Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

giovedì 17 febbraio 2011

Tutto il resto è conseguenza (Mao)


di Giovanni Morsillo

Ora che Berlusconi ha mostrato la vera faccia del potere incurante come sempre del giudizio delle persone perbene, ossia una faccia impresentabile resa appena tollerabile dal suo discendere da elezioni più o meno corrette (nel senso che sono fondate sull'espressione di cittadini assai largamente irresponsabili, in molti casi), tutti a gridare. Dimettiti! Vattene! Liberaci!, gli elettori democratici sembrano aver dimenticato l'avallo dato pochissimi anni fa ad una modifica in senso coercitivo dell'espressione del consenso, in nome della governabilità, della stabilità che fa bene ai mercati, ecc. ecc.
Ecco, questa è la stabilità, come allora poche e desolatamente sole voci ebbero l'avvedutezza (peraltro non così geniale, bastava semplicemente non farsi prendere dal ribrezzo per Tangentopoli e rimanere razionali nel giudizio) di anticipare.
E mica si trattava solo di persone semplici, poco avvezze ai meccanismi contorti dei sistemi elettorali, benché anche queste si arrabattassero per stabilire se fosse meglio l'uninominale secca, il doppio turno alla francese, il sistema tedesco o quello americano. Ci furono fior di intellettuali che misero tutti in guardia contro il dietro-front reazionario del maggioritario all'italiana, poi ricorretto e condito secondo la distribuzione dei consensi nei collegi, fino alla schifezza dei giorni nostri, dove si vota solo per ratificare le scelte dei gruppi dirigenti, senza possibilità di scelta alcuna. Citiamo uno per tutti, che scrisse un libro prezioso quanto misconosciuto nel febbbraio del 1993 (andiamo a memoria, ma siamo lì): Domenico Losurdo, Democrazia o bonapartismo , editore Boringhieri (salvo errore). Leggetelo, o rileggetelo. C'è scritto tutto, ma proprio tutto, sembra redatto dopo vent'anni di personalizzazione della politica.
Ora, dovrebbe essere chiaro a tutti, almeno agli onesti cittadini democratici, che quelle campagne per convincere gli elettori democratici che bisognava stabilizzare il quadro politico anche a discapito della rappresentanza, furono una sciagura. Noi siamo molto critici verso la democrazia borghese anche quando cerca di conservare un carattere il più vicino possibile all'idea di rappresentanza; quella attuale, non la consideriamo neppure democrazia, almeno dal punto di vista dell'espressione istituzionale del consenso, perché il voto non solo è drogato (pubblicità, televisione, e solite cose) ma è perfino in questa sua insipienza sterilizzato di ogni effetto fecondo sul quadro politico.
L'elettore può solo decidere se sostenere una squadra o l'altra, scegliendo fra quelle più finanziate, ossia più gradite ai centri veri del potere (i poteri forti, che sono in maggioranza ma non in assoluto di destra). Poi, di volta in volta, illudersi di aver mandato lui qualcuno a fare i suoi interessi, o quello che gli sembra più utile o più opportuno. Salvo poi non poter revocare quella delega nemmeno in presenza di fatti clamorosi, di cui l'harem di Berlusconi è solo una squallida parodia.
I cittadini, mobilitatisi in modo straordinario in più occasioni, non sono mai riusciti, non avendo rappresentanza, a determinare cambiamenti del quadro politico che avevano contro: la mobilitazione contro la guerra di aggressione all'Iraq per obbedienza agli affari di Bush e prima ancora contro la distruzione della Yugoslavia ha rappresentato il movimento più forte e consapevole del mondo, in quei mesi, ma nessun ministro o sotosegretario si è dimesso per questo. Le grandiose battaglie per il diritto ed i diritti del lavoro, contro le privatizzazioni, per la scuola e la cultura, questioni e lotte che non hanno interessato pochi sballati, ma la grandissima parte dei cittadini, non hanno prodoto alcun cambio, perché il sistema è stato progettato e via via perfezionato proprio ed esattamente per questo scopo.
L'unica causa di fine anticipata delle legislature risiede nella fine del gradimento dei poteri forti nei confronti di un esecutivo, che sia di centrosinistra (definizione del tutto convenzionale) o di destra ed estrema destra, non fa alcuna differenza.
Ne sa qualcosa il povero Prodi, e lo stesso Berlusconi. Per il primo, caduto per mano di Nato, Chiesa cattolica e Confindustria, anche lo sberleffo di far finta che fosse caduto per l'indisciplina della cellula comunista che ne faceva parte, più o meno.
Questa è la sostanza: oggi si governa o si cade in virtù di quello che serve o che piace alla chiesa cattolica (cioè ad uno Stato straniero), al grande padronato, inclusa l'alta finanza (cioè ad una classe sociale specifica), alle solite lobbies ma non al parlamento (che è selezionato preventivamente e regolato da leggi capestro che "sconsigliano" ai parlamentari qualsiasi atto di autonoma espressione di dissenso) o ai cittadini attraverso el loro organizzazioni.
Continuando a sparare ad alzo zero sui partiti in quanto tali e non sui loro difetti, si allontana sempre più la possibilità che si torni a considerare la libera adesione ad un progetto come "democrazia che si organizza", per citare uno forte. Ciò, nell'illusione di combattere la disaffezione, in realtà le fornisce sempre nuovo alimento, e nella dispersione dei cittadini, nel loro disorientamento, quei poteri forti hanno in mano il campo.
Ora, quindi: o si fa una inversione e si ammette di aver fatto un sacco di danni (in buona fede, certo, ma non meno garvi per questo) e si vede di trovare una via di lotta per il ripristino di libertà e poteri democratci distrutti o danneggiati in oltre venticinque anni di rimbambimento civile, oppure qualsiasi appello all'unità (dei democratici, dei lavoratori, dei comunisti, delle donne, di quello che si vuole) saranno solo un meschino tentativo di mettere ancora una volta la coscienza a tacere, nell'ignavia più colpevole.
Adesso basta davvero con le manfrine. Non basta cambiare squadra se il gioco è truccato, e non si tratta di mettere tutti sullo stesso piano. Sappiamo benissimo quale distanza siderale corra fra gli uomini dei principali schieramenti, non ci sogneremmo nemmeno di fare paragoni sbagliati prima ancora che offensivi. Ma se questa caricatura di governo cadesse e si andasse a nominarne un altro composto di persone serie (che comunque non abbondano nemmeno di qua dal Rubicone) magari competenti che non guasta, perfino intelligenti, sarebbe sicuramente un passo avanti, ma non risolverebbe il problema. Perché il problema non è soltanto la pessima gestione del potere del commerciante di femmine di Arcore e dei suoi accoliti, ma è la struttura stessa del potere, così come esce da un quarto di secolo di costruzione della "Rinascita democratica" di gelliana architettura.
Se poi si preferisce coltivare il nichilismo del meno peggio, si sappia almeno che si sta lavorando per il nemico, che mentre di qua ci si illude e ci si trastulla con qualche mortaretto, al di là della linea del fronte si riorganizzano le fanterie d'assalto e si prepara la prossima offensiva. E qui, se non fosse chiaro non intendiamo il "di là" come centrodestra, ma come nemico di classe (padronato, pensiero unico, ecc.).
 
 

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