei partiti riformisti europei
strenui difensori di questa Ue, e
di tutte le politiche di austerity che la contraddistinguono, oppure i vari
satelliti più o meno radicalmente distinti che, proprio per non escludere un aggancio
alla galassia riformista, non osano
prendere una decisa posizione contro i trattati - . La tesi secondo la quale
un’altra organizzazione sociale non è possibile se non si rifiutano totalmente i
trattati e l’attuale conformazione
politica della Ue, è supportata anche da autorevoli studiosi come
Claudio De Fiores (Professore Ordinario di Diritto Costituzionale componente
del collegio del dottorato in “Internazionalizzazione dei sistemi giuridici e
diritti fondamentali) e Franco Russo (ex parlamentare, esperto di problemi
istituzionali alla luce dei trattati comunitari, esponente di Eurostop).
Riporto di seguito il loro contributo. Spero possa essere utile a creare consapevolezza sulla reale natura della “questione”
europea. Spero cioè si capisca come la
Ue non sia altro che un coacervo di trattati concepiti esclusivamente per salvaguardare i diritti dei
grandi potentati finanziari e che tutto ciò non c’entra nulla con l’Europa che prefigurava Spinelli.
Luciano Granieri Potere al Popolo
Frosinone
Il Contributo di
Claudio De Fiores e Franco Russo
Un’Assemblea
costituente per una democrazia costituzionale europea
E’possibile riformare i Trattati
e avviare un processo di democratizzazione delle istituzioni dell’UE, per giungere
a una vera democrazia parlamentare, nel
quadro della normativa UE vigente? Il processo dovrebbe avvenire nel quadro
dell’articolo 48 del TUE, che disciplina i processi di revisione dei Trattati.
Senza qui stare a esaminare la procedura ordinaria e semplificata, basta
richiamare che in ogni caso sono gli Stati membri che devono approvare le
modifiche, rimanendo essi i ‘signori dei Trattati’. Dunque progettare un
percorso di democratizzazione, nell’ambito delle attuali istituzioni significa
affidarlo agli Stati, che, per definizione, come dimostra la storia
dell’integrazione europea, si riservano, e non vogliono perdere, il monopolio
della decisione politica, concentrata nel Consiglio europeo, nella Commissione
e nelle diverse formazioni del Consiglio, oltre che nella tecnocrazia che trova
la sua massima espressione nella BCE. Il ‘potere legislativo’ è di competenza
del Consiglio condivisa con il Parlamento europeo, a voler tacere che le
materie della politica estera, finanziaria, monetaria sono di esclusivo appannaggio
o del Consiglio europeo, o del Consiglio dell’UE (ECOFIN), o della BCE. Giova ricordare che il Consiglio
europeo e il Consiglio dell’UE, nelle sue formazioni, sono composte dai capi di
governo e di Stato e da ministri. Nell’UE i governi hanno competenza
legislativa ‒ ahi povero Montesquieu, e
addio all’articolo 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1789! ‒, deliberano le norme la cui esecuzione è
affidata alla Commissione, nominata anch’essa dai governi (con l’assenso del PE).
Questi sono fatti noti, che vengono richiamati per porre alcune questioni di
fondo, a cui il documento dell’esecutivo sfugge: è possibile un processo di
democratizzazione nell’ambito dei Trattati (TUE e TFUE)? È compatibile un
processo di democratizzazione con le disposizioni dei Trattati? E a monte di
tale questione se ne pone un’altra: è possibile una democrazia senza
Costituzione? È immaginabile, cioè, una democrazia fondata sui Trattati, i cui ‘signori’
sono gli Stati, più precisamente i loro governi? Sono compatibili Trattati e
Costituzione democratica? A nostro parere no, e di seguito proviamo ad
argomentare la nostra posizione.
1. La costruzione europea è guidata dal metodo del funzionalismo con lo scopo di realizzare
e ‘governare’ un mercato sovranazionale.
È sufficiente leggere gli scritti di Jean Monnet, o i
vecchi quanto lucidi saggi di David Mitrany o direttamente le norme
fondamentali dei Trattati come interpretate dalla Corte di Giustizia nelle sue
più famose sentenze, per avere chiaro che il fine della costruzione europea è
un mercato sovranazionale, da attuare attraverso ‘realizzazioni concrete’, come
disse Schuman.
