Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

mercoledì 26 settembre 2012

po(l)verini

Giovanni Morsillo

Dunque, vediamo: dopo un paio di settimane di tira e molla minacce e tentativi di scappatoie salvafaccia contrattate nei sottoscala del palazzone romano, Renata Frangetta Nera Polverini si dimette. Dopo aver introdotto prepotentemente i vitalizi anche per i poveri assessori non eletti, sorda a qualsiasi pur sommessa lamentazione di qualche giornalista o consigliere d'opposizione, scopre che girano troppi interessi e si scandalizza: meglio tardi che mai, ma sempre tardi è. Intanto i gerarchi della destra del terzo millennio si sbranano ovunque gli sia possibile, rivendicando ciascuno la propria innocenza data non dal non aver commesso gli abusi che gli si addebitano, ma dall'essere vittime di un sistema più grande di loro, che hanno ereditato e al quale o ti omologhi o esci dal gioco. Un bel gioco, peraltro, per cui uscirne il più tardi possibile è senz'altro desiderabile, soprattutto se della politica si ha un'idea che si limita al potere ed al privilegio personale.

Intanto, si scopre che chi doveva vigilare non lo ha fatto, si è distratto ed ha anche partecipato alla rapina, salvo poi - a quanto dicono - avero usato il bottino a fini non personali ma per la nobile causa del partito. Vedremo cosa tireranno fuori i magistrati, sul piano penale.

I partiti invece avrebbero, se fossero tali, il dovere di svolgere loro indagini all'interno (esistono ancora i collegi dei probiviri, magari sotto falso nome tipo "collegio dei garanti" e altre raffinatezze?) e ripulire il verminaio che cova, se è vera la loro buona fede.

Se così fosse, saremmo a posto? Avremmo cioè risolto il problema che volta per volta assume il volto dei Bossi Jr. (Trota, per gli amici), dei Lusi, dei Belsito, dei Penati, dei Formigoni, dei Fiorito? Certo che no. Perché sebbene il reato sia imputabile solo al reo, qui non si tratta più di deviazioni patologiche di un sistema o di episodi straordinari legati a qualche malfattore intrufolatosi nei gangli della virtuosa architettura democratica. Siamo di fronte ad un sitema che si fonda su questo tipo di idea della politica, ossia l'idea aziendalista, fondata sul profitto dei gruppi dirigenti, utilizzando militanti ed elettori solo come manodopera e consumatori, non come parte in causa in un concetto democratico di rappresentanza.

Come da tempo sosteniamo, con la trasformazione del modo di produzione capitalistico da industriale-produttivo a finanziario-speculativo, raggiunta ormai la fase di cui Marx parla con chiarezza sconvolgente, fase in cui i soldi fanno i soldi ed il lavoro cessa di avere la centralità (assieme ed in conflitto col capitale) nella creazione del plusvalore e del profitto, ecco che la democrazia si trasforma anch'essa, assume cioè l'aspetto di una struttura manageriale che non riconosce più il conflitto di classe per la costruzione del consenso (partecipazione, rappresentanza) ma si limita a definire la catena di comando. Si deteriora il ruolo della delega, non consentendo neppure di indicare chi si vorrebbe eleggere, le coalizioni si fanno "prima" ma la trasmigrazione dei nominati da uno schieramento all'altro è ammessa e anzi favorita dalla necessità della "stabilità" a tutti i costi, non importa più quale governo purché che ne sia uno, tanto le decisioni si prendono in borsa e nelle centrali finanziarie extranazionali per cui poco o pchissimo cambia. Lo si è sperimentato già, con i programmi fotocopia presentati alle elezioni da coalizioni che dichiarano di essere alternative: tutti ricordano che Belusconi e Prodi si rinfacciarono apertamente in campagna elettorale di essersi copiati il programma a vicenda, cosa ovviamente impossibile se fossero stati programmi sostanzialmente diversi.

Se un sistema politico smette allora di essere rappresentativo, non si capisce perché dovrebbe comportarsi come se lo fosse, cioè farsi rappresentante e garante delle esigenze della società e dei territori, anziché lavorare per mantenere in piedi l'azienda in un regime di concorrenza e non di confronto democratico (ossia di conflitto di classe).

E' giusto e anche abbastanza banale, quindi che quando costoro vengono presi col malloppo in mano (Fiorito forse direbbe "col sorcio in bocca"), non solo si dimettano, ma siano processati a norma di legge. Ma non è sufficiente. Perché se il sistema rimane quello che è, al loro posto si siederanno altri personaggi che lastricheranno di ottime intenzioni le vie di nuovi inferni, ed ogni volta ci si scandalizzerà, sempre a posteriori e troppo tardi, per le immani risorse divorate da questo o da quello senza dire chiaramente che invece tutto questo è, se non progettato ed auspicato, quanto meno inevitabile, perdurando questo sistema.

