Durante il periodo della guerra gli abitanti della parte superiore della città di Ceccano, non solo assistevano alle esercitazioni e alle sfilate di soldati tedeschi ma, notizia sostenuta da prove testimoniali, anche a quelle dei loro cavalli.
Sul breve tratto di strada di via Fontanelle (già via Michele Bianchi) stanziavano molti cavalli dalla possente struttura fisica. Vincenzo Loffredi ricorda che ogni mattina alle sette precise sfilavano ben ordinati, ognuno guidato da un soldato che procedeva a piedi, lungo via Matteotti (già via 28 ottobre) per arrivare fino alla zona Pescara e poi tornare al punto di partenza. Il loro passaggio oltre ad essere puntuale era anche rumoroso e riconoscibile a distanza. Per i pochi cittadini che abitavano nei paraggi, l'andatura ritmica e potente di questi costituiva la sveglia. Probabilmente la regolarità del transito e il numero elevato dei cavalli, forse trenta, erano stati rilevati da qualche ricognitore alleato che spesso improvvisamente sbucava dal cielo per controllare il movimento delle truppe tedesche.
Il 28 marzo avvenne un bombardamento dai risvolti tragici e dolorosi. Alle 7,30 durante l'uscita quotidiana dei cavalli, arei alleati sganciarono bombe che caddero in vicinanza del luogo chiamato "Ponte della gatta", dove trovarono la morte due diciottenni: Maria Ferri e Salvatore Tiberia. Dai ricordi della nipote di Maria Ferri anche lei chiamata Maria, sappiamo che quella mattina la giovane usci di casa per accompagnare la madre nella ricerca di qualcosa da mangiare.
La signora Anna Maria Pizzuti, che qualche anno più tardi sposerà Luigi, fratello di Salvatore ci racconta che oltre ai due morti nello stesso luogo vi furono due ferite: Anna Masi e Benedetta Tiberia. Benedetta era la sorella di Salvatore. In un primo momento parenti e vicini quando arrivarono a portare i primi soccorsi ritennero Benedetta morta per la quantità di sangue esistente sui vestiti e per la rigidità del corpo. Un dolore enorme per la famiglia Tiberia per la scomparsa contemporanea di due membri della famiglia. Mancò poco che Benedetta non venisse messa nella bara, quando fortunatamente un leggero movimento della bocca costituì il segnale di essere ancora in vita. Pur essendo gravemente ferita, la ragazza riuscì rapidamente a ricuperare ed a vivere per altri settanta anni.
Sul breve tratto di strada di via Fontanelle (già via Michele Bianchi) stanziavano molti cavalli dalla possente struttura fisica. Vincenzo Loffredi ricorda che ogni mattina alle sette precise sfilavano ben ordinati, ognuno guidato da un soldato che procedeva a piedi, lungo via Matteotti (già via 28 ottobre) per arrivare fino alla zona Pescara e poi tornare al punto di partenza. Il loro passaggio oltre ad essere puntuale era anche rumoroso e riconoscibile a distanza. Per i pochi cittadini che abitavano nei paraggi, l'andatura ritmica e potente di questi costituiva la sveglia. Probabilmente la regolarità del transito e il numero elevato dei cavalli, forse trenta, erano stati rilevati da qualche ricognitore alleato che spesso improvvisamente sbucava dal cielo per controllare il movimento delle truppe tedesche.
Il 28 marzo avvenne un bombardamento dai risvolti tragici e dolorosi. Alle 7,30 durante l'uscita quotidiana dei cavalli, arei alleati sganciarono bombe che caddero in vicinanza del luogo chiamato "Ponte della gatta", dove trovarono la morte due diciottenni: Maria Ferri e Salvatore Tiberia. Dai ricordi della nipote di Maria Ferri anche lei chiamata Maria, sappiamo che quella mattina la giovane usci di casa per accompagnare la madre nella ricerca di qualcosa da mangiare.
La signora Anna Maria Pizzuti, che qualche anno più tardi sposerà Luigi, fratello di Salvatore ci racconta che oltre ai due morti nello stesso luogo vi furono due ferite: Anna Masi e Benedetta Tiberia. Benedetta era la sorella di Salvatore. In un primo momento parenti e vicini quando arrivarono a portare i primi soccorsi ritennero Benedetta morta per la quantità di sangue esistente sui vestiti e per la rigidità del corpo. Un dolore enorme per la famiglia Tiberia per la scomparsa contemporanea di due membri della famiglia. Mancò poco che Benedetta non venisse messa nella bara, quando fortunatamente un leggero movimento della bocca costituì il segnale di essere ancora in vita. Pur essendo gravemente ferita, la ragazza riuscì rapidamente a ricuperare ed a vivere per altri settanta anni.