Fu Davide Mitrany a teorizzare l’evoluzione
spontanea delle istituzioni comunitarie branch
by branch, perché ogni funzione avrebbe generato le altre gradualmente, ed
è la stessa idea di Monnet quando elaborò il piano della CECA, che avrebbe
dovuto condurre alla federazione politica attraverso l’integrazione successiva
dei diversi settori economici. Questo
metodo funzionalistico, che implicava successive attribuzioni di competenze per
realizzare obiettivi in campi delimitati, ha guidato la costruzione della
Comunità europea, e poi dell’Unione economica e monetaria.
Fin dall’inizio fu presente la consapevolezza che
questo progetto di unione economica, fondata sul mercato sovranazionale,
avrebbe richiesto istituzioni diverse da quelle della democrazia
rappresentativa. Fu sempre Mitrany a teorizzare la contrapposizione tra una voting democracy e una working democracy, sostenendo che
l’autorità nell’epoca contemporanea si legittima attraverso i risultati che
consegue; è questa un’output democracy
in quanto dipendente dall’efficienza del funzionamento delle istituzioni, in
primo luogo del mercato dove quotidianamente il consumatore ‘vota’ con i piedi
scegliendo la merce che soddisfa a più basso prezzo la sua domanda. L’output democracy è una versione
aggiornata del ‘dittatore benevolo’, del ‘despota illuminato’.
Le istituzioni comunitarie non hanno mai trovato il
fondamento della loro legittimazione nella democrazia rappresentativa, bensì
nell’efficienza di un mercato inizialmente parziale
con la CECA nel 1951, comune con la
CEE nel 1957, ed unico nel 1986 che è sfociato nell’Unione economica e
monetaria avviata con il Trattato di Maastricht del 1992. Per realizzare questi
fini sono stati attribuiti sempre nuovi poteri alle istituzioni comunitarie
(ora UE), le cui norme godono del primato su quelle nazionali e
dell’applicabilità diretta (per quanto riguarda i ‘regolamenti’ e le
‘decisioni’). Le quattro libertà di
circolazione – beni, servizi, capitali, lavoratori – sono stati i
principi-guida delle normative e delle politiche comunitarie, e il rispetto
della concorrenza è stato sempre sancito in tutti i Trattati e affidato alla
competenza esclusiva della Commissione.
Le vicende pluridecennali dell’unificazione europea
hanno mostrato che non si è formata una società dotata di una Costituzione
democratica, al contrario si è creata una società di mercato con una costituzione economica che ha ribaltato i principi delle Carte costituzionali
del Novecento. La costruzione delle Comunità e ora dell’Unione europea ha
istituito il primato del mercato, divenuto l’ordinatore delle relazioni economiche, sociali e istituzionali. Il
dominio dell’economia sulla società trova una sua strumentazione specifica
negli articoli 101-109 del TFUE, da attuare secondo i principi di un’economia
di mercato aperta e in libera concorrenza (articolo 120 TFUE), e nei Protocolli
n. 12 e 13 del Trattato di Lisbona, che prescrivono la stabilità dei prezzi, il
contenimento della spesa pubblica e le politiche di convergenza.
C’è un tratto originale dell’UE, quello di essere un ordine giuridico
del mercato al di là degli Stati
nazionali.
Per decenni la Corte di Giustizia dell’Unione Europea è stata il
motore del processo d’integrazione, vigilando sull’abbattimento delle barriere
tariffarie e non tariffarie al fine di costruire il mercato comune sulla base
del Trattato di Roma, e in seguito il mercato unico e l’euro (sulla base
dell’Atto unico europeo e del Trattato di Maastricht). Grazie alla
giurisprudenza della Corte, la CEE si caratterizzò come ‘Comunità di diritto’,
e i Trattati vennero posti a suo fondamento ‘costituzionale’.
La Corte di Giustizia è divenuta
nel tempo il tribunale supremo per l’interpretazione e l’applicazione del
diritto comunitario
La Corte di Giustizia non ha usurpato la fama di forza motrice
dell’integrazione economica europea, avendo essa stabilito il primato del
diritto comunitario e l’effetto diretto delle sue norme, che essa ha consolidato
attraverso una lunga sequenza di conflitti con altre istituzioni – soprattutto
con le Corti costituzionali nazionali e in particolare con quella tedesca e
italiana – per affermare la sua competenza a essere interprete del diritto
comunitario così da garantirne l’effettività e l’uniforme applicazione.
Questo ruolo di promozione, e di garanzia del funzionamento, del
mercato unico è stato svolto dalla Corte di Giustizia anche durante la Grande
Recessione, quando è avvenuta una ‘mutazione istituzionale’ (ripetutamente
legittimata dagli stessi giudici). La BCE, soprattutto sotto la presidenza di
Mario Draghi, ha assunto il ruolo di guida, attraverso le misure monetarie
‘convenzionali e non convenzionali’, che sono andate in parallelo con le
politiche di austerità messe in atto dall’ECOFIN e dalla Commissione grazie ai
meccanismi del Semestre europeo. La Corte di Giustizia ha avallato questo
primato della Banca centrale con la sentenza sul caso Pringle e con l’Opinione
dell’avvocato generale Villalón sul programma OMT.
Con la sentenza sul caso Pringle
(27 novembre 2012), relativa al Trattato istitutivo dell’ESM, la
Corte ha giustificato il ricorso degli Stati membri a patti internazionali,
estranei quindi alla normativa UE, per istituire meccanismi di stabilità, ciò
che comunque ha richiesto la revisione in via semplificata dell’articolo 136 TFUE.
Ha confermato, inoltre, che l’assistenza finanziaria debba essere soggetta a
‘stretta condizionalità’, mediante memorandum e controlli esterni così da
consentire il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri
(punto 69). Per quel che concerne la BCE, la sentenza ha ribadito che essa ha
il potere esclusivo di regolare l’offerta di moneta in condizioni di
indipendenza e autonomia.
Con la sentenza Pringle è
avvenuta la ‘costituzionalizzazione’ delle politiche di austerità, della
stabilità finanziaria, e della ‘stretta
condizionalità’ relativa ai piani di assistenza finanziaria. È stata in questo
modo ridefinita la ‘costituzione economica’ e con essa si è consolidato il
ruolo degli ‘esperti’ cioè della tecnocrazia.
2.La gestione della Grande Recessione ha richiesto una mutazione
istituzionale, cioè una trasformazione complessiva dell’UE per salvaguardare il
mercato unico, e il suo funzionamento.
Si può anche individuare il punto di svolta di questa mutazione
istituzionale – volta all’accentramento delle politiche economiche, fiscali e
finanziarie, oltre che di quelle monetarie – nel Consiglio ECOFIN del 7
settembre 2010, che ha modificato il
Codice di condotta per l’attuazione del Patto di stabilità e crescita mediante
le procedure del Semestre europeo, avviato nel gennaio 2011. Il Semestre
europeo richiede che la discussione e la formulazione dei bilanci degli Stati
membri avvenga in sede UE – ECOFIN e Commissione, specificatamente – prima che
i Parlamenti li deliberino.
Le nuove procedure di bilancio sono state affinate e rese più
stringenti con l’ emanazione del Six Pack, completato con il Two Pack, il tutto
accompagnato da due Trattati internazionali: il Fiscal Compact e l’ESM. Questa ristrutturazione dei poteri
decisionali, a partire da quelli economico-finanziari, in parallelo alle misure
‘non convenzionali’ della BCE, ha consentito all’UE di gestire la crisi dei
mercati finanziari, dei debiti pubblici e dell’euro, e di riorganizzare
l’intero tessuto istituzionale.
Il momento
costituente, per usare una formula di Bruce Ackerman, si è presentato negli anni 2004-2005 quando il no
al Trattato costituzionale, espresso
dai referendum popolari in Francia e in Olanda, aveva aperto la possibilità di
contrapporre ai Trattati dei governi un processo costituente dal basso per
giungere a varo di una Costituzione attraverso un processo democratico.
Quell’occasione, prodotta anche dai movimenti europei del Social Forum, è stata
dispersa, e, nelle spire della Grande Recessione, si è invece consolidata
l’oligarchia europea.
Allora ben si colse che il Trattato ‘costituzionale’
operava un’irriducibile commistione dei due sostantivi (costituzione e
trattato) racchiudendola in un sotterfugio lessicale: la costituzione europea non era una vera costituzione, bensì un Trattato
posto in essere dagli Stati e, in quanto tale, soggetto esclusivamente alla
loro volontà. Infatti, una cosa è procedere alla stesura di una Costituzione al
fine di (ri)fondare l’unità politica di un popolo, o di popoli diversi; altra
cosa è, invece, addivenire nelle forme ordinarie a un Trattato, a un’intesa fra
più Stati, ciascuno dei quali espressione di una già sottostante unità
politica.
L’UE è l’espressione di una ‘Costituzione senza popolo’:
una mera astrazione dietro la quale si è tenacemente trincerato il
neofunzionalismo europeo, particolarmente attento (per sua stessa natura) a
evitare ogni sorta di contatto fra istanze democratiche e processo di
integrazione. Costruire, però, un processo costituente al riparo dai popoli non
è possibile. Fare una costituzione significa farsi carico delle grandi sfide
della storia, rappresentare le aspirazioni di un’epoca, le passioni di un
popolo (o di popoli che vogliono federarsi), produrre un testo coeso nei suoi
principi e fondamentale in tutte le sue disposizioni. Solo una Costituzione,
con la statuizione dei diritti fondamentali, è in grado di fondare una
cittadinanza comune, un’appartenenza comune, un idem sentire dei/delle cittadini/e.
Ciò che il Documento dell’esecutivo del CDC non coglie è la netta
contrapposizione fra Costituzione e Trattato, che era invece ben presente ad un
europeista quale Altiero Spinelli.
Spinelli era ben consapevole della ‘lezione’ di Carl Friedrich, della
necessità cioè di dar vita ad un’Assemblea costituente per giungere a una «costituzione adottata
liberamente dal popolo europeo in un referendum su una proposta preparata da
un’assemblea costituzionale rappresentativa eletta liberamente dal popolo …»
(C. Friedrich). Spinelli, nel 1956, sostenne che «il popolo europeo deve ottenere dagli Stati nazionali che essi
convochino un’Assemblea Costituente direttamente eletta da tutti gli Europei e
che le riconoscono il compito di redigere la legge fondamentale degli Stati
Uniti d’Europa … La costituzione che l’assemblea costituente avrà votato, sarà
ugualmente ratificata, non dai parlamenti che sono gli organi di selezione
delle volontà politiche nazionali, ma da referendum popolari medianti i quali
ciascuna nazione dovrà dire sì o no alla costituzione che sarà preparata dai
deputati europei».
Spinelli riteneva che gli Stati avrebbero dovuto convocare
un’Assemblea costituente, poi, convintosi che questi non l’avrebbero promossa,
divenuto parlamentare europeo, presentò e fece approvare dal PE nel 1984 un
progetto di costituzione; oggi, dopo altri decenni in cui gli Stati hanno
proseguito nel processo di espropriazione dei poteri dei parlamenti e della
loro concentrazione nelle proprie mani attraverso le istituzioni UE, si pone il
compito di uscire dal solco dei Trattati e battersi per la convocazione di
un’Assemblea costituente.
Perché la mobilitazione per la Costituzione europea non sia solo
oggetto di proclami essa va accompagnata con lotte che puntino all’affermazione
di taluni fondamentali diritti, che si vogliono stabilire in Costituzione. E la
lotta per i diritti può aprire la via per istituire l’assemblea costituente europea. Di queste lotte dovranno essere
parte integrante:
·
il principio della pace, contro la NATO e per la
soluzione pacifica dei conflitti;
·
il principio di
laicità;
·
il diritto
alle differenze;
·
il diritto
del lavoro contro il suo
sovvertimento realizzato con le politiche di workfare;
·
la cittadinanza di residenza, introducendo
lo jus soli;
·
uno Statuto dei beni comuni a fondamento di una società
ecologicamente sostenibile;
·
il principio
della produzione e gestione pubbliche dei servizi a garanzia dei diritti sociali
universali.
Sono possibili lotte intorno a principi e diritti capaci di provocare
la rottura dei Trattati e di aprire al contempo una prospettiva sovranazionale.
È il progetto di Silvio Trentin: ‘liberare e federare’ dal basso i luoghi della
produzione e le istituzioni della partecipazione, per una democrazia
sovranazionale.
Claudio De Fiores – Franco Russo
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