Qualche spunto: perché, ad esempio, di fronte a tale sfacelo, bisogna aspettare che siano i malfattori a decidere se dimettersi? Perché gli elettori, se sono tali davvero, non hanno il diritto di revocare i loro rappresentanti? Sulle forme si può e si deve discutere, ma il principio merita attenzione. Secondo: essere investiti della responsabilità di governare un paese o un territorio presupporrebbe, a rigor di logica elementare, una adeguata preparazione. Oggi l'elezione è legata esclusivamente al potere di spesa del candidato, il che determina mostruose situazioni di incapacità che poco ci mette a produrre ulteriori forme di deterioramento dell'amministrazione. Chi forma gli amministratori? Come si selezionano i quadri nei partiti e anche nelle istituzioni (assessori, ministri, consulenti)? Un limite serio alle spese elettoriali, con il divieto di utilizzare fondi propri o reperiti chissà come dal singolo candidato, sarebbe una svolta di un certo peso. Terzo: la rappresentanza è da un paio di decenni considerata come un impaccio, una rete di trappole e di legacci che impedirebbero a chi governa di farlo in autonomia, salvo poi risponderne agli elettori, sempre più confusi, male informati e lontani dalla politica, aiutati in quetso dalla cancellazione dei partiti di massa, partecipativi. Essa è stata sostituita, con intenzione dichiarata e propagandata come innovativa, dalla governabilità, ossia dalla stabilità dei gruppi di comando in una visione aziendalista della pubblica amministrazione. Ciò vuol dire senza ombra di dubbio che la società viene espulsa dalle decisioni e al suo posto decide la "tecnica", intesa come professionismo della politica (contarriamente a quanto si vorrebbe far credere). Per inciso, tale scelta era stata propagandata come unica in grado di attirare gli investimenti esteri in Italia, cosa che, come ognun vede, non è avvenuta, al contrario sono i capitali italiani ad essere massicciamente espatriati (i depositi italiani in banche svizzere sono stati decuplicati nel'ultimo anno e mezzo). Quarto: l'attribuzione di fatto del potere legislativo all'esecutivo, oltre a rappresentare un obbrobio giuridico che manda a gambe all'aria tutta l'elaborazione da Montesquieu in poi sulla tripartizione dei poteri e dei contrappesi istituzionali ad evitare abusi di potere, rappresenta l'invalidamento effettivo delle assemblee elettive a vantaggio delle Giunte nominate dall'alto e dai vincitori, in assoluta contraddizione con lo spirito e il dettato costituzionale ed anche con l'interesse pubblico. si sancisce cioè il potere dell'oligarchia in luogo del confronto e del conflitto rappresentativo anche dove il sistema elettorale sia proporzionale (il caso della Regione è emblematico). Quinto: i partiti sono necessari, ma nella loro funzione democratica e pedagogica, così come previsto dalla Costituzione, e non come comitati elettorali al servizio degli azionisti dei CdA cui sono ridotte le istituzioni. Sesto: Perché è così scandaloso parlare del vincolo di mandato? gli eletti (o nominati) possono tranquillamente trasmigrare in altre e perfino opposte formazioni cambiando il senso del voto loro consegnato, ossia in sostanza inficiando la volontà dell'elettore. Dove sarebbe, qui, la sovranità popolare? Settimo: La retribuzione degli amministratori non può essere eliminata perché garantirebbe, se potessero essere eletti, anche ai meno abbienti di esercitare un diritto costituzionale. tuttavia essa non può avere dimensioni tali da far gola perfino ai già ricchi, non deve cioè essere obiettivo dei concorrenti alle cariche elettive. Intanto allontanerebbe la tentazione e rimetterebbe a disposizione della società ingentissime risorse da utilizzare per dare risposte concrete ai mille e uno problemi che abbiamo. Né vale l'obiezione che se fossero meno pagati sarebbero più inclini alla mazzetta, visto quello che succede oggi con gli stipendi milionari. Il problema è dei controlli, ed è un altro capitolo. Ottavo: dopo aver sperimentato i meccanismi infernali di quella che hanno venduto per decenni come "Seconda Repubblica", come superamento cioè della partitocrazia e del sistema democristiano, ed averne subìto gli effetti devastanti, non sarebbe il caso di rivedere questa scelta scellerata e trovare qualcosa che assomigli di più ad un sistema che garantisca il protagonismo dei cittadini? Intanto, sarebbe già molto se le rare occasioni di democrazia diretta come i referenda venissero rispettate ed i loro pronunciamenti applicati.

Resta una consideraizone, al momento: la nostra classe dirigente è inadeguata, ma essa rappresenta fedelmente (questo sì) alcuni caratteri della nostra società: corruzione, trasgressione, malaffare non appartengono solo alla sedicente politica. Queste metastasi invadono la società, per nulla innocente, a tutti i suoi livelli, schiacciando e mortificando gli sforzi delle sue parti sane, che ancora esistono e resistono malgrado tutto, ma sono sempre più deboli e precarie in assenza di cure idonee. Se non si riparte dalla rigenerazione della società attraverso il potenziamento dell'idea di responsabilità e di civiltà, sarà inutile ed impossibile qualsiasi tentativo di ripristinare forme civili e responsabili di pratica politica ed amministrativa. Questo è il mondo della deregulation, voluto e osannato dai neoliberisti e non contrastato dai cosiddetti riformisti.

Saluti
GM

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