Alle porte di Ceccano, sempre durante la stessa incursione aerea, una bomba cadeva nella proprietà Palmieri, nelle vicinanze di dove è oggi la farmacia, scavando un grande cratere e sollevando una grande massa di argilla che andò a cadere sul tetto del pagliaio dove viveva Vincenzo Loffredi con la sua famiglia e colpendo il ragazzo alla fronte. Alla vista di tanto sangue la madre dopo avergli fasciato la testa con un asciugamano lo accompagnò a piedi presso un'infermeria tedesca situata in via Madonna del loco, dove oggi è situata la casa del mobiliere Romolo Pizzuti. Il medico incominciò a pulire la ferita ma, nel momento in cui sentì un rumore di aereo lasciò tutto per dileguarsi velocemente e ai due non restò che tornare sconsolati a casa. Purtroppo nei giorni successivi Vincenzo non migliorava anzi la faccia gli si era talmente gonfiata da essere irriconoscibile. La madre allora lo portò in un'altra infermeria posta in via Armando Diaz, nelle vicinanze dell'odierno negozio di ferramenta. Il medico presente non era tedesco ma di nazionalità polacca e visitò con molta premura il ragazzo dandogli anche alcune pasticche da prendere a casa. La guarigione fu rapida e Vincenzo riprese la sua vita normale.
La madre sentendosi rassicurata volle dimostrare apprezzamento e riconoscenza presentandosi, cosi come fanno tante donne ciociare, al cospetto del dottore con alcune uova. Era tutto quello che possedeva ma a quel punto avvenne un fatto imprevisto e sotto certi aspetti commovente. Il medico comprese il gesto della donna ma con molta signorilità e con un leggero sorriso, battendo una mano sulla spalla della madre, la invitò a far mangiare le uova " al bambino ".
La madre sentendosi rassicurata volle dimostrare apprezzamento e riconoscenza presentandosi, cosi come fanno tante donne ciociare, al cospetto del dottore con alcune uova. Era tutto quello che possedeva ma a quel punto avvenne un fatto imprevisto e sotto certi aspetti commovente. Il medico comprese il gesto della donna ma con molta signorilità e con un leggero sorriso, battendo una mano sulla spalla della madre, la invitò a far mangiare le uova " al bambino ".
Su via Madonna del Carmine i tedeschi provarono a requisire la casa di Antonio Tanzini, ma secondo il racconto fattoci dal figlio Fausto, la madre Santina del Brocco con molta energia vi si oppose dicendo di avere due figli malati di tifo. I tedeschi dopo quella dichiarazione non insistettero, si ritirarono ma dopo un po', forse preoccupati della loro salute, portarono alla famiglia alcune pasticche da somministrare ai due malati. I ragazzi dopo una settimana si ristabilirono e tedeschi tornarono a requisire un fabbricato adiacente alla loro abitazione e di loro proprietà. In questi locali misero un'officina dove si riparavano mitragliatrici. Lo stesso Fausto ricorda di aver accompagnato i soldati tedeschi in prossimità del cimitero, dove esisteva un tiro a segno per provare l'efficienza delle armi.
Un giorno il padrone di casa, vedendo il comportamento dei tedeschi consigliò la moglie di cucinare quel maialino nascosto prima che venisse razziato. A sera quando le dieci persone che componevano la numerosa famiglia erano riunite a tavola pronte per mangiare si presentarono otto tedeschi che s'impadronirono della loro cena. Uno di questi però mostrò "generosità": scambiando il profumato arrosto preparato sul momento, con dieci scatole di carne.
Forse da quel momento cominciò a praticarsi lo scambio ineguale.
Un giorno il padrone di casa, vedendo il comportamento dei tedeschi consigliò la moglie di cucinare quel maialino nascosto prima che venisse razziato. A sera quando le dieci persone che componevano la numerosa famiglia erano riunite a tavola pronte per mangiare si presentarono otto tedeschi che s'impadronirono della loro cena. Uno di questi però mostrò "generosità": scambiando il profumato arrosto preparato sul momento, con dieci scatole di carne.
Forse da quel momento cominciò a praticarsi lo scambio ineguale.
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