Fra gli anni ’60 e gli anni ’70 nel profondo sud d’Italia a Scalea, allora piccolo paese in provincia di
Cosenza, esisteva l’I.C.M. (Industria
Camiceria Meridionale). Una fabbrica in cui il sistema taylorista veniva
applicato alla manifattura. L’azienda era strutturata in reparti connessi fra di loro. Dal magazzino in entrata , dove erano stipati tessuti, fili, e ricambi per i macchinari, le
stoffe passavano al reparto taglio, che sulla base dei disegni degli stilisti,
anch’essi dipendenti, realizzava le parti necessarie alla confezione del capo d’abbigliamento.
Gli elementi così realizzati, passavano alla sala macchine che provvedeva a
cucire insieme le stoffe tagliate e realizzare
l’abbozzo dell’indumento. Lo stesso veniva poi rifinito nel reparto apposito che
provvedeva ad inserire gli accessori: bottoni, la parte rigida del collo e dei polsini nel caso delle camice . Dopodichè il tutto passava alla
stiratura e da lì al reparto confezioni che provvedeva confezionare ed inscatolare i capi d’abbigliamento. La manifattura
completata arrivava nel magazzino d’uscita,
che in base agli ordini, predisponeva i carichi pronti per essere stivati sul
camion, di proprietà dell’azienda, ed
avviare la distribuzione.
Come da prassi taylorista, dal magazzino d’entrata, a quello d’uscita il flusso produttivo era
continuo, dai tempi serrati e spesso i
capi reparto cronometravano le operaie al lavoro per controllare che la
velocità d’esecuzione fosse quella
richiesta. Le maestranze dell’I.C.M. erano composte per lo più da ragazze
provenienti anche dai paesi limitrofi. La fabbrica era completamente autosufficiente.
Esisteva un’officina interna per la riparazione dei macchinari, con tecnici appositamente
assunti, così come dipendenti diretti
erano le cuoche che si occupavano della mensa, il personale addetto alle
pulizie e i guardiani. Nella fabbrica era in funzione un’infermeria
autosufficiente gestita da infermieri anch’essi dipendenti dell’I.C.M. Un’unità
produttiva, insomma, completamente
indipendente. Allora terziarizzare il lavoro era una prassi sconosciuta.
All’inizio
degli anni ’60 quando l’imprenditore già proprietario di un laboratorio tessile
a Roma, decise di aprire lo stabilimento di Scalea, nel paesino calabrese, oggi
diventata una metropoli che soffoca di cemento uno dei più suggestivi tratti di
costa italiani, non c’era nulla. Il sindaco di allora fece ponti d’oro all’imprenditore
affinchè questi portasse un po’ di lavoro in quella desolazione. I sindaci del
comprensorio si accordarono per organizzare una linea di autobus che collegasse
i centri limitrofi direttamente con Scalea. Insomma altri tempi.
Nell’economia
di tipo espansivo tipica degli anni ’60 lo stabilimento I.C.M. portò un po’ di
benessere in quel profondo sud già in procinto di diventare terreno di
conquista della n’drangheta . Una realtà in cui il turismo pur in presenza di
una costa dalla bellezza unica, era
ancora ad una fase embrionale e i giovani del posto non avevano altra
alternativa se non diventare pescatori o contadini.
La storia dell’I.C.M. è una
delle tante testimonianze per cui il processo di industrializzazione
iniziato durante l’era del boom
economico per un certo periodo portò benessere anche in zone estremamente
povere come quelle del sud’Italia. Certamente lo sfruttamento e l’alienazione
tipica della fabbrica taylorista, furono deleteri per le maestranze, che alla certezza
di un salario, seppur misero, dovettero
sacrificare salute fisica e mentale, il capitalismo borghese, del resto,ha sempre imposto pesanti dazi al
proletariato. A metà degli anni ’70 in
realtà, iniziò un processo di sindacalizzazione con la creazione di una
commissione interna, che riuscì ad ottenere dei tempi di lavoro più umani,
orari di mensa diversificati ed altri diritti.
La storia dell’I.C.M. ebbe
termine quando la snellezza di
organizzazioni produttive basate sulla terziarizzazione dei processi, sullo smembramento
dei reparti, resero la camiceria calabrese non più competitiva. Un’entità che racchiudesse al suo interno tutti i
processi necessari per realizzare completamente i prodotti, non era
economicamente più gestibile a meno di non ricorrere a sistemi di finanziarizzazione della proprietà , ovvero la quotazione in borsa. L’imprenditore di allora
non ne ebbe la forza e l’I.C.M. fu
costretta a soccombere.
Oggi la camiceria non esiste più, in compenso Scalea è
diventata un’importante polo turistico. Un sito dove la speculazione edilizia e
finanziaria, ha ridotto il pese dell’I.C.M. in un non luogo dove tutto è al servizio
del profitto e dell’accumulazione. Un non luogo in cui fabbriche come l’I.C.M. , posti
in cui era il lavoro ad assicurare il reddito, non hanno più diritto di
cittadinanza. Di questa storia rimangono delle foto. Dei suggestivi scatti in
bianco e nero che vorrei proporvi in sequenza organizzati nella fotoclip che
segue. Il brano che accompagna le immagini è Song for my dad del James Taylor
quartet. Buona visione.
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