Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

giovedì 15 settembre 2011

La solitudine esistenziale dell’uomo precario. L’esasperazione come lacerazione sociale

Giuseppina Bonaviri


Ad un lavoratore del nuovo mercato globale sono richiesti dei requisiti di personalità fondamentali per la sua sopravvivenza lavorativa e per la sua carriera: l’adattabilità e la flessibilità. “Nei paesi centrali a capitalismo maturo si conferma l’omogeneità tendenziale dei lavoratori e del lavoro, con la riduzione progressiva della divisione tra lavoro manuale ed intellettuale, che annulla le differenziazioni basate sul titolo di studio; un lavoro  che esige tanto dai lavoratori regolari quanto dai precari, un’adattabilità a qualsiasi esigenza del processo produttivo”. Analizzando lo scenario della flessibilità lavorativa ed osservando con sensibilità le conseguenze  sulle vite personali possiamo dire che  la flessibilità quale indice di  capacità di resistere ad una forza sia quella di tornare alla situazione precedente. Dal punto di vista ideale, il comportamento umano dovrebbe avere le stesse caratteristiche: sapersi adattare al mutare della circostanze senza farsi spezzare. Flessibilità e adattabilità a prima vista fanno pensare alla capacità d’apertura al cambiamento, alla libertà di agire e di scegliere seguendo la propria indole; in realtà rappresentano risposte a situazioni in cui si rischia di rimanere in balia degli eventi, dovuti, in questo caso, alla precarietà della realtà lavorativa. Diventa necessario essere flessibili ed adattabili per sopravvivere . Quando un lavoratore, per motivi che rispondono esclusivamente a leggi produttive o di mercato, è declassato o non si vede riconosciuto nelle proprie attitudini, subisce, sul piano psicologico un  danno, spesso sottovalutato se non del tutto ignorato: l’identificazione lavorativa, l’autostima, il sistema delle sue motivazioni, l’organizzazione delle sue personali sicurezze vengono meno. Ciò crea una habitus mentale caratterizzato da malessere, dal timore di non poter tornare ad avere più una vita personale adeguata e, l’angoscia legata alla consapevolezza di non riuscire ad assolvere i bisogni primari, diventa un processo che rende precario tutto il vivere sociale. Questa condizione di precarizzazione, di rischio e d’incertezza che investe ogni forma di lavoro e dentro cui  anche la posizione più privilegiata può rivelarsi meramente temporanea  conduce a sentimenti dove l’insicurezza strutturale e la disseminazione di paure fondano l’insorgere di un malessere  volubile e incapace di vivere da “contemporaneo” gli avvenimenti dell’ambiente. Non si partecipa e si ha la costante sensazione di restare indietro in rapporto alla vita e asintonici col divenire quotidiano. Si aggiunge cosi il sentimento d’impotenza, ovvero quello che comunemente e fisiologicamente accompagna la vecchiaia: la consapevolezza di non essere in grado di seguire il ritmo espansivo della vita e di vedere l’avvenire come un rapido incamminarsi verso la morte. Quando l’avvenire diventa irraggiungibile può spuntare uno stato di disagio nella persona meglio definibile come stato depressivo che graverà ancor più sull’economia di un paese e sul controllo dell’individuo. Sono fondamentali, in uno stato di diritto e di libera democrazia, misure politiche che garantiscano  cittadinanza contro l’umiliazione di una esclusione sociale fallimentare voluta ad hoc da una classe di politici inetti ed capaci solo di malaffare e che stanno trasportano l’Italia alla deriva.